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Autore: Marty_199    29/01/2024    1 recensioni
Sono passati ottant’anni dalla Sanguinosa Caccia che ha visto la morte di moltissime creature del deserto, gli Efir, la cui magia è stata presa dagli uomini.
Nel regno di sabbia e oro la convivenza tra umani e creature ha visto l'indebolimento dei patti e l'avanzare della guerra.
Dokor è il principe, generale dell’esercito dorato, con il sangue di una Dea è l'eroe della sua terra e ha completato la sua missione: riportare in catene l'uomo che lo ha tradito in passato.
Bellissimo, potente e pericoloso Elyim è per metà umano e per metà Efir, alla guida di creature ribelli e guerrieri contro il regno degli uomini è disposto a tutto pur di portare avanti la sua battaglia e pronto a bruciare tutto ciò che lo ostacola, compresi quei sentimenti che sette anni prima lo avvicinarono al principe.
Ma nel momento in cui si ritroveranno a collaborare in un viaggio attraverso le distese implacabili del deserto, tra Jiin furiosi, maestose corti e creature primordiali, i due dovranno muoversi in bilico tra l'essere amanti e nemici, mente le convinzioni di Dokor cominceranno a vacillare nello scoprire lo scopo della sanguinosa battaglia che gli Efir portano avanti.
*boyxboy*
*Enemies to lovers*
Genere: Angst, Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, Crack Pairing
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Incest, Tematiche delicate
Capitoli:
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CAPITOLO 9

-DOKOR passato-

7 anni prima.

Dokor non aveva salutato sua madre, era riuscito a correre da Agatha svirgolando per le strade fino a che non si era intrufolato nella sua casa. Sapeva che lo avrebbero trovato ma quelle quattro mura di fango e pietra lo facevano sentire al sicuro.
Agatha lo aveva consolato e Dokor era rimasto ad ascoltare le sue parole, cercando di farsi rinfrancare senza pensarci troppo sopra, Agatha odiava le bugie e non lo avrebbe preso in giro edulcorando qualcosa che non era vero almeno un pochino.

A palazzo sarai trattato bene, sei un principe mio piccolo granello di sabbia. Le tue carte parlano di un futuro prospero, pieno di gloria. È la tua opportunità, tu sei molto di più. Riavrai i tuoi fratelli.”
Ci aveva creduto, ma non appena aveva visto l’enormità del palazzo reale, chi ci viveva e il modo in cui veniva guardato si era sentito fuori posto.
Non che lui si impegnasse al massimo, era sempre corrucciato, non sorrideva mai e se lo faceva l’unica cosa che ne veniva fuori era una smorfia aggressiva, dalla sua parte aveva solo la sua postura solitamente rigida che gli conferiva un’aurea più posata.
Quella che era sua sorella lo aveva subito elogiato e avrebbe forse dovuto sorriderle, ma non ci era riuscito, e ormai era certo di essergli andato in antipatia.
Non che avesse particoalre importanza, quella non era casa sua e quella non era altro che una sorella che si era ritrovato per caso dello stesso sangue. Quello che era suo fratello non si era nemmeno degnato di farsi vedere, non era rimasto deluso dalla mancanza dei suoi veri genitori, ma aveva per un attimo creduto che almeno suoi fratello maggiore lo avrebbe accolto, che si sarebbe fatto vedere per conoscerlo.
Per quel motivo Dokor quel pomeriggio aveva indossato dei vestiti anonimi che si era portato dietro dalla sua vecchia casa, si era legato i capelli e aveva indossato la prima mantella che era riuscito a trovare.
Aveva girato per giorni tra quei corridoi e ne aveva memorizzato alcune formazioni, quante finestre fossero presenti e su cosa affacciassero, dove portavano le scale e i corridoi, i punti in cui nascondersi e quelli dove avrebbe potuto sedersi e riflettere.

Per quello non gli era stato difficile trovare il modo di uscire dal palazzo senza essere visto, nessuno faceva ancora troppo caso a lui e aveva sfruttato quella frustrazione per ritrovarsi fuori senza essere seguito.
Aveva camminato nel retro evitando il giardino principale e si era ritrovato a vagare nella parte Nord della città, la parte più altolocata, prima di allora l’aveva osservava solo da dentro una carovana chiusa, senza mai metterci piede.
Le case erano molto diverse, pietra bianca e lavorata le teneva in piedi, erano grandi e maestose, molte racchiuse in giardini che le rendevano simili a piccole oasi illuminate da lanterne esterne che rilasciavano abbastanza luci da farle risplendere, con le guardie a farne da protezione e i simboli di ogni grande famiglia posti sulle mura.
Le strade erano sabbiose come quelle a cui era abituato a camminare vicino la città bassa, ma delineate e attraversate da persone ben vestite, con lunghe vesti di lino lavorato per le donne, con maniche corte raccolte a forma di ventaglio o da frange per lasciar intrvedere i monili che portavano ai polsi e sulle braccia che risplendevano sotto la luce del sole, capelli resi lucidi dalla cera e pittura colorata sugli occhi resi profondi dalle linee scure del carbone o dalla cenere dell'incenso mischiata al miele.
Gli uomini portavano vesti di altrettanta qualità o pantaloni di lana e camicie larghe ma ben lavorate, alcuni coprivano il capo con dei turbanti o dei veli di seta agghindandoli con pendenti di vetro, oro o maiolica.

Il rumore del fiume era forte e in lontananza avvertiva il cigolio della monorotaia che si muoveva per allontanarsi in qualche città vicina.
Una volta uscito dalla zona nobiliare Dokor vide aprirsi dinanzi a sé la parte centrale della città con il mercato, le case erano più modeste ma pur sempre di uno stile adeguato, la strada si allargava davanti hai suoi occhi e ai lati mercati di ogni genere prendevano il loro spazio facendo sentire le loro voci, lunghi teli di seta colorata erano legati tra le varie carovane del mercato e tra i tetti delle case, rendenvano il tutto più colorato mentre i raggi del sole li attraversavano rigettando ombre di colore su chi camminava e offrivano al tempo stesso un riparo creando zone d’ombra più scure.
L’odore del cibo e delle spezie aleggiava nell’aria mescolato a quello dei vari incensi, Dokor osservò diverse donne avvicinarsi a mercanti con teli per vestiti di diverso tipo, provenienti da territori più lontani o tipici di altre zone del deserto. Allungò l’occhio verso altri mercanti con lunghe barbe scure e capelli ricci che tentavano di avvicinare vari compratori.
Si voltò verso alcune esposizioni da cui percepì un lieve brivido di richiamo; bracciali, anelli e amuleti erano messi in vendita e scintillavano sotto la luce del sole, non erano né di oro né di avorio, il loro richiamo gli andava dicendo che erano stati levigati dalle ossa delle creature Efir. Ne aveva visti pochi nella bassa città, sapeva che solitamente venivano adottati da famiglie nobili o finivano in mercati come quelli, erano già rari di loro ma ancora più rado era che qualcuno del popolo potesse metterne uno al mondo.
Decise di voltare lo sguardo e tenerlo basso per attraversare tutta la via senza farsi notare, superare il centro della città e immergersi verso la città bassa, le carovane lavorate finivano il loro percorso che veniva sostituito da cammelli e carovane in legno, le case divenivano un ammasso di mattoni di pietra uniti dal fango mescolato con la sabbia, l’unico accenno di costruzione in ferro erano le chiuse delle volte a finestra per le violente tempeste di sabbia e alcuni raccoglitori d’acqua per la stagione delle piogge.
Dokor si infilò nelle varie stradine che mano a mano si facevano più strette nel lieve avvallamento che portava alla parte più bassa della città. Dokor aveva frequentato poco quelle zone ma sapeva come ci si muoveva ed improvvisamente si sentì più al sicuro e, in qualche moodo, a suo agio.
Sua madre non aveva mai voluto che si allontanasse troppo, per tutta la vita era stato certo che fosse per la sua sicurezza, cominciava a comprendere solo in quel momento che forse era stato perché sua madre aveva sempre saputo chi era in realtà e il valore che aveva la sua vita, e non poteva permettersi che qualcosa gli accadesse.
Per entrambe le situazioni valeva lo stesso pensiero scaturito però da emozioni diverse che avevano fatto cambiare a Dokor il modo di guardare indietro agli anni passati con sua madre.
Si sentiva arrabbiato, frustrato e immensamente triste, come se improvvisamente la scoperta di chi poteva essere avesse cancellato chiunque fosse stato prima, non che avesse vissuto chissà quanto, stava per compiere diciassette anni, ma gli era sempre bastato chi era e quello che aveva avuto.

Si infilò in una delle tante taverne lì presenti, non aveva idea di che cosa voleva fare. Era sempre stato bravo con le carte o a giocare a dadi, molte volte aveva riportato a casa soldi in più utili per comprare da mangiare, dentro di sé voleva solo risentire quella punta di orgoglio e soddisfazione, benché non gli sarebbe stata utile a niente.
Sua madre aveva sorriso rare volte e non si era mai lasciata andare ad effusioni affettive, eppure quel muto consenso e quei piccoli gesti che gli concedeva avevano sempre riempito il suo petto di una punta di calore che Dokor aveva custodito per anni, un affetto che aveva nutrito e che in quei giorni aveva invece lasciato spazio al gelo del nuovo palazzo.

Dokor aveva giocato a dadi per ore, si era scontrato con quel tipo a capo di una banda della bassa città ed era certo di essere andato vicino ad una rissa se solo non fosse comparso quel tipo mezzosangue. Lo aveva riconosciuto subito dai colori, capelli rossi accesi e orecchie a punta, non poteva che essere un mezzo Jiin o un vecchio discendente dell’unione delle razze.
Ne era rimasto sorpreso, aveva una postura tirata e retta e inizialmente non si era nemmeno degnato di guardarlo, quando Dokor aveva percepito l’antico richiamo della magia era rimasto a guardare, non aveva mai visto un mezzo Efir farne ricorso.
Nella camera in cui si trovava in quel momento più ci pensava e più piccoli brividi correvano lungo il suo corpo, facendolo fremere dal dolore per il braccio lussato. Alla fine aveva avuto la rissa che tanto desiderava, quel fuoco aveva calmato la sua rabbia e quel dolore aveva riempito il suo vuoto mentre nella sua camera attendeva che quel Calimath lo guarisse. Non era venuto ancora nessuno a vederlo benché tutti sapessero che era stato ritrovato.
Dokor si strinse la mano sulla spalla con una smorfia, quel ragazzo non lo aveva certo trattato come il nuovo principe ritrovato, per quanto gli avesse fatto male almeno non gli era sembrato che lo prendesse in giro.
«Se mi porgete piano il braccio farò in modo di sistemarlo.» L’uomo era entrato e si era fermato davanti a lui, seduto su una poltrona imbottita di cuscini. Vestiva come un maestro e aveva il viso gentile benché gli fosse complicato capire quali fossero le sue emozioni, aveva gli occhi azzurri vispi e molto attenti, gli fu difficile non fissarli.
Dokor gli porse il braccio, l’uomo lo sistemò in modo da farvi la pressione necessaria per aiutarlo, gli sfuggì un verso roco di dolore e sorpresa.
«Credevo che avreste utilizzato la magia.»
L’uomo lasciò la presa per poi fasciargli il braccio con delicatezza e passare poi la fasciatura dietro il suo collo. La fitta di dolore acuto gli passò velocemente come era comparsa per lasciare spazio ad un fastidio continuo all’altezza del punto in cui Calimath aveva attuato la maggiore pressione.
«Lascio l’utilizzo della magia al momento in cui è strettamente necessaria, richiede sempre un piccolo tributo e non ho più l’età di un tempo per permettermi di farne un uso sconsiderato, mio principe.» Si voltò per sistemare ciò che rimaneva della benda. «Sapevate che sono un mezzo Jiin?»
Dokor voltò appena lo sguardo.
«No, ho immaginato che aveste un qualche tipo di retaggio per gli occhi. E poi una persona con retaggio magico credo sia cresciuto da qualcuno con altrettanto sangue misto.»
«Siete un ottimo osservatore. Per il mio allievo… dovrei chiedervi la cortesia di non immischiarlo in questa storia, è ancora molto impulsivo e fa fatica a contenere quel lato di sé. Non sa dire di no ad una sfida, benché dinanzi a lui vi sia il principe.»
Dokor fece spallucce, per poi pentirsene e mordersi il labbro per il dolore. Si sistemò sulla sedia ripensando alla mossa che quel ragazzo aveva usato contro di lui, era stata efficace e veloce, nonostante fosse decisamente più piccolo di lui e anche più leggero non era riuscito a liberarsi una volta che lo aveva atterrato.
«L’ho sfidato io.» Ammise in fine.
L’uomo non riuscì a rispondergli perché qualcuno entrò nella sua stanza senza bussare. Dokor rimase sorpreso nel vedere suo fratello maggiore, indossava una lunga mantella marrone dai ricami dorati e dalle maniche larghe, pantaloni leggeri e una blusa svolazzante, i capelli biondi erano ordinati in piccole treccine e nessun trucco gli appesantiva il volto, in quel modo sembrava avere la sua stessa età.
Si avvicinò nella stanza posando gli occhi prima su l’uomo che lo aveva guarito e poi su di lui.
«Chi hai sfidato? Chi ti ha fatto male?»
Per un momento Dokor non rispose.
In tutte quelle settimane aveva visto suo fratello solo da lontano, sapeva soltanto il suo nome ma anche nella sua testa suonava troppo personale per essere pronunciato, alla stregua di un religioso col proprio Dio gli era troppo lontano perché potesse entrarci in confidenza, figurarsi trovarselo dentro la stessa stanza. Sembrava così giovane e così calmo, era posato m da lui scaturiva un’aura molto forte.
Calimath piegò la testa in un lieve inchino a cui suo fratello ricambiò con reverenza.
«Nessuno ecco… ero nella città bassa, un ragazzo mi ha sfidato e ho accettato.»
«Poteva ucciderti.» Commentò suo fratello, guardandolo quasi incerto, come se non ricordasse il suo nome. «Devi essere più responsabile. Non c’è bisogno che scappi di nascosto, sei libero di fare quello che vuoi. Ma adesso le tua azioni avranno un peso, sei un principe Dokor, non puoi agire in modo avventato.»
Dokor arrossì violentemente voltandosi di scatto, davvero stava ricevendo la paternale da suo fratello?
Almeno sa come mi chiamo.
«Non volevo fare a botte.» Un patetico tentativo di difesa, Dokor si maledì per il tono da bambino che si sentì uscire. «Non succederà più.»
Suo fratello lo osservò per un momento, per poi voltarsi verso Calimath. «Il suo braccio sta bene?»
«È in ottime condizioni, basterà qualche giorno e potrà muoverlo senza problemi.»
Dokor doveva ancora farsi entrare in testa che aveva il sangue dei discendenti, aveva sentito qualche voce e si era informato quanto bastava per sapere che le loro dieci famiglie erano le uniche ad avere una così detta discendenza divina dagli Dei, motivo per cui avevano diverse capacità.
Dokor era sempre riuscito a guarire velocemente ma solo ora riusciva a capirne il vero motivo. Alcuni di loro li consideravano addirittura dei semi dei, e guardando suo fratello poteva cominciare a capirne il perché.
Prima o poi avrebbe ereditato non solo il regno, ma sarebbe stato in grado di prendere e cavalcare il grande scorpione del deserto, una delle tante creature nel mare di sabbia libero, e aveva anche saputo che ognuno delle dieci famiglie poteva avere la possibilità di conquistarne uno.

Quindi anche io.
Non riusciva a pensare ad altro quando vedeva suo fratello.
Potevano imparare ad incanalare quel pizzico di magia che gli scorreva nelle vene, poteva imparare ad usare le rune e tanto altro, cose che aveva solo potuto immaginare.
«Posso esservi d’aiuto in qualche altro modo?»
Erix fece cenno di no con la testa, una treccina di capelli scivolò sul suo viso. «Il Re e la Regina vi ripagheranno per il servizio, io posso solo porgere i miei ringraziamenti.»
Ha un modo così altolocato di parlare, ma un tono completamente monocorde.
«Vi ringrazio, in questo caso mi ritirerò.» Calimath fece un ulteriore cenno, non solo verso suo fratello ma anche verso Dokor, che ricambiò con un cenno della testa un poco sbrigativo e meno posato. Dopo una lunga occhiata l’uomo uscì dalla stanza e la pesantezza nella stessa divenne persistente.
Cosa avrebbe dovuto dire a suo fratello? Ringraziarlo perché era venuto? Non si era mai presentato prima e non riusciva a capire perché lo avesse fatto in quel momento, neanche lui sembrava sapere bene cosa dire.
Sembrava osservare la stanza come se non la conoscesse, il letto era ampio e forse non era destinato a lui, perché una sola persona avrebbe dovuto aver bisogno di tutto quello spazio? Tutti quei cuscini morbidi ma troppo soffici quasi, non ci si era ancora abituato.

La volta aperta era la sua parte preferita, coperta da semplici tende dava sulla parte un po' più nascosta della città, da cui poteva sentire il rumore del fiume e il vento che proveniva dal lontano Deserto del Sud. Le librerie in legno lavorato erano colme di pergamene e libri che non aveva ancora aperto e un pratico piccolo tavolo era sistemato nel mezzo della stanza, ai suoi occhi appariva pratica e molto impersonale, come non fosse mai appartenuta a nessuno.
«Aesis ti cercava.»
Dokor sollevò la testa, giocherellando con il lembo della sua maglietta. «La vado subito a trovare.»
«Non serve, la manderò qui.»
Dokor annuì, per poi vedere suo fratello uscire dalla stanza chiudendosi la porta dietro. Sua sorella era l’unica che quei giorni sembrava ancora interessata a volere un qualche tipo di rapporto con lui, benché Dokor non avesse fatto nulla per incitarla.
Si alzò e si buttò di schiena sul letto osservando la volta del baldacchino e trovandola decisamente pacchiana, ad Agatha era certo sarebbe certamente piaciuto un letto del genere, vistoso ed eccentrico.
Quando la porta si aprì sollevò appena la testa, una ragazza dal corpo minuto si fece avanti, i capelli castano chiaro legati da un nastro bianco in una lenta treccia che le ricadeva sulle spalle e tra di essi filamenti in oro erano intrecciati e impreziositi da perle incastonate, anche lei indossava una tunica a due pezzi bianco perla con un corpetto elaborato che le stringeva la vita e la gonna tradizionale che le fasciava le gambe, i polsi erano scoperti dei soliti monili con i quali risplendeva e portava solo un semplice bracciale d’oro con su elaborati un piccolo scorpione e il muso di una volpe, le sue creature preferite a quanto gli aveva riferito.
Dokor si tirò immediatamente su e arrossì nel vedere che la veste che le si intrecciava davanti era troppo trasparente sul petto, e sua sorella non sembrava minimamente preoccuparsene. A quanto sapeva nessuno si preoccupava tanto di quelle piccolezze, anzi, l’armonia dei loro corpi, le loro forme e i colori erano sempre valorizzati e lasciati in vista.

Non c’erano molti limiti quando si parlava di certi atteggiamenti.
«Sei tornato.»
«Non avevo intenzione di andare via.»
Dove sarebbe potuto andare? Quella era la sua nuova casa e in ogni caso era sicuro che lo avrebbero sempre trovato. Per di più non era pronto ad affrontare in nessuno modo quella che aveva considerato sua madre per anni, non dopo che lo aveva lasciato andare così facilmente.
Aesis inclinò appena il capo di lato sedendosi al suo fianco. Aveva la pelle poco più scura di Erix, più simile alla sua, ma gli occhi tendevano ad un colorito ambrato di cui Dokor contava solo poche scaglie che si animavano sotto la luce.
Non che qualcuno le avesse mai notate davvero, nessuno lo aveva ancora guardato dritto negli occhi, solo Aesis, ma lei era diversa.
«Cosa hai fatto?» indicò la sua spalla. Per qualche motivo Dokor si ritrovò a dire la verità.
«Stavo facendo una partita a dadi e quello che credo sia l’allievo di quel tipo… Calimath, ha accettato la sfida che gli ho lanciato.»
«Quale sfida?»
«Doveva rompermi qualcosa per riportarmi a palazzo, non ha esitato a farlo.»
Non si sentiva arrabbiato, solo frustrato per la perdita. Avrebbe voluto incontrarlo di nuovo e provare ad usare quella mossa.
Aesis lo osservò per un lungo momento, per poi ruotare lo sguardo verso la volta aperta da cui entrò un soffio di vento caldo. Rimase ferma, persa nella sua mente per qualche secondo.
Dokor aveva saputo che Aesis era particolare, aveva come tutti lì dentro la discendenza dal sangue degli Dei ma al contrario di altri era stata anche maledetta da una fata del deserto, nessuno gli aveva raccontato come fosse avvenuto, Dokor cominciava a credere che nessuno lo sapesse davvero.
Aveva subito intuito la situazione, tutti nella città come nel deserto sapevano che le creature vantavano da sempre un collegamento diretto con le forze che smuovevano il destino, Agatha un tempo aveva cercato di spiegarglielo, gli aveva detto che tutti possedevano un filo conduttore legato alla grande madre che li aveva creati, Gea, ma che solo le creature Efir avevano accesso alla sua vista e all’interpretazione dei suoi segnali.
Era stato un concetto troppo complicato perché potesse apprenderlo a pieno ma sapeva che una delle azioni che potevano compiere erano la benedizione o la maledizione dei bambini appena nati, influendo così enormemente sull’andare del loro destino.
Era il motivo per cui molte volte aveva visto persone fare offerte fuori le loro case per assicurarsi il buon auspicio sul nuovo nascituro, invocare canti per attirare le creature benevole o utilizzare filastrocche e trucchi magici per allontanarne altre.

Dokor era certo che per la maggior parte le creature non fossero davvero interessate ai nascituri a meno che non avessero già dei conti in sospeso con la famiglia, certo per il popolo valeva sempre la pena di tentare. Sua sorella ne era la prova, Dokor sapeva anche quanto astio ci fosse tra i reali delle corti Efir e i reali della città di El-Sahar.
Nessuno sapeva dirgli su cosa avesse influito la benedizione inversa, non era una maledizione vera e propria da ciò che gli era stato detto, più simile una benedizione nera. Sua sorella era stata riconosciuta da una creatura Efir, aveva acquisito delle capacità che, malgrado tutto, molte volte la sua mente non era in grado di processare.
Una benedizione che nessuno avrebbe mai davvero voluto.

Aesis aveva sviluppato un collegamento con quelle creature e molte volte era in grado di vederle e percepirle, soprattutto le più pericolose.
«L’allievo di Calimath… è il suo pupillo, ha sangue misto. Sono sempre molto onesti e molto corretti, se la sfida era quella l’ha portata a termine come pattuito.»
Dokor annuì, chiedendosi se si potesse parlare di correttezza. Di certo però lo aveva trovato interessante.
Aesis si lisciò la parte finale della treccia 
«ma la domanda è il perché di quella sfida.»
«Ero arrabbiato.»
«Non capisco...» lo osservò, smettendo di giocare con i suoi capelli e cominciando a giocherellare col suo bracciale. Dokor tenne lo sguardo basso sulle sue mani, non riusciva a guardarla senza arrossire un minimo e non voleva farglielo notare.
«Volevo provare qualcosa che mi infuocasse ecco… questi giorni sono strani.»
Sua sorella si stese sul suo letto. Dokor rimase immobile, nessuno aveva il senso del minimo pudore, lei era cresciuta così e non sapeva come dirgli, senza rischiare di risultare scorbutico, che lui invece amava i suoi spazi personali.
«Tu hai il fuoco dentro, si vede dai tuoi occhi.»
«Davvero?»
«Sì, ma è ancora sopito.»
Dokor si voltò per osservarla, Aesis era sdraiata con la treccia stesa di lato e le braccia tirate verso su, lo sguardo era ancora una volta diretto verso la volta che dava sulla città, un movimento del vento scosse i tendaggi improvvisamente e lei sorrise, come se avesse appena visto qualcosa, benché Dokor fosse certo che lì non ci fosse niente.
«Erix sarà mandato all’Accademia tra poco, dovrà affinare la sue capacità.»
«All’accademia...»
Dokor ci pensò su mentre sentiva il braccio formicolare. Era consapevole che, dal momento che lo avevano portato forzatamente lì, la sua vita sarebbe stata lì dentro e l’unica cosa che avrebbe potuto fare sarebbe stata percorrere quella strada e aprirsene col tempo una sua. Aveva letto e sentito dell’Accademia, per la maggior parte coloro che entravano erano tutti parenti delle grandi dieci famiglie, per secondi i figli dei nobili e per ultimi i popolani, almeno chi vi riusciva.
Sua madre l’aveva lasciato nelle mani dei reali di palazzo ed Agatha, come degna donna del Sud, aveva fatto si che seguisse la strada che secondo lei era stata segnata dal destino, chi lo aveva portato lì non gli aveva dato un valido motivo per il suo allontanamento o per il suo ritorno come terzo figlio bastardo dei Re.
Si sentiva come una carovana nel mezzo di una tempesta di sabbia.
Poteva tentare di prendere in mano la situazione, avrebbe potuto studiare l’arte del combattimento, imparare a muoversi tra la sabbia come un vero soldato, imparare a sfruttare la magia che scorreva in lui e a conoscere le rune. Forse un giorno avrebbe reclamato a sé una delle grandi creature del deserto.
Sto viaggiando troppo con la fantasia. Un passo alla volta.
L’unica cosa che sapeva fare in quel momento era lottare nella mischia, correre veloce e avere una buona mira. Una partenza non del tutto orribile.
Mi sono fatto battere da un Efir tutto tirato e mingherlino, se continuo così sarò davvero inutile, chiuso in un palazzo che nemmeno conosco.
«Se volessi frequentarla anche io?»
Aesis si sollevò, osservandolo mentre era poggiata sui gomiti. «Dovresti partire da zero. Sai Erix si prepara da tutta la vita.»
«Mi va bene.»
Partire da zero. È quello che devo fare.
Sentire quel vuoto lo stava lentamente facendo cadere nella rabbia e nell’autocommiserazione, doveva costruirsi una nuova strada, prima non ne aveva mai avuta una certa, era stato abituato a sopravvivere giorno per giorno, in quel momento si sentiva allo stesso modo ma con l’aggiunta pericolosa di un territorio del tutto sconosciuto.
«Dovrai chiedere...»
Dokor annuì, d’altronde era certo che non ci fosse motivo di negarglielo, avrebbe imparato e sarebbe stato in grado di entrare a far parte di quel mondo, forse.

***

Partire da zero era diventato velocemente il suo mantra, da quando gli era stato accordato di poter far parte dell’Accademia non ci aveva mai ripensato, era partito con solo lo stemma della famiglia reale sulla mantella e il saluto dei suoi fratelli, quello di Aesis se lo era aspettato, lo aveva abbracciato e gli aveva detto che si sarebbero visti per i festeggiamenti del ciclo lunare e dell’arrivo delle piogge.
Suo fratello era stato inaspettato, nonostante la consapevolezza che avrebbero preso un percorso simile, Erix sarebbe stato nelle alte sfere dell’addestramento, non aveva bisogno delle basi e l’Heka, la gilda che studiava la magia e le rune, l’avrebbe accolto per accrescere le sue capacità, veniva concesso solo a quelli come lui di potervi entrare per poi uscire, di solito chi ve ne entrava a far parte si univa definitivamente agli studiosi della magia.
Lo aveva salutato dicendogli di fare del suo meglio e che il suo sangue e il suo retaggio lo avrebbero portato dove doveva, nonostante la sua espressione non variasse spesso gli aveva sorriso, e per un solo secondo era sembrato un ragazzo come lui.
Dokor si era esibito in un lieve cenno impacciato. Il re e la Regina non si erano fatti vedere, ma non era cosa nuova, molto presto sarebbero scomparsi tra le dune o sarebbero morti. Era qualcosa che Dokor non sapeva ancora spiegarsi, potevano avere una vita molto più lunga di quella dei popolani e il cambio generazionale avveniva a distanza di anche cento anni, ed era sempre un grande evento nel loro mondo e in quel momento man mano coloro che avevano regnato prima finivano per sparire.
Sapere di essere parte di un cambio per il quale si era atteso cento anni lo metteva lievemente sotto pressione.
«Prestate attenzione, tutti, anche tu.»
Il maestro di fermò dinanzi a lui, guardandolo con serietà. Dokor si riprese dai suoi pensieri e rimase serio davanti la ripresa. Non aveva rivelato a tutti di essere il membro ritrovato della famiglia reale, in pochi lì dentro ne erano a conoscenza e tenevano quell’informazione ancora segreta.
Prima o poi si sarebbe venuto a sapere, ma quando Aesis gli aveva detto che sarebbe partito da zero era stata sincera, per imparare le basi doveva essere trattato come tutti gli altri. Anche perché era sicuro che nessuno lo considerasse più di quello che era in quel momento.
Nessuno voleva aiutarlo con un rango e un sangue che non volevano riconoscergli. Dokor avrebbe spianato la sua strada da solo e si sarebbe fatto riconoscere.
Erano in piedi disposti in fila sotto il sole cocente del pomeriggio. Nei sandali gli era entrata la sabbia rovente del campo, la schiena e il petto coperti solo da una maglia di lino cui sotto la pelle era attraversata da gocce di sudore, c’era chi portava gonnelle di lino o chi come lui aveva optato per pratici pantaloni di tessuto lunghi.
L’accademia sapeva essere raffinata e rude al tempo stesso, lo spazio aperto nel quale si trovavano era adibito ai combattimenti e alle lezioni di tipo fisico. Era circondato da mura che chiudevano l’esterno fuori, ricoperto di sabbia che in alcuni punti era stata bagnata per permettere una maggiore presa per certe tipologie di combattimento, due pedane erano disposte al lato e venivano utilizzate quando gli scontri divenivano delle sfide tra cadetti.
Diverse armi erano disposte per il campo: lance, spade, archi e balestre, armi più sofisticate con polvere da sparo e qualsiasi cosa potesse tornare utile all’interno di un combattimento.

Negli scontri fisici era portato ed era stato in grado di farsi riconoscere in poco tempo, per il resto era ancora abbastanza anonimo, non voleva farsi identificare e molti non lo avevano preso in simpatia, non conoscendo chi era lo avevano semplicemente considerato un popolano fortunato anche solo ad essere entrato lì dentro e per quel momento gli andava bene così.
Non avrebbe nemmeno saputo come farsi riconoscere in altro modo, era lì da solo una settimana.
«Dreimeirt, che uno di noi sia il tuo benefattore adottivo non ti esonera dal presentarti con tutti gli altri.»
Dokor allungò lo sguardo verso il ragazzo che si stava avvicinando, indossava una maglia bianca e leggera a maniche lunghe, i pantaloni tendevano al marroncino e i capelli lunghi erano legati in una stretta treccia che si infuocava sotto la luce del sole, aveva la fronte imperlata di sudore ma se non fosse stata per quella la sua figura appariva una spanna sopra tutti: la postura eretta, il respiro regolare e non sembrava minimamente toccato dal calore del sole.
Dokor non lo aveva mai incrociato in quella settimana, ed era certo che non gli fosse sfuggito, era impossibile non notarlo.
Non era nemmeno certo che lo avrebbe mai rivisto, sapeva chi era Calimath e ricordava ancora vividamente quel pomeriggio, non credeva che quel ragazzo sarebbe entrato a far parte dell’Accademia, sapeva che era presente un mezzosangue di nome Elyim, ma non aveva pensato a lui.
«Sono desolato. Non ricapiterà.»
Lo stava osservando e se ne rese conto solo nel momento in cui quello si voltò verso di lui, percependo forse la pesantezza del suo sguardo. Si accigliò e i suoi occhi ebbero un luccichio, tuttavia non sembrò riconoscerlo. Si mise in fila al suo posto a distanza di due persone da lui.
Era lievemente più muscoloso di come lo ricordava, ma sapeva che chi possedeva sangue misto preponderante manteneva una caratteristica conformazione fisica tendente al
magro, erano forti ma sempre leggeri, alcuni osavano definirli perfettamente bilanciati. A lui pareva solo irritante.
«Con l’avvicinarsi delle varie selezioni mi servono più scontri a coppie, inizieremo subito.»
Dokor prese a sciogliersi i muscoli come fecero gli altri cadetti, non era mai stato molto sciolto ma non ne aveva mai avuto bisogno. Un pungo era sempre un pugno.
«Lo sai che chi viene dalla città bassa dura poco qui?»
Eccoli lì, i fastidiosi e prepotenti nobili del momento, perché doveva attirarli proprio lui?
Tuttavia quando si voltò non era a lui che erano stati rivolti gli insulti.
«E tu che ne sai da dove vengo?» Il ragazzo si smosse la treccia dietro le spalle con disinteresse.
«Non hai titoli se non quello di chi ti ha comprato, il che non è affatto giusto, chissà cosa fai per mantenere vivo il suo interesse nel tenerti tutto intero.»
Dokor per lo più si era sentito chiamare faccia burbera, molte volte se lo era detto da solo, non sorrideva spesso, aveva una mascella abbastanza squadrata e sopracciglia che potevano divenire folte se non le curava, ma per il resto si era sempre auto convinto di avere una faccia normale. Aveva addirittura creduto di somigliare a suo fratello, solo che lui sapeva come distendere il volto, come apparire reale e nobile, magari un giorno ci sarebbe riuscito anche lui.
Ma nessuno oltre qualche commento aveva mai insinuato che si fosse venduto per entrare in qualche modo. Il ragazzo strinse le labbra ma li ignorò.
Dokor invidiò la sua compostezza, lui non ne sarebbe stato in grado, era ancora troppo dubbioso di sé. Era ancora complicato saper separare le due persone che era, forse avrebbe dovuto unirle. Aveva solo sedici anni e non riusciva a comprendere chi avrebbe dovuto essere.
Sicuramente non doveva essere facile per tutti, come per quel Elyim, ma lui si sentiva di partire doppiamente svantaggiato, almeno chi lo circondava lì aveva avuto la stessa vita fino a quel momento, chi meglio chi peggio.

«Vedete di metterci impegno, la selezione sarà anche motivo di poca insicurezza, ma dopo, qualsiasi sia la strada che scegliere affronterete una prova finale. E dopo quella ad aspettarvi ci sarà il campo aperto, gli Efir non sono gentili e le grandi bestie del deserto vi spezzeranno in due se non sarete veloci a correre.»
Quella specifica Accademia era riservata ai comandanti di domani, ai soldati d’élite, era il posto dove le famiglie più importanti mandavano i figli che non avrebbero ereditato granché, per trasformarli in valenti condottieri. Oltre che un onore era anche un lavoro molto redditizio.
Era il motivo per cui molti tentavano di entrare anche quando non avevano niente, ma partire totalmente da zero non era facile e si veniva scartati molto velocemente, bisognava nascondere un talento particolare.
Dokor era anche certo che in parte fosse dovuto alla salvaguardia delle vite, negli anni la guerra con gli Efir non aveva fatto altro che peggiorare e la nascita di un’unione come l’Arkadia aveva reso necessaria la creazione di soldati d'élite pronti a battersi contro la magia folle degli Efir, contro la loro crudeltà e contro la supremazia che tanto millantavano.
E più rimaneva lì dentro più percepiva quella differenza, doveva ancora imparare a scrivere bene, a leggere in modo fluido e a rimanere concentrato alle lezioni teoriche. Aveva avuto come istruzione solo quella che sua madre gli aveva lasciato con qualche aggiunta delle lezioni impartitegli da Aghata, ma mai in modo assiduo nonostante non lo avrebbe rifiutato, nella parte bassa della città la maggior parte delle persone non aveva la necessità di essere perfettamente acculturata, sapersi muovere in modo basico nella scrittura, nel far di conto e nella lettura era già abbastanza.
Il maestro chiamò due cadetti a combattere sulla parte di sabbia bagnata, senza armi, richiedendo un combattimento corpo a corpo. I due al suo fianco si mossero e Dokor vide che voltando lo sguardo l’allievo di Calimath era sulla sua linea di sguardo, nuovamente si prese il suo momento per osservarlo, si stava sciogliendo un muscolo della spalla con lo sguardo perso in qualcosa di lontano, non sembrava molto interessato a ciò che lo circondava, come se per lui fosse inutile.
Dokor riportò alla memoria la mossa che aveva utilizzato contro di lui, era stata veloce ed efficace, era perfettamente allenato quindi aveva senso che non prestasse attenzione.
L’allievo di Calimath si voltò verso di lui di scatto, mentre la lotta tra i due cadetti era iniziata e versi di sforzo giungevano dalla loro destra.
«Perché mi fissi?»
Dokor si accigliò, non ricordava? Lo aveva inseguito per le strade della bassa città e gli aveva lussato una spalla, lo aveva anche visto lanciare la sua piccola fattura. Non era passato molto tempo, Dokor ricordava tutto.
Con un tonfo sordo venne sancito il vincitore. Nessun osso rotto e nessuna ferita letale, per ora le regole dei combattimenti le vietavano ma molto presto avrebbero iniziato a ferirsi tra di loro. Dokor si voltò giusto in tempo per vedere uno dei due cadetti steso a terra con una smorfia, circondato da una nuvola di polvere.
Il maestro fece un cenno e, una volta decretato il vincitore, guardò verso di loro.
«Dato che eravate entrambi distratti, mostrateci le vostre mosse, siete tra i migliori nel combattimento e non vi siete ancora affrontati. Avranno qualcosa da imparare guardandovi.»
I suoi occhi saettarono verso l’avversario in un moto di eccitazione. Nonostante ciò Elyim non sembrava ricordare ancora nulla, si posizionarono uno dinanzi all’altro e tutto ciò che gli mostrò fu una faccia disinteressata, aveva gambe e braccia lunghe, muscoli appena pronunciati ma duri e in tensione, come fossero costantemente in tensione, ed effettivamente il loro modo di essere slanciati dava questa impressione, era qualcosa che chiunque avrebbe osservato per ore nel tentativo di capire quale parte scaturisse una sensazione di etereo ma anche di lieve inquietudine. La sua corporatura era elegante ed affusolata al limite dell'accettazione.
I cadetti rimasero in silenzio ma Dokor era certo di sentire tutti gli occhi verso di loro, non erano sempre così educati con Elyim o riservati con lui, ma in quel momento ciò che importava e che attirava la loro attenzione era decretare un vincitore tra chi negli scontri precedenti non aveva mai perso.
Dokor si mise in posizione e osservò il suo avversario, sicuramente era veloce e capace nelle prese, ma non aveva idea di quanta effettiva forza bruta avesse, avrebbe potuto puntare su quella. Dal canto suo Elyim non sembrava starsi impegnando nello studiare il suo avversario, dalla loro avevano le capacità magiche e raramente si rendeva possibile uno scontro a mani nude, ma mai dire mai, dovevano essere comunque pronti.
Si stiracchiò il collo spostandosi la treccia dietro le spalle. Dokor avvertì l’irritazione montare dentro di lui, era vero che si era reso una specie di fantasma lì dentro ma nel mezzo delle lezioni sul campo tutti avevano almeno imparato ad osservarlo, Elyim invece lo guardava come se la sua mente fosse altrove.
Non gli stava prestando alcuna attenzione benché nella città bassa gli avesse dato del filo da torcere, 
Dokor sapeva di avere un fisico prestante, ed era alto, ma ad Elyim non sembrava in ogni caso interessargli.
«Iniziate.»
Elyim si mosse prima che i suoi occhi potessero vederlo. Lo prese lateralmente con un calcio nel fianco e tentò di saltargli sulla schiena per immobilizzarlo. Dokor tentò di reagire, ma non fece a tempo. Il braccio di Elyim si strinse intorno al suo collo e lo tirò indietro con forza, bloccandogli la gola.
Per essere così agile non avrebbe dovuto possedere tutta quella forza. Dokor gli assestò un colpo al fianco prima di rischiare di perdere i sensi, per poi colpirlo con una testata all’indietro, esattamente come aveva fatto nella città bassa. Elyim si portò le mani al naso, indietreggiando di qualche passo e mollando la presa su di lui.

«Ecco perché lo hanno preso.»
«Il ragazzo misterioso non è affatto male.»
Decise di ignorare i commenti e osservò il suo avversario. Per la prima volta notò che lo stava davvero studiando a sua volta, una piccola scintilla di comprensione negli occhi, come avesse riconosciuto quel suo modo di fare.
«Ma dai, usi le stesse mosse?» Commentò Elyim, perdendo quella foschia di distrazione.
Si passò il dorso della mano sul viso pulendosi dal sangue che dal naso era colato alle sue labbra. Aveva lievemente gli occhi lucidi ma lo sguardo era colmo di determinazione. Dokor non perse tempo e gli assestò un calcio al fianco, Elyim si parò con il braccio senza riuscire ad evitare il colpo e barcollò leggermente. Dokor sentì scorrere dentro di sé lo stesso fuoco che lo aveva preso decine di volte quando combatteva nella città bassa o nei vicoli vicino casa.
Tante volte era anche dovuto fuggire dai ragazzi più grandi, ma in nessun caso aveva permesso a qualcuno di metterlo all’angolo. Lì non era molto diverso, doveva batterli a forza prima che potessero tirare fuori le loro mosse raffinate ed elaborate, doveva colpire per primo.
Elyim assottigliò lo sguardo, neanche nella città bassa lo aveva visto così concentrato, come se avesse compreso che doveva fare sul serio. Lievi mormorii si erano alzati intorno a loro, chi sussurrava che Calimath si sarebbe infuriato, chi che avrebbe rischiato una fattura.
Elyim ne sembrò infastidito e si lanciò contro di lui con tanta furia quanto con più precisione, lo colpì con un pugno sulle costole, bloccandogli il respiro e facendolo tossire, tentò di fargli uno sgambetto volteggiando su se stesso con una leggiadria incongruente con la forza che aveva dimostrato nei colpi.
Ma Dokor aveva già subito un attacco simile, fece uno scatto veloce indietro, barcollando e vedendo appannato per il dolore. Frappose la gamba tra quelle di Elyim leggermente aperte e gli afferrò il polso, ricordava la sua mossa ma Dokor non poteva essere leggiadro come lui, non poteva zampettargli intorno, e decise di usare la sua forza.
Si voltò di schiena trattenendolo per il polso e sollevandolo di forza.
Funzionò nel momento in cui il suo avversario preso alla sprovvista non riuscì a mantenersi saldo a terra e volò in aria, per poi atterrare davanti a lui con un tonfo sordo, non gli diete tempo per ricambiare, gli tenne il braccio torcendolo dietro la sua schiena in modo simile a come lui aveva fatto nel vicolo della città bassa.

Elyim sotto di lui si dimenò e tento di colpirlo in tutti i modi, sembrava non interessargli del rischio che correva con la spalla messa in quella posizione. Dokor tenne duro nonostante le fitte di dolore che sentiva.
«L’incontro è finito.» Sancì poco dopo il maestro.
Dokor lasciò subito la presa su di lui ed Elyim si voltò di scatto con gli occhi che emanavano scintille mentre lo guardava. Dokor avrebbe voluto offrirgli una mano per rialzarsi, ma temette che se l’avesse avvicinata a lui in quel momento gliela avrebbe staccata in qualche modo.
«La sua tecnica è stata molto buona seppur non perfetta, si è assicurato di immobilizzarlo e non si è basato solo sulla sua forza bruta. Sotto quella presa avrebbe potuto batterlo con facilità.»
Tornarono alla loro postazione sfatti e sporchi di sabbia, se la sentiva ovunque, anche in bocca e tra i capelli. I muscoli erano stanchi e qualche fitta ancora lo attraversava nonostante avesse in corpo l’adrenalina della vittoria. Elyim non era messo meglio, la treccia era sfatta e il naso colava ancora sangue, i vestiti sfatti e con essi gran parte della sua eleganza si era persa.
Elyim gli tenne gli occhi addosso per un lungo momento e non sapeva dirsi se l’espressione che aveva verso di lui fosse per il dolore o per la rabbia.
Dokor lo ignorò, era riuscito nel suo piccolo intento, non voleva dargli la soddisfazione di guardarlo a sua volta.
Certo che colpisce con rabbia.
Sentiva già i lividi che si stavano andando a creare sul suo addome. Si voltò verso un campo vicino, c’erano diversi altri cadetti che stavano intrattenendo combattimenti di valutazione e ognuno osservava gli altri piccoli campi, diversi occhi si erano voltati versi di loro quando avevano lottato. Ne aveva notati un paio, castani e vispi, una delle ragazze dell’accademia era stata molto interessata e diverse volte si era congratulata con lui per le sue tecniche, benché gli avesse detto che era rozzo e troppo bruto.
E anche in quel momento lo aveva guardato, gli fece un lieve sorriso e un cenno di saluto con la mano, Dokor ricambiò appena, a disagio. Lei non era tra le migliori al corpo libero ma sapeva che era una delle più brave con l’arco e con la spada.
Attese la fine della lezione, ogni tanto i suoi occhi svirgolarono verso il protetto di Calimath che continuava a toccarsi la spalla cercando di non farsi vedere, doveva essere parecchio orgoglioso. Cosa tipica dei Jiin, mezzo Efir era un termine comune e generico, in pochi effettivamente discendevano da un vero Efir, molte volte erano mezzi Jiin o mezzi Ghoul.
Si allontanò nel momento in cui vennero lasciati liberi, voleva andarsene nei bagni pubblici e lavarsi per poi andare nella sua stanza, presto gliela avrebbero cambiata e non sarebbe più stato solo, a nessuno che partiva da zero era concessa una stanza tutta sua, motivo per cui teneva ancora tutte le sue cose chiuse in una sacca pronto a spostarsi, sperava solo di finire con qualcuno di sopportabile.

***

«Ti è stata assegnata una camera.»
Dokor guardò il maestro che era venuto a prenderlo nella sua stanza, era passato un giorno da quando erano stati beccati, lui ed Elyim, fuori dall’accademia che cercavano un modo di rientrare senza farsi scoprire. Non che fosse stato intenzionale, lo avevano messo subito in chiaro e gli avevano creduto abbastanza facilmente, il difficile era stato convincerli che non stavano facendo a botte tra di loro, dati i vestiti sfatti e i lividi sul viso.
Si era aspettato una qualche punizione per la loro mancanza di decoro, ma nessuno si era ancora mai pronunciato, Calimath aveva guardato seriamente il suo pupillo, che dal canto suo non aveva mai abbassato lo sguardo.
Dokor non sapeva cosa aspettarsi, qualsiasi fosse la punizione l’avrebbe portata avanti e si sarebbe dimenticato di quella storia. Prese la sua roba e seguì il maestro fuori dalla stanza singola, attraversò i lunghi corridoi di pietra, poco decorati se non per diverse rune di protezione, armi, qualche arazzo di qualche allievo che era divenuto un eroe e armature scintillanti degli stessi eroi che erano caduti e ora riposavano sotto la sabbia, mentre le loro armature venivano lucidate ogni giorno per mantenere vivo lo splendore di un tempo.
Quel giorno il sole era più rovente del solito, diversi cadetti si erano sentiti male e le lezioni esterne erano state sospese e continuate quelle di teoria nel pomeriggio, la mattinata perciò sarebbe stata libera ed era facilmente notabile data la grande presenza di allievi nei corridoi e fuori le stanze, la leggerezza nell’aria stonava con il posto in cui si trovavano, sembravano tutti dei semplici ragazzi, la serietà e la determinazione nei loro occhi aveva lasciato spazio a volti più rilassati.
Si fecero strada fino a una delle stanze, quando entrò Dokor vide che c’era comunque una grande arcata come finestra e ne fu grado, due letti disposti uno a destra e uno a sinistra, proprio sotto l’apertura del muro e due scrivanie in legno. Spoglia ma abbastanza grande.
Il suo compagno di stanza era seduto sul bordo dell’arcata, intento a guardare fuori, una lunga treccia poggiata sulla spalla destra che penzolava fino a poco prima del fianco. Una ciocca più corta gli arrivava al mento, come se avesse sbagliato a tagliarli. Dokor si lasciò sfuggire un verso di sorpresa che fece voltare il suo nuovo compagno verso di lui.
Il maestro aveva parlato alle loro spalle. «Calimath ha proposto di farvi stare nella stessa stanza, entrambi sapete di dover mantenere il silenzio su diverse questioni, vedete di trovare il modo di andare d’accordo.» Fece una pausa osservandoli seriamente. «Tra un’ora vi spetto nell’ala centrale. Vediamo se vi passa la voglia di comportarvi come bestie.»
Si soffermò con lo sguardo su Elyim per poi uscire e chiudere la porta alle spalle di Dokor, Elyim fece una smorfia di fastidio per poi tornare con lo sguardo verso il cielo infuocato, nessuna nuvola quel giorno voleva avere pietà di loro. Persino il vento era silente.
Dokor si avvicinò verso il letto libero alla parte opposta alla volta, posandoci la sacca sopra. Avrebbe dovuto dire qualcosa? E perché? Non era colpa sua se erano in quella situazione. E poi non si erano parlati quando si erano ritrovati fuori? Forse stava pensando troppo.
Si mise a sistemare le sue cose in silenzio, osservando di nascosto il suo nuovo compagno che rimaneva dov’era senza accennare a voler avere nessun rapporto. Si voltò verso di lui non appena ebbe finito, quel silenzio era fastidioso.
Lo colse nel momento in cui si toccava il naso con le dita come per accertarsi che non sanguinasse più.
«Ti ho rotto il naso?»
Elyim si voltò verso di lui, poggiando la schiena al muro. «Quasi.» Rispose sincero.
Calò nuovamente il silenzio, cosa doveva dire, che gli dispiaceva? Era stato un combattimento era normale che si facessero male.
«Non osare scusarti, la colpa è mia ma non succederà più. Io non mi scuserò con te.»
«Per cosa?» chiese Dokor, curioso.
«Per quando combatteremo di nuovo.»
Dokor si mise seduto sul letto, improvvisamente nuovamente interessato.
«Mi stai sottovalutando di nuovo?»
«Niente affatto, ti ho studiato, per ora so come batterti.» Sembrava tanto sicuro di sé che Dokor non seppe cosa rispondere sul momento. Il suo tono non era di sfida o di scherno, sembrava solo affermare qualcosa che già sapeva, forse poteva giusto intravedere un lieve sorriso ma stranamente non lo infastidiva.
«Suppongo che lo vedremo.»
Elyim saltò giù dal muro dell’arcata dirigendosi verso la porta, ora che era più vicino poteva vedere che aveva il naso leggermente pesto, così come l’occhio destro. Erano davvero conciati male tutti e due.
«Hai finito di sistemarti? Ci aspettano.»
Dokor si alzò dal letto e lo seguì fuori, da una parte non trovava giusto che anche lui dovesse essere punito per non aver fatto quasi nulla. Ma se aveva deciso di partire da zero doveva anche stare alle regole. Per di più lo incuriosiva passare tempo con Elyim, lui sapeva chi era e nonostante ciò sembrava ignorarlo del tutto.
Raggiunsero la sala centrale, era molto grande e circolare, il pavimento era ricoperto di marmo importato e le colonne sostenevano la parte superiore. Ad attenderli c’era lo stesso maestro che lo aveva condotto nella nuova stanza, se ben ricordava si chiamava Kraven, ed era uno dei pochi a sapere chi era. Lo attendeva con davanti a sé due secchi con dentro quattro spugne, due ruvide e due morbide fatte in lana.
«Questi servono per le armature, dovete finire entro l’orario delle lezioni o continuerete domani. Verrà qualcuno a chiamarvi quando sarà il momento.» Allungò poi dei guanti di pelle verso Dokor, che senza pensarci li prese, per poi notare che erano solo due.
Kraven lo guardò indicandoli con un cenno della testa.
«L’acqua dei secchi contiene i sali acidi utilizzati dalle ancelle per lucidare, può irritare la pelle a lungo andare. Se sarete veloci non saranno necessari.»
«Oh sì, adoro le irritazioni sulla pelle. Di solito mi faccio il bagno in secchi del genere per procurarmene un po'.» Elyim osservò Kraven mesto, non sembrava provare nessuna particolare emozione, i suo occhi erano seri, le labbra strette.
Dokor notò solo un lieve movimento sulle sue dita, come se la luce che entrava da fuori avesse danzato su di esse per qualche secondo.
«Non ne abbiamo molti, le ancelle e i domestici ne hanno continuo bisogno. Confido che ti proteggerai con la tua magia, cadetto.»
Dokor osservò il suo maestro e subito dopo i guanti che aveva in mano, per la prima volta in quell’Accademia si sentì mortificato per la sua posizione, li aveva presi senza pensarci, ma gli fu evidente la preferenza che gli era stata messa davanti gli occhi, chi sapeva che era il principe non avrebbe potuto che trattarlo con adeguato riserbo.
Tuttavia anche Elyim era importante lì no? Era il pupillo di uno degli illustri capi di una delle dieci famiglie, Calimath insegnava in quell’accademia ed era tenuto di conto dalla famiglia reale.
Elyim fece spallucce, come fosse abituato a ciò mentre il maestro si allontanava. Dokor percepì piccole ondate di energia provenire dal suo nuovo compagno ma non sapeva decifrarne le emozioni che provava, gli avevano solo fatto venire lievi brividi.
Osservò ancora i guanti di pelle mentre Elyim prendeva il secchio e si dirigeva verso il corridoio centrale che partiva dalla sala, dove erano riposte le armature più importanti.
«Allora? Ti sei incantato? Di questo passo non finiremo nemmeno domani.»
Dokor era ancora frastornato ma raccolse il suo secchio e lo seguì.
«Inizia da quella infondo, solo ventiquattro quindi saranno dodici a testa. Fatte le mie dodici non starò ad aiutarti con le tue se non ti muovi, sia chiaro.»
«Guarda che dovrei essere io quello infastidito, siamo qui per colpa tua.»
«Se tu ti fossi fatto dare un pugno sarebbe tutto finito più velocemente» fece spallucce Elyim tenendo gli occhi bassi come per nasconderglieli. Dokor raccolse il suo secchio infastidito e fece per andare.
Elyim iniziò immediatamente a pulire l’armatura che aveva davanti senza aggiungere altro. Era così irritante che volesse avere ragione quando anche lui doveva sapere che era colpa sua.
Si bloccò nel momento in cui si accorse di starsi per infilare un guanto e voltandosi verso Elyim lo osservò immergere la mano nel secchio senza dire nulla e cominciando a strofinare la statua che aveva davanti.
Dokor non ci pensò molto e sospirando con frustrazione si avvicinò nuovamente a lui. Elyim sollevò lo sguardo quando lo notò. «Hai intenzione di iniziare prima o poi?»
Dokor alzò lo sguardo, torvo.
«Potresti anche usare un tono meno irritato sai, ho lavorato in due fabbriche e in alcune botteghe prima di essere qui, so essere veloce nei lavori manuali.»
«Davvero?»
«Per poco, eravamo alle strette.»
Elyim fermò la mano dallo strofinare, osservandolo con fare pensieroso. «Quindi la maggior parte di noi, nonostante tutto, per te è un nobile fastidioso.»
Dokor si accigliò, guardando l’armatura. «Non lo so, forse, alcuni. Non sono qui per questo.» Non doveva giudicare più di tanto, faceva parte anche lui di quel mondo a quanto pareva, o comunque presto ne avrebbe fatto parte, che prospettiva avrebbe avuto se fosse cresciuto lì?
Di merda, niente cambia che molti sono davvero dei viziati.
Tenne quel pensiero per sé ma gli parve che Elyim potesse percepirlo, perché fece una faccia di diniego davanti le sue parole.
«Fingi ancora.»
Immerse nuovamente la spugna ruvida nell’acqua del secchio.
Dokor ignorò quel commento e prendendo un guanto glielo porse senza troppi giri di parole. Si era sentito troppo soppesato e voleva darci un taglio.
«Non ero qui per parlare di questo. Prendi.»
Due sfere rosse si posarono nuovamente su di lui, scintillando appena, lievemente sorprese.
«Vuoi darli a me?»
L’ironia sembrava voler eclissare quella sorpresa che ormai aveva letto nel suo sguardo, a Dokor non sembrava poi un gesto così strano.
«No, insomma sono due, se immergiamo una sola mano ne basta uno a testa, no?» Dokor si grattò la nuca, perché improvvisamente doveva sentirsi in imbarazzo?
«Ci rallenterà lavorare con una mano.»
«Allora ne useremo due e ne salveremo una dall’irritazione» rispose spazientito.
Elyim lo osservò e con tutta sorpresa ridacchiò. «Ti senti in colpa? Mi avrebbe trattato così con chiunque.»
«Senti, vuoi il guanto o no?»
Elyim lo guardò con la testa inclinata, la ciocca più corta che pendeva da un lato.
«Va bene...» lasciò il resto in sospeso, come se dovesse giungere un ringraziamento che non raggiunse le sue labbra. Andava bene così, Dokor non lo aveva fatto per riceve un grazie. In realtà non sapeva bene perché lo aveva fatto.
Elyim prese il guanto e lo indossò. «L’armatura nel mezzo la pulisco io.»
«Va bene, perché?»
«È di uno dei miei eroi preferiti» rispose Elyim, indossando il guanto sulla mano che aveva tre dita meccaniche, Dokor le aveva notate solo quel pomeriggio ed era curioso di chiedere, non che fossero abbastanza in confidenza, non sapeva nemmeno se lo sarebbero stati mai.
«Davvero?»
«Certo, ancora non hai letto molto tu è. Il Disseminatore, lo troverai nei libri che andremo a studiare.»
«Tu già lo conosci.»
«Ovviamente, ho già letto diversi libri di teoria.»
Dokor percepì una lieve sensazione di mortificazione che lo portò ad annuire semplicemente con un cenno e a tornare verso la sua statua. Una piccola imprecazione giunse alle sue spalle, dopo di che si sentì richiamare. Si voltò, Elyim si era alzato e si era avvicinato.
«Non volevo... ecco...»
Dokor fece spallucce, imitando il suo modo di fare. Lo aveva visto da poche ore ma aveva notato che ripeteva alcuni gesti.
«Non fa nulla. Ti senti in colpa? Chiunque avrebbe potuto dirlo ed è la verità. Non devi scusarti.»
«Non mi stavo...» Elyim rilasciò uno sbuffo «non mi piace essere scortese con chi ha mostrato gentilezza, è una specie di legge scritta nel mio gene mezzo Efir.»
«Vuoi forse dire che sai essere gentile? Mi volevi picchiare perché hai perso con la tua stessa mossa!»
«Io so essere gentile.»
«Forse con altri.»
«Oh scusa tanto principino, lo sei da nemmeno una settimana e già vuoi gente prostrata ai tuoi piedi?»
Dokor rise appena, seguito da Elyim mentre presero a spintonarsi piano, avrebbe potuto dire quasi amichevolmente.
«Chi è che mi fa perdere tempo ora? Non finiremo mai.»
«Aspetta.» Elyim prese il suo braccio non protetto dal guanto e dopo essersi guardato intorno passò il dito sul suo avambraccio disegnando qualcosa di invisibile, dopo di che gli sfregò sulla sua pelle con un po' di forza, Dokor non si sottrasse ma rimase interdetto. Elyim avvicinò il viso per soffiarci sopra come se volesse pulirlo dalla polvere, disse qualcosa in una lingua che Dokor non comprese e dopo gli lasciò il braccio.
Lo avvertì subito, come se un piccola forza avesse circondato quella sua parte di pelle, invisibile ma presente, sottile più di un foglio.
«Cosa hai fatto?»
«Un piccolo incantesimo di protezione. Non durerà molto ma abbastanza da farci pulire almeno metà delle statue che abbiamo a testa.»
«Puoi fare cose del genere?»
«E molto di più, è tutto nell’incanalazione» rispose con un sorriso beffardo «questo è niente.»
Dokor era senza parole. «Cos’era quello sfregare?»
«L’icore di qualsiasi energia mi è completamente aperto ma... non so ancora incanalare del tutto le varie forze che ci circondano o saper dare in cambio la mia energia per usare la magia, è un continuo dare e avere, un flusso infinito a cui non ho ancora pieno accesso. Fino ad allora devo dare un tributo per la magia che uso, in questo caso erano le tue cellule per il vento.»
Dokor si accigliò, suonava strano. «Ah?»
«Perdiamo cellule nuove in favore delle vecchie, è così che funziona il tuo corpo e quello di tutti» il suo tono assunse una tinta di scherno.
«E che se ne fa il vento?»
«Tu non hai idea di quante creature ci circondino, molte volte sono tanto piccole da essere invisibili, alcune sono celate anche a me e saresti sorpreso di scoprire che alcune possono nutrirsi di piccole cellule che viaggiano nell’aria. In cambio il vento mi ha concesso protezione, solidificando la sua energia intorno al tuo braccio e ai miei.» Un lieve rossore imporporava le sue guance, lasciò il suo braccio portandosi la ciocca sfuggita dietro l’orecchio.
«Il vento si prende tutto quello che può attraversarlo, certo dei semi sarebbero meglio ma sono più difficili da trovare...» aggiunse in fine.
Dokor osservò il suo braccio e scosse la testa. Tornando a guardare Elyim.
«Allora non ti serviva il guanto.»
Il rossore sulle guance di Elyim aumentò vividamente, voltò lo sguardo tornando a inginocchiarsi davanti la sua armatura, prendendo la spugna in mano per tornare a pulirne la parte delle gambe.
«Non mi aspettavo certo che avrei avuto qualcosa con cui coprirmi.» Bofonchiò a mezza bocca, senza più voltarsi.
Dokor sorrise lievemente senza aggiungere altro, tornando verso la sua postazione e iniziando a lavorare, era strano, dopo tanti giorni gli veniva spontaneo di sorridere.


Angolino
Granzie mille a chi legge >.<

 

   
 
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