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Autore: Vallentyne    19/02/2024    10 recensioni
«Ma dimmi un po’.»
«Cosa.»
«Tu stai uscendo con qualcuna? Non ho più sentito parlare delle tue avventure, e adesso che ci penso questo è piuttosto strano. Che ti succede?»
Si ferma a un semaforo.
Si volta verso di lei.
«Questa è un’altra storia. Magari te la racconterò, ma non oggi.»
Era stato al fianco di Karl nei momenti bui così come in quelli gioiosi, la sua presenza era stata determinante nello sviluppo delle vicende raccontate ne La parte migliore. Non era però trapelato quasi nulla della sua vita privata, che sembrava voler custodire gelosamente.
È arrivato il momento di raccontarla. Questa è l’altra storia, quella di Genzo.
Note: Seguito di TRE. La ff viaggia parallela a La parte migliore, ma è la chiusura di quel percorso cominciato con la oneshot Quasi per caso. Utilizzo occasionale di linguaggio volgare.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Genzo Wakabayashi/Benji, Kojiro Hyuga/Mark
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Lonely hearts'
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Ambivalenza

 

Francoforte, inizio di maggio. Notte.

 

Cammina lungo il marciapiede dell’isolato, le mani in tasca, il cappuccio della felpa gli nasconde il viso. Non che ci sia bisogno di nascondersi, il quartiere sta dormendo e lungo la sua passeggiata notturna non incontra nessuno. Non è la prima volta che si ritrova a girovagare insonne, negli ultimi mesi gli è già capitato di avere problemi ad addormentarsi. È nervoso, Kojiro, anche perché sa che dovrebbe dormire, l’indomani l’Eintracht giocherà in casa nel primo pomeriggio e verrà schierato titolare.

Si ferma dopo aver oltrepassato l’angolo vicino a casa, si mette a sedere su una panchina. Le mani intrecciate dietro la nuca, si appoggia allo schienale e ammira il cielo, dove tra le nuvole fa capolino la luna ormai quasi piena. Resta lì, a contemplare l’immensità sopra la sua testa e il vuoto che sente nel suo cuore finché il bisogno di parlare con una voce amica non si fa insopprimibile. Afferra il cellulare, lo chiama e lui risponde al secondo squillo.

 

K.W. “Capitano?! Ma che ore sono a Francoforte?”

K.H. “È quasi l’una…”

Ken sorride tra sé scuotendo appena la testa.

K.W. “Posso chiederti perché tu non stia dormendo?”

K.H. “Non riesco a dormire. Faccio una fatica tremenda ad addormentarmi, e allora ho pensato che potesse essere un buon orario per chiamarti. Come te la passi?”

K.W. “Non c’è male. Sto facendo colazione, tra un’ora devo essere agli allenamenti.”

K.H. “Ho visto che siete primi in campionato, complimenti.”

K.W. “Sì, grazie… Siamo un bel gruppo.”

K.H. “E il dojo?”

K.W. “Va benone. Tre volte la settimana sono là. Mio padre si è finalmente rasserenato.”

K.H. “Sono contento per tutti e due…”

K.W. “Grazie.”

K.H. “Lo sapevo che sarebbe stato solo questione di tempo, a volte poi le soluzioni arrivano da sole.”

K.W. “A volte sì. E lì da te che aria tira?”

K.H. “Mah, direi tutto bene. Siamo matematicamente qualificati alla Champions che era il vero obiettivo stagionale, io ho disputato una buona stagione.”

K.W. “Lo so. Seguo le tue statistiche da qui.”

È il turno di Kojiro di sorridere mentre percepisce quella sensazione familiare di calore che lo avvolge ogni volta che chiacchiera con Ken. Sempre, nonostante il tempo che passa e nonostante le migliaia di chilometri che li separano.

K.H. “Sì, sono soddisfatto.”

K.W. “Ma non riesci a dormire.”

K.H. “Già. In questo momento sono seduto su una delle panchine della via sotto casa, non riuscivo a prendere sonno.”

Ken aggrotta le sopracciglia, perplesso.

K.W. “Ma scusa, non hai nessuna che ti faccia compagnia?”

K.H. “No. Non più. In questo periodo avevo bisogno di stare da solo.”

K.W. “Capisco… Beh, ti conviene comunque almeno provarci, giocate tra qualche ora…”

Kojiro fa un sorriso amaro, torna a guardare il cielo. La luna non si vede più, le nuvole sembrano averla inghiottita.

Sospira, sente uno strano ronzio nelle orecchie.

Sbatte le palpebre e si ricompone, riprende a parlare con una voce all’improvviso più profonda.

K.H. “Il fatto è che ultimamente sto vivendo una situazione un po’ strana, Ken. Non so neanch’io come dirlo, mi sento diviso in due. È per questo che non dormo, ho come un senso di inquietudine che mi tormenta.”

Ken fa una smorfia, si era appena alzato per riporre il piatto nella lavastoviglie ma torna a sedersi.

K.W. “Prova a spiegarti meglio.”

Kojiro sbuffa.

K.H. “Beh, c’è una piccolissima parte di me che vorrebbe una cosa, ma è una cosa che fa anche paura, per cui l’altra parte di me sta cercando di negarlo a tutti i costi. E finora c’è riuscita. Ma non sono felice, non è quello che voglio.”

Ken fissa un punto di fronte a sé, accavalla la gamba e un sorriso appena accennato gli increspa le labbra.

K.W. “Forse se non sei felice stai sbagliando qualcosa.”

K.H. “È facile a dirsi…”

K.W. “Beh, sì. Quella cosa è così terrificante?”

Kojiro risponde con quello che sembra un sibilo.

K.H. “Non ne hai idea…”

K.W. “Ok. Non ti chiedo che cosa sia. Però se ti dà un tormento così grande e da così tanto tempo è perché quella cosa forse ha acceso un fuoco che sta bruciando dentro di te… E sai, io credo che, quando si ha il fuoco dentro, di solito valga la pena correre il rischio.”

K.H. “E se mi brucio?”

Ken sorride divertito.

K.W. “Ma se fai le passeggiate notturne perché non riesci a dormire stai già bruciando, capitano!”

 

 

Monaco di Baviera, la stessa notte

 

Il bilancio a fine stagione del Bayern quell’anno è ambivalente: si conclude con la gioia per la conquista della Bundesliga ma porta con sé anche la cocente delusione per l’eliminazione in semifinale di Champions League.

La vittoria contro il Colonia regala il titolo con una giornata di anticipo, quella sera tutta la squadra festeggia cenando con i piatti fatti consegnare dal servizio catering direttamente nello spogliatoio e poi si trasferisce a far baldoria in un locale notturno.

Genzo ha giocato un’altra partita perfetta, la rete dei bavaresi è rimasta inviolata ancora una volta. È il portiere che ha subito meno reti di tutto il campionato tedesco, manca ancora l’ultimo incontro per decretarlo ufficialmente ma tutti sanno già che verrà nuovamente premiato come il migliore della Bundesliga.

Si sente abbastanza soddisfatto, l’annata è stata tutto sommato positiva.

Ci riflette mentre è seduto sui divanetti di fronte a Karl e a Stefan, sente la musica rimbombare direttamente dalle casse al suo diaframma. Guarda il suo migliore amico, lo osserva portarsi alle labbra una flûte di champagne e lanciare in giro occhiate pigre alla sala con aria annoiata. Sa perfettamente che entrambi in quel preciso istante preferirebbero essere altrove e avere qualcuno di speciale al proprio fianco.

Le luci laser e i led disegnano coreografie allineate al ritmo dei bassi, compaiono i ballerini e le ballerine arrampicate sui tacchi a spillo. Si sente all’improvviso piuttosto stanco.

Prova a riscuotersi, si ripete che ha di che essere fiero ma non può ignorare una vocina fastidiosa che invece sembra voler puntare i piedi e urlare a gran voce che no, non si può accontentare così.

Che deve ambire a molto, molto di più.

Che non è sufficiente, non per uno come lui.

L’anno prossimo. L’anno prossimo vinciamo tutto.

Ma io non parlavo solo della squadra.

Genzo strizza gli occhi, sbuffa.

Il loro tavolo è accerchiato da gruppi di ragazze che sembrano molto determinate a cogliere la più piccola occasione di un contatto con uno dei giocatori, vengono palesemente ignorate da tutti e tre. Nessuna di loro ha la benché minima speranza.

Con noncuranza afferra il telefono, vuole controllare che ore siano per capire se potrebbe già congedarsi senza fare la figura del misantropo.

È soltanto l’una e mezza.

Ma vede alcune notifiche su Whatsapp.

Scorre le anteprime, uno dei messaggi è di Kojiro.

È una capriola del cuore, lo legge trattenendo il respiro.

‘Ciao, complimenti per la vittoria. Sia per il Bayern, avete fatto un ottimo campionato, ma soprattutto per te. Miglior portiere per, boh, quanti anni di fila? Comunque sia, congratulazioni. Sei sempre il numero uno.’

Resta a fissare lo schermo per quella che sembra un’eternità.

Sei sempre il numero uno.

Sempre il numero uno.

Il numero uno.

Il pollice scorre veloce e digita la risposta, non gli serve pensare. Invia.

‘Grazie. Tu sei uno dei pochi che ha sporcato il mio record. E sei l’unico’

Non aggiunge altro. Avrebbe potuto scrivere tante cose, oppure metterci dei puntini di sospensione. Avrebbe potuto essere chiaro o allusivo, decide di esprimersi per come si sente. Mozzato.

Kojiro legge subito il messaggio di Genzo.

Lo legge, e poi lo rilegge ad alta voce.

Lo sa quali sono le parole mancanti.

Si stropiccia la faccia, e torna a sentire quelle palpitazioni.

 

 

È con queste premesse che i due si ritrovano fianco a fianco a Nishinomiya, al ritiro della Nazionale organizzato alla fine di maggio.

Si incontrano nella hall dell’albergo, Kojiro era già lì, Genzo appena arrivato dall’aeroporto. Si salutano con un cenno, non c’è tempo per altro e non è nemmeno il momento giusto.

Durante il briefing sono seduti lontani, lo stesso a tavola, hanno i posti assegnati.

Ma durante gli allenamenti si trovano spesso vicini, mai da soli. Rimangono di frequente a parlare in gruppo con altri compagni di squadra, tra loro due non ci sono scambi di occhiate né messaggi di intesa. Come se fosse un rapporto sempre cordiale ma diventato freddo e distante.

Genzo vorrebbe fare il primo passo, ancora una volta.

Ma questa volta non sa davvero come approcciarlo, e sentirsi evitati e respinti è frustrante.

Non sa della tempesta che da mesi infuria nella testa di Kojiro, non lo può sapere. Anche quello è un segreto che non conosce nessuno.

Gli impegni della Nazionale si snodano per sette giorni tra amichevoli, allenamenti e qualche cena ufficiale in attesa della convocazione successiva che li vedrà scendere in campo per l’ultima fase delle qualificazioni della Coppa d’Asia, e sono giorni che passano in fretta. Troppo in fretta.

Ma poi succede.

L’occasione si presenta dopo l’ultima partita giocata contro il Vissel Kobe, Genzo si è attardato sotto la doccia. Fa tutto con calma, perso nei suoi pensieri, quando esce con l’asciugamano annodato sui fianchi è convinto di essere solo nello spogliatoio, e quasi si spaventa quando lo vede seduto lì, su una delle poltroncine.

Kojiro è già vestito, il trolley pronto ai suoi piedi. Lo ha atteso in silenzio.

Si guardano negli occhi, l’aria diventa all’improvviso tesa.

Genzo sbatte le palpebre, nervoso, e con pochi passi rapidi raggiunge la sua postazione e gli dà le spalle. Vorrebbe parlare, dire tante cose, e dirle bene. Non trova le parole, e si arrabbia con sé stesso.

L’altro non si è nemmeno mosso.

Passano i secondi, inesorabili, uno dopo l’altro.

E allora Genzo si decide, si toglie l’asciugamano e resta nudo, ma sempre voltato verso il muro. Kojiro non lo sta nemmeno guardando ma lui non lo può sapere.

«Quindi? Che cosa stai facendo qui?»

La voce risulta molto meno fredda, e soprattutto molto più titubante di quanto avrebbe voluto.

«Non lo so bene nemmeno io…»

Scuote la testa, cerca di respirare normalmente e comincia a vestirsi. Per prima cosa si infila i boxer, poi i pantaloni della tuta.

Finalmente Kojiro sembra ridestarsi e solleva lo sguardo.

«Non lo so bene ma so che ci sono delle cose che potrei dirti. Che vorrei dirti.» prende fiato «Tanto per cominciare sono dispiaciuto. Per tutto. Lo so di non essermi comportato tanto bene.»

Genzo si blocca, le braccia a mezz’aria con la maglia in mano. Alza gli occhi al cielo.

«Hyuga. Non è che abbiamo litigato o che tu mi hai fatto un torto.»

«No, ma…»

«Niente ma.» indossa la maglia e si gira, pianta gli occhi in quelli dell’altro «Io ho il dispiacere di non essere stato abbastanza chiaro e di essermi cacciato da solo in un ginepraio.»

Kojiro deglutisce, non ribatte.

Genzo riprende.

«Per cui ok, visto che hai fatto questo bel gesto di farmi un agguato nello spogliatoio – che peraltro è una mossa piuttosto audace visto il contesto, non credi? -, comunque sia, visto che me ne stai dando l’occasione, io adesso sarò molto chiaro. Con te e con me stesso.»

L’altro stringe i pugni, a disagio.

«Io sono innamorato. Di te. Da Miami.»

Le parole si fanno trovare e fluiscono, incredibilmente leggere.

«Magari anche da prima, non ne sono sicuro. Ma di sicuro Miami mi ha aperto gli occhi e ho capito.» prende fiato «Ho provato a negarlo a me stesso, non ci riesco. Non pensare che sia stato semplice. È stato uno shock. Ma è la verità. E ho provato a dirtelo, ma ho capito che tu avevi intuito e ne eri tremendamente turbato. Se non disgustato. E questa cosa mi ha fatto male.»

Adesso crede di non potersi più fermare.

«Ci sono stato male per mesi, Hyuga! Ed è stato peggio di quello che mi sarei potuto aspettare, perché oltre al dolore che ho già conosciuto per un amore non corrisposto c’era la vergogna, e la consapevolezza di doverti vedere più spesso di quanto avrei voluto tra Bundesliga e Nazionale.»

Sorride sarcastico.

«Eccomi qui. Adesso lo sai, in modo chiaro e inequivocabile. E puoi fare quello che vuoi, puoi dire quello che vuoi. E così anch’io lo saprò in modo chiaro e potrò davvero guardare oltre.»

Kojiro si mette le mani nei capelli, la fronte è corrucciata.

«Io… Io non sono gay. Mi piacciono le ragazze, addirittura ho sempre preferito quelle con le tette grandi.»

Genzo scoppia a ridere, ma è una risata cattiva.

«Ma dai? Nemmeno io sono gay. Non mi alletta l’idea di fare sesso con un altro uomo, te lo assicuro.»

Chiude il suo trolley, lo fissa negli occhi con una spavalderia che aveva dimenticato.

«Sei tu, Kojiro. Solo tu.»

Non sta ad ascoltare la risposta, vede che l’altro sta provando a farfugliare qualcosa e quasi annaspa, non vuole sentire parole di compatimento.

Afferra la maniglia ed esce dalla stanza.

 

   
 
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