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Autore: vegeta4e    09/02/2024    2 recensioni
Non tutto quello che finisce rappresenta la fine. A volte una fine può rappresentare un nuovo inizio: la morte di Claire, l’abbandono di Peyton che segnò Mac molto più di quanto volesse ammettere… eppure il lavoro riuscì a salvarlo, ad obbligarlo a non crogiolarsi nei ricordi. E funzionò, almeno fino a che Peyton non decise di fare ritorno a New York.
“Niente si crea, niente si distrugge, ma tutto si trasforma”. Dietro questa frase si cela una grande verità per il detective Taylor. Un’accusa di omicidio a suo carico, vecchi fantasmi tornati dal passato, rapimenti, lutti difficili da accettare.
Forse i problemi d’amore erano quelli di cui preoccuparsi meno.
[MacxPeyton] - Ambientata all’inizio della 5^ stagione.
[L’avvertimento cross-over riguarda solamente un paio di capitoli verso la fine della storia.]
- Pistola e distintivo. -
Mac ci mise qualche secondo per realizzare. Fissava Sinclair interdetto, incapace di comprendere il perché, incapace di combattere quella serie di ingiustizie che lo stavano lasciando disarmato.
Dopo lo stupore iniziale, non riuscì a trattenere una risata nervosa. Serrò i denti a labbra chiuse, passando lo sguardo da Sinclair a Don, che non aveva neanche il coraggio di guardarlo in faccia.
Genere: Azione, Sentimentale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Danny Messer, Don Flack, Mac Taylor, Peyton Driscoll, Stella Bonasera
Note: Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo VII

Quando Mac tornò in ufficio, Stella era già seduta alla scrivania, di fronte a dove si sarebbe messo lui. Era voltata in direzione della vetrata che lui stesso, qualche ora prima, aveva allestito con foto e appunti. Lui si fermò accanto a lei, le maniche della camicia blu scuro arrotolate fino ai gomiti e una mano nella tasca dei pantaloni, nell’altra un bicchiere pieno di caffè. Glielo porse e Stella lo prese ringraziandolo con gli occhi.
Non ebbe la forza di dire niente, aveva come l’impressione che la testa gli sarebbe esplosa da un momento all’altro, ma la prospettiva di un caffè gli mise in circolo ancora un po’ di adrenalina.
Stancamente le passò davanti per sedersi al suo posto, trovando un po’ di sollievo quando si appoggiò allo schienale. Nessuno dei due si rese conto di quanto tempo passarono così, fermi e in silenzio, ognuno assorto nei propri ragionamenti, con le proprie teorie, con le proprie frustrazioni. Ogni tanto Taylor si avvicinava al computer digitando qualcosa, per poi tornare a fissare le foto, poi la lista di nomi.
Solo quando sentirono bussare alla porta sussultarono entrambi. Mac voltò lo sguardo verso la fonte di rumore, vedendo Peyton sulla soglia. In mano aveva dei fogli.
Taylor le fece cenno di avvicinarsi con una mano, quindi lei avanzò verso la scrivania.
- Ho i risultati. Il tampone con la saliva di Victor non corrisponde a nessun DNA trovato sulla scena, mentre il sangue che avete trovato dentro il lavandino coincide con il secondo campione presente sulla bottiglia. -
Mac annuì stancamente. - Abbiamo la prova che Miguel ha ucciso Frank. -
- Non resta che trovarlo… - Commentò ironicamente Stella.
- Potete andare a casa. - Disse Taylor guardando Peyton. - Dillo anche a Danny e Lindsay, sarete sicuramente stanchi. -
Lei si limitò ad annuire e dopo aver salutato entrambi lasciò l’ufficio.
Stella si voltò verso di lui. - Se iniziassimo a contattare i nomi sulla lista? -
Mac picchiettò due dita sulla scrivania lasciando che lo sguardo vagasse sulle foto appese alla vetrata.
- Per ottenere cosa? Bugie su bugie? No… Forse ho un’idea. - Lei rimase in silenzio in attesa che lui continuasse. - È rischioso, ma se funziona guadagniamo tempo. Okay, allora, e se usassimo i suoi figli per attirarlo? Ovunque lui sia, credo che abbia comunque accesso ai giornali e al notiziario. Se facciamo lanciare ai media un finto appello, forse avremo qualche possibilità di fargli un’imboscata. - Man mano che spiegava, Stella annuiva sempre con più convinzione.
- Bene, supponendo che questo Miguel abbia a cuore i bambini nonostante sia in fuga, ci serve qualcosa che possa toccarlo al punto da farlo cadere in fallo. -
- Che ne dici di giocarci la carta della salute? -
Mac si morse il labbro inferiore, poco convinto. - No, New York è piena di ospedali che possono offrire le cure migliori. Ammesso e non concesso che Miguel sappia che in sua assenza i minorenni entrano in custodia degli assistenti sociali, dovrebbe intuire che le cure mediche sono a carico loro. Serve qualcosa di più grave. Qualcosa collegato al giro che aveva con Victor. -
Prima che Stella potesse aggiungere qualcosa, il detective scattò in piedi, improvvisamente pieno di energie. Afferrò la bustina con dentro la lista dei possibili assassini e, stappato il pennarello, si avvicinò a una parte della vetrata ancora libera.
Copiò rapidamente i nomi mantenendo, nonostante la fretta con cui scriveva, la sua solita calligrafia precisa ed elegante.
Quando terminò chiuse il pennarello, voltandosi verso di lei e picchiettando sul vetro come un professore. - In totale sono in dieci. Due di loro sono in stato di fermo, Flack ha controllato e sono stati fermati per spaccio: uno ieri sera e l’altro questa mattina. - Riaprì il pennarello, tracciando sui due una linea.
- Il cerchio si restringe a sette, se escludiamo Miguel. - Aggiunse Stella.
- Sì. Ho fatto delle ricerche prima, questi tre tizi sono nuovi nel giro, se sanno qualcosa, è molto poco. Dubito abbiano informazioni che possano esserci utili o che siano implicati con questo caso. Miguel, invece, è uno dei veterani. Quindi se la logica è dalla mia parte, non dovrebbe avere attriti con loro. - Sbarrò altri tre nomi.
Stella rimase basita. Mac era entrato in quello che lei chiamava flusso di coscienza. A volte aveva dei lampi di genio che buttava fuori senza preavviso, e interromperlo avrebbe spezzato quella genialità che spesso si era rivelata fondamentale per risolvere dei casi.
- Rimangono questi quattro. - Li cerchiò separatamente. - Loro dovrebbero essere i pilastri, o almeno uomini di cui Victor si fida dato che lavorano insieme da anni. Il profilo che a noi serve è uno di loro.  Facciamo due nomi io e due tu? -
Lei non trattenne un sorriso. - Certo. Posso usare quest’altro computer? - Indicò il portatile. Lui le diede il consenso con un cenno della mano, posando il pennarello e tornando alla propria postazione.
Nel silenzio dell’ufficio, l’unico rumore che si percepiva erano le loro dita che picchiettavano rapidamente sulle tastiere, quando Mac batté due volte la mano sulla scrivania.
- Trovato. Questo tizio si chiama Johnathan Foster. Risulta che otto mesi fa sia arrivato alle mani con Miguel per questione di soldi. -
- Non ci resta che lasciare ai media il compito di mettere zizzania tra i due. -
Taylor annuì. - Chiamo i giornali. -

Quando Mac Taylor arrivò davanti la sua porta di casa, trovò Peyton ad aspettarlo.
- Prima davanti casa, ora davanti la porta. Il prossimo passo qual è? Ti troverò direttamente sul divano? - Disse serio fermandosi di fronte a lei.
- Non è come pensi. - Si giustificò lei. - Fuori si gela e poi… ho pensato di portarti la cena. - Alzò due sacchetti che Mac non aveva notato. Lui rimase in silenzio provando un leggero senso di colpa, poi prese le chiavi dalla tasca dei pantaloni e le inserì nella toppa. Con una mano le fece cenno di entrare, e con non poco imbarazzo Peyton lo anticipò, varcando la soglia. Non aveva previsto che lui l’avrebbe invitata ad entrare e questa cosa la colse decisamente in contropiede.
Appena entrò il profumo della casa di Mac la investì in pieno. Le era mancato da morire, a stento trattenne un sorriso malinconico.
Sentì Mac richiudersi la porta alle spalle, chiudere la catenella di sicurezza tipica delle case americane e posare le chiavi sul mobile accanto all’entrata.
- Sono andata al giapponese. Ti piace ancora, vero? - Domandò leggermente nel panico temendo di aver sbagliato a prendere iniziative.
Taylor si voltò verso di lei togliendosi la giacca. - Sì. Sì, tranquilla. Non dovevi disturbarti. - La appese e lei appoggiò i sacchetti sul tavolo poco distante.
- Torni sempre tardi a casa, ho pensato che non avessi voglia di metterti a cucinare. -
Mac accennò un sorriso. Aveva ragione, raramente aveva voglia di mettersi ai fornelli dati gli orari inumani che aveva, ma rientrava sempre con lo stomaco che urlava pietà e il cibo spazzatura non era tra i suoi preferiti. Quindi nonostante tutto si preparava sempre qualcosa di sano o, alla peggio, si fermava a comprare qualcosa di pronto.
- Già… Grazie. - Prese posto su uno degli sgabelli, poi la guardò come a invitarla a sedersi.
Lei obbedì silenziosamente, prendendo posto accanto a lui. - Hai già contattato la stampa? - Domandò aprendo i sacchetti nella speranza di dissipare il velo di imbarazzo.
Mac si appoggiò con gli avambracci al tavolo. - Sì, diffonderanno una notizia falsa su un finto rapimento dei bambini per provare ad attirare Miguel. Se la mia idea funziona riusciremo a prenderlo con un’imboscata. -
Lei ci pensò su un attimo. - Trattandosi dei suoi figli dovrebbe funzionare. Hai avuto una buona idea. -
- Trattandosi dei suoi figli non avrebbe dovuto abbandonarli. - Precisò Taylor.
Peyton alzò le sopracciglia. - Hai ragione, ma spero che un minimo di istinto paterno ce l’abbia. Tieni. - Gli porse una porzione di noodles. - Fai attenzione, sono ancora caldi. -
Mac prese il contenitore di cartone dal bordo per non scottarsi, facendolo scorrere sul tavolo fino a portarlo davanti a sé. Iniziarono a mangiare entrambi, rigorosamente in silenzio, troppo imbarazzati per parlare liberamente come qualche mese prima. Troppo tristi, troppo arrabbiati e orgogliosi per ricominciare da dove si erano persi.
- Mi era mancato, sai? Cenare con te… - Fu lei a spezzare il silenzio, non riuscendo a resistere a quella tensione di cose non dette che avrebbe percepito anche uno sconosciuto.
Lui si girò a destra, verso di lei. - Anche a me. - Ammise senza vergogna.
A quelle parole le ciglia di lei tremarono. - Sul serio?... -
- Sì. -
- … Lo mangi tu quel takoyaki? - Chiese lei per cambiare discorso, anche se il cuore le batteva a mille. Mac non capì. Non era mai stato bravo con i nomi giapponesi, troppo complicati da pronunciare e da associare alle immagini.
- Quale sarebbe? -
Lei sorrise. - Quelli. Polpette di pasta di soia. -
Taylor intuì che a lei dovevano piacere. - No, mangiali tu se ti piacciono. - Lei sorrise e ne prese uno con le bacchette.
La cena proseguì sempre con un filo di imbarazzo, ma tutto sommato bene considerando le condizioni del loro rapporto. Quando finirono di mangiare Peyton allungò la mano verso uno dei due sacchetti, tirando fuori una bottiglia di sake.
Vedendo il liquore Mac le lanciò un’occhiata. - Provi a farmi ubriacare? - Abbozzò un sorriso.
- Guarda che è buono, assaggia! -
- Non lo metto in dubbio, ma ti avverto: io reggo bene l’alcol. -
Peyton sorrise di rimando, dandogli poi una botta scherzosa sulla spalla. - Sai che dicono tutti così quelli che non lo reggono? -
- Lo sai che non mi ubriaco, ne hai avuto la prova più volte. -
- Magari questa volta potresti non reggerlo… - Disse avvicinando il viso a quello di lui. Mac rimase immobile, fissandola negli occhi senza avere il coraggio di muovere un muscolo.
- È una sfida? - Domandò solamente. Peyton si limitò ad annuire sorridendo mentre entrambi si studiavano, in silenzio, cercando di capire le intenzioni dell’altro.
Taylor si sforzò in ogni modo di parlare, di dire qualcosa per sfuggire da quella situazione che da un lato gli piaceva e dall’altro lo terrorizzava, ma la voce gli morì in gola. Si rese conto solamente che lei, lentamente, stava accorciando le distanze tra i loro visi fino a sentire le labbra di Peyton sulle sue. I tentativi che fece per resisterle vennero abbandonati dopo pochi secondi, e il detective si ritrovò in balìa di un bacio che aveva disperatamente cercato per mesi. Lo ricambiò con tutte le forze che aveva sperando che a lei arrivasse almeno la metà del dolore che aveva provato, ma oltre ogni cosa tutto l’amore di cui non era riuscito a liberarsi.
Taylor si alzò dallo sgabello mettendole una mano dietro la nuca temendo che lei, imitandolo, potesse allontanarsi.
Si alzò anche lei, che prontamente gli mise entrambe le braccia intorno al collo. Stretti come due adolescenti camminarono alla cieca cercando a memoria la camera di Mac, finché non caddero sul materasso dopo aver sbattuto contro i piedi del letto. Lui pregò che il cellulare di lavoro non gli squillasse in quel momento, mentre sentiva le mani di Peyton accarezzargli il petto e poi il collo mentre lui, con una mano, aveva iniziato a sbottonarsi la camicia.

Dopo aver consumato la passione, Mac e Peyton rimasero sotto le coperte ancora non del tutto consapevoli di quello che era accaduto. Lui, a petto nudo con le coperte che gli arrivavano a metà busto, fissava il soffitto chiedendosi se fosse stato un sogno o la realtà.
Lei si girò a sinistra, appoggiandosi sul suo petto. - Ti prometto che da domani saremo più cauti. -
Taylor si girò verso destra, guardandola negli occhi. - A me questo non sembra essere cauti. -
Lei sorrise. - Infatti ho detto da domani. Mi rendo conto che abbiamo corso troppo stasera… È giusto prenderci il tempo che ci serve e capire come va. Non voglio metterti fretta. -
Mac annuì. Era stato il primo a non essere riuscito a fermarsi poco prima, ma sapeva benissimo che il discorso di Peyton era giusto.
- Sì. Penso di sì. - Lei gli accarezzò una guancia come a trasmettergli la fiducia che non era riuscita a dargli in tutto quel tempo, poi scostò piano le coperte mettendosi seduta.
- Io vado, grazie per la cena e… la compagnia. -
Anche Taylor si tirò su a sedere. - Sei in macchina? -
- No, chiamo un taxi, non ti preoccupare. - Fece per alzarsi, ma Mac le prese una mano.
- Rimani, è tardi ormai. - La guardò negli occhi. - Potrebbe succedere qualcosa. -
- Questa è deformazione professionale, detective. - Rise divertita.
- Può darsi. Sai quanto me quanto può essere pericolosa New York. -
Peyton annuì, sapeva anche che quello era il suo modo di chiederle di rimanere per non farlo preoccupare.
- Va bene. Se proprio insisti. -

La sveglia suonò inesorabile alle 5.50 AM, precisa come ogni mattina. Il detective Taylor la spense dopo un trillo sperando che non avesse svegliato anche Peyton, ma a guardarla sembrava dormire come un sasso.
Si alzò senza fare rumore, indossando poi una maglietta e dei pantaloni della tuta. Una volta in bagno si fece la barba, perfezionando la rasatura già curata, poi andò in cucina a prepararsi un caffè.
Lo accompagnò con una ciambella osservando New York dalla finestra della cucina. Vide un debole raggio di sole in lontananza, tra due palazzi. La città, ancora ferma, iniziava lentamente a prendere vita sotto di lui, e Mac sarebbe rimasto incantato a guardarla per ore, ma aveva i ritmi serrati. 
Finì il caffè lasciando il bicchiere nel lavandino, poi tornò in camera per cambiarsi. Infilò rapidamente pantaloni e cintura, ma quando arrivò alla camicia Peyton si girò sotto le coperte.
- Mmm… Che ore sono? -

Lui si avvicinò al letto, la camicia ancora totalmente sbottonata. - Presto, ma io mi sveglio sempre a quest’ora. Tu continua pure a dormire. - Disse a voce bassa.
- Perché non stai qui ancora un po’? - Lo afferrò per un lembo della camicia tirandolo verso di sé.
Mac sorrise. - Perché sono il capo. E il capo ha anche faccende burocratiche da sbrigare e rendere conto a dei superiori. -
- Ma il capo, se vuole, può anche permettersi di stare a casa mezz’ora in più. - Diede uno strattone più forte e Taylor fu obbligato a frenare la caduta sul letto con i gomiti, rimanendo poco distante da lei. 
- … Peyton, devo andare a lavoro. - Lei lo ignorò deliberatamente, appoggiandogli una mano sulla guancia e baciandolo piano. Non riuscì a resisterle, finendo per ricambiare. - Finirai per stropicciarmi la camicia. - Sussurrò staccandosi di poco.
- Allora toglila. -
- Dico davvero, devo andare. - Anche se poteva sembrare autoritario, un orecchio attento come quello di Peyton colse un lieve tremore nella voce di Mac, che provava a resistere alle mani di lei che dal petto, intanto, erano scese alla vita. Non si spinse oltre, limitandosi ad afferrargli i pantaloni dalla cintura per tenerlo ancorato al letto, e notando che lui aveva ormai rinunciato a fuggire, lo baciò di nuovo.
Lui ricambiò subito, ma Peyton capì di aver vinto la guerra quando Mac non protestò mentre lei gli sfilava la camicia, posandola poi accanto a loro, sul lato del letto vuoto.
 

To be continued...

   
 
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