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Autore: vegeta4e    05/02/2024    3 recensioni
Non tutto quello che finisce rappresenta la fine. A volte una fine può rappresentare un nuovo inizio: la morte di Claire, l’abbandono di Peyton che segnò Mac molto più di quanto volesse ammettere… eppure il lavoro riuscì a salvarlo, ad obbligarlo a non crogiolarsi nei ricordi. E funzionò, almeno fino a che Peyton non decise di fare ritorno a New York.
“Niente si crea, niente si distrugge, ma tutto si trasforma”. Dietro questa frase si cela una grande verità per il detective Taylor. Un’accusa di omicidio a suo carico, vecchi fantasmi tornati dal passato, rapimenti, lutti difficili da accettare.
Forse i problemi d’amore erano quelli di cui preoccuparsi meno.
[MacxPeyton] - Ambientata all’inizio della 5^ stagione.
[L’avvertimento cross-over riguarda solamente un paio di capitoli verso la fine della storia.]
- Pistola e distintivo. -
Mac ci mise qualche secondo per realizzare. Fissava Sinclair interdetto, incapace di comprendere il perché, incapace di combattere quella serie di ingiustizie che lo stavano lasciando disarmato.
Dopo lo stupore iniziale, non riuscì a trattenere una risata nervosa. Serrò i denti a labbra chiuse, passando lo sguardo da Sinclair a Don, che non aveva neanche il coraggio di guardarlo in faccia.
Genere: Azione, Sentimentale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Danny Messer, Don Flack, Mac Taylor, Peyton Driscoll, Stella Bonasera
Note: Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo VI

Approfittando del fatto che Victor sarebbe rimasto per 48 ore in cella, Mac e Stella andarono a casa sua alla ricerca della prova che lo avrebbe incastrato definitivamente.
Quando Mac aprì la porta con una spallata venne investito nuovamente dall'odore di nicotina che ormai aveva intriso ogni cosa in quell'ambiente: mobili, tende, tappezzeria. Ci impiegò qualche minuto prima di abituarsi, poi insieme a Stella iniziò a rovistare tra le cose dell'uomo. Taylor cercò di immedesimarsi nella mente del criminale pensando ai posti più strani per nascondere qualcosa. Cercò addirittura nel frigo, nella credenza, nei mobili in bagno, nei cassetti del mobile del televisore. Smontò anche il letto, ribaltando il materasso e cercando una fessura che permettesse a Victor di usarlo come nascondiglio. Alla fine, stremato, lasciò ricadere il materasso sulle doghe. Si guardò intorno sconsolato, sperando di avere un’illuminazione in qualcosa che non aveva ancora notato.
- Non fare quella faccia, non abbiamo ancora cercato ovunque. - Lo incoraggiò Stella.
- Non possiamo uscire da qui a mani vuote. Non so tu, ma io ho finito le idee. Non so dove altro cercare. -
Stella si fermò, smettendo di controllare il cassetto del mobile in cui stava rovistando. Raramente aveva visto Mac così, e capì che aveva bisogno di calmarsi.
- Okay, ragioniamo: dove hai controllato finora? -
- Ovunque, Stella. - Rispose frustrato. - Letteralmente ovunque. Ho cercato addirittura nel frigorifero, ho provato a ragionare come farebbe la mente distorta di uno come Victor, ma non funziona. -
- Forse so io il perché - Sorrise lei. - Stai ragionando con la tua testa, Mac. E tu hai la testa di un uomo intelligente. Quel tizio sarà pure nel giro, ma l’hai visto? Secondo te avrebbe mai pensato di fare un taglio nel materasso per nasconderci dentro qualcosa? Abbassa gli standard. - Mac la guardò muovendo impercettibilmente le sopracciglia. Aveva ragione. Victor poteva vantare l’esperienza, ma era un completo idiota. Per trovare quello che gli serviva, Taylor doveva ragionare come lui. Si prese un minuto per calmarsi e riprendere a ragionare. Servivano nascondigli molto più a portata di mano, più basilari. Tornò a passo spedito in salotto dando una rapida occhiata in giro.
Afferrò il sedile della poltrona sollevandolo con forza. Nulla. Andò in cucina aprendo ogni sportello e mettendo a soqquadro qualsiasi cosa gli capitasse a tiro. Come ultima spiaggia tirò fuori una scatola di cereali dal mobile. Troppo leggera per essere messa a posto insieme alle cose da mangiare.
La rovesciò sul tavolo, ma cadde solamente un foglietto strappato malamente da un blocknotes.
- Stella? L’ho trovata. -

- Non ne posso più, è la quinta volta che legge quella lista, detective. - Si lamentò Victor, portato per l’ennesima volta faccia a faccia con Taylor.
- Ho appena iniziato, te la leggerò altre cento volte se sarà necessario. Chi hai mandato da Frank? -
- Non me lo ricordo. - Rispose beffardo.
Stella, spazientita, intervenne. - Lo sai che questa è complicità, vero? Il silenzio non ti salverà dalla galera, abbiamo le prove che ti collegano indirettamente all’omicidio. -
- Volevate la lista, no? Bene, eccola lì! Cercatevelo da soli! - Urlò, stremato. Mac rimase impassibile, quella guerra psicologica era iniziata da quando avevano messo piede in casa di quel tizio, e Taylor si era ripromesso di vincerla ad ogni costo. La partita si era appena ribaltata e il detective sentiva di avere in mano la chiave del caso.
- Molto bene. - Chiuse il fascicolo del caso e ripiegò il foglietto con la lista dei nomi. - Tu rimani in cella fino a data da destinarsi e, nel frattempo, il locale che usi per spennare la gente viene chiuso e messo sotto sequestro. Te lo ricordi, no? Quello dove avete ucciso Frank. -
- Non può farlo! - Continuò a urlare l’altro.
- Ah, no? - Guardò Stella con finto stupore. - Strano, perché il distintivo che ho alla cintura credo proprio che mi permetta di farlo. Andiamo? - Guardò ancora la collega alzandosi. Mise una mano sulla maniglia della porta, ma non fece in tempo a girarla.
- D’accordo! - Mac rimase impassibile. Amava farli cedere in quel modo, alla fine tutti, vedendosi voltare le spalle, decidevano di parlare.
- Miguel. Miguel Ramirez. -
- Indirizzo. - Disse solamente lui.
- … Datemi una penna. -

Nonostante fossero le sette di sera, Mac e Stella salirono in auto per andare all’indirizzo indicato da Victor. Il loro turno era abbondantemente finito, ma la loro integrità e il loro senso del dovere andavano oltre un banale orario. La palazzina in cui abitava Miguel era molto modesta, aveva solamente tre piani. Quando arrivarono alla porta della famiglia Ramirez, Taylor bussò tre volte.
- Polizia di New York. - Si annunciò. Lui e Stella attesero qualche secondo in silenzio, ma dall’interno non provenne nessun rumore. Istintivamente Mac mise la mano destra sulla pistola e con uno sguardo fece capire alla collega di tenersi pronta.
D’improvviso la serratura scattò facendoli voltare entrambi verso la porta, ma davanti a loro si presentò un bambino di non più di dieci anni.
- Tuo padre è in casa, ragazzino? -
- No. - Rispose con ingenuità. - Non torna da ieri. Sono da solo con i miei fratelli. - Lui e Stella si lanciarono un’occhiata.
- E tua madre? - Domandò ancora il detective.
- È morta. -
A Stella si strinse il cuore. - … Mi dispiace. Sai dov’è andato tuo padre quando è uscito ieri? - Chiese ancora Taylor.
Bonasera domandò a ruota. - Tesoro, ci stai dicendo che siete soli in casa da un giorno? - Il bambino fece di sì con la testa guardando Stella, poi di no guardando Mac.
Fu lui a prendere ancora l’iniziativa. - Dobbiamo entrare a dare solamente un’occhiata, poi andremo via, d’accordo? -
Il bambino, troppo piccolo per capire, annuì facendosi da parte per farli entrare. Dallo stipite di una porta si affacciò un altro maschietto. A prima vista sembrava avere sei anni.
- Come si fa a lasciare dei bambini da soli a casa per così tanto tempo? - Le domandò lui non capacitandosi di quanto le persone potessero essere irresponsabili.
- Dovremmo portarli con noi… -
- Dovremmo chiamare gli assistenti sociali. - La corresse. - Io controllo la camera da letto, tu da dove vuoi. Se trovi qualsiasi cosa, avvisami. -
Senza aggiungere altro Stella annuì, optando per il bagno. Si separarono e Mac entrò nella stanza da letto di Miguel. Diede una rapida occhiata in giro per capire da dove iniziare a lavorare, quando sentì qualcosa tirargli i pantaloni. Abbassò lo sguardo, scorgendo una bambina di circa due anni con il pannolino chiaramente zuppo e fin troppo appesantito.
Il detective Taylor rimase interdetto un paio di secondi.
- … Stella? Ho un lavoro per te. - Chiese soccorso. Non sapeva proprio come comportarsi.
Lei non fece in tempo ad entrare in bagno che fu costretta a voltarsi. - Che c’è? … Oh mio dio! - Esclamò vedendo la piccola creatura.
- È tutta tua. - Concluse Mac andando verso il letto dell’uomo.
Stella lo raggiunse. - Dare per scontato che una donna sappia cambiare un pannolino è maschilista! Lo sai, detective Taylor? - Disse piccata ma con una vena di sarcasmo.
- Ti sbagli. - Si affrettò lui. - Non penso che tu sappia farlo perché sei una donna. Penso semplicemente che tu sia più brava rispetto a me. -
Lei sospirò. - D’accordo, vieni qui piccolina. - La sollevò per adagiarla sul fasciatoio accanto al letto matrimoniale, poi con un fare estremamente materno Stella cambiò la bambina.
Mac la osservò. - Visto? Sei stata brava. Parti sempre in quarta, il mio era un complimento. - Tornò ad esaminare la stanza come se nulla fosse.
- Non ci vuole una laurea, Mac! - Posò la piccola a terra che, ignara, gattonò via. Stella tornò a guardarlo. - Non te l’ho mai chiesto… Quanto siete stati sposati tu e Claire? -
Mac non rispose subito. Ogni volta che parlava di lei sentiva una pugnalata al cuore e ricordare era sempre faticoso.
- Nove anni. -
- E niente bambini? -
Lui osservò una fotografia di Miguel con quella che doveva essere la madre e i tre figli. Sembravano felici in quello scatto e pensò che, in fondo, le istantanee erano armi a doppio taglio: ricordavano momenti belli, ma che non sarebbero tornati mai più.
- … Lei… Claire, lo sai, aveva già avuto un figlio. Reed Garrett. Aveva ancora quella faccenda in sospeso con lui. Poi abbiamo sempre rimandato perché non era mai il momento giusto. Continuavamo a ripeterci che l’anno successivo sarebbe stato quello migliore… -
Stella annuì mestamente. Ogni volta che sentiva Mac parlare di Claire veniva investita da una tristezza immensa, quasi come se potesse percepire il dolore che lui provava.
- L’hai più rivisto dopo quella volta? - Chiese lei, riferendosi al caso del tassista killer.
- Sì. Un paio di volte. - Le rispose lui. - … Gli ho portato delle fotografie di sua madre. Mi rendo conto che è complicato recuperare in fretta tutti questi anni, considera poi che ho un lavoro che mi toglie parecchio tempo e il fatto di aver sposato sua madre non lo obbliga a dovermi conoscere per forza. Non voglio forzarlo. - Stella percepì sofferenza nelle parole di Taylor. Quel ragazzo era l’unico collegamento che gli era rimasto di Claire, l’unica cosa tangibile di lei rimasta a questo mondo esclusi i ricordi che Mac custodiva gelosamente. Ma non era molto bravo a coltivare rapporti interpersonali, e come aveva giustamente osservato lui, il lavoro non lo aiutava, forzandolo ad orari improponibili.
Taylor, però, sembrava impassibile come al solito, e per non mostrare debolezze prese il luminol per poi puntarlo sul letto.
- Si sono divertiti qua sopra. - Constatò vedendo decine di macchie sulle lenzuola. - Prendo un campione. -
- Chissà perché non mi sorprende. - E mentre Mac passava un tampone sulle tracce, lei andò finalmente in bagno per aiutarlo con la seconda stanza. Quello che la accolse, però, era uno spettacolo raccapricciante.
- Mac? Vieni un attimo. -
Sentendo il tono, lui la raggiunse subito. Il lavandino in ceramica era costellato di macchie rosse. La cassetta del pronto soccorso ancora aperta sul ripiano, le bottigliette di disinfettante e mercurio cromo lasciate disordinatamente fuori, accanto al rubinetto. Una benda malamente tagliata abbandonata dall’altro lato del ripiano.
- Sembra che abbia avuto a malapena il tempo di disinfettarsi e poi sia scappato via. - Analizzò lei. E aveva ragione.
- Cosa diavolo è successo per fargli lasciare tre figli con questa fretta? - Domandò Taylor.
- Dovremmo trovarlo per scoprirlo. - Rispose Stella. - Ma se vuoi, intanto, possiamo fare due domande al ragazzino più grande. - Si scambiarono un’occhiata. Sapevano entrambi che il bambino poteva sapere poco e niente, e meno sapeva del caso, meglio era. Era anche vero, però, che rischiava di essere l’unico collegamento tra loro e Miguel.
Senza dire nulla, Mac prese un tampone prendendo un campione di sangue dalle chiazze dentro il lavandino.
Poi spolverò la cassetta del pronto soccorso con il pennello, mettendo in risalto le impronte sui lati. Mise sopra l’adesivo per rilevarle, posando poi tutto nelle bustine e infine nella valigetta. Prese tutte le prove decisero di parlare con il bambino.
Lo raggiunsero in salotto, trovandolo seduto sul divano davanti alla TV. Fu Stella ad approcciare con lui, entrando con cautela nel campo visivo del bambino.
- Possiamo farti due domande? - Fece uno dei suoi sorrisi più amichevoli, tattica che funzionò.
Il bambino si limitò ad annuire, quindi i due detective si fermarono di fronte a lui.
- Per caso hai sentito tuo padre discutere con qualcuno ultimamente? Magari al telefono o dalla porta di casa. - Questa volta parlò Mac. Il ragazzino abbassò gli occhi guardandosi i piedi, non conosceva l’uomo e la donna di fronte a lui, non sapeva se fidarsi. Il sorriso della donna gli infondeva sicurezza, l’uomo accanto a lei aveva un’espressione più severa, ma non gli sembrava cattivo.
Rialzò gli occhi su di loro. - Ieri. Quando è tornato a casa aveva una mano ferita. Gli ho chiesto cosa si era fatto e mi ha risposto di badare agli affari miei, poi è andato in bagno a disinfettarsi. L’ho sentito parlare ad alta voce, quindi ho capito che era al telefono. Credo che qualcuno gli abbia detto che doveva lasciare questa casa e lui è corso fuori senza dirci niente. -
Mac stentava a credere alle proprie orecchie. - E non vi ha detto dove andava o quando sarebbe tornato? Vi ha lasciati così, senza dire nulla? -
- Sì. -
I due detective rimasero interdetti per alcuni secondi, quindi Mac prese di nuovo la parola.
- Venite con noi. Volete vedere le sirene della polizia? - Gli occhi dei due bambini più grandi si spalancarono dall’emozione.
- Sì! - Stella sorrise. Mac ci sapeva fare anche se era molto bravo a nasconderlo. Era riuscito in qualche modo a convincere i bambini a seguirlo e a trasformare un’operazione di emergenza in una gita divertente.
Non fu difficile portarli fuori di casa, e mentre Stella li conduceva alla macchina, Mac li anticipò prendendo le distanze e telefonando a Flack.
- Don, chiama un assistente sociale. Stiamo arrivando con i figli di Miguel Ramirez. - Flack si attivò subito e Taylor si mise rapidamente al volante.
Stella aiutò i bambini a salire dietro, prontamente osservati da Mac.
- Mettetevi le cinture. - Disse da buon poliziotto, assicurandosi che gli obbedissero controllando dallo specchietto retrovisore. Stella aiutò la bambina di due anni assicurandola al sedile, poi prese posto davanti accanto a Mac, che mise rapidamente in moto partendo in direzione della centrale. Si affrettò a spegnere la frequenza del 911 per evitare che dei minorenni sentissero cose poco adatte alla loro età, mettendo una stazione radio a caso. La musica suonava bassa in sottofondo, mentre Mac Taylor guidava nel traffico di New York.
- Come vi chiamate? - La voce del bambino più grande li destò entrambi, troppo impegnati a pensare cose personali per distrarre a parole i bambini. - Io sono Thomas, lui è mio fratello minore Nikolas e lei è Emily. - Continuò il bambino.
Mac sorrise appena fissandoli dallo specchietto, non abituato alla spontaneità dei piccoli.
- Io sono il detective Taylor, lei invece è il detective Bonasera. -
- Siete fidanzati? - La voce di Nikolas li spiazzò.
- No! - Dissero insieme i due agenti. Si guardarono imbarazzati.
- Lavoriamo insieme. - Precisò Stella. - Un po’ come due compagni di classe. -
Mac non trattenne una delle sue classiche espressioni. Incurvò gli angoli delle labbra verso il basso alzando le sopracciglia, annuendo. Non riusciva a trattenersi quando apprendeva qualcosa che non si aspettava, tipo l’affermazione di Stella.
- Beh, più o meno. Io sono il tuo capo. - Precisò lanciandole un’occhiata divertita.
- Cerca di semplificare le cose, sono bambini! - Poi si voltò indietro, guardando quei tre faccini innocenti. - Cos’è successo alla mamma? -
- Papà le ha fatto male. - Rispose sempre Nikolas, il maschietto più piccolo.
- Quando? - Indagò Mac.
- Un mese fa. - Intervenne Thomas. In auto calò un silenzio che nessuno ebbe il coraggio di spezzare. Non c’era molto da aggiungere alle cose che avevano detto i bambini, se non una silenziosa promessa da parte dei due detective di arrestare il colpevole di tutte quelle atrocità.
Una volta posteggiato davanti alla centrale, Mac e Stella accompagnarono i bambini all’interno, dove Flack e una donna li stavano già aspettando. L’assistente sociale si appartò con i minori per prendere le loro generalità e iniziare le pratiche con l’aiuto di Don, mentre Taylor e Bonasera li guardavano attraverso il vetro della porta che li separava. Mac scosse la testa. Aveva perso il conto di tutte le esperienze che l’avevano segnato, ma dopo tutti questi anni ancora si domandava come potessero le persone comportarsi così. Come potessero non avere il buon senso di capire quando fermarsi. Come non riuscissero a capire che stavano facendo soffrire le persone vicine a loro.
- Dovrebbero dare un’idoneità per diventare genitori. - Disse solamente, sapendo che Stella era lì accanto a lui e che lo aveva sentito. Se c’era qualcuno che poteva immedesimarsi in quei bambini era proprio lei, sballottata tra orfanotrofi e adozioni. Rendendosi conto che lì non sarebbe stato d’aiuto a nessuno, si voltò verso di lei.
- Vado a portare il sangue trovato nel lavandino e le impronte in laboratorio. Ti offro un caffè? - Lei annuì piano, visibilmente provata da tutta quella situazione.
Salirono insieme in ascensore, rimanendo in silenzio fino all’arrivo al piano.
- Arrivo subito. - Le fece cenno di andare verso il suo ufficio ad attenderlo mentre andava da Danny, e così fece mentre Taylor prendeva la direzione opposta alla sua in corridoio.
Mac trovò Messer, Lindsay e Peyton impegnati ad analizzare le prove per l’ennesima volta, attirando la loro attenzione appena comparve dietro la vetrata. Vedendolo entrare con la sua aria autorevole e il passo deciso, Peyton sperò di non arrossire. Era sempre stata sensibile al suo modo di fare, da uomo elegante, composto, educato e intelligente.
Taylor li guardò tutti e tre a turno, ma l’unica ad abbassare lo sguardo sul ripiano di lavoro, certa di non riuscire a reggere gli occhi di lui, fu Peyton.
- Ciao, c’è del lavoro. - Esordì. - Nella casa del presunto assassino abbiamo trovato sangue e impronte. Sono questi. - Appoggiò sul tavolo in direzione di Danny due bustine. - Mentre questo è il DNA di Victor Goslim. Fatemi sapere se ci sono riscontri. - Posò il tampone con la saliva al centro, verso Peyton, per evitare che li confondessero.
Annuirono entrambi, ma Danny lo fermò prima che uscisse. - Capo? -
Mac si voltò, fermandosi sulla soglia. - Da quant’è che non dormi? - Chiese preoccupato. Il viso del detective, infatti, tradiva ogni suo tentativo di sembrare instancabile. Ma Taylor trovava snervante andare a casa in quelle situazioni. Inevitabilmente si sedeva al tavolo della cucina ripensando alle prove, tentando di rimettere insieme i pezzi del puzzle. Non riusciva a rilassarsi sapendo che là fuori, da qualche parte, un assassino stava godendo del tempo prezioso in libertà perché lui aveva bisogno di riposare.
- Dormirò quando avremo arrestato il colpevole, fino ad allora le mie energie saranno focalizzate qua. - E senza aggiungere altro lasciò il laboratorio. Danny guardò Peyton con aria preoccupata.
- Faceva sempre così? - Provò ad alleggerire la tensione, notando un certo disagio anche sul viso di lei.
- Lo sai com’è fatto, è sempre stato difficile portarlo fuori dall’ufficio, ma quando prende a cuore un caso è impossibile. -
Danny prese una delle bustine che gli aveva lasciato Taylor e se la rigirò tra le mani.
- Se c’è qualcuno che può riuscirci, sei tu. - Concluse Lindsay.
Peyton sorrise apprezzando le parole di lei, ma non credendoci veramente fino in fondo.
- Forse una volta. - Le costò tanto ammetterlo, perché il problema, per lei, era sempre stato accettare la realtà dei fatti: Mac era già andato avanti. - Ora non più. -

To be continued...

   
 
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