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Autore: LubaLuft    17/02/2024    1 recensioni
“Che cosa desideri davvero, Tooru?... Te lo sei mai chiesto con sincerità?” chiese piano Tetsurō.
“Desidero ciò che mi riempie ma anche ciò che mi svuota… l’idea di essere l’unico e anche quella di essere un capriccio. Amo tutto questo, anche le lacrime che ho appena pianto.”
Tooru incrocia il suo destino con quelli di Wakatoshi e Hajime. La sua indole sensibile e vorace verrà messa a dura prova ...
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Altri, Hajime Iwaizumi, Tooru Oikawa, Wakatoshi Ushijima
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: Triangolo
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Nove

 

Tetsurō non ebbe alcun dubbio e parlò con Hajime. Raccontarono a Keishin che Tooru era in difficoltà e corsero insieme via dal locale.

In sella alla moto di Hajime, puntarono verso la stazione di Shinjuku. Con il temporale, la banchina era diventata una galleria del vento e quando finalmente lo videro, Tooru era semi svenuto su una panchina.

Tetsurō dava indicazioni, chiamava un taxi, tentava di tenerlo su sveglio, mentre Hajime, seduto accanto a lui con i pugni contratti e la testa bassa, pregava di non trovarsi mai di fronte Wakatoshi, sentiva lo stomaco pieno di una rabbia nera che avrebbe potuto sfogare solo mettendogli le mani addosso.

Un’ora dopo, con un po’ di fatica, riuscirono a fargli salire le scale di casa. Appena dentro, Tetsurō lo spogliò completamente e lo rivestì di abiti asciutti. 

Lo mise a letto e finalmente si lasciò cadere esausto sul divano.

Hajime era rimasto sulla soglia della stanza di Tooru e guardava dentro.

“Hajime, non devi preoccuparti per lui. Domani mattina si sveglierà con l’emicrania e con tanta voglia di piangere…  e io appresso a lui, perché domani ho la presentazione di un progetto a cui lavoro da mesi. Ma ce la faremo, vedrai. Ora vai, ti chiamo domani.”

Hajime non aveva nessuna intenzione di andarsene. 

“Tetsurō, resto io con lui. Domani ho il turno serale… Se tu hai bisogno di riposare, vai pure da Kiyoko. Qui ci penso io.”

Tetsurō neanche tentò di convincerlo. Si cambiò perché era fradicio e gli indicò il suo armadio. 

“Anche tu sei bagnato. Cercati qualcosa di asciutto lì dentro. E grazie, so di lasciarlo in ottime mani…”

Chiusa la porta di casa, Hajime obbedì e aprì l’armadio di Tetsurō. Era infreddolito, a disagio per i nervi che lo avevano sopraffatto, a disagio anche perché era solo con Tooru e Tooru era sicuramente ancora da qualche parte con Wakatoshi, a soffrire per colpa di quel bastardo.

Tetsurō era stato piuttosto discreto al riguardo, tuttavia Hajime sapeva che doveva essere accaduto qualcosa di grave tra loro. Qualcosa di cui Hajime poteva solo farsi un’idea, e anche quella era abbastanza verosimile.

Si cambiò ma restò in boxer  e maglietta, dentro casa la temperatura era piacevole. Tracannò un bicchiere d’acqua e se ne portò un altro in camera di Tooru.

Per una mezz’ora restò su una sedia con le mani in mano, a osservare lui che respirava con un certo affanno. Aveva le guance arrossate e i capelli ancora umidi. 

Gli smuoveva tutto il cemento che si portava dentro, quel ragazzo semi svenuto preda della febbre.

Un cellulare iniziò a squillare e non era il suo. Hajime non tentennò e infilò una mano nella giacca di Tooru perché era certo che fosse Wakatoshi. 

Rispose.

“Sono Haijme.”

Dall’altra parte, un respiro profondo.

“Passami Tooru.”

Hajime si rivide in macchina a profondersi in sì signor Ushijima, no signor Ushijima, certo signor Ushijima.

“Te lo puoi scordare. Col cazzo che ci parli.”

Un altro respiro, più veloce.

“Stanne fuori.”

“Ma io ne sono fuori. Hai fatto tutto da solo, come al solito.”

Restò in attesa. Non gli avrebbe dato la soddisfazione di chiudergli la telefonata in faccia e di farlo rimanere con il telefono muto in mano,  per quanto lo riguardava poteva stare lì tutta la notte a comandare. O a implorare, che sarebbe stata la stessa cosa. 

Fu Wakatoshi a chiudere. Hajime rimise diligentemente il telefono nella tasca della giacca di Tooru. Poi si avvicinò al suo letto, sollevò il lenzuolo e si infilò dentro con lui, avendo cura di sistemare i cuscini sulla testata in modo da restare semisdraiato. 

Accanto a lui, Tooru intanto continuava a tremare e rabbrividire. Lo attirò lentamente a sé, passandogli un braccio dietro le spalle: era rovente.

Ciò che Hajime provò, nell’istante perfetto nel quale Tooru gli posò la testa sul petto e allungò un braccio sul suo addome, fu un rimescolio di sentimenti diversi che cozzavano tra loro, che facevano rumore nelle sue orecchie, il rumore impazzito del suo cuore. 

Tenerezza, paura, desiderio. Il pieno del corpo di Tooru fra le sue braccia aveva scacciato la solitudine dal suo e lo aveva riempito di nuove sensazioni. 

Tooru lo stringeva, chissà dov’era in quel delirio febbricitante, se era ancora con Wakatoshi, mentre invece Hajime era lì ad assorbire il suo tremore e a tremare anche lui. 

Chiuse gli occhi, assaporando il calore e il profumo di quel corpo che ora sembrava fragile, saggiandone la forma con carezze leggere e lente. 

Lo baciò sulla fronte bollente, gli scostò dal viso i capelli sudati, si prese i suoi respiri affannati. Se lui lo stringeva più forte, Hajime faceva altrettanto, se lui allentava la stretta, Hajime gli dava più spazio.

Solo a un certo punto, davanti alle sue labbra screpolate, dovette combattere per non cedere alla tentazione di bagnarle con le sue. Non poteva, anche se avrebbe voluto. 

Hajime non era Wakatoshi, non avrebbe approfittato della sua debolezza. Non si conoscevano e lui voleva prima di tutto conoscerlo. Sapere chi era, dirgli chi era lui.

Lo voleva lucido e consapevole, voleva chiedere e non estorcere. Per quella notte, si sarebbe accontentato di ciò che aveva in quel momento, un abbandono febbricitante di cui all’indomani Tooru non avrebbe sicuramente ricordato nulla.

Lentamente si lasciò scivolare supino accanto a lui, continuando a tenerlo fra le braccia. Sembrava tremare di meno, e anche il sudore era diminuito.

Il respiro sempre più regolare gli disse che si stava addormentando.

Hajime chiuse gli occhi, la fronte contro la fronte di Tooru. Si lasciò vincere dal sonno e da quella perfetta commistione di realtà e sogno che poteva definire felicità.

 

****

 

Reiko, creatura incantevole ed elegante, amante delle formalità e del bon ton, aveva preteso subito la sua libbra di carne. 

Nel castello dalle mille stanze degli Onagawa, nel silenzio della notte, mentre i suoi genitori dormivano un sonno di altri tempi. aveva invitato Wakatoshi a farsi un giro. 

D’altronde, faceva parte dell’accordo matrimoniale quello di avere una vita sessuale con lei. Meccanica.

Wakatoshi non se ne stupì, l’aria della vergine di ferro era una comoda maschera quando si trattava di vendere una certa immagine di sé, ma con lui non c’era più bisogno di fingere, improvvisamente erano saltati strati e strati di falsi perbenismi.

Lui aveva già avuto esperienze con l’altro sesso, con geishe moderne, per le quali aveva garantito suo nonno. Conosceva l’anatomia femminile, modi e maniere, sapeva cosa fare e quanto a lungo. 

Reiko rimase quindi  piacevolmente stupita quando lui le mostrò che non aveva alcun problema a congiungersi sessualmente con una donna. Lo stupore assunse la forma di mugolii e ansiti, ai quali lui non faceva minimamente caso. Farlo con una donna era come darsi piacere da solo ma tenendo le mani libere.

Tutto questo avveniva dopo che la voce di Iwaizumi gli aveva risposto al cellulare di Tooru. Una fitta di gelosia a saperli insieme lo aveva trapassato, imbestialito, incattivito, aveva scacciato via anche il rimorso per quanto aveva combinato.
Lui che provava rimorso.

Ecco per quale motivo non mostrò una particolare sensibilità o delicatezza durante il rapporto con la sua fidanzata. Fissava il muro, sul quale c’era una piccola crepa - forse per un mobile spostato senza attenzione dalla donna delle pulizie -  e immaginava di disegnare la stessa crepa sul viso di Iwaizumi.

Glielo aveva praticamente gettato fra le braccia.  

Più tardi, in garage, sotto la luce fredda del neon, gli cadde lo sguardo sul parabrezza. 

Fu allora che un’altra crepa gli saltò all’occhio. Improvvisamente vide tutto nero, e prima che potesse anche solo provare a controllarsi, il suo pugno sinistro si abbatté con forza sul vetro.

Un reticolo, come su una sottile lastra di ghiaccio, rivestì tutta la superficie. Tempo qualche secondo, e una pioggia di minuscoli pezzi di vetro ricoprì il cruscotto, i sedili di pelle della sua Maserati - l'emblema della sua vita che scivolava perfetta sulla sua strada   -  ed una patina di realtà che sarebbe stato complicato ripulire.

Tooru aveva ragione. Era rimasto da solo, con un pugno di mosche.

 

****

 

Il giorno dopo, Tooru aprì gli occhi per primo. Davanti a lui, di spalle, un ragazzo che dormiva profondamente. 

Non era molto lucido, e la testa gli esplodeva, ma era abbastanza in sé da sapere che non si trattava di Wakatoshi. Anche perché non si era mai svegliato accanto a Wakatoshi.

E non poteva essere Tetsurō perché aveva i capelli corti. E Tetsurō dormiva a pancia in giù.

Lo annusò. Sapeva di sudore e di una lieve essenza, agrumata.

Allungò una mano toccandolo fra le scapole e lui si mosse nel sonno, girandosi verso di lui.

Hajime Iwaizumi.

Tooru aveva un ricordo vago di lui accanto a Tetsurō, prima alla stazione e poi a casa. Poi più nulla, sprofondato nel delirio della febbre.

Il viso di Hajime, rilassato e inconsapevole, era bello. Ma era bello anche quando era sveglio e accigliato.

Pensò istintivamente di allungare un dito fino a sfiorargli le labbra ma si fermò. Preferì un colpetto di tosse.

A quel punto, il suo compagno di letto si svegliò. Aveva un’espressione comica, fra sorpresa e imbarazzo.

“Buongiorno. Non mi sono approfittato di te, vero?” disse allora Tooru.

“No, non lo hai fatto. E neanche io” Rispose Hajime, con l’ombra di un sorriso sulle labbra.

Tooru si sdraiò sulla schiena, a guardare il soffitto. Sbadigliò.

“L’unico che ne ha approfittato è stato Tetsurō. Dì la verità, ti ha incastrato qui per andarsene da Kiyoko.”

“No, non è andata così. Gli ho detto io di andare, che potevo darti un’occhiata perché oggi sono di turno di pomeriggio. Lui credo abbia da fare allo studio, stamattina.”

Il viso di Tooru si incupì. "Sono davvero uno stronzo...” mormorò.

“Sì, uno stronzo coi fiocchi. Come ti senti?”

“Stordito, confuso. E tu?”

Hajime, dopo quella notte passata a respirargli accanto, avrebbe voluto rispondere anche io, ma poi avrebbe dovuto anche spiegargli il perché, che la sua febbre aveva un’altra origine, e non era il momento.

“Io sto bene…”

Fu il turno di Hajime di girarsi sulla schiena e di guardare il soffitto.

Restarono in silenzio per qualche minuto, poi Tooru si tirò su e provò ad alzarsi, ma appena in piedi barcollò penosamente.

Hajime, che si era mosso di riflesso, si alzò dietro di lui e lo afferrò prima che inciampasse sulle sue stesse gambe malferme. Gli passò le braccia attorno alla vita e lo attirò a sé. Tooru si lasciò andare, di schiena, contro di lui.

“Ehi… piano, che non ti reggi in piedi. Ti serve qualcosa?” 

“Il telefono…” rispose Tooru, uscendo con un po’ di difficoltà da quell’abbraccio. Gli piaceva.

“Siediti. Te lo prendo io.”

“Grazie.”

Hajime gli porse il telefono. Tooru scorse le ultime chiamate e aggrottò la fronte. Wakatoshi lo aveva chiamato e la chiamata era stata presa. Di cosa avevano parlato?

“Mi sono permesso di rispondere io, e di non disturbarti. Eri febbricitante.”

Calò il silenzio. In quella stanza, ora erano in tre, con Wakatoshi convitato di pietra. Si guardarono per un lungo istante. Sapevano che avrebbero dovuto affrontare il discorso ma non capivano ancora in quali termini.

Fu Tooru a rompere il silenzio.

“Vuoi farti una doccia?”

“Vai tu. Io preparo la colazione.”

“Grazie, ma prima devo capire se mi viene da vomitare. Il capogiro di prima non mi ha fatto benissimo…”

“Una doccia ti rimetterà in sesto, vedrai.”

“Ok…. Mi hai convinto.”

In bagno, Tooru si guardò allo specchio. Aveva le occhiaie, era pallido. Uno straccio, una pezza da piedi gettata da un uomo egoista e ipocrita. 

Si sfilò la maglietta e sentì sulla stoffa lo stesso profumo agrumato che aveva sentito addosso ad Hajime. Allora ebbe come un flash, la sensazione, nella penombra della sua camera, di essere stato tenuto stretto, di aver sentito il calore di un altro corpo che scacciava i brividi dal suo. 

Delicato e sfuggente, Hajime Iwaizumi.

Dopo la doccia, lo trovò in cucina, affacciato alla finestra, con una tazza di caffè fra le mani.

In boxer e maglietta, come appena sveglio in un giorno come tanti. 

Non c’era stato mai nulla di normale, invece, con Wakatoshi. Tutto sparato alle stelle, tutto fuori da qualsiasi schema, tutto lussuosamente vacuo, riempito solo di un piacere sconsiderato e volatile, senza ormeggi.  Tooru sapeva che non gli era ancora passata completamente. Non era servito sfebbrare. Era come se fosse appena uscito dal cinema con ancora in mano il biglietto, tutto stropicciato.

Hajime si voltò verso di lui e ne intercettò lo sguardo colmo di pensieri. Avrebbe dato chissà cosa per farne parte ma possedeva solo un’infinita pazienza e un’altrettanto infinita capacità di sopportare le delusioni che la vita gli metteva sulla strada. 

Però non si sarebbe dato per vinto facilmente. Posò la tazzina.

“Ti va di fare un giro?”
“In teoria dovrei riprendermi e andare in ufficio… prima mi sono misurato la febbre e non ce l'ho. Ho anche preso un'aspirina. Sono un perfetto stakanovista pronto a dare il meglio di me anche oggi!” 

Pensò distrattamente che avrebbe dovuto affrontare Tobio e Shoyo, i quali lo avrebbero picchiato per averli sputtanati senza pietà. Ma magari erano contenti.
Qualcuno felice doveva pur esserci, in quella parte di universo!

“Se te la senti... allora ti accompagno.”

Poco dopo, Tooru si teneva a lui mentre la moto andava veloce. Era diverso che andare in Maserati, quella moto era come il suo pilota, scattava, rallentava, senza tregua. Si strinse a lui e Hajime tentò di non perdere il controllo, di tenersi forte mentre l’altro si appoggiava alla sua schiena.

Si riprese solo quando lo lasciò sotto il suo ufficio. 

“Allora quando esci, se ti va, mi trovi al locale. Mi paghi una birra quando ho staccato.”

“Ok”

“Promettimi che non ti metterai nei casini da qui a stasera, e che se ti senti male mi chiami. Ho registrato il mio numero sul tuo cellulare.”
“Lo prometto.”

Hajime sembrava indeciso se aggiungere qualcosa, e poi lo fece.

“Promettimi… che verrai.”

“Lo prometto.”

Occhi nervosi, inquieti e liquidi, a cui Tooru si stava lentamente abituando, occhi di chi era tormentato, scottato, di chi come lui era dall’altra parte con consapevolezza e ne accettava le conseguenze. 

Così diversi dallo sguardo rapace di Wakatoshi, che li aveva catturati entrambi.

Due illusi.

 
   
 
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