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Autore: The Writer Of The Stars    06/02/2024    0 recensioni
Konoha è la casa di chi vive la vita senza certezze, di chi non sa come sia fatto un vero teatro, di chi vede i propri padri gettare l'anima nell'oblio del gioco e le madri sottrarre pane alle proprie bocche per sfamare quelle dei figli. Konoha ha una scuola e un seminterrato che nascondono melodie infantili, prodigi musicali degni di mostrarsi al mondo. Shikamaru e Ino fanno parte di loro, bambini che con un violoncello in mano vogliono distuggere le catene che li tengono ancorati a quell'asfalto consumato. Ma la salvezza non è per tutti, e dieci anni dopo, una disgrazia avrà il coraggio di mostrare che Konoha non è "la città che muore" ma "la città che vuole vivere disperatamente."
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"Doveva odiarla. Lei lo aveva lasciato partire senza dire nulla. Lei non si era presentata all’audizione, lasciandolo a vivere il loro sogno da solo, un sogno a metà che valeva la metà della pena d’essere vissuto."
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AU! |ShikaIno|
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ino Yamanaka, Sakura Haruno, Sasuke Uchiha, Shikamaru Nara | Coppie: Shikamaru/Ino
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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10 anni fa

Shikamaru tirò la cerniera dello zaino con un sorrisino soddisfatto. Afferrò entrambe le cinghie, portandoselo sulle spalle: pesava come se avesse svaligiato i sassi del fondo del fiume alla periferia di Konoha, ficcandoli dentro quella sacca logora. Sua madre gli aveva carezzato la testa con un sorriso a metà tra il rassegnato e lo speranzoso, orgoglio sul labbro superiore, tristezza su quello inferiore.
“Non ha senso che porti tutta quella roba con te domani, Shika. Anche se dovessi…”
Quando, mamma, non anche se.”
Anche se dovessi superare l’audizione, non ti trasferiresti di certo subito. Ci sarà tempo per prendere le tue cose.” Ma Shikamaru aveva alzato le spallucce con la sicumera di un adulto nel corpo di un ragazzino troppo maturo, ma pur sempre ancora colmo di quella fiducia infantile priva di nembi di insicurezze.
Il ticchettio fastidioso contro il vetro della finestra lo distrasse dalle prove generali del primo giorno della sua futura vita con uno zaino – un peso- più grande di lui in spalla. Shikamaru volse gli occhi infastiditi al cielo esterno, ma con sua grande sorpresa si rese conto che non stava piovendo. La raffica di sassolini che Ino stava continuando a scagliare imperterrita contro la sua finestra aveva la stessa cadenza tediante di un acquazzone estivo, pensò Shikamaru aprendo la finestra e affacciandosi. La sua migliore amica lo stava squadrando dal ciglio della strada, la mano destra colma di altre piccole pietruzze, la sinistra già alzata e pronta a caricare il prossimo tiro.

“Hai intenzione di cavarmi un occhio con quello?” sbuffò Shikamaru, appena in tempo perché Ino si accorgesse che l’aveva sentita e si era affacciato alla finestra per lei. La bambina tirò un sorrisino beffardo e Shikamaru non se ne sarebbe mai potuto rendere conto per la distanza da cui si trovava, ma dietro quella smorfia così risaputa le labbra di Ino non smettevano di tremare e i suoi occhioni blu si erano velati di una patina traslucida.

“Hai intenzione di farmi aspettare ancora molto allora?” ribatté comunque ricacciando indietro un groppo di saliva, pesante quanto lo zaino di Shikamaru. Il ragazzino inarcò le sopracciglia e Ino riuscì a ridere sinceramente di fronte a quella fronte corrugata così adulta, così da Shika, e poi a questa stessa consapevolezza percepì un’altra stilettata nel petto. Eppure, mise su un sorriso.

“Ho dimenticato il quaderno di musica a scuola e non posso venire domani senza di quello.” Buttò fuori la ragazzina con una fermezza risoluta, auto imposta, quasi finta. “Mi accompagni a recuperarlo?”
 

Non era la prima volta che entravano di nascosto a scuola, di notte. Era la seconda, a dire il vero. L’occasione precedente era caduta nella notte di Halloween e non erano stati soli, ma c’erano stati anche Choji, Naruto – il figlio del maestro Minato -, Sakura e Sasuke con loro, perché avevano otto anni e quella voglia bambinesca di compiere qualcosa di illecito che sembrava stonare, visto l’ambiente in cui erano cresciuti. Per molti bambini di Konoha intrufolarsi di nascosto a scuola, di notte, era il crimine minore che avrebbero potuto compiere. Sapevano bene in quale punto la recinsione metallica, ormai totalmente arrugginita, si fosse lacerata, era un buco di non più di mezzo metro, ma avevano otto anni, la mente forse era già oltre, ma le ossa rimanevano quelle di due bambini e potevano scivolare lì sotto senza problemi. Shikamaru aveva sbuffato per tutto il tragitto da casa sua alla scuola: inizialmente lo aveva fatto per abitudine, perché non avrebbe mai ammesso di essere felice di passare del tempo con Ino, anzi, la sua espressione doveva gridare esagerato fastidio da ogni lentiggine. Ino, che di solito gli gracchiava dietro che era inutile che facesse quella sceneggiata visto che non lo aveva mica obbligato a seguirla, quella Ino che non perdeva occasione per mettere su uno dei loro soliti siparietti, quella sera non aveva aperto bocca. Non una lamentela, non una frecciatina, non uno spintone. Shikamaru allora aveva continuato a sbuffare nel tentativo di riuscire a infastidirla e a smuoverla da quell’apatia così insolita, osservava la coda bionda dell’amica ondeggiare dinanzi a lui perdendosi in quei fili serici senza capirci nulla.

“Sei nervosa per domani?” sputò infine, convinto che non potesse esserci nessun’altra spiegazione a quell’atteggiamento. Nel frattempo, erano giunti davanti al cancello della scuola. Forse per questo Ino si era bloccata di colpo, pensò Shikamaru, non per la sua domanda, non gli sembrava così sconvolgente, in fondo. Ino rimase immobile, fissando l’edificio fatiscente dinanzi a loro ma i suoi occhi non erano lì, non erano con Shikamaru né con lei. Si erano persi in qualche abisso di cui il suo migliore amico non riusciva a comprendere la profondità.

“Guarda che non c’è bisogno che ti preoccupi. Sei brava, lo sai che sei brava.” Continuò Shikamaru in risposta al suo silenzio. Si strinse un po’ nelle spalle, le gote si arrossarono vagamente per l’imbarazzo di ciò che stava per dire. “Poi ci sono io con te, non sarai da sola. Sta’ tranquilla.”
Ino si voltò di scatto verso di lui e Shikamaru sussultò vedendo le iridi cerule contornate di venuzze rossastre e sanguinolente: ma stava piangendo? Non fu abbastanza rapido nel chiederglielo direttamente, perché Ino gli afferrò prontamente la mano, stringendogliela – stritolandogliela- mentre si voltava verso il cancello sussurrando: “Andiamo.”
 


“Certo che potevi portartela una torcia, mendokuse. Voglio proprio vedere come ritroveremo il tuo quaderno con questo buio.” Sbottò Shikamaru nel tentativo di mitigare lo strano calore al petto che lo stava torturando da quando Ino gli aveva afferrato la mano fuori dalla scuola. Stavano vagando per i corridoi deserti e scuri dell’edificio da almeno sette minuti e lei non aveva ancora mai lasciato la sua presa, nemmeno per un attimo. Ino alzò gli occhi al cielo e Shikamaru esalò un sospiro di sollievo nel vederla finalmente reagire, nel comportarsi da Ino. La ragazzina gli scoccò un’occhiata rapida di sufficienza – ecco Ino, era lei – mentre con la mano libera gli indicava la porta davanti alla quale si erano appena fermati.

“Siamo arrivati, mendokuse.” Ribatté a metà tra il divertito e il risaputo; Shikamaru di rimando sbuffò mentre si lasciava trascinare oltre la soglia. La coppia di banchi dei due ragazzini si trovava in quarta fila sulla destra, proprio sotto alla grande finestra scheggiata e dal vetro sporco dell’aula. Shikamaru dovette mordersi la lingua per un attimo, mandando giù l’orgoglio nel constatare che non avevano bisogno di nessuna torcia: quella notte la luna era così grande che sembrava sul punto di sfondare ogni confine fisico. Era tonda, bianchissima, piena, risplendeva di una luce così nitida che Shikamaru riusciva quasi a scorgere i crateri sopra la sua superficie, gli sembrava un pentolino di latte caldo che iniziava a riempirsi di bolle sopra il fornello acceso. Il banco di Ino, quello attaccato alla finestra, era inondato dalla sua luce e Shikamaru quasi scivolò sul pavimento quando Ino lo trascinò verso di esso, tanto si era incantato per colpa di quel dannato satellite.

Cosa stava succedendo quella notte?

Il quaderno di Ino si trovava poggiato sul sottobanco e Shikamaru non poté fare a meno di notare una piega sgualcita sul lato destro, in alto. Ino lo afferrò con gli occhi vacui, accarezzò la copertina e poi lo poggiò sulla superficie scarabocchiata del banco verdognolo. Shikamaru si scoprì a trattenere il fiato: la pelle diafana della sua migliore amica, sotto la luce della luna, aveva assunto le sfumature di uno specchio d’acqua spruzzato da ninfee. Il naso piccolino, sottile e all’insù, sembrava un trampolino da cui lanciarsi nelle due pozze d’acqua che erano divenuti i suoi occhi. Giganti, profondi, azzurri come la superficie del mare d’estate; velati da grumi di lacrime, schiuma d’onda sui flutti tempestosi. Un ciuffo sottile e delicato come la più preziosa delle sete sfuggiva ribelle da dietro il suo lobo minuto, dondolando nel vuoto tra i riflessi lunari. Ino e Shikamaru avevano solo otto anni, ma forse per la prima volta in tutta la sua vita Shikamaru si rese conto che la sua migliore amica non era carina, né graziosa; era bellissima. Qualcosa gli ribollì all’altezza del petto mentre lo pensava ma Ino peggiorò la situazione: alzò su di lui gli occhi bagnati, la luna dietro di lei la rendeva simile a una ninfa o a una fata, poi allungò una manina verso il volto del ragazzino e gli carezzò le palpebre con la delicatezza di una madre.

“Sai cosa mi diceva sempre mia nonna?” da quando Ino aveva quel tono così serio, così malinconico, così vissuto? Perché a Shikamaru sembrava che se ne fosse andata via e poi tornata con una scoperta sconvolgente che l’aveva improvvisamente resa matura e triste? Perché lo guardava come se fosse l’ultimo sguardo che gli avrebbe rivolto?

Hai uno sguardo così bello, bambina mia, che l’universo deve essere stato creato per essere visto attraverso i tuoi occhi.” Recitò con una punta di dolcezza. Shikamaru non capiva, ma pensò solo che la nonna di Ino avesse ragione.

“Anche i tuoi occhi sono belli, Shika. Secondo me l’universo è più felice se lo guardi tu. E sono felice anche io se lo fai, soprattutto se guardi il mondo fuori da Konoha.” Soffiò con un sorriso tristissimo e poi lo strinse in un abbraccio improvviso e così urgente che Shikamaru non seppe se il cuore gli stesse esplodendo nella cassa toracica per quello o per tutte le emozioni di cui si trovava vittima. Avvolse le braccia minute intorno alla vita sottile e ancora senza forme di Ino, la sua testa dura sembrava essere stata creata apposta per poggiarsi nell’incavo tra il collo e la spalla ossuta della sua migliore amica. Con la coda dell’occhio intravide qualcosa scritto sul bordo del banco di Ino, non ci aveva mai fatto caso ma doveva essere lì da parecchio tempo perché ora che lo guardava meglio quello non era il tratto di una matita, ma sembravano parole incise rozzamente con un paio di forbici dalla punta arrotondata.

“L’universo è stato creat”

Ino si staccò all’improvviso dall’abbraccio come se si fosse scottata, o come se improvvisamente non riuscisse più a sopportare tutto quello. Aveva gli occhi gonfi ma stirò comunque le labbra rosa come pesche in un sorriso forzato, colpendo la fronte di Shikamaru con un buffetto.

“Dai, andiamo adesso. Dobbiamo riposare per domani.”


Mentre camminavano in silenzio verso casa, Shikamaru non poteva fare a meno di riflettere su tutto ciò che era avvenuto pochi minuti prima, al suo cuore che continuava a fracassargli il petto mentre ripensava all’abbraccio di Ino e a quel suo strano comportamento, alla frase incisa sul suo banco.
L’universo è stato creato per essere visto dai miei tuoi occhi.

***

 
Shikamaru aspirò un’ultima, grande boccata di fumo prima di gettare la sigaretta fuori dalla finestra sulla sua destra. Gli occhi non seguirono la traiettoria del mozzicone, in quel momento sarebbe anche potuto divampare un incendio tra l’erba falciata malamente e lo scivolo di legno marcio nel cortile della scuola. Non gliene sarebbe importato nulla. La bara del maestro Asuma era stata coperta di terra da circa mezz’ora. Gli era venuto un attacco di panico vedendo la pala scheggiata gettare mucchi e mucchi di fango, detriti, vermi e chissà cos’altro sopra al suo maestro, al padre che non aveva mai chiamato così, all’uomo che gli aveva regalato una vita fuori da Konoha. Shikamaru soffriva di attacchi di panico con una frequenza non indifferente, ormai aveva imparato a convivere con quella parte di lui che sapeva di non poter sradicare e allora tanto valeva cercare di non darle troppa acqua per alimentarla e farla crescere a dismisura. Ma la manciata di terra che si infrangeva sul legno di ciliegio aveva avuto lo stesso effetto di una secchiata d’acqua gelida e il germoglio era cresciuto in lui all’improvviso, tutto in un colpo, avviluppando gli steli intorno alla sua gola e stringendo così forte da farlo soffocare. Era scappato via, alle sue spalle i suoi amici, Konoha, Asuma in una bara, restavano immobili mentre lo guardavano correre verso la vecchia scuola.

Non si era nemmeno reso conto di quando e come e, soprattutto, perché fosse corso lì. Non ci aveva pensato forse, c’era stata una voce nella sua testa che lo aveva guidato nel suo stato di trance, come se qualcosa dentro di lui gli avesse risvegliato all’improvviso un ricordo di dieci anni prima sopito nel suo subconscio. Forse per quei dieci anni lo aveva volutamente ucciso, perché era troppo doloroso conviverci, ma ora era davanti ai suoi occhi. Tangibile, chiaro, vivo, luminoso come la luna di quella notte. Shikamaru allungò una mano e quando le proprie dita entrarono nel suo campo visivo si rese conto che stava tremando in maniera spasmodica. Dovette ricordare a se stesso di inghiottire il groppo che gli stava ostruendo la trachea e di respirare. La mano da musicista sfiorò l’incisione infantile e a quel tocco una scarica elettrica gli perforò le meningi, un brivido corse lungo tutta la sua schiena, gli occhi si annebbiarono di lacrime, consapevolezza, tristezza, realizzazione, rabbia forse, amore, ognuna di queste emozioni lo inondava al tocco di ciascuna parola.

“Sapevo che ti avrei trovato qui.”

Shikamaru alzò gli occhi di scatto, incatenandoli alle iridi blu e umide di Ino. Deglutì a forza per la seconda volta e in quei tratti di porcellana, meravigliosi, bellissimi e tristissimi rivide per un attimo il viso della bambina che era stata la sua migliore amica illuminato dalla luce di una luna piena di dieci anni prima. Riportò di nuovo il proprio sguardo sulle parole che le sue dita stavano carezzando nel legno marcio.

L’universo è stato creato per essere visto dai miei tuoi occhi.

“Tu lo sapevi che quella notte sarebbe stata l’ultima in cui ci saremmo visti, vero?”
 

Nota autrice:
Ciao. Sono passati otto anni dall’ultima volta in cui ho aggiornato questa storia. Per parecchio tempo non ho scritto per piacere personale e passione, mi ero persino dimenticata come si facesse. Questa storia è una di quelle che, per piacere e passione, oggi ho deciso si meriti un finale. A presto, lo prometto,
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