Ambivalenza
Francoforte,
inizio di maggio. Notte.
Cammina
lungo il marciapiede dell’isolato, le mani in tasca, il
cappuccio della felpa
gli nasconde il viso. Non che ci sia bisogno di nascondersi, il
quartiere sta
dormendo e lungo la sua passeggiata notturna non incontra nessuno. Non
è la
prima volta che si ritrova a girovagare insonne, negli ultimi mesi gli
è già capitato
di avere problemi ad addormentarsi. È nervoso, Kojiro, anche
perché sa che
dovrebbe dormire, l’indomani l’Eintracht
giocherà in casa nel primo pomeriggio
e verrà schierato titolare.
Si
ferma dopo aver oltrepassato l’angolo vicino a casa, si mette
a sedere su una
panchina. Le mani intrecciate dietro la nuca, si appoggia allo
schienale e
ammira il cielo, dove tra le nuvole fa capolino la luna ormai quasi
piena.
Resta lì, a contemplare l’immensità
sopra la sua testa e il vuoto che sente nel
suo cuore finché il bisogno di parlare con una voce amica
non si fa
insopprimibile. Afferra il cellulare, lo chiama e lui risponde al
secondo
squillo.
K.W.
“Capitano?! Ma che ore sono a Francoforte?”
K.H.
“È quasi l’una…”
Ken
sorride tra sé scuotendo appena la testa.
K.W.
“Posso chiederti perché tu non stia
dormendo?”
K.H.
“Non riesco a dormire. Faccio una fatica tremenda ad
addormentarmi, e allora ho
pensato che potesse essere un buon orario per chiamarti. Come te la
passi?”
K.W.
“Non c’è male. Sto facendo colazione,
tra un’ora devo essere agli allenamenti.”
K.H.
“Ho visto che siete primi in campionato,
complimenti.”
K.W.
“Sì, grazie… Siamo un bel
gruppo.”
K.H.
“E il dojo?”
K.W.
“Va benone. Tre volte la settimana sono là. Mio
padre si è finalmente
rasserenato.”
K.H.
“Sono contento per tutti e due…”
K.W.
“Grazie.”
K.H.
“Lo sapevo che sarebbe stato solo questione di tempo, a volte
poi le soluzioni
arrivano da sole.”
K.W.
“A volte sì. E lì da te che aria
tira?”
K.H.
“Mah, direi tutto bene. Siamo matematicamente qualificati
alla Champions che
era il vero obiettivo stagionale, io ho disputato una buona
stagione.”
K.W.
“Lo so. Seguo le tue statistiche da qui.”
È
il turno di Kojiro di sorridere mentre percepisce quella sensazione
familiare
di calore che lo avvolge ogni volta che chiacchiera con Ken. Sempre,
nonostante
il tempo che passa e nonostante le migliaia di chilometri che li
separano.
K.H.
“Sì, sono soddisfatto.”
K.W.
“Ma non riesci a dormire.”
K.H.
“Già. In questo momento sono seduto su una delle
panchine della via sotto casa,
non riuscivo a prendere sonno.”
Ken
aggrotta le sopracciglia, perplesso.
K.W.
“Ma scusa, non hai nessuna che ti faccia compagnia?”
K.H.
“No. Non più. In questo periodo avevo bisogno di
stare da solo.”
K.W.
“Capisco… Beh, ti conviene comunque almeno
provarci, giocate tra qualche ora…”
Kojiro
fa un sorriso amaro, torna a guardare il cielo. La luna non si vede
più, le
nuvole sembrano averla inghiottita.
Sospira,
sente uno strano ronzio nelle orecchie.
Sbatte
le palpebre e si ricompone, riprende a parlare con una voce
all’improvviso più
profonda.
K.H.
“Il fatto è che ultimamente sto vivendo una
situazione un po’ strana, Ken. Non
so neanch’io come dirlo, mi sento diviso in due. È
per questo che non dormo, ho
come un senso di inquietudine che mi tormenta.”
Ken
fa una smorfia, si era appena alzato per riporre il piatto nella
lavastoviglie
ma torna a sedersi.
K.W.
“Prova a spiegarti meglio.”
Kojiro
sbuffa.
K.H.
“Beh, c’è una piccolissima parte di me
che vorrebbe una cosa, ma è una cosa che
fa anche paura, per cui l’altra parte di me sta cercando di
negarlo a tutti i
costi. E finora c’è riuscita. Ma non sono felice,
non è quello che voglio.”
Ken
fissa un punto di fronte a sé, accavalla la gamba e un
sorriso appena accennato
gli increspa le labbra.
K.W.
“Forse se non sei felice stai sbagliando qualcosa.”
K.H.
“È facile a dirsi…”
K.W.
“Beh, sì. Quella cosa è così
terrificante?”
Kojiro
risponde con quello che sembra un sibilo.
K.H.
“Non ne hai idea…”
K.W.
“Ok. Non ti chiedo che cosa sia. Però se ti
dà un tormento così grande e da
così tanto tempo è perché quella cosa
forse ha acceso un fuoco che sta
bruciando dentro di te… E sai, io credo che, quando si ha il
fuoco dentro, di
solito valga la pena correre il rischio.”
K.H.
“E se mi brucio?”
Ken
sorride divertito.
K.W.
“Ma se fai le passeggiate notturne perché non
riesci a dormire stai già
bruciando, capitano!”
Monaco
di Baviera, la stessa notte
Il
bilancio a fine stagione del Bayern quell’anno è
ambivalente: si conclude con
la gioia per la conquista della Bundesliga ma porta con sé
anche la cocente delusione
per l’eliminazione in semifinale di Champions League.
La
vittoria contro il Colonia regala il titolo con una giornata di
anticipo,
quella sera tutta la squadra festeggia cenando con i piatti fatti
consegnare
dal servizio catering direttamente nello spogliatoio e poi si
trasferisce a far
baldoria in un locale notturno.
Genzo
ha giocato un’altra partita perfetta, la rete dei bavaresi
è rimasta inviolata
ancora una volta. È il portiere che ha subito meno reti di
tutto il campionato
tedesco, manca ancora l’ultimo incontro per decretarlo
ufficialmente ma tutti
sanno già che verrà nuovamente premiato come il
migliore della Bundesliga.
Si
sente abbastanza soddisfatto, l’annata è stata
tutto sommato positiva.
Ci
riflette mentre è seduto sui divanetti di fronte a Karl e a
Stefan, sente la
musica rimbombare direttamente dalle casse al suo diaframma. Guarda il
suo
migliore amico, lo osserva portarsi alle labbra una flûte di
champagne e
lanciare in giro occhiate pigre alla sala con aria annoiata. Sa
perfettamente
che entrambi in quel preciso istante preferirebbero essere altrove e
avere
qualcuno di speciale al proprio fianco.
Le
luci laser e i led disegnano coreografie allineate al ritmo dei bassi,
compaiono i ballerini e le ballerine arrampicate sui tacchi a spillo.
Si sente
all’improvviso piuttosto stanco.
Prova
a riscuotersi, si ripete che ha di che essere fiero ma non
può ignorare una
vocina fastidiosa che invece sembra voler puntare i piedi e urlare a
gran voce
che no, non si può accontentare così.
Che
deve ambire a molto, molto di più.
Che
non è sufficiente, non per uno come lui.
L’anno
prossimo. L’anno prossimo vinciamo tutto.
Ma
io non parlavo solo della squadra.
Genzo
strizza gli occhi, sbuffa.
Il
loro tavolo è accerchiato da gruppi di ragazze che sembrano
molto determinate a
cogliere la più piccola occasione di un contatto con uno dei
giocatori, vengono
palesemente ignorate da tutti e tre. Nessuna di loro ha la
benché minima
speranza.
Con
noncuranza afferra il telefono, vuole controllare che ore siano per
capire se
potrebbe già congedarsi senza fare la figura del misantropo.
È
soltanto l’una e mezza.
Ma
vede alcune notifiche su Whatsapp.
Scorre
le anteprime, uno dei messaggi è di Kojiro.
È
una capriola del cuore, lo legge trattenendo il respiro.
‘Ciao,
complimenti per la vittoria. Sia per il Bayern, avete fatto un ottimo
campionato, ma soprattutto per te. Miglior portiere per, boh, quanti
anni di
fila? Comunque sia, congratulazioni. Sei sempre il numero
uno.’
Resta
a fissare lo schermo per quella che sembra
un’eternità.
Sei
sempre il numero uno.
Sempre
il numero uno.
Il
numero uno.
Il
pollice scorre veloce e digita la risposta, non gli serve pensare.
Invia.
‘Grazie.
Tu sei uno dei pochi che ha sporcato il mio record. E sei
l’unico’
Non
aggiunge altro. Avrebbe potuto scrivere tante cose, oppure metterci dei
puntini
di sospensione. Avrebbe potuto essere chiaro o allusivo, decide di
esprimersi
per come si sente. Mozzato.
Kojiro
legge subito il messaggio di Genzo.
Lo
legge, e poi lo rilegge ad alta voce.
Lo
sa quali sono le parole mancanti.
Si
stropiccia la faccia, e torna a sentire quelle palpitazioni.
È
con queste premesse che i due si ritrovano fianco a fianco a
Nishinomiya, al
ritiro della Nazionale organizzato alla fine di maggio.
Si
incontrano nella hall dell’albergo, Kojiro era già
lì, Genzo appena arrivato
dall’aeroporto. Si salutano con un cenno, non
c’è tempo per altro e non è
nemmeno il momento giusto.
Durante
il briefing sono seduti lontani, lo stesso a tavola, hanno i posti
assegnati.
Ma
durante gli allenamenti si trovano spesso vicini, mai da soli.
Rimangono di
frequente a parlare in gruppo con altri compagni di squadra, tra loro
due non
ci sono scambi di occhiate né messaggi di intesa. Come se
fosse un rapporto
sempre cordiale ma diventato freddo e distante.
Genzo
vorrebbe fare il primo passo, ancora una volta.
Ma
questa volta non sa davvero come approcciarlo, e sentirsi evitati e
respinti è
frustrante.
Non
sa della tempesta che da mesi infuria nella testa di Kojiro, non lo
può sapere.
Anche quello è un segreto che non conosce nessuno.
Gli
impegni della Nazionale si snodano per sette giorni tra amichevoli,
allenamenti
e qualche cena ufficiale in attesa della convocazione successiva che li
vedrà
scendere in campo per l’ultima fase delle qualificazioni
della Coppa d’Asia, e
sono giorni che passano in fretta. Troppo in fretta.
Ma
poi succede.
L’occasione
si presenta dopo l’ultima partita giocata contro il Vissel
Kobe, Genzo si è
attardato sotto la doccia. Fa tutto con calma, perso nei suoi pensieri,
quando
esce con l’asciugamano annodato sui fianchi è
convinto di essere solo nello
spogliatoio, e quasi si spaventa quando lo vede seduto lì,
su una delle
poltroncine.
Kojiro
è già vestito, il trolley pronto ai suoi piedi.
Lo ha atteso in silenzio.
Si
guardano negli occhi, l’aria diventa all’improvviso
tesa.
Genzo
sbatte le palpebre, nervoso, e con pochi passi rapidi raggiunge la sua
postazione e gli dà le spalle. Vorrebbe parlare, dire tante
cose, e dirle bene.
Non trova le parole, e si arrabbia con sé stesso.
L’altro
non si è nemmeno mosso.
Passano
i secondi, inesorabili, uno dopo l’altro.
E
allora Genzo si decide, si toglie l’asciugamano e resta nudo,
ma sempre voltato
verso il muro. Kojiro non lo sta nemmeno guardando ma lui non lo
può sapere.
«Quindi?
Che cosa stai facendo qui?»
La
voce risulta molto meno fredda, e soprattutto molto più
titubante di quanto
avrebbe voluto.
«Non
lo so bene nemmeno io…»
Scuote
la testa, cerca di respirare normalmente e comincia a vestirsi. Per
prima cosa
si infila i boxer, poi i pantaloni della tuta.
Finalmente
Kojiro sembra ridestarsi e solleva lo sguardo.
«Non
lo so bene ma so che ci sono delle cose che potrei dirti. Che vorrei
dirti.»
prende fiato «Tanto per cominciare sono dispiaciuto. Per
tutto. Lo so di non
essermi comportato tanto bene.»
Genzo
si blocca, le braccia a mezz’aria con la maglia in mano. Alza
gli occhi al
cielo.
«Hyuga.
Non è che abbiamo litigato o che tu mi hai fatto un
torto.»
«No,
ma…»
«Niente
ma.» indossa la maglia e si gira, pianta gli occhi in quelli
dell’altro «Io ho
il dispiacere di non essere stato abbastanza chiaro e di essermi
cacciato da
solo in un ginepraio.»
Kojiro
deglutisce, non ribatte.
Genzo
riprende.
«Per
cui ok, visto che hai fatto questo bel gesto di farmi un agguato nello
spogliatoio – che peraltro è una mossa piuttosto
audace visto il contesto, non
credi? -, comunque sia, visto che me ne stai dando
l’occasione, io adesso sarò
molto chiaro. Con te e con me stesso.»
L’altro
stringe i pugni, a disagio.
«Io
sono innamorato. Di te. Da Miami.»
Le
parole si fanno trovare e fluiscono, incredibilmente leggere.
«Magari
anche da prima, non ne sono sicuro. Ma di sicuro Miami mi ha aperto gli
occhi e
ho capito.» prende fiato «Ho provato a negarlo a me
stesso, non ci riesco. Non
pensare che sia stato semplice. È stato uno shock. Ma
è la verità. E ho provato
a dirtelo, ma ho capito che tu avevi intuito e ne eri tremendamente
turbato. Se
non disgustato. E questa cosa mi ha fatto male.»
Adesso
crede di non potersi più fermare.
«Ci
sono stato male per mesi, Hyuga! Ed è stato peggio di quello
che mi sarei
potuto aspettare, perché oltre al dolore che ho
già conosciuto per un amore non
corrisposto c’era la vergogna, e la consapevolezza di doverti
vedere più spesso
di quanto avrei voluto tra Bundesliga e Nazionale.»
Sorride
sarcastico.
«Eccomi
qui. Adesso lo sai, in modo chiaro e inequivocabile. E puoi fare quello
che
vuoi, puoi dire quello che vuoi. E così anch’io lo
saprò in modo chiaro e potrò
davvero guardare oltre.»
Kojiro
si mette le mani nei capelli, la fronte è corrucciata.
«Io…
Io non sono gay. Mi piacciono le ragazze, addirittura ho sempre
preferito
quelle con le tette grandi.»
Genzo
scoppia a ridere, ma è una risata cattiva.
«Ma
dai? Nemmeno io sono gay. Non mi alletta l’idea di fare sesso
con un altro uomo,
te lo assicuro.»
Chiude
il suo trolley, lo fissa negli occhi con una spavalderia che aveva
dimenticato.
«Sei
tu, Kojiro. Solo tu.»
Non
sta ad ascoltare la risposta, vede che l’altro sta provando a
farfugliare
qualcosa e quasi annaspa, non vuole sentire parole di compatimento.
Afferra
la maniglia ed esce dalla stanza.