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Autore: Illidan17    03/02/2024    0 recensioni
La storia di Ade e Persefone, con flashblack e altri punti di vista che narrano di come si è arrivati al rapimento, inframmezzata da episodi chiave della mitologia greca, visti dall'Oltretomba. Avviso ai puristi: non aspettatevi il solito finale e gli episodi in questione non sempre seguono l'ordine in cui sono narrati nella mitologia.
Genere: Fantasy, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ade, Persefone
Note: Missing Moments, OOC, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Ares

Ares 

Mentre mangiava i chicchi succosi, Persefone pensava alla morte di Adone. Aveva sempre saputo chi fosse il responsabile. In fondo, il cinghiale era il suo animale sacro. Ma non si aspettava che venisse in suo soccorso. Con il senno di poi, aveva capito molte cose. E anche se non era presente in certi momenti della storia, si era immaginata perfettamente come fossero andati i fatti, come se fosse accanto agli altri personaggi... 

*** 

La gelosia era una brutta bestia, e Ares sembrava il suo boccone preferito. Era sempre stato geloso. Geloso di Atena, la cocca di suo padre, che solo perché era nata adulta con l’armatura indosso pensava di arrogarsi il titolo di dea della guerra, il suo dominio. Geloso di Apollo, che aveva tutte le credenziali per succedere al padre scavalcando lui, il primogenito. Geloso persino di Efesto, il suo fratello deforme, perché gli era toccata Afrodite come moglie, come la loro madre aveva stabilito... 

Quel giorno, si era sentito tradito da Era, sua madre che amava con tutto il cuore. E dire che per lei si era preso una cicatrice, quando Efesto l’aveva imprigionata in quel trono, per vendicarsi di averlo gettato dall’Olimpo appena nato, orripilata dal suo aspetto... 

Era andato a farlo ragionare con le migliori intenzioni, poteva giurarlo sullo Stige. Voleva conoscere quel fratello di cui ignorava l’esistenza, il quale, nonostante il suo aspetto, sapeva creare oggetti bellissimi. Era venuto in pace, e disposto ad accoglierlo insieme agli altri dèi. Ma Efesto era diventato diffidente, ed era ancora in collera con Era. Ne nacque una violenta discussione, durante la quale insultò la regina. E Ares vide rosso. Voleva infilzarlo con la sua lancia, ma suo fratello era il dio del fuoco. Un tizzone lo colpì all’occhio destro, lasciando una cicatrice perenne. 

Si ritirò, per tornare in compagnia. Con l’ultimo arrivo sull’Olimpo, l’ennesimo figlio illegittimo di suo padre, un giovane di nome Dioniso. Aveva inventato il vino, una bevanda inebriante, ma dagli effetti devastanti se si eccedeva. Ad essere sinceri, era stato il ragazzo a farsi avanti per parlare con Efesto, ma Ares aveva voluto andare con lui. Se fosse cascata un’altra pioggia di tizzoni, sarebbe stato meglio che ci fosse lui a proteggerlo. Per fortuna, il fabbro era curioso di assaggiare la bevanda a lui sconosciuta. Dopo due coppe, si era arrivati a più miti consigli, e la regina venne liberata. 

Quando fu scoperta la tresca fra lui ed Afrodite, erano diventati lo zimbello dell’Olimpo. Solo Poseidone, forse l’unica persona che lo comprendeva fino ad un certo punto, non lo aveva preso in giro. E ovviamente, neppure Era. Ma quando lei gli chiese perché, lui le aveva risposto con parole crudeli, perché vere: 

-Perché non l’hai data a me, madre? Io ti ho sempre voluto bene, sono sempre stato al tuo fianco quando mio padre ti umiliava, ti ho appoggiato in ogni tua decisione, ti ho difesa in ogni situazione, anche quando sei stata appesa alla volta celeste! C'era anch’io, insieme ad Efesto, a cercare di liberarti, lo sai? Ma sono passato sempre in secondo piano, anche davanti ai tuoi occhi! A nessuno importa di quanto soffro! Ma almeno, ora ho dimostrato che Afrodite sarebbe stata molto meglio con me! 

Fu forse in quel momento che Era si rese conto che erano stati ingiusti con Ares. Era scoppiata a piangere, e lui l’aveva abbracciata, accarezzandole i ricci scuri della sua chioma, dimostrandole che, nonostante tutto, lui sarebbe stato sempre al suo fianco... 

Ora era di nuovo geloso, di Afrodite. Dell'amore che dispensava agli altri, e che lui voleva per sé. E questa volta, lo aveva tradito per un mortale. Un cacciatore di nome Adone. E non era una delle sue solite scappatelle. Doveva ammetterlo, questa volta si era impegnata, nel corteggiarlo. Si era cimentata nell’arte venatoria, pur di farsi apprezzare dal giovane, il quale non era indifferente. Come si poteva esserlo, davanti alla dea dell’amore e della bellezza? 

A furia di stargli dietro, però, stava dimenticando i suoi doveri, disertando i santuari a lei dedicati. E Zeus era dovuto intervenire, per richiamarla all’ordine. E così dovette tornare alle sue mansioni, a capo chino, lasciando Adone da solo. Ma Ares sapeva che era solo questione di tempo, prima che la sua amata tornasse alla carica, con quel miserabile. Magari sarebbe riuscita a ottenere da Zeus, incapace di negarle alcunché, di renderlo immortale e dargli una carica sull’Olimpo. Ne era capace, lo sapeva. E non poteva tollerare un altro affronto... 

Quell'insulso mortale doveva morire. Poteva sopportare di dividerla con Efesto, ma non con un altro. Fu con la sua collera che generò una fiera che il cacciatore sapeva come affrontare, ma che non avrebbe potuto sconfiggere. Un cinghiale, animale a lui sacro, con il pelo nero come la sua ira e gli occhi di fuoco come i propri. 

-Uccidilo – gli aveva detto, impassibile. 

E poi, aveva abbassato lo sguardo, pronto a godersi lo spettacolo... 

E vide, con orrore, Persefone, la parente a lui più cara dopo sua madre, appartata proprio nel boschetto dove Adone era andato a caccia. E il cinghiale stava andando proprio nella sua direzione. Eccolo, il risultato della sua gelosia! Una giovane innocente rischiava di essere un danno collaterale, e solo per colpa sua! Perché cascava sempre in quell’errore? Perché il Fato si faceva beffe di lui in quel modo? 

Doveva limitare i danni, in un modo o nell’altro. Non poteva più richiamare la bestia, creata con la sua rabbia fuori controllo, ma forse poteva ancora salvare Persefone. Uscì dal palazzo, prese il suo cocchio e cominciò a correre... 

Mentre si stava recando al galoppo verso il boschetto, non poté fare a meno di pensare alle circostanze della nascita della sua sorellastra/cugina. Essere re e padre di tutti gli dèi, poteva far pensare a Zeus di potersi concedere tutto, ma quella volta aveva passato il segno. Era una festa come tante, all’aperto, per festeggiare il raccolto, e avevano tutti alzato il gomito. Ares non si ricordava di quando si fosse addormentato, ma si ricordava benissimo cosa lo avesse svegliato nel cuore della notte. Le grida di aiuto di Demetra. 

Si era alzato di scatto, ed era corso verso la fonte delle grida. Un uomo era sopra la sua amata zia, e la stava violentando. Gli si era lanciato addosso, togliendoglielo di dosso, e assestandogli un bel pugno sulla mascella... per poi rendersi conto di aver levato la mano contro suo padre Zeus. Era stata l’unica volta. E il re degli dèi gli avrebbe restituito la cortesia con gli interessi, se non avesse visto la rabbia e il disgusto dipinti sul viso di Ares. E, in seguito, su quello degli altri dèi. 

Gli ci era voluto un po', a Zeus, per riconquistarsi la fiducia degli altri. La situazione era talmente grave che, una volta tanto, Era si era schierata con la vittima dello stupro. E insieme a Estia, si era presa cura di Demetra, assistendola al parto. Era nata una bambina, nel cuore della notte. Una bellissima bambina. Tanto bella che Zeus, prendendola in braccio (era pur sempre suo padre) la chiamò Persefone, “la portatrice di luce”. 

Per Demetra, era Kore, “la vergine”, “la bambina”. Ultimamente, però, Ares aveva notato che la sorellina stava diventando sempre più insofferente a quell’appellativo. Insofferenza che non era passata inosservata a Zeus. E all’ultimo concilio, quando Demetra, terrorizzata che qualcuno potesse farle del male, aveva chiesto di consacrare la figlia come vergine, il padre degli dèi aveva risposto così: 

-Ci sono già tre dee vergini, Demetra. Sono più che abbastanza. Vedrai che Persefone troverà un marito degno di lei. 

La zia era furiosa, per non essere stata accontentata. Ares aveva ridacchiato in silenzio. In fondo, quando l’aveva presa in braccio la prima volta, aveva sussurrato questa benedizione: 

-Troverai uno sposo che non ti farà soffrire come mio padre ha fatto con mia madre... e con la tua. E ti saprai far rispettare. 

Demetra non l’aveva mai saputo, altrimenti... Per certe cose, aveva proprio un brutto carattere. Faceva i capricci come una bambina. Vedendo la scena, nessuno avrebbe creduto che fosse solo la secondogenita di Crono e Rea. Persefone era molto più matura, al riguardo. Quando rimproverava qualcuno, era sempre molto pacata, e il suo sguardo di disapprovazione era molto peggio di un urlo o di uno schiaffo. Non lo aveva scordato, quando era stata scoperta la tresca con Afrodite. Erano stati crudeli con Efesto e lei lo aveva fatto notare, solo con i suoi occhi...  

E ora, sempre a causa del suo amore per Afrodite, Persefone rischiava di essere vittima della propria collera incontrollata. Guidò il cocchio come un pazzo verso il boschetto e si fermò verso il suo limitare, lontano dal corteo di Demetra. Si inoltrò negli alberi, seguendo le tracce della sua creatura, fino a che non li trovò. Persefone era in ginocchio, la gonna del suo chitone strappata all’altezza delle ginocchia, Adone morto, la testa in grembo alla sorellina, una pozza di sangue attorno a loro. Dalla posizione del coltello, Ares comprese che era stata lei a uccidere il cinghiale. Ebbe un moto di orgoglio verso di lei. 

Poi vide che tremava. Pensando che avesse freddo, si era tolto la mantella cremisi e gliel’aveva messa sulle spalle. E sempre pensando che non si fosse resa conto di tenere un cadavere, l’aveva abbracciata e le aveva detto, nel tono più gentile di cui era capace: 

-Se n’è andato. È finita. 

Lei si voltò. E Ares si rese conto che stava tremando non per il freddo, bensì per i singhiozzi. Appoggiò la testa contro il suo petto rivestito di un’armatura dorata e iniziò a piangere a dirotto. La aiutò a rialzarsi e le accarezzò i lunghi capelli, rossi come i petali di una rosa scura, cercando di calmarla. Si sentiva un mostro, sapeva di esserlo... 

Abbassò lo sguardo verso il suo rivale. Era morto sorridendo. E ora, dal suo sangue stavano sbocciando dei fiori, mai visti, bianchi, rossi, rosa, lilla, blu... Persefone non voleva venisse dimenticato. La loro vista scaldò il cuore al dio della guerra. 

-Sono bellissimi. Hai deciso il nome? 

Lei lo guardò. 

-Anemoni, “i figli del vento”, perché è arrivato veloce come Zefiro... 

Venne interrotta da un rumore dai cespugli. Dopo un po’, uscì Euribea, la ninfa più anziana al servizio di Demetra. Si prese un bello spavento. Ares non poté darle torto. Vedere la bambina di Demetra tra le braccia del dio della guerra, alto due metri, fisico possente, pelle ambrata, una criniera di capelli color fiamma, occhi rossi come fuoco, una cicatrice su uno dei suddetti occhi... 

-Che cosa è successo? 

Ares rispose, insolitamente calmo. 

-Un cinghiale ha aggredito Persefone. Questo povero giovane è morto cercando di salvarla. Sono arrivato che era già tutto finito, non ho potuto fare niente. Comunque, è stata Persefone a uccidere il cinghiale. 

 Euribea sgranò gli occhi. Senza dire altro, Ares prese in braccio la sorellina e si avviò verso il cocchio. La ninfa gli andò dietro. 

-Signore, dove la porti? 

-La porto da Apollo. Voglio che le dia un’occhiata. 

-E la riporti a casa, dopo? 

Ares si voltò, sorridendo. 

-Perché? Il concilio è fra una settimana. Può rimanere con noi, e tornare a casa alla fine. Sono sicuro che mia madre non avrà niente in contrario, ad ospitarla. E neppure la sua. Ci vediamo, Euribea. 

Il viso nascosto, Persefone sorrideva. Senza volerlo, Ares la stava portando proprio dove voleva. Con un po' di fortuna, avrebbe risolto il suo dilemma senza che sua madre lo venisse a sapere... 

   
 
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