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Autore: Kyulia03    29/01/2024    0 recensioni
- Il primo passo per guarire è ammettere di essere malati-.
Ukai è sempre stato un dottore fuori dal comune, i suoi metodi sono diversi da quelli degli altri psicologi; proprio per questo Takaeda deciderà di contattarlo come psicologo per la sua struttura: Haikyu, un istituto psichiatrico che contiene solo 22 pazienti, ma tutti e 22 sono lì da tre anni e ancora non riescono a migliorare.
Ma forse, con gli strambi metodi di questo dottore, potranno riuscire a guarire.
SHIP:
Kagehina
Tsukiyama
Ennotana
Asanoya
Daisuga
KyokoXYachi
Iwaoi
KindaichiXKunimi
Kuroken
YakuXLev
Bokuaka
UkaiXTakaeda
⚠️ATTENZIONE:
Con alcune ci queste malattie non sono entrata in contatto, le informazioni le ho prese da internet per cui potrebbero non essere tutte accurate, e i metodi di guarigione sono assolutamente ai fini della storia e delle Ship e non c'entrano con metodi reali.
Questa storia è originaria del mio profilo Wattpad: Kyulia03
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Ittetsu Takeda, Keishin Ukai
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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L'uomo osservó l'imponente edificio di fronte a lui e sospirò: doveva ancora capire come erano riusciti a convincerlo. Quel posto gli faceva venire i brividi solo a guardarlo. Era stato in molti luoghi simili prima d'ora, ma Haikyuu era diverso: in quell'ospedale, nessun dottore voleva mettere piede.
Giravano varie storie, sul fatto che tutti i pazienti lì ricoverati non potessero in alcun modo guarire, e sul fatto che tutti i dottori che avevano provato ad aiutarli erano andati fuori di testa.
Lui ovviamente non credeva a quelle storie, ma essere lì gli faceva comunque senso.
Dopo qualche minuto, si decise finalmente a suonare il campanello. Poco dopo la porta si aprì, rivelando un uomo poco più basso di lui, con i capelli neri e un paio di occhiali, che gli fece un sorriso.
- Lei è dottor Ukai vero? Sono felice di averla qui-. L'uomo riconobbe la voce come quella dell'uomo che aveva continuato a tempestarlo di chiamate nelle ultime settimane.
- Quindi deduco che lei sia il signor Takaeda, il proprietario di questo posto-.
- Esatto, sono io- Ittetsu gli porse la mano, che Ukai strinse con una certa riluttanza.
- Badi che non ho ancora accettato il lavoro, sono qui solo per esaminare la situazione: deciderò in seguito- affermó.
- Certo, capisco perfettamente; si accomodi- Ittetsu si fece da parte, permettendogli di entrare nella struttura.
Keishin rimase piuttosto sorpreso dall'interno: non somigliava a tutti gli ospedali in cui era stato fino a quel momento. Anzi sembrava quasi un posto allegro: le pareti erano dipinte di vari colori, e c'erano vari fiori che davano un odore quasi paradisiaco al luogo. Solo una cosa mancava: il rumore. Quel luogo era completamente silenzioso.
Mentre seguiva il proprietario lungo i corridoi di quell'edificio si guardò intorno, ma non vide anima viva.
- Scusi ma... Non ci lavora nessuno qui?- chiese. Ittetsu serrò le labbra, poi fece un sorriso triste.
- Penso lei conosca la fama di questo luogo: le persone non vengono a lavorarci volentieri. Ho qualcuno che mi aiuta a tenere pulito e a cucinare, ma vengono solo in orari stabiliti: di fatto, qui ci viviamo solamente io ed i ragazzi- gli spiegò l'altro. Intanto, erano arrivati davanti alla porta dell'ufficio di Takaeda: l'uomo la aprí, facendo accomodare l'altro al suo interno.
- Quanti pazienti ci sono qui?- chiese Keishin, mentre si sedeva davanti alla scrivania dell'altro, che si accomodò poco dopo di fronte a lui.
- Ventidue-. Il dottore aggrottò la fronte.
- Così pochi?- chiese. L'altro fece un sorriso triste.
- Pochi ma tosti. Queste sono le loro schede- gli passó un plico di fogli.
Il dottore scorse per un attimo i nomi dei ragazzi che avrebbe dovuto curare da quel momento in avanti... Sempre se avesse deciso di accettare quel ruolo.
- Hanno qualche regola qui?- chiede, continuando a sfogliare le varie schede.
- Ovviamente non possono uscire, ma in realtà non hanno mai chiesto di poterlo fare. Si sono organizzati turni di corvet; hanno tutti una propria stanza, ma sono liberi di dormire dove vogliono. Non ho dato loro troppe restrizioni. Passano molto tempo insieme, facendo normali attività da ragazzi: quando arrivano i vari dottori organizziamo i loro orari in base alle visite e alle terapie che essi propongono per loro, ma per il resto non fanno niente di speciale-.
- Al momento stanno seguendo qualche terapia?-.
- Nessuna-.
- Da quanto sono qui?-.
- Tutti da tre anni: da quando ho aperto, praticamente-. Il dottore annuí, pensieroso, e lesse un'altra scheda.
- Quanto spesso vedono persone esterne?-. Non udendo la risposta alla sua domanda, l'uomo alzó la testa, e vide che sul volto dell'altro si era dipinto nuovamente un sorriso triste.
- Non le vedono. All'inizio veniva qui qualche genitore, ma poi hanno smesso: non ne conosco il motivo però. Gli unici con cui entrano in contatto sono i dottori e quei pochi ragazzi che mi aiutano a cucinare o svolgere faccende simili- rispose. Ukai aggrottò la fronte.
- Mi faccia capire, praticamente sono tre anni che non vedono nessuno tranne loro stessi e lei?-.
- Esattamente-.
Il dottore si alzò mentre un dubbio si insinuava nella sua mente.
- Prima di prendere una decisione, vorrei vederli-.

Il dottore aprí la porta che separava la zona d'ingresso con la parte di struttura dedicata ai ragazzi... Che comprendeva quasi tutto l'edificio.
Il signor Takaeda non era voluto andare con lui; aveva affermato che sarebbe stato molto meglio se avesse visto tutto con i suoi occhi. Gli aveva però dato indicazione dei luoghi in cui era probabile si trovassero i pazienti.
Al secondo piano c'erano le camere dei ragazzi, e al terzo quello delle ragazze; ma il proprietario del luogo aveva affermato che raramente i giovani passavano le giornate in stanza, e che quindi era molto più probabile che li trovasse al primo piano.
Infatti, non appena superata la porta, il dottore aveva subito sentito una dolce melodia provenire da una porta non molto lontana.
La stanza era aperta, per cui l'uomo si era potuto sporgere senza problemi per vedere i ragazzi al suo interno. Sembrava una sala ricreazioni, dato che aveva dei computer, dei tavoli, alcuni giochi da tavolo impilati su un mobile e altre attività.
Vicino ad un muro c'era un pianoforte a coda, suonato da un ragazzo biondo. Ukai aveva sviluppato la capacità di riconoscere le persone al primo sguardo grazie al suo lavoro, per cui capí subito chi fosse il ragazzo, nonostante lo avesse visto solo in foto mentre sfogliava le schede: Tsukishima Kei, afefobia.
Alla fine del pianoforte, appoggiato allo strumento, c'era un ragazzo con le lentiggini ed i capelli di una strana tonalità verde. Yamaguchi Tadashi, disturbo post-traumatico.
Il pianoforte sembrava essere posizionato apposta in un angolo della stanza, in modo da essere lontano da tutti gli altri occupanti di essa.
- Wow, che figata! Voglio giocare anch'io!-. Una voce squillante richiamó la sua attenzione, facendogli spostare lo sguardo su un ragazzo dai capelli arancioni seduto ad un tavolo, intento a guardare un videogioco tra le mani di un ragazzo biondo... O almeno, tinto di biondo. Hinata Shoyo: bulimia. Kozume Kenma: anoressia.
Di fianco al mandarino c'era un ragazzo moro, che stava fissando il tavolo come se stesse cercando di concentrarsi su qualsiasi cosa tranne che sul mondo che lo circondava. Kageyama Tobio: disturbo ossessivo-compulsivo.
- Kenma, fai giocare anche Hinata-. Al tavolo dietro il terzetto, c'erano altri tre ragazzi, intenti a giocare a carte.
Il moro che aveva appena parlato si girò un attimo verso il biondo alle sue spalle, che alzò gli occhi al cielo prima di tornare a concentrarsi sul gioco che aveva in mano. Kuuro Tetsuro, dpdr: disturbo di depersonalizzazione-derealizzazione.
- Ho vinto!-. Il moro si voltò di scatto quando il ragazzo dai capelli bianchi e neri di fianco a lui alzò le braccia e fece un sorriso trionfante. Bokuto Koutaro: depressione.
- Cosa?! Ma non vale!- si lamentó Kuuro.
- Bokuto-san, tira fuori le carte che hai nascosto- il terzo ragazzo che giocava con loro parló con voce calma, alzando appena lo sguardo dalle carte che teneva in mano. Akashi Keiji, apatia.
- Sei cattivo Aghashi- si lamentó Bokuto, ma fece come gli era stato detto e mise sul tavolo alcune carte che si era nascosto sul grembo.
- Che barone!- esclamo Kuuro. Intanto, una nota del pianoforte stonó e Kageyama si alzò di scatto.
- Se devi suonare quando ci sono io, non sbagliare- sibilò, voltandosi verso il biondo al pianoforte.
- Allora dí a quei due di non urlare, mi deconcentrano- ribatté acido l'altro.
- Non è colpa nostra Tsukki!- esclamó Bokuto. Kageyama strinse i pugni e fece un passo verso il biondo, che sembró allarmarsi leggermente.
Velocemente, Yamaguchi si staccò dal pianoforte, camminando piano verso il biondo, mentre Hinata saltó in piedi e si mise davanti a Kageyama.
Gli disse qualcosa sottovoce e gli prese la mano, portandosela alla testa; il moro chiuse gli occhi ed iniziò ad accarezzargli i capelli, riuscendo così a calmarsi.
Il dottore notó in quel momento altri due ragazzi, che stavano rimanendo in disparte. Il più basso a sentire il litigio si era guardato intorno, quasi confuso. Yaku Morisuke, schizofrenia. Il più alto gli stava dicendo qualcosa, come per rassicurarlo; Haiba Lev, sintomi del parkinsonismo. La situazione sembrò calmarsi in poco tempo, anche se nessuno degli altri ragazzi intervenne.
Ukai decise che ne aveva viste abbastanza in quel gruppo, per il momento, e di continuare il giro.
Notó in quel momento che c'era alle sue spalle un'enorme vetrata, che gli permetteva di vedere il giardino interno di cui era provvista la struttura.
Seduto all'ombra di un albero, con la schiena contro la pianta e gli occhi chiusi, c'era un ragazzo moro. Kunimi Akira, disturbo del sonno.
Anche in quel momento non stava dormendo: il dottore lo capì quando lo vide scuotere la testa a qualcosa che aveva detto il ragazzo con i capelli a cipolla di fianco a lui. Kindaichi Yutaro, parafilia.
Ukai non poteva capire cosa si stessero dicendo, dato che erano troppo lontani, ma non voleva avvicinarsi: il suo obiettivo in quel momento era vedere i ragazzi. Poi avrebbe deciso cosa fare.
Ne vide altri due avvicinarsi: quello castano disse qualcosa, probabilmente in tono scherzoso, ma facendo così arrabbiare il moro al suo fianco, che gli tiró uno scappellotto. Oikawa Tooru, disturbo dissociativo d'identità; Iwaizumi Hajime, nevrastenia.
Il primo si voltò per lamentarsi con l'altro del colpo subito; mentre lo faceva notó il dottore, e gli rivolse un sorriso che all'uomo non sembrava per nulla rassicurante.
Tenendo d'occhio i ragazzi tramite la vetrata, che si estendeva per tutto il corridoio, Ukai continuò la sua camminata.
- Ancora! Ancora!-. Da una stanza poco più in là, provenivano altre voci. Il dottore si affacció anche a quella porta: era una palestra.
- Non dovresti correre così tanto-. A dargli le spalle c'era un ragazzo alto, con i capelli raccolti in un codino. Azumane Asahi: autolesionismo.
- Ma non sono stanco-. Il ragazzo si spostò appena, permettendo di fare vedere al dottore con chi stesse parlando: un ragazzo decisamente più basso di lui, castano, con un ciuffo biondo, che correva su un tapis-roulant. Nishinoya Yuu, iperattività.
- E poi loro non hanno ancora finito- il ragazzo indicò con un cenno del capo altre due figure non molto distanti da loro.
Sdraiato sotto un bilanciere, un ragazzo dai capelli pelati stava sollevando dei pesi. Tanaka Ryunosuke, nevrosi.
In piedi dietro di lui, come a tenerlo d'occhio, un ragazzo moro: Ennoshita Chikara, sindrome di Capgas.
Si allontanò anche da quella zona: ormai stava iniziando a capire. Per avere la conferma, gli mancava solo vedere gli ultimi quattro pazienti.
Li trovó in quella che era probabilmente la sala pranzo, intenti ad apparecchiare per il prossimo pasto.
Appena si affacció vide un ragazzo dai capelli grigi, che gli passo di fianco con aria pensierosa. Sugawara Koushi, sintomi della demenza.
Mentre metteva i piatti sulla tavola, si fermò un attimo.
- Daichi... Qual'era il posto di Kageyama?- chiamò ad un volume più alto del necessario un altro ragazzo che lo raggiunse in poco tempo. Sawamura Daichi: psicosi.
- Qui- il ragazzo indicò una sedia; l'altro gli sorrise in risposta e riprese ad apparecchiare.
- Abbiamo preparato tutto?- una ragazza dai capelli mori si avvicinò ai due ragazzi. Kyoko Shimizu: ansia. Dietro di lei, quasi attaccata al suo braccio, una ragazza bionda: Yachi Hitoka, agorafobia.
Con loro due, la lista era al completo. Ed il dottore non aveva più dubbi.
Rimase ancora un attimo a fissare quei quattro ragazzi, che stavano sistemando tutta la stanza in modo quasi impeccabile, prima di decidersi a voltarsi e tornare da dove era venuto.

- Se n'è accorto vero?-. Il propietario dell'ospedale aveva posto quella domanda senza neanche alzare lo sguardo dai fogli che aveva in mano.
- Si- rispose il dottore, entrando di nuovo nello studio.
Ittetsu fece un sorriso triste. Non era un dottore, ma ormai conosceva quei ragazzi da tre anni. Li aveva visti conoscersi, li aveva visti aiutarsi a vicenda, instaurare rapporti tra di loro e superare momenti difficili.
Eppure, non era riuscito ad aiutare nessuno di loro: erano ancora tutti lì. A furia di guardarli però, l'aveva capito. Non aveva mai osato esprimere il suo dubbio a nessuno, né ai ragazzi stessi, né agli aiutanti con cui ogni tanto scambiava qualche chiacchiera, né ai dottori che erano venuti nel corso degli anni. Però, questa volta sentiva di aver trovato l'uomo giusto, l'uomo che poteva davvero aiutare lui e tutti i suoi ragazzi; e sapeva che quell'uomo aveva capito, nonostante li avesse appena visti aveva compreso la situazione.
- Quei ragazzi...- Ittetsu alzò gli occhi, incontrando lo sguardo di Keishin, che annuì appena, come per confermare la sua tesi.
- Non hanno la minima intenzione di andarsene da qui-.

   
 
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