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Autore: LubaLuft    11/02/2024    1 recensioni
“Che cosa desideri davvero, Tooru?... Te lo sei mai chiesto con sincerità?” chiese piano Tetsurō.
“Desidero ciò che mi riempie ma anche ciò che mi svuota… l’idea di essere l’unico e anche quella di essere un capriccio. Amo tutto questo, anche le lacrime che ho appena pianto.”
Tooru incrocia il suo destino con quelli di Wakatoshi e Hajime. La sua indole sensibile e vorace verrà messa a dura prova ...
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Altri, Hajime Iwaizumi, Tooru Oikawa, Wakatoshi Ushijima
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: Triangolo
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Sette


Dopo la corsa in moto, Hajime ritornò al locale.

Sentiva la gola secca, la tensione di quella specie di inseguimento gli aveva prosciugato la saliva. E poi voleva parlare con Tetsurō, di cosa ancora non lo sapeva con certezza… forse voleva semplicemente dirgli che il suo amico alla fine era davvero andato a letto con Wakatoshi, e che qualsiasi altra ipotesi alternativa che potesse riguardare invece Hajime Iwaizumi non si sarebbe più verificata. O forse voleva chiedergli il numero di telefono di Tooru? O magari farsi solo una bevuta con lui, alle spalle di quei due?

Quando arrivò, il concerto era finito e il locale era vuoto, a parte uno strano tipo con i capelli lunghi e ossigenati, una fila di piercing a un orecchio e una sigaretta mezza fumata in bocca.

“Siamo chiusi ” Gli disse. Aveva una scopa e un sacco per l’immondizia. 

“Serve un aiuto?”

“Se proprio ti va…”  e gli indicò i vuoti da raccogliere sui tavoli. Tanti.

Dopo una mezz’ora di cocci e mozziconi, il tizio gli allungò una media fredda e senza schiuma, che Hajime tracannò avidamente. E poi, Hajime  rilanciò.

“Serve un aiuto qui? Sto cercando lavoro.”

“Che lavoro facevi?” Chiese il tizio, e sembrava interessato.

“Guidavo una Maserati.”

“Beh, qui si tratta di lavorare con la spina, soprattutto. E poi piatti semplici che cucino io. Niente a che vedere con le Maserati.”

Il tipo si sporse verso di lui. “Sei amico di Tetsurō Kurō?”

“Sì.” Hajime rispose senza esitazione, perché in effetti si sentiva davvero amico di quello strano ragazzo.

“Io sono il proprietario di questo posto, Keishin Ukai. Quando vuoi cominciare?”

Hajime restò un istante in silenzio.

“Perché, non ho già cominciato?” 



 

Durante quelle due settimane, Hajime scelse di coprire solo i turni serali. 

A pranzo era libero e girava con la sua moto, si allungava in palestra o verso il mare. A volte se ne stava a casa a leggere. 

Aveva scelto quella fascia oraria perché così avrebbe avuto meno occasioni di incrociare Tooru in pausa pranzo. In questo modo, sarebbe stato più semplice farsene una ragione. 

Solo una sera, passando accanto all’agenzia, lo aveva notato fuori all'ingresso ben oltre l’orario normale di lavoro. 

Si era fermato all’angolo senza togliersi il casco, finché gli occhi gialli della Maserati di Wakatoshi non erano spuntati dall’ombra del parcheggio multipiano, a fianco del palazzo degli uffici.

Era salito a bordo ed erano spariti chissà dove. 

Una fitta di qualcosa che ormai aveva definito come “gelosia rabbiosa autoindotta” gli aveva chiuso lo stomaco. D’altronde, Tetsurō glielo aveva pure chiesto: perché cercarsi un lavoro a meno di un chilometro dal suo ufficio? 

Proprio Tetsurō, se lo era ritrovato al bancone un paio di sere dopo il suo primo turno di lavoro.

“Ciao. Keishin mi ha detto di un mio amico di nome Hajime che ha iniziato a lavorare qui. Lo conosci?”
“Non so se è proprio un tuo amico…” aveva risposto lui sorridendo.

“Beh, a questo punto direi di sì.”

Tetsurō si era allungato sul bancone, le braccia incrociate. Un movimento felino e naturale. Aveva una voce calda e tranquilla, e un’innata capacità di mettere le persone a proprio agio. Gli aveva servito una birra e avevano subito iniziato a chiacchierare.

“Tooru lo sa che lavori qui? Lo hai visto?”

“No. Non l’ho più visto, almeno finora.”

“Posso dirglielo…?”

“No. E apprezzo che tu non l’abbia già fatto.”

“Però potrebbe capitare che vi incrociate. Se non vuoi che succeda, beh… lavorate entrambi e meno di un chilometro di distanza, qui si mangia bene e lui odia i fast food. Non mi sembra una grande idea, in tutta sincerità.”

Hajime ci aveva riflettuto e poi aveva risposto. “In tutta sincerità, qui lavoro bene e mi sento a mio agio. E non è solo perché vedo gente come me. Non te lo so spiegare.”

“E tu come sei, scusa?”

“Beh. Lo sai.”

“No, non lo so. E non mi importa. Mi importerebbe se mi piacessi in quel senso, perché a quel punto per me sarebbe fondamentale saperlo. Ma nel mio caso non lo è. Quindi, no, non mi importa.”

Hajime aveva sorriso, grato per quelle parole. Poi aveva dato voce alla curiosità.

“Lui… sta bene? È felice?...”

“In questi giorni ci stiamo sentendo poco, io sono pieno di lavoro e ho una trasferta a breve. Comunque, immagino che stia bene.”

Avevano parlato ancora un po’ e si erano scambiati i numeri di telefono. Era come avere un filo indiretto con Tooru. Sottile ma tenace. 

 

****

 

Tooru tentava di lavorare ma era con la testa oltre le nuvole: fuori pioveva ininterrottamente dalla mattina, e lui era da qualche altra parte, dove brillava invece un sole violento a cui non era abituato.  

Contava, anche quel giorno, le ore che lo separavano da lui. 

Erano passate due settimane da quel loro primo volo. Due settimane strane, piene di sensazioni che avrebbe voluto trasferire fuori di sé ma che per un motivo o per un altro, non poteva fare. 

Tetsurō, l’unico che sapeva di loro, era fuori a Nagano in trasferta di lavoro. Gli mandò un messaggio:

Mi manchi

La risposta di Tetsurō non tardò:

Anche tu, tesoro.

Tornò con la mente a Wakatoshi, che non gli aveva mai scritto nulla del genere.

Gli faceva sapere solo se e quando si potevano vedere, di solito con un preavviso di poche ore. Tooru si faceva trovare sempre pronto, spostava appuntamenti, annullava pranzi, interrompeva il suo lavoro solo per lui, per le cose che facevano insieme da qualche parte, da soli. Erano cose durante le quali Tooru spegneva il cervello e teneva accesi solo i sensi. Spegneva tutto perché c’era solo Wakatoshi, prima dopo e durante. 

Il prima erano poche parole - a volte anche goffe ma mai di circostanza e pertanto vere, da parte di entrambi. Ma erano poche, appunto.

Il dopo era un drink da qualche parte o a casa di Tooru, se si vedevano lì. 

Il durante era la tempesta perfetta dalla quale Tooru si lasciava trascinare. Avrebbe voluto forse più dolcezza nei loro abbandoni, che invece erano sempre sotto tensione, come se ogni volta fosse l’ultima prima di un cataclisma imminente. Wakatoshi non andava di fretta, questo no, ma esigeva, pretendeva una risposta totale a ogni sua mossa, il gioco lo conduceva solo lui. 

Dispensatore di baci, carezze, orgasmi, semplicemente non accettava doni spontanei da Tooru, che invece avrebbe voluto farglieli. Come in una coppia normale. 

Eppure, Tooru contava le ore, sempre.

Il suo cellulare vibrò. 

Alle 19, solito angolo. Andiamo da te.

 

****

 

Qualche mattina dopo, Wakatoshi era stato invitato a pranzo a casa di Reiko. Era un pranzo d’affari, né più né meno.

In macchina, valutava, analizzava, organizzava. Vedersi con Tooru era tutto sommato facile, bastava qualche accortezza per preservare privacy e discrezione… specialmente quando andava da lui, in quel quartiere anonimo che gente come lui normalmente non frequentava, si sentiva meno obbligato a guardarsi intorno con circospezione. 

Proprio quella sera avevano un appuntamento, per andare fuori città, ad Haneda. Una notte in un albergo di classe noto per la sua discrezione.

Tuttavia Wakatoshi, che  aspirava sempre a massimizzare investimenti e guadagni, aveva in mente un’idea di facile attuazione, che gli avrebbe semplificato la vita e fatto fare un salto di qualità al management della sua azienda.

Voleva proporre a Tooru di lasciare l’agenzia e di entrare alla Jima Airways come direttore marketing e comunicazione. Da lì a un paio di giorni, si sarebbe tenuta la conferenza stampa per la presentazione del logo di sponsorizzazione della nazionale di pallavolo, quale occasione migliore per agire? Se avesse accettato quel ruolo, Tooru sarebbe potuto stare al suo fianco alla luce del sole, mantenendo una facciata di normalità.

Poteva portarselo ovunque, anche all’estero. 

Poteva spogliarlo ovunque. 

Obbligò la sua mente a fermarsi, prima che fosse troppo tardi, prima che quel continuo strisciare animalesco che avvertiva fra le sue sinapsi, sotto pelle, nelle ossa prendesse il sopravvento. 

Era spaventoso, perdere il controllo, e gli capitava sempre più di frequente di pensare a lui in termini diversi, di chiedersi cose di lui che non sapeva e che non aveva mai approfondito. Parlavano molto ma raccontavano poco, e Wakatoshi sapeva che Tooru si teneva a freno, da solo, perché era cosciente del fatto che lui, invece, dava l’idea di non essere permeabile a nulla. 

A volte, quando si rivestiva subito dopo un rapporto sessuale consumato a casa di lui o altrove in un ritaglio di tempo, Wakatoshi lo osservava con la coda dell’occhio. Lui rimaneva sempre a letto quei cinque, dieci minuti in più, come se non volesse staccarsi da ciò che avevano appena fatto, e aveva un’espressione strana, quasi triste.

Perché era triste?

La soluzione poteva essere davvero quella di lavorare insieme. Wakatoshi aveva sempre la soluzione.

Arrivò puntuale davanti al cancello dell’immensa villa degli Onagawa. La videocamera di sicurezza si accese e il cancello si aprì. Da lì all’ingresso della villa c’erano un centinaio di metri di viale circondato da alberi.

La costruzione era moderna, concepita da un archistar americano di indubbia fama. Una famiglia che si professava iper tradizionalista e che viveva in uno splendido castello iper occidentalizzato. 

Mezz’ora dopo, era già seduto nella veranda che dava sul giardino, a bere un cocktail circondato dalle chiacchiere sommesse dei padroni di casa. 

Reiko tardava a scendere dalla sua stanza. Wakatoshi represse uno sbadiglio, la situazione si preannunciava lunga e tediosa, o almeno la conversazione era già partita piatta e piuttosto banale. Quando arrivò, Reiko era bella come sempre ma c’era qualcosa che le brillava negli occhi, qualcosa di diverso dal solito e che la rendeva insolitamente attraente. Cercò di capirne di più durante il pranzo ma senza successo.

Fu al termine del pasto, quando i genitori di Reiko si allontanarono verso il salotto, dove sarebbe stato servito il caffè, che la sua fidanzata, rimasti da soli, esordì dicendo “Wakatoshi, nell’ultima settimana ti ho fatto seguire.”
Wakatoshi la guardò con uno sguardo trasparente, il solito sguardo di serena circostanza che le offriva quando lei si rivolgeva a lui nella normale conversazione e che quindi non era perfettamente sintonizzato con le parole del tutto insolite che lei aveva appena pronunciato. 

“Hai sentito che cosa ho detto? Ti ho fatto seguire.”
“Scusami?...”

La osservò meglio. Gli occhi le brillavano di una luce allegra e cattiva. Ecco il perché di quella sua aria così diversa dal solito.

“So che ti vedi con un uomo. Non so chi sia, per il momento ho una serie di foto che vi riprendono entrare e uscire in certe ore del giorno e della notte da alberghi, resort e club. Ma credimi, è abbastanza."

Wakatoshi restò immobile, come pietrificato.

Una parte del suo cervello, quella razionale e affidabile, processava l’idea di essere stato scoperto e la analizzava come né più né meno avrebbe fatto con una mossa sbagliata a poker, un bluff venuto male, una puntata troppo rischiosa da non ripetere. Semplicemente, la mano successiva andava giocata con una attenzione diversa.

La parte più istintiva, invece, tentava di gestire l’onda emotiva provocata dalla vergogna di essere stato smascherato nella sua vera natura, vergogna di cui solo ora comprendeva veramente la portata. 

Restò in silenzio, perché per la prima volta era rimasto letteralmente senza parole.

“Ascoltami bene, Wakatoshi: se questa storia va avanti, io ti rovino sulla piazza. Se fosse una donna, me ne potrei anche fare una ragione, intendiamoci. Non è l’infedeltà in sé che mi disgusta, quanto il fatto che tu faccia determinate cose con un uomo. E quando dico che ti rovino, credimi, sono seria. Mio padre potrebbe morirne, se si venisse a sapere una cosa del genere dopo il nostro matrimonio. Stai attento a ciò che fai. Il nostro matrimonio si celebrerà fra quattro mesi, per quella data tu dovrai aver troncato questa… storia? Follia?... Trovala tu la definizione. Ora dirò ai miei che sei andato via perché hai avuto un contrattempo.”

Reiko gli diede le spalle e lo lasciò in veranda.

 

****

 

Quello stesso pomeriggio, Hitoka aveva salvato la versione definitiva del logo, al quale Tooru gli aveva chiesto di apportare alcune modifiche.

Tooru l’aveva approvata e ora il rendering finale era sulla scrivania del direttore creativo.

Era tutto pronto per la conferenza stampa, che si sarebbe tenuta da lì a un paio di giorni.

Andava tutto bene, non fosse stato per Wakatoshi, che non si era fatto sentire benché avessero un appuntamento fissato per quella sera. Dovevano arrivare fino ad Haneda, dove lui aveva prenotato una suite. 

Si sarebbero dovuti incontrare al solito angolo semibuio fra l’immobile dove aveva sede la sua agenzia e il parcheggio multipiano, ma Wakatoshi stranamente tardava.

Gli inviò un messaggio con un unico carattere: ?

Non ottenne risposta. Forse aveva avuto un contrattempo, tanto valeva andare a bere qualcosa nell’attesa.

Salutò alcuni colleghi che si erano attardati e uscì.

Si incamminò verso il No Name, l’unico posto dove sarebbe andato anche alla cieca.

A quell’ora avrebbe forse beccato qualcuno del giro di Tetsurō, con cui scambiare due chiacchiere. 

ll locale era affollato ma lui aveva il suo solito angolo al bancone ed era lì che puntò.

Si sedette, tolse la giacca e l’appoggiò sullo schienale basso dello sgabello. Faceva caldo e bastava la camicia.

Tirò fuori il cellulare per controllare eventuali risposte di Wakatoshi che però non arrivavano. Gli scrisse dove si trovava e di avvisarlo quando fosse arrivato, lo avrebbe raggiunto sulla strada.

Lanciò uno sguardo verso il bancone e quando vide che si stava avvicinando qualcuno del personale, si tolse gli occhiali e si stropicciò le palpebre. C’era da dire che era anche piuttosto stanco e sperò che quell’attesa si sarebbe consumata nel tempo necessario a farsi una birra.

“Che cosa ti porto?” Chiese una voce.

“Una media chiara.” Rispose Tooru sollevando lo sguardo, che rimase in bilico su un ragazzo in t-shirt nera. Aveva gli occhi nervosi e irrequieti di Hajime Iwaizumi.

   
 
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