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Autore: Velidart    01/02/2024    1 recensioni
Quello che sto facendo fa parte del mio percorso di cura: trovare una motivazione ad andare avanti, anche solo una minima fiammella capace di riattivare il mio corpo e la mia mente.
Se ti sei sempre chiesto che cosa prova una persona depressa, come si sente e come vive le sue giornate; o ancora a che cosa pensa beh, questa lettura fa al caso tuo.
Perché lo sto scrivendo? Per buttare fuori, titolo del primo capitolo, e perché spero di sentirmi meno solo, e di trovare altre persone nella mia stessa situazione: per potermi confrontare con loro.
Buona lettura, confido che in qualche modo ciò che scriverò possa essere di conforto a qualcuno, o possa comunque rendervi meglio l'idea di chi è una persona che soffre di depressione maggiore.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Oggi sento il bisogno di scrivere. Vedete, è passato solo un giorno: ieri mi sembrava impossibile poter buttare fuori qualcosa di decente (si, ormai è assodato, il termine buttare fuori sarà molto ricorrente nel corso di queste pagine) ed ora invece, appena tornato da una camminata riflessiva di una straordinariamente calda giornata di metà gennaio, ho la necessità di scrivere e buttare giù qualche riga. Ieri è successo qualcosa di straordinario in un certo senso: dopo aver concluso l'introduzione di questo scritto intitolata "buttare fuori", ho pranzato, mi sono buttato a letto e ho pianto. Un pianto durato veramente pochi secondi, ma mi ha permesso di addormentarmi relativamente serenamente. 

Questo perché è arrivata Alessandra. Dobbiamo dirci tutto no? Alessandra è la personificazione di un impulso che temevo, terrorizzato, di aver perso: la sessualità.

Dovete sapere che da anni una delle mie principali valvole di sfogo prima di addormentarmi è quello che in questo momento mi accingo a chiamare Alessandra. Lei è una donna, bellissima, formosa, maiala: la personificazione dei miei desideri sessuali più spinti e nascosti. Assume forme, volti, dimensioni, caratteri diversi: a volte è un'infermiera, a volte una sconosciuta che mi corteggia, altre volte una misstress implacabile e sadica che mi comanda, che realizza tutte i miei osceni desideri senza battere ciglia ma anzi, provando piacere nell'umiliarmi, nel comandarmi, nel rendermi una mera macchina del sesso. 

E' così dall'adolescenza, da quando inizialmente Alessandra era la mia compagna di classe, la sconosciuta incontrata per strada, la madre vogliosa della mia fidanzatina. E' lo sfogo, la personificazione dell'eccitazione carnale che mi svuota la mente, che sazia i miei desideri e mi allontana da una faticosa, triste, dura realtà. Alessandra è la mia creatività: colei che mi permette di inventare situazioni, contesti, visitare luoghi e avere dei contatti immaginari con altre persone. 

Ecco Alessandra era sparita da mesi, forse ormai un anno: da quando quella fastidiosa sensazione di morte mi svegliava nel cuore della notte, o mi coglieva alla sprovvista poco prima di addormentarmi spazzandola via improvvisamente. Questo dolore, che si chiamerò "il sussulto" è una vecchia conoscenza che ha fatto capolino nella mia vita fra il 2015 e il 2017, non ricordo precisamente la data.

Inizialmente il sussulto era sporadico, si manifestava in rarissimi casi, poi è diventato via via sempre più insistente, sempre più pressante. Ora però, per correttezza, devo spiegarvi in cosa consiste il sussulto.

Immaginate Alessandra, tutta bagnata e vogliosa che mi afferra il pene e lo masturba convulsamente, col sorriso sulle labbra desiderosa di vedere schizzare fuori il frutto del mio desiderio. In quel momento Alessandra diventa confusa, la mia lucidità comincia a perdere colpi e le immagini di sogni che preannunciano l'addormentamento sfocano tutto il contesto, tutta la scena. E all'improvviso, proprio quando sento che la mia mente si sta abbandonando a Morfeo, arriva LUI. Mi toglie il fiato, mi colpisce lo sterno come un pugno degno di Ken il Guerriero, mi afferra lo stomaco e lo stringe. A quel punto mi sveglio di colpo, mi aggrappo in preda al panico alle coperte e cerco di alzarmi con la bocca aperta e con un'immensa fame d'aria.

Sento che sto per morire.

Dura un paio di secondi, forse cinque al massimo, e poi torno a respirare. Ma non finisce qui perché il sussulto è insidioso: mi scatena una serie di reazioni fisiche e mentali devastanti. La mia temperatura corporea sembra scendere di colpo: ho freddo, un freddo di quelli che neanche dieci coperte riescono a placare, si insinua dentro ogni fibra del mio corpo e mi fa tremare, i brividi continuano a manifestarsi anche per ventiquattro ore, il naso mi cola, sento una sensazione di malessere che mi pervade e che è impossibile da descrivere. Comincio a sbuffare acido, sento lo stomaco contorcersi in continuazione e bruciare dall'interno. E poi c'è il danno mentale: non solo Alessandra scompare, ma la mia mente vaga alla cieca. Se chiudo gli occhi vedo elefanti in bicicletta, poi un signore che suona la tromba, e via via così in una serie di immagini che saettano nella mia mente senza un senso logico. E' come se qualcuno prendesse una scatola di giocattoli ordinati e li spargesse a terra di colpo e continuasse a rimescolarli e trasfigurarli. E badate: è una cosa velocissima, sono immagini e suoni che si materializzando e cambiano, scompaiono in pochi istanti.

E' a tutti gli effetti quello che gli esperti definirebbero come "confusione mentale".  Questo mi impedisce di ragionare, di concentrarmi.

Riaddormentarsi è un incubo perché non riesco a concentrarmi su Alessandra, non ne vuole sapere di ricomparire se non per un paio di secondi con ghigni distorti e contorni non ben definiti; il sussulto torna ogni volta che io cerco di riaddormentarmi e mi ghermisce impedendomi di abbandonarmi al mondo dove tutto è possibile. E quando finalmente ci riesco poi mi risveglio da schifo, poiché tutti i sintomi fisici e mentali perdurano per il resto della giornata impedendomi di concentrarmi, di vivere, di distogliere e liberare la mente. Il sussulto è durato fino a novembre, fin quando un bravo medico mi ha dato una spiegazione fisica non riducendo il tutto a "lei è ansioso, non ha nulla", mi ha dato una cura e mi ha fatto sparire questo male. Ma Alessandra non è più tornata, se non raramente e in poche occasioni a farmi visita. Nel corso di questi mesi ho imparato ad addormentarmi senza di lei, ma ammetto che è una presenza che mi è mancata, così come mi è mancata la concentrazione e la creatività che lei mi regalava.

Fino a ieri.

Ieri mi sono imposto di pensare a lei, ci ho creduto fino in fondo perché sapevo che avrebbe potuto farmi star meglio: e Alessandra, con non pochi sforzi, alla fine è tornata e mi ha tenuto compagnia per un bel pezzo. Al mio risveglio stavo decisamente meglio.

Il resto della giornata, merito anche di una conversazione motivante con me stesso, è andata alla grande: sono riuscito a stare come non stavo da un bel pezzo, abbastanza spensierato e con la rinnovata voglia di fare. Oggi, prima di mettermi qui a scrivere queste ulteriori due pagine, stavo male e non sapevo nemmeno bene cosa avrei scritto. Ma ora sto meglio, ora so che scrivere della mia situazione mi aiuta. E chissenefrega degli errori, dell'ortografia, delle ripetizioni e della consecutio temporis. Per oggi va bene così, perché ora il peso allo stomaco si è ridimensionato parecchio e la nausea si è placata un poco. Ho ancora molto da raccontare, ma ieri ho capito che se voglio Alessandra è ancora a mia disposizione: è lì pronta a soddisfare i miei desideri e a donarmi un po' di spensieratezza.

   
 
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