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Autore: _Bri_    09/02/2024    1 recensioni
Storia ispirata in parte a "Sex Education", nuova serie televisiva di Netflix.
Elliott Johansson non ne sapeva niente d’amore, figuriamoci di sesso. Se qualcuno gli avesse detto, magari con una premonizione un po’ raffazzonata, che si sarebbe ritrovato chiuso nel bagno delle ragazze del terzo piano –praticamente in disuso, vista la costante fastidiosa presenza di Mirtilla Malcontenta- a dare consigli ai suoi compagni di scuola sul come migliorare la propria vita sessuale, Elliott avrebbe singhiozzato risate a rotta di collo.
Genere: Comico, Commedia, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Demelza Robins, Nuovo personaggio, Roger Davies
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Capitolo V

Giù la maschera!

 

Roger stava approfittando dell’avere appena finito gli allenamenti in vista dell’ultima partita del campionato di Quidditch, per bagnarsi dei caldi raggi di quel sole di maggio, che mal si accompagnava al regime sempre più pressante della preside della scuola. Oramai era impossibile fare qualsiasi cosa senza per questo vedersi decurtare svariati punti dalla clessidra, va da sé che i momenti di svago erano centellinati col contagocce, perché poteva sempre spuntare fuori qualche membro della squadra d’inquisizione pronto a rovinarti la giornata.
Stranamente felice di non essere in compagnia di qualche strega, il bel corvonero si stiracchiò per bene, beandosi poi del tocco gentile della tenera erba del campo. Sarebbe volentieri rimasto così per l’ora a seguire, non fosse che un tossicchiare secco, accompagnato da un colpetto di punta sul suo stinco destro, lo portarono prima a lamentarsi e poi a spalancare gli occhi: questi passarono dalle scarpe della divisa, fino a salire oltre le gambe, per poi scontrarsi con un paio di braccia incrociate e un’espressione particolarmente spazientita.

“Oh cara Padma, potevi essere un po’ più gentile con il tuo capitano!”

Gli occhi della ragazza rotearono vistosamente e la voce uscì velenosa dalla sua bocca: “Ma voi Corvonero non dovreste essere quelli intelligenti? Non vedi che indosso la divisa di Grifondoro?”

A seguito di un lungo silenzio da parte di Roger — quest’ultimo era munito di uno sguardo pieno di incertezze —, la strega berciò “Sono Parvati, razza di idiota!”

Finalmente chiarito il fraintendimento, Roger si alzò da terra e, una volta spolverata la sua divisa di capitano, si espose nel suo più bel sorriso, mentre con la mente tentava di ricordare se avesse mai conosciuto la Patil rosso e oro vestita, in altri contesti avulsi da fugaci incontri in corridoio. Insomma, Roger si chiedeva se avesse o meno scambiato con Parvati qualche effusione finita magari non troppo bene, visto il tono particolarmente acido con il quale la strega lo stava approcciando.

“E come posso esserti d’aiuto, señorita?”

“Puoi iniziare chiamandomi per nome, ad esempio.” Gelida come le acque del polo nord, Parvati mise subito in chiaro che con lei non era possibile adottare l’atteggiamento cascamortoso che, di default, Roger Davies era solito utilizzare in presenza di tutte le ragazze che non rientravano nella sua cerchia di amicizie.

Oh Priscilla vergine, me lo aveva detto, Elliott, che sei una tipetta… tosta, diciamo.”

“E proprio di Elliott ti voglio parlare. Forza sbrigati e seguimi, non ho tutto il tempo a disposizione, devo studiare per i G.U.F.O., io!”

Se per questo, Roger avrebbe dovuto mettersi sotto in quanto i M.A.G.O. erano alle porte, ma si sarebbe ben guardato dal dire alla strega che non aveva tempo da dedicarle. Da quel che aveva sentito sul suo conto, sapeva che quella sarebbe stata in grado di affatturarlo senza nemmeno tirar fuori la bacchetta.
Messo piede nell’aula di storia della magia, in quel momento fortunatamente vuota, Roger sussultò nel ritrovarsi sbatacchiato da un paio di streghe che lo misero a sedere con tocco lascivo.

“Roger Davies, loro sono Lavanda Brown e Romilda Vane.”

Fu Romilda a guardarlo con un sorrisetto curioso: “Sei famoso Roger Davies, un giorno dovrai spiegarci come sei riuscito a portare al ballo del ceppo Fleur Delacroix(1). Qualche filtro d’amore per caso?” Romilda regalò un pizzicotto gentile allo zigomo del ragazzo “Amortentia… magari?(2)

“Secondo me è tutto merito di questo bel faccino, uno come Roger Davies non ha di certo bisogno di certi giochetti per conquistare una ragazza, non è vero?” Cinguettò melodiosa Lavanda Brown, che scostò dal viso una riccia ciocca color miele, prima di strizzare le spalle di Roger, il quale si ritrovò a deglutire per l’agitazione. In una situazione normale sarebbe stato ben felice di condividere il tempo con quelle tre ragazze così graziose, eppure qualcosa di inquietante e pericoloso si celava dietro ai musetti d’angelo che lo stavano coprendo di attenzioni, se lo sentiva.
Così Roger si ritrovò da un lato Romilda, dall’altro Lavanda e in piedi davanti a lui, con le braccia nuovamente incrociate e l’espressione di chi non ha affatto voglia di divertirsi, vi era Parvati.

“Non… non capisco perché mi trovo qui. Per quanto io sia davvero felice di aver fatto la vostra conoscenza, ora credo sia meglio andare… signore con il vostro permesso…”

Roger tentò di alzarsi di nuovo, ma le mani di Romilda e Lavanda lo spinsero nuovamente a sedere.

“Non così in fretta, Davies. Vogliamo parlare di Elliott.” Le parole di Parvati suonarono alle orecchie del capitano di Corvonero come una vera e propria sentenza, sebbene Roger non capisse per quale motivo parlare del suo migliore amico gli facesse quell’effetto. Arrivò a decretare, dopo un lungo ragionare, che dovesse essere la stessa Parvati Patil a risultare minacciosa e che probabilmente, anche se questa si fosse messa a cantargli una ninnananna, l’effetto non sarebbe cambiato. Dunque rassegnato, Roger decise di fare il gioco delle grifondorine e stette a sentire quel che avevano da dire a proposito di Elliott.

“Ti sei accorto che il tuo amico è crollato nella depressione, o sei troppo concentrato su te stesso per averci fatto caso?”

Ribattere, al povero Roger, non fu possibile: Parvati Patil era un fiume in piena e dalla bocca volavano parole con serrato ritmo da rapper navigata.

“È da oltre un mese che ha quella faccia lì.” Alluse la grifondorina, come fosse chiaro a quale espressione stesse facendo riferimento “E non accenna a migliorare in nessun modo. Evita qualsiasi tipo di essere umano che non sia un suo paziente e, tolte lezioni e sedute, passa il resto del suo tempo rinchiuso dentro la biblioteca.”

Roger lasciò quindi che Parvati finisse di parlare e, premuratosi che quella avesse finalmente consumato ogni parola del proprio vocabolario, si azzardò a chiedere. “E quindi… come mai mi trovo qui?”

Per la proboscide di Ganesha…perché siamo preoccupate per Elliott, cretino!” Parvati fece un paio di passi nella direzione di Roger, ancora seduto sulla sedia come un condannato alla pena capitale, quindi inclinò la schiena e puntò gli occhi affilati nei suoi: “Dì un po’… ci tieni al tuo amico?”

Claro che sì!” Esclamò con sicurezza il mago.

“Bene, allora sarai disposto a darci una mano.”

Forse Roger avrebbe dovuto trovare il modo di tirarsi indietro; quel senso di inquietudine che lo aveva assalito non appena aveva messo piede nell’aula, stava aumentando sempre più e lui non riusciva a svicolarsi dalla situazione. Erano in attesa di qualcosa, ovviamente lui non aveva idea di cosa, quand’ecco che la porta si spalancò e Millicent Bulstrode, un’altra che da mesi era sempre alle calcagna di Elliott, si era catapultata dentro a suon di sbuffi.

“Ce l’ho… uff… fatta!”

“Brava ragazza.” Cinguettò soave Parvati dopo averle carezzato la testa e aver afferrato l’ampolla che la serpeverde teneva in mano.

“Come hai fatto?” Chiese curiosa e quasi ammirata Lavanda.

“Gazza, mi ha aiutata lui.”

“Aiutata a fare cosa? Qualcuno vuole spiegarmi che cosa sta succedendo?”

Ma le quattro ragazze sembrarono non percepire la presenza di Roger Davies nell’aula. Cominciarono a parlottare fra di loro, facendo gran movimenti di braccia e guardandosi intorno con circospezione. Spazientito, Roger a un certo punto richiamò la loro attenzione.

“Se non avete intenzione di coinvolgermi ho il permesso di andare? È l’ora della merenda, ho una certa fame.”

Solo a quel punto il gruppetto rivolse la propria attenzione al corvonero, che ancora una volta pensò che forse avrebbe fatto bene a starsene zitto. Parvati si avvicinò di nuovo a lui, agitando l’ampollina davanti al suo viso.

“Non scherzare Davies, sei tu il nostro protagonista.”

*

Avrebbe preferito fare qualunque altra cosa, Demelza Robins, piuttosto che riordinare l’aula della professoressa McGonagall, punizione conquistata dopo aver combinato un disastro durante la lezione di quella mattina. Non faceva che sbuffare, la streghetta, lamentandosi ogni tanto a gran voce con la professoressa di quanto non avesse colpe di ciò che era accaduto.

“Signorina Robins, continuare a dichiarare che non era sua intenzione trasformare una teiera in una pignatta piena di melma viola non risolverà la situazione, al contrario di un buon incantesimo gratta e netta. Se avesse prestato maggiore ascolto durante le mie lezioni, sono certa che ora non ci troveremmo in questa situazione.”

Demelza tentò di fare leva sulla passione della professoressa per il Quidditch: “Ma dovrei allenarmi… siamo già in pessime condizioni senza Potter e con i Weasley che hanno anche lasciato la scuola!”

Minerva McGonagall dovette trattenere un sorriso, al ricordo di come Fred e George Weasley si erano dati alla fuga lasciando la Umbridge a rodersi il fegato, così sistemò gli occhiali sulla punta del naso e disse: “Oh, tanto peggio di così non può andare, quest’anno possiamo dire addio alla vittoria. Coraggio, restando in silenzio impiegherà molto meno tempo a finire.”

Un altro sbuffo fuoriuscì dalle labbra di Demelza, che riprese, con il suo incantesimo, a scrostare dalle pareti quella viscida sostanza che pare volesse prendere vita propria. Poi un bussare alla porta interruppe finalmente l’arduo compito. Ma a quale prezzo?

“Professoressa, avrei bisogno della señor… cioè di Demelza Robins per dieci minuti.”

Demelza, improvvisamente pallida in viso, osservò il ragazzo con gli occhi sgranati, mentre la professoressa McGonagall, con rassegnazione, compì un vago gesto con la mano.

“E va bene, segua pure il signor Johansson.

Fosse stato chiunque altro, probabilmente la professoressa non avrebbe acconsentito, ma Elliott Johansson era uno dei suoi studenti preferiti, nonché uno dei prefetti di Corvonero e si era sempre mostrato particolarmente ligio al dovere.
La grifondoro lanciò un’occhiata di sguincio a Elliott; valutò che forse sarebbe stato meglio rimanere a pulire l’aula —anche se quello avrebbe voluto dire rimanere per sempre lì dentro con la McGonagall—, piuttosto che seguire il ragazzo con cui non parlava da oltre un mese. Chissà che voleva da lei, poi. Aveva fatto di tutto per evitarla, in realtà si erano tenuti alla larga l’uno dall’altra, anche se Demelza un  paio di deboli tentativi per avvicinarlo li aveva anche fatti.
Elliott ringraziò fugacemente e anticipò Demelza nell’uscita dall’aula. La McGonagall osservò i due studenti uscire, poi sospirò e scosse la testa, infine estrasse la propria bacchetta e, con movimenti abili e rapidi, riprese il lavoro lasciato a metà dalla sua studentessa.
Una volta fuori dall’aula, Demelza strinse le braccia sotto il seno e bofonchiò qualche parola. Un ringraziamento per averla tirata fuori di là. “Ora però devo scappare, ho gli allenamenti…”
Rimase di sasso quando Elliott, particolarmente espressivo, dichiarò che non le avrebbe permesso di andarsene senza prima sentire quel che aveva da dire, così Demelza comprese che non aveva alcuna possibilità di fuggire dalla situazione. Consentì infine di seguirne i passi, senza rendersi conto che, alle loro spalle, quattro streghe particolarmente curiose li stavano seguendo.
Roger aveva a disposizione altri cinquanta minuti prima che la pozione polisucco, che era stato costretto a ingerire, smettesse di fare effetto. E proprio non ci volevano Vincent Tiger e Gregory Goyle in perlustrazione del corridoio che stavano per attraversare. Incarogniti com’erano, avrebbero finito per fermarli e trovare il modo di detrarre loro dei punti. Dovettero, per questo, cambiare percorso, aumentando il tempo per arrivare al bagno dei prefetti; prima di entrare Roger lanciò uno sguardo all’orologio da polso sempre indossato da Elliott: gli erano rimasti trentacinque minuti a disposizione, doveva sbrigarsi.

“Allora dimmi, come mai tanta urgenza?”

Demelza, dapprima meravigliata dal bagno dei prefetti in cui non aveva mai messo piede, stava tentando di darsi un contegno. Sentiva una miriade di emozioni contrastanti prenderle a calci lo stomaco e non era assolutamente a conoscenza di cosa fare per sedare quella rivolta emotiva. La presenza del corvonero da un lato la intimoriva, dall’altro le era mancata, c’era poco da fare a riguardo.
Davanti a lei Elliott, atteggiato con le mani nelle tasche e un sorriso rilassato, la stava destabilizzando sempre più. Possibile che fosse tanto cambiato in così poco tempo?

“Quanta fretta, non vuoi parlarmi un po’ di te prima? Come sta andando lo studio, il Quidditch… pronta per l’ultima partita di campionato contro di noi?”

“Ma ti sei fumato roba pesante? Quando mai ti è fregato qualcosa di Quidditch?!”

Roger, nei panni del suo migliore amico, poté sentire con distinzione le urla che Parvati Patil gli avrebbe lanciato contro nell’ascoltarlo parlare; la grifondorina si era raccomandata con lui di essere quanto più naturale possibile: non bastava somigliare a Elliott nell’aspetto fisico, bensì doveva rispecchiarne anche gli atteggiamenti, altrimenti Demelza si sarebbe resa conto di qualcosa di strano. Tentò dunque di correre ai ripari: fece sparire il suo sorriso smagliante, così strano sul viso del mezzo svedese, poi incurvò le spalle, facendo in modo di risultare un po’ più basso del suo reale metro e novanta. Peccato, era molto piacevole ritrovarsi nei panni di un ragazzo tanto alto.

“Era solo un modo per rompere il ghiaccio, non ci parliamo da tanto e… e so che ti piace il Quidditch, tutto qui.”

L’espressione dubbiosa sul viso roseo di Demelza scomparve pian piano così che, nel suo intimo, Roger poté tirare un sospiro di sollievo.

“E va bene. Comunque è un periodo molto stressante, fra i G.U.F.O, il Quidditch… e poi hai visto la McGonagall, ci manca lei che mi mette in punizione; ho dovuto fare quel dannato orientamento sulla carriera(3), che vuoi che ne sappia di quello che vorrò fare uscita di qui, l’unica cosa che mi riesce mezzo decente è volare(4)! Per non parlare di quella mezza trincia al vapore della Umbridge che proprio non ci da tregua a noi grifondoro!” Demelza si fermò un istante, in cui inchiodò i grandi occhi grigi in quelli di Elliott, o meglio in quelli di Roger nei panni di Elliott: “E poi ci sei tu, ecco.”

Perfetto, il piano stava avendo successo. Come da previsioni di Parvati, lungimirante quanto  dispotica streghetta, Demelza non sarebbe riuscita a trattenersi dall’esternare i propri sentimenti; a quel punto Roger, una volta fatto il primo passo, aveva la possibilità di fare sì che la ragazza rivelasse cosa realmente provasse nei confronti del corvonero spilungone e il gioco era fatto. Sarebbe bastato parlare con Elliott e spiegargli la situazione, così quello sarebbe finalmente uscito dal suo guscio fatto di repressione e apatia e sarebbe tornato a far palpitare il suo cuoricino attualmente incastrato nel ghiaccio. Era assodato infatti che Elliott fosse assolutamente certo che Demelza non provasse nei suoi confronti che sentimenti di astio e non avrebbe dato retta nemmeno a Priscilla in persona, se quella fosse resuscitata solo per dirgli che era uno stupido, pavido, zuccone.
Roger decise dunque di intervenire, prima che Demelza potesse inibirsi e fuggire via.

“Senti, io penso che siamo stati entrambi molto sciocchi…” Roger tentò di parlare come il suo stravagante amico “Personalmente non avevo intenzione di recarti alcun tipo di disagio e con la mia richiesta di confronto, spero che il disguido sia chiarito.”

Beh, a giudicare dall’espressione della Robins, Roger non doveva essere stato molto in grado di imitare Elliott; a quel punto sospirò, prima di parlare ancora, cercando di sfruttare ciò che sapeva del suo migliore amico: “Senti, io sono quel che sono. Sono una persona… complicata. La mia non è una mente neurotipica, ragion per cui quello che appare chiaro e lineare a me non è detto appaia allo stesso modo al mio interlocutore, ad esempio a te, ecco. Sto cercando di dirti che mi dispiace di essermi comportato in maniera strana, ma sappi che non era mia intenzione infastidirti o, peggio ancora… allontanarti.” Roger prese una pausa, durante la quale fissò con tutta l’intensità di cui era capace i begli occhi di Demelza Robins: “Io ci tengo a te e mi sei mancata. Tutto qui.”

Probabilmente aveva esagerato. Pensò, il capitano di Corvonero, che se Elliott avesse avuto modo di ascoltare il suo discorso, lo avrebbe strozzato con le sue stesse, lunghe e ossute mani, o almeno ci avrebbe provato. E Demelza Robins avrebbe potuto reagire male, visto quanto era stato sfacciatamente diretto nel dire quello che, in cuor suo comunque ne era certo, era ciò che realmente provava Elliott ma che, mai e poi mai, avrebbe avuto la capacità di dire allo stesso modo.
Ma Demelza non sgranò gli occhi e non alzò la voce, non cercò di fuggire, né gli ordinò di andarsene lasciandola sola. Non fece niente di tutto questo. Invece rimase in silenzio, presa dai lineamenti spigolosi di Elliott, dalla sua bocca morbida e stranamente gentile e dal suo sguardo vivido.

“Non mi stai prendendo in giro?” Gli chiese poi, delicata, nonostante il suo corpo si mantenesse in posizione di difesa, con le sottili braccia annodate fra di loro a volersi proteggere. Roger scosse il capo.

“Non scherzo.”

“E non vuoi sapere perché ti ho mandato tutti quei brutti messaggi per chiederti di chiudere il confesional? È strano che tu non voglia più saperlo.”

È vero, avrebbe dovuto pensarci. D‘altronde Elliott sembrava ossessionato dalla questione e se ci fosse stato davvero lui al suo posto, magari avrebbe tergiversato su altro, ma non si sarebbe risparmiato di chiedere a Demelza di confessare. Tentò allora di riprendersi, era talmente tanto agitato che compì una serie di movimenti sconclusionati tali da aiutarlo ad assomigliare veramente a Elliott.

“Certo che voglio saperlo! Non ho pensato ad altro in tutto questo tempo…” un risata nervosa spezzò la frase, “ma era più importante dirti… dirti quel che ti ho detto.”

I due sedettero sul bordo della grande vasca del bagno dei prefetti e le parole di Demelza si fecero coccolare dai vapori docili.

“Non volevo dirtelo, per questo mi sono allontanata. Mi sono sentita messa alle strette, poi stupida, tanto stupida, più di un paguro senza guscio. La verità è che da quando quello squilibrato di Zacharias Smith ha iniziato a venire da te come paziente” parola che Demelza virgolettò metaforicamente con le dita, “è diventato sempre più pesante nei miei confronti. Non ha mai accettato un no come risposta, anzi credo abbia preso i miei rifiuti come voglia di farsi desiderare, non so se mi spiego. E allora ho scoperto che avevi attivato quello sportello e che lui aveva cominciato a farsi seguire da te. Ho pensato che se tu avessi chiuso i battenti del confesional, Zacharias non si sarebbe più sentito incentivato a insistere. Magari mi avrebbe lasciata stare, capito?”

Roger percepì una fitta allo stomaco. Pensò che se Elliott fosse venuto a conoscenza delle motivazioni di Demelza, si sarebbe sentito uno schifo, benché fosse chiaro che la colpa non era la sua, bensì di quell’idiota di Smith che a quel punto avrebbe voluto personalmente infilare con la testa nella serra delle mandragole della professoressa Sprout.

“Allora sono andata da George, George Weasley.” Disse abbacchiata “Mi sono fatta dare quel loro inchiostro mimico(5), con tutte quelle lettere che mi ha mandato Zacharias Smith è stato un gioco da ragazzi emularne la scrittura.”

“Ma… perché non mi hai detto nulla? Avresti potuto venire a parlarmi, sono certo che se mi avessi spiegato la situazione…”

“Mi avresti presa per pazza!” Squittì Demelza “Con quale coraggio sarei potuta venire da te a chiederti di non seguire più Zacharias Smith? E con quale motivazione, poi? Non voglio che quel mezzo ciuco mi corteggi? Mi avresti riso in faccia! E poi te l’ho detto, sono stata stupida, stupida!”

Demelza passò le dita fra i corti capelli rossi con fare melodrammatico e Roger la osservò in silenzio. No, era certo che Elliott non le avrebbe mai riso in faccia —anche perché il ragazzo si esponeva ben di rado in risate sguaiate—, al contrario avrebbe fatto in modo di aiutarla, d’altro canto solo qualche settimana prima, da non capacitarsi, Elliott e Zacharias erano venuti alle mani. Roger si ripromise che quella sera stessa avrebbe parlato col suo amico e gli avrebbe raccontato come era andato il piano che aveva architettato assieme a Parvati, Millicent, Romilda e Lavanda.
Per quanto ne fosse in grado e sempre bene attento a non farsi scoprire, Roger tentò di consolare Demelza, poi d’improvviso sussultò e guardò l’orologio: l’ora era quasi passata.

“Dannazione si è fatto tardi! Quindi ci siamo chiariti, giusto? Ora è meglio che tu vada agli allenamenti…”

Demelza si alzò a sua volta e trattenne per il polso il ragazzo pronto a schizzare via.

“Non così in fretta!” Dichiarò la strega con quella sua vocina acuta, prima di attirare verso il basso il compagno.
Stava accadendo quel che non sarebbe mai e poi mai dovuto accadere, quantomeno non a Roger nei panni di Elliott: Demelza aveva appena stampato la bocca sulla sua.(6)
E Roger cosa avrebbe dovuto fare? Non sapeva se Elliott avrebbe voluto acconsentire a quel bacio; sospettava di sì, ma non poteva averne la certezza. E se l’avesse rifiutata, come ci sarebbe rimasta Demelza Robins? Avrebbe finito per peggiorare le cose, però quella non doveva e poteva essere una decisione che spettava a Roger.
Era immerso nella melma fino al collo, per usare un eufemismo.
Ma Roger rimase ancor più di sasso quando vide gli occhi di Demelza sgranarsi d’improvviso e il suo viso allontanarsi di scatto, come se avesse avuto la capacità di ustionarla. Aveva un’espressione incredula, allibita. E poi l’incredulità divenne collera mentre Roger realizzò, percependo i lineamenti del proprio corpo mutare, cosa stava accadendo.
Il dramma era compiuto.
Demelza era furiosa come mai lo era stata prima d’ora: “Tu, viscido insetto stercorario!” Gridò contro Roger, che stava rapidamente riassumendo il suo aspetto, “Tu, razza di lombrico multicolore, cosa diavolo vi siete messi in testa tu e il tuo amico?!”

La strega mulinò su se stessa e corse verso la porta del bagno, aprendola poi di scatto. Roger non pensava che le cose sarebbero potute andare peggio di così, eppure vedere Parvati, Millicent, Romilda e Lavanda capitombolare in avanti come le tessere del domino, lo fece ben ricredere. Demelza osservò il gruppetto ancora più incredula. “Non-posso-crederci” affermò infine, il tono della voce drammaticamente sconsolato.
Fu inutile tentare di spiegare la situazione a Demelza. Fu Parvati a prendere a cuore la questione, ma Demelza non volle sentire ragioni; si sentiva umiliata e presa in giro da quelle che erano le sue migliori amiche che, per quanto potessero essere pettegole e frivole, avevano sempre dimostrato un grande cuore. L’unica cosa che riuscì a ottenere Parvati, fu scagionare Elliott da ogni tipo di accusa; la ragazza dalla chioma fulva non dubitò del corvonero, ma a quale prezzo?
Invece Roger, dopo aver passato un paio di giorni a rotolarsi nell’indecisione, riuscì a confessare quanto successo a Elliott, pensando per altro fosse la cosa migliore da fare. Addirittura, forse, il sapere che Demelza era arrivata a baciarlo, avrebbe smosso in lui qualche tipo di emozione sopita; ma a dirla proprio tutta anche quell’ultimo, disperato tentativo risultò inutile: l’allampanato corvetto non mostrò alcun tipo di reazione, se non un lieve sospiro e qualche parola di sconforto nei confronti di Demelza. Roger credette di notare lo sguardo verde adombrarsi per qualche istante, ma si convinse essere solo una sua impressione.
Elliott Johansson era irrecuperabile.

*

Perché?
Quest’unico fonema risuonava nella mente agitata di Elliott Johansson. Già, il ragazzo continuava a chiedersi come mai continuasse a fare quel che stava facendo. La sua agenda era piena come un tortino alla zucca e lui non ne capiva il motivo. Non sentiva di avere le capacità per continuare con la magiterapia ai suoi compagni di scuola, a dirla tutta si sentiva totalmente inadeguato; eppure gli appuntamenti aumentavano e in molti facevano carte false pur di guadagnarsi una mezz’ora con Elliott Johansson all’ascolto. Probabilmente ormai aveva raggiunto così tanta popolarità, che avrebbe potuto tranquillamente mettere un gerbillo a rispondere al posto suo, tanto i suoi pazienti sarebbero rimasti ugualmente soddisfatti.
Elliott si sentiva, invece, immerso in uno stato vegetativo da cui uscire fuori era praticamente impossibile; non solo era regredito allo stato antecedente la conoscenza di Demelza Robins, bensì era addirittura peggiorato, o almeno così è come si sentiva il corvonero, che oramai non era più stuzzicato nemmeno dall’uso di erbette magiche.
Sentiva, Elliott, di non essere più in grado di provare nulla.
Era indubbiamente una tecnica di autodifesa della sua mente, su questo non c’era dubbio e, a livello razionale, il giovane mago ne era perfettamente conscio; il problema sussisteva nel momento in cui tentava di mettersi alla prova, per poi accorgersi che niente fosse più in grado di far sobbalzare il petto, emozioni positive o negative che fossero. Si ripeteva che forse l’unica cosa da fare fosse tenere duro almeno fino all’inizio delle vacanze estive, sapendo che avrebbe trascorso, come ogni anno, l’estate in Svezia, madre di quei luoghi che erano sempre stati capaci di confortarlo.
Mancava davvero poco al suo processo di guarigione, se lo ripeteva come un mantra.
Nel frattempo Elliott si divideva fra studio e sedute ai suoi compagni di scuola: stop.
Proprio in quel momento era all’ascolto dell’ennesimo personaggio —un grifondoro particolarmente depresso, afflitto da mutismo selettivo che si ammutoliva ogni qualvolta incrociava il ragazzo che gli piaceva(7)—; Elliott gli prestava ascolto, ma solo in parte: il suo emisfero destro era concentrato a scarabocchiare sul suo quaderno di uno scontro fra un gigante e una brutta strega incredibilmente simile alla preside Umbridge, in fuga dalla creatura che tentava di afferrarla (8).
Era un momento perfetto per effettuare la seduta; proprio quel pomeriggio, infatti, si stava tenendo l’ultima partita di campionato che vedeva in campo Corvonero contro Grifondoro. A lui del Quidditch non fregava nulla, a Robert Hopper men che meno, dunque tanto meglio sfruttare quel momento.
La verità, purtroppo, è che non si può prevedere tutto; ad esempio  Elliott Johansson non poté prevedere l’incursione nel bagno di un paio di serpeverde facenti parte della squadra d’inquisizione, che spalancarono le ante dei bagni dei due studenti, fecero svenire per lo spavento il grifondoro e si trascinarono via Elliott.

“La preside Umbridge sarà così felice.” sghignazzò Adrian Pucey mentre l’altro, tale Rupert Derrick, annuiva compiaciuto. Attraversarono il corridoio e uscirono all’aperto, scrollando di tanto in tanto le spalle di Elliott il quale li seguiva con apatica rassegnazione. In realtà i due serpeverde avrebbero sperato in un qualche tipo di reazione da parte del corvonero, questo avrebbe reso il tutto più divertente.
Durante il tragitto, i tre si scontrarono con una fiumana di persone, segno che la partita era giunta al termine. Era chiaro, dall’eccitazione di chi vestiva i panni rossi e oro, che era stata Grifondoro ad aggiudicarsi la coppa del campionato; Elliott sentì una lieve morsa allo stomaco, dovuta al dispiacere per il suo amico Roger. D’altro canto questo voleva dire che Demelza aveva vinto. Il viso di Elliott fu sporcato da un flebile sorriso, che scomparve all’istante non appena i tre incrociarono Zacharias Smith, appoggiato a un delle colonne d’ingresso alla scuola e con indosso un sorrisetto compiaciuto. Fu subito chiaro come avevano fatto a scoprirlo, pensò Elliott ricambiando l’occhiata del tassorosso.
E di nuovo, sommesso —quasi un soffio—, un movimento allo stomaco lo scosse: era rabbia?

 

Demelza Robins, circondata come gli altri giocatori della squadra da tutta la casa Grifondoro, si sentiva al settimo cielo; erano settimane che non provava nulla di così positivo. Ancora non si capacitava di come fosse possibile che avessero battuto Corvonero nonostante l’assenza di Harry Potter e dei gemelli Weasley. Ginny Weasley era riuscita ad afferrare il boccino come per magia e suo fratello Ron aveva parato i colpi pazzeschi di Roger Davies e i suoi compagni; Demelza aveva gioito quando per sbaglio aveva scagliato un bolide dritto nella sua direzione calcando un po’ troppo la mano, colpendolo in pieno stomaco e facendogli così sbagliare il colpo di pluffa. Era stato tutto pazzesco ed emozionante.
Con la scopa ancora in mano, Demelza si unì al coro dei suoi compagni.

Weasley è il nostro salvatore,

col suo gioco pien d’ardore,

Grifondor canta con me:

Perché Weasley è il nostro re.

Quand’ecco che con la coda dell’occhio finì per impattare con uno strano trio, formato da due energumeni di Serpeverde e un bistrattato…

“Per tutti i merluzzi in salmì… Elliott!” Esclamò fra sé. Il resto dei compagni non le dette di certo retta, troppo presi a festeggiare i loro campioni. Così Demelza non perse tempo e rintracciò subito Parvati, in compagnia delle altre due grifondorine.

“Se sei qui per farti fare le congratulazioni lascia stare, Elza, hai tutti gli altri a festeggiarti, non ti servono le amiche che hai ripudiato.” Sputò velenosa Parvati, con Lavanda e Romilda che annuivano con convinzione. Ma Demelza scosse il capo, scrollando i ribelli capelli che al sole brillavano come fuoco vivo: “Non sono qui per niente del genere, guardate lì, ora!”

Le tre, che stavano seguendo il flusso dei compagni intenti a incamminarsi verso la torre di Grifondoro, si fermarono e puntarono lo sguardo verso il punto indicato dall’indice di Demelza.

“Oh no! Che ci fa Johansson con quei due?!” Esclamò preoccupata Lavanda, mentre Romilda sussurrò non essere per niente un buon segno.

“Lo avranno scoperto e lo staranno portando dagli altri della squadra d’inquisizione, o peggio ancora dalla Umbridge. Dobbiamo agire in fretta.” Decretò lapidaria Parvati, prima di iniziare a dare compiti alle altre con notevole frettolosità. A quel punto le quattro grifondorine si guardarono e annuirono, e proprio come D’Artagnan e i tre moschettieri, Parvati si mosse rapida con le altre tre al seguito, in direzione dell’anomalo trio.

“Ehi, voi due, avete perso l’orientamento?” Cantilenò Romilda Vane, giocherellando con la sua bacchetta in attesa di una reazione da parte dei serpeverde. I tre si voltarono verso la strega —Elliott era particolarmente stupito nello scorgere il gruppetto delle ragazze— e fu Adrian Pucey, il più grosso fra i due, a rivolgersi con disprezzo a Romilda: “Fatti gli affari tuoi, sporca sangue marcio, non vorrai mica farti togliere punti!”

“Come hai osato chiamarla?” Sibilò Parvati, che si guadagnò anch’ella una brutta battuta xenofoba da parte di Derrick. Quel poveretto non aveva idea di chi si fosse trovato davanti: in quello che a Elliott parve un batter di ciglia, Derrick si ritrovò disarmato e con i pantaloni calati —merito di un incantesimo, figurarsi se a Lavanda Brown fosse mai venuto in mente anche solo di sfiorare quel viscidone—, mentre Pucey, che aveva tentato di disarmare fisicamente Romilda, in un baleno divenne vittima di un incantesimo della pastoia perfettamente eseguito. Nell’assistere alla scena Zacharias Smith era trasalito, così era corso in soccorso dei due serpeverde.

“Questa è la volta buona che ti faccio sparire nelle acque del lago nero.” La voce di Parvati Patil, usignolo melodioso, rese quell’affermazione ancora più inquietante di quanto già non fosse. Agitò la bacchetta, la giovane strega, per poi lanciare un incantesimo che andò a colpire la faccia del tassorosso, ricoprendolo di gigantesche pustole maleodoranti.

“Stai alla larga dai miei amici, putrido scarto dell’umanità.”

Demelza, come da ordini ricevuti, approfittò del trambusto per afferrare Elliott per la sua maglietta dei Joy Division, farlo issare sulla sua scopa e volare via dalla situazione.
Il ragazzo era totalmente stordito. Per quanto intelligente fosse, non aveva afferrato la situazione nella sua complessità; sapeva solo che in quel momento si trovava a cavallo di un scopa —ed Elliott detestava con tutto se stesso volare— tremante come una foglia, avvinghiato alla vita di Demelza Robins, che volava a bassa quota per evitare di farsi vedere dalla Umbridge o da qualcuno della squadra d’inquisizione.

“Dove stiamo andando?!” Gridò terrorizzato. A Demelza venne da ridere. “Sei proprio un fifone, lo sai?”

“Non ho mai detto di possedere coraggio!” Squittì Elliott il quale, a una virata particolarmente precipitosa di Demelza, si avvinghiò a lei ancor più, guadagnandosi una gomitata.

“Guarda che così ci fai cadere!”

“Scusami!” Gridò lui, ma non per questo evitò di stringersi di nuovo alla vita della strega.

Dopo un lungo giro, alla fine i due planarono sulla torre d’astronomia; non appena Elliott ne ebbe la possibilità, si lanciò oltre la balaustra per poi spiaccicarsi sul pavimento della balconata della torre. “Sono vivo…” concluse sospirando. Demelza balzò accanto a lui e gli offrì una mano per farlo alzare: “Volare è l’unica cosa che mi riesce davvero bene, non ti avrei mai fatto cadere!”

“Cadere magari no, ma vista la durata del volo a un certo punto ho temuto volessi arrivare fino in Melanesia.”(9)

“Ma se non so nemmeno dove sia, la Melanesia!”

Elliott sorrise di cuore; poi il sorriso si allargò, non appena si rese conto che stava sorridendo. A quel punto accadde l’inaspettato: il mezzo svedese scoprì i denti e si dedicò a una risata, quella che per molti poteva essere una cosa di tutti i giorni, ma che per lui altro non era che il segnale della sua guarigione.
Demelza, empatica quanto un sasso, lo guardò con le sopracciglia molto inarcate. Pensò, però, che Elliott ancora le piaceva. Aveva tentato di cancellarlo dalla memoria dopo il disastroso incontro avvenuto con Roger Davies, che l’aveva imbarazzata al punto da farle evitare in ogni modo possibile la presenza di Elliott; era evidente, ragionò mentre lo osservava ridere, che non ci fosse minimamente riuscita.

“Ti stai prendendo gioco della mia ignoranza, razza di calamaro al vapore?”

“No…” tentò di trattenersi “Giuro di no.” Elliott asciugò le lacrime sgorgate per il tanto ridere. Demelza non poteva capire quanto quella risata fosse importante per lui; durante il corso di quella giornata era tornato a provare tutte quelle emozioni che credeva si fossero dissolte nella sua nebbia emotiva, invece quelle erano ancora lì, incastrate tra la gola e il cuore.
Era felice. Felice da perdere la testa.
Ancora con la bocca storta dal ridere, Elliott fissò Demelza che, davanti a lui, aveva annodato le braccia e lo fissava con estremo disappunto. Allora il corvonero, per la prima volta in tutta la sua vita, fece qualcosa di totalmente non convenzionale, ovvero si comportò come un qualsiasi adolescente —la cui corteccia prefrontale deve ancora finire di svilupparsi— si sarebbe comportato al posto suo: decise di seguire l’istinto e accantonare la razionalità.
Dovette piegarsi molto per raggiungere l’altezza di Demelza, poi le afferrò il viso ricamato di efelidi e posò le labbra sulle sue.
Il sole si stava lentamente ritirando oltre la luminosa linea dell’orizzonte e un attento osservatore avrebbe notato un piccolo stormo smuoversi sopra un punto indefinito della foresta proibita.
E mentre un coro lontano ricordava la vittoria di Grifondoro, Elliott Johansson, con la bocca incastrata in quella di Demelza Robins, sentì il torace scoppiare di felicità.
Sentirsi vivo era proprio una gran ficata.

Sette giugno

Demelza posò la piuma appena in tempo per poter vedere il proprio compito volare nelle mani della professoressa Marchbanks, dopodiché prese a esultare come tutti i suoi compagni di classe, tranne Harry Potter che era stato portato via nel bel mezzo del compito. Era caduto a terra e si era messo a urlare e Ron e Hermione erano visibilmente preoccupati per lui; Demelza si chiese come stesse, per poi tornare subito raggiante, al settimo cielo per la fine dei G.U.F.O. .
Una volta fuori dalla sala Grande, scorse la figura di Elliott poggiata a una parete, talmente rapito dalla lettura che non sembrò fare caso agli studenti euforici che riempivano l’ampio corridoio. Demelza saltellò allegra nella sua direzione.

“Che leggi?” Chiese poi, infilandosi fra Elliott e il libro e ficcando il naso fra le pagine. Il mago scosse la testa e tirò via il libro, che chiuse e ripose nella borsa a tracolla: “Nulla che possa destare il tuo interesse.”

I due si incamminarono, fianco a fianco, verso il chiostro, dove ad attenderli trovarono Roger Davies; quest’ultimo si schiantò su Elliott e lo stritolò con un abbraccio.

“Ho finito tio, hasta la vista, Hogwarts!

“Grande!” Esclamò Demelza “Che farai questa estate?”

“Vado a trovare la mia famiglia in Uruguay, non vedo l’ora di rivedere mia nonna.”

“E devi anche pensare al tuo futuro, van.” Si introdusse Elliott, il maestrino. Nel sentirlo Demelza e Roger rotearono gli occhi al cielo, benché non c’era affatto da stupirsi delle parole del corvonero. Nel mentre i tre furono raggiunti prima dalle tre grifondorine e Padma, poi da Millicent, tutte particolarmente allegre per aver concluso gli esami. Elliott osservò, in lontananza, Pucey e Derrick guardare storto Parvati, o almeno fino a quando quest’ultima non incrociò il loro sguardo che riuscì a metterli in fuga. Da quando li aveva minacciati di spifferare a tutti che erano stati battuti in duello da tre streghe Grifondoro se avessero provato a dire qualcosa alla Umbridge riguardo Elliott, i due membri della squadra d’inquisizione avevano mantenuto un profilo notevolmente basso.

“Di che si parla qui?”

“Di cosa faremo quest’estate. Voi che farete?”

Fu Parvati a rispondere per prima: “I nostri genitori hanno una magione a Kovalam, andremo lì.”

“Perché non venite da noi a luglio?” Chiese Padma entusiasta.

“Oppure potete venire da me in Uruguay, anche noi abbiamo un mare eccezionale!”

“Davies, le tue manie di protagonismo ti gonfiano così tanto l’ego che rischi di spiccare il volo!” Rispose acida Parvati.

“Io credo andrò in Svezia, non vedo…”

“Scusa capo, ma l’idea di congelarsi in piena estate non è per niente allettante.”

“Veramente il mio non era un invito, solo una const…”

Lavanda zittì il povero Elliott: “Beh, potremmo fare due settimane da Roger e due da voi!”

“Mi sembra un piano perfetto.” Romilda ammiccò in direzione di Parvati: “Senza che ti offendi, casa vostra è pazzesca, ma vuoi mettere con quei figaccioni dal fascino latino che girano mezzi nudi  per le spiagge?”

“Allora fate buon viaggio…”

“Non farti venire strane idee, tu! Devi ancora raccontarmi tutti i gossip dell’ultimo mese, sei in debito con me, ricordatelo!”

“E poi devi prendere un po’ di sole.” Demelza allungò una mano per pizzicare la guancia scarna di Elliott. Quest’ultimo la scacciò infastidito, poi sospirò con rassegnazione. Comprese che avere degli amici doveva comportare anche dei sacrifici; se poi per passare un po’ di tempo con Demelza avrebbe dovuto friggere al sole, se ne sarebbe fatto una ragione. Voleva dire che sarebbe andato in Svezia in agosto, ovviamente stando bene attento a far disperdere le proprie tracce al gruppetto.
Per il momento Elliott Johansson si limitò a godersi la fine della scuola, lontano da peculiari pazienti smaniosi delle sue attenzioni.

Era tutto perfetto.


 

1. Al ballo del Ceppo, Fleur è stata realmente accompagnata da Roger Davies.

2. Non potevo non inserire un’allusione riguardo all’amortentia da parte di Romilda, visto quello che tenterà di combinare al povero Harry.

3. Nel quinto libro viene inserito questo orientamento alla carriera e ogni studente deve effettuarle un colloquio con il direttore o la direttrice della propria casa.

4. Nel mio headcanon, Demelza diventerà insegnante di volo, diciamo quindi che sfrutterà al meglio questa sua capacità.

5. Fra tutti i loro prodotti, sono certa che i gemelli Weasley abbiano inventato anche un inchiostro per copiare la scrittura di qualcuno (magari pensato per scriversi delle giustificazioni imitando la scrittura dei genitori!)

6. Se Demelza si fosse trovata a vivere in questi anni, avrebbe senza ombra di dubbio chiesto il consenso a Elliott per poterlo baciare; ho pensato fosse più realistico, vivendo negli anni novanta, farla agire in questa maniera, ciò non toglie che non approvi l’avventatezza del gesto.

7. Di mutismo selettivo è affetto Rajesh Koothrappali di the Big Bang Theory; ovviamente mi sono ispirata a lui.

8. La scena vi ricorda qualcosa? Forse forse Elliott possiede la vista? Anche fosse, sono certa rifiuterà la cosa.

9. Sempre nel mio headcanon, Elliott e Demelza avranno un figlio che chiameranno Malai (personaggio presente nella deliziosa interattiva Phoenix Feather Camp di Signorina Granger), che chiameranno in questo modo a seguito del loro viaggio di nozze, durante il quale fra gli altri luoghi andranno a visitare le paradisiache isole della Melanesia. Malai dovrebbe essere una divinità positiva, una sorta di Dio della pace; ah, non sanno che loro figlio uscirà fuori un piccolo tassorosso demoniaco! 💛

 

Care lettrici e cari lettori,

finalmente ho chiuso questa piccola storia che era rimasta in sospeso per troppo tempo. Sono contenta di averla ripresa in mano e di essere stata in grado di dare una conclusione a questi personaggi a cui, col tempo, mi sono molto affezionata.
Non ho molto da aggiungere, se non ringraziare tutte le persone che hanno seguito le vicende di Elliott e si sono fatte quattro risate con me; ho apprezzato ogni vostro commento e spero che abbiate gradito anche questo capitolo.

Ringrazio ancora AdhoMu per avermi concesso, al tempo, di utilizzare la sua caratterizzazione di Roger Davies.
Vi abbraccio.

Bri

   
 
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