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Autore: Lilyrae    20/02/2024    0 recensioni
La vita prosegue tranquillamente, dopo una lunga Estate passata a recuperare rapporti, tempo perso e persino compiti scolasti, Yuma Tsukumo è pronto a iniziare il secondo anno, una svolta segnante la nuova alba e proietta ombre simili a campanelli d'allarme, che continuano a suonare infrangendo il delicato equilibro creato dall'apparente pace: gli basta guardare verso l'alto, per capire il problema. Il cielo di Heartland City è solitamente sgombro, ma adesso misteriosi avvenimenti compaiono continuamente gettando le basi a demolire l'epilogo.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: I Sette Imperatori Bariani, Nuovo personaggio, Yuma/Yuma
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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The beginning of a New Era
Capitolo 2
Il venticello caldo gli accarezza i capelli, legati in una coda alta, nonostante il Sole sta iniziando a scomparire dietro l’orizzonte, deformato dalla presenza di palazzi di ogni dimensione, disegnando sulla strada le slanciate ombre degli alberi. Attorno a lui la gente passeggia, ignara del suo stato d’animo e dell’incidente appena successo, troppo recente per essere già sulla bocca di tutti. Si ferma davanti alla rampa di scale che portano alla stazione metropolitana, tormentando la zip della borsa contenente il biglietto mensile e i soldi per una cena che mai si farà. Al momento, l’unica cosa che vorrebbe fare è tornare a casa e rinchiudersi in stanza per metabolizzare l’accaduto, mal sopportando l’uggia di dover prendere il treno fino alla sua fermata.
 
Rassegnato all’idea di essere schiacciato tra perfetti sconosciuti, iniziò a percorrerle con lo sguardo fisso sui gradini, fino a quando una voce non lo fermò a metà. Voltò appena il capo, incrociando gli occhi azzurri della sua vecchia nemesi, ora divenuta una semplice conoscenza. Si fissarono in silenzio, prima che Misael distolse lo sguardo, scrutando il cartellone pubblicitario dietro di lui per fingere l’aria di superiorità, in contrasto con la sensazione di vergogna provata al momento, che solitamente lo caratterizza. Le scene sulla Luna si ripetono come una pellicola, inceppata sui punti più dolorosi da guardare, facendogli optare il silenzio. È troppo orgoglioso per mostrarsi così debole, scosso dalla spiacevole notizia e il ritrovarsi davanti una vittima della sua crudeltà bariana senza preavviso.
 
Non poté fare a meno di maledire Durbe e il suo consiglio di iniziare a stringere qualche nuova amicizia, rendendolo una persona diversa dal sé di pochi mesi prima, limitato in un mondo di arroganza, rivolta verso ogni singola forma di vita, che risparmia solo pochi individui.
 
«’Sera» lo salutò, non dimostrando alcun astio, ma la consueta indifferenza alla quale tutti - chi più, chi meno - si sono abituati. Fece l’errore di scrutare il suo interlocutore una seconda volta, temendo di rilevare l’angoscia provata attraverso gli occhi. Da quando ha sentito quel proverbio terreste, detto proprio da Durbe, che li dipingeva come lo specchio dell’anima, l’idea di intrattenere una chiacchierata non lo entusiasma affatto, riluttante al raccontare di sé.
 
Ricambia con un cenno, accorciando la distanza di qualche passo. Mantenne un po’ di distanza, per non sentire il suo spazio personale violato, in attesa di sentirlo parlare. Il massimo che può offrire in un dialogo sono delle risposte quando viene interpellato, non prenderà mai l’iniziativa e, semmai succede, è perché deve comunicare qualcosa di importante. Non parlerà solo per dare aria alla bocca.
 
«Vuoi un passaggio?» la domanda lo spiazzò, trovandola inaspettata e alquanto strana. Kaito è un lupo solitario, uno che preferirebbe starsene sulle sue, poco incline alla compagnia. Men che meno la sua, eppure non ci ha pensato neanche un secondo, prima di fargli quella stramba proposta.
 
«Quindi?» insiste, facendo trapelare una certa impazienza, tipica di chi sta per dire qualcosa importante, ma non è il luogo adatto per farlo. Questa sensazione, lo spinse ad accettare, in parte allietato all’idea di fare un viaggio più comodo per tornare a casa.
 
Lo seguì al parcheggio, non troppo lontano dall’aeroporto per permettere ai viaggiatori di scaricare le valigie in tutta comodità, senza la fretta di dover percorrere un ulteriore tratto di strada prima del check-in. Fissò il casco lucido per qualche istante, ancora stupito dal come ha accettato l’aiuto di qualcuno, di un ex nemico per giunta, prima di notare il riflesso di Kaito che lo esorta a indossarlo.
 
Forse, l’umanità l’ha reso più modesto. Facendo attenzione a non spettinarsi, se lo calò sul capo per prendere posto dietro di lui, ringraziando il cielo che i nuovi modelli non lo costringono ad avere ulteriori contatti col conducente. La vicinanza è più che abbastanza.
 
«Parla, che vorresti dirmi?» domandò inquisitorio, il tono di voce, freddo se rivolto a persone con le quali non è in confidenza, di nuovo sotto il suo controllo.
 
«Non è una coincidenza»
 
«Che?!» Misael finse un colpo di tosse, la sorpresa sfumata subito in realizzazione: Kaito è sempre un passo avanti a loro, grazie alla disgustosa quantità di tecnologia che possiede. Gli basta niente per trovare informazioni sull’incidente aereo e cosa c’è dietro, seppur un grammo di verità.
 
«Stiamo raccogliendo informazioni tra una cosa e l’altra» continuò, sicuro che riuscirà a stargli dietro. Misael non è stupido, farà tesoro di questa breve, importante, chiacchierata.
 
«E sentiamo…» rimarcò quest’ultimo «…cosa vi tiene occupati dall’approfondire una ricerca su una possibile minaccia»
 
«Non siamo macchine. Si tratta comunque di una cosa inerente ai duelli, il resto lo scoprirete in seguito» e prima che possa dire qualcosa, la motocicletta si ferma. Ci impiegò un po’ a notare che si trovavano davanti al cancello del dormitorio, e di certo non ha modo per trattenere Kaito, mirando a fargli svuotare il sacco.
 
«Vi faremo sapere appena abbiamo delle certezze» lo congedò, partendo non appena mise entrambi i piedi sul marciapiede e il casco al suo posto.
 
 
Yuma si svegliò di soprassalto, per realizzare di essere steso sul pavimento e non nell’amaca. Da quando aveva superato il sentimento di nostalgia, che l’aveva tormentato per un bel po’, era tornato a dormire nella soffitta come ai vecchi tempi, solo che non c’è più Astral a dargli il buongiorno, ma il volto furente di sua sorella Akari. Istintivamente, prese il cuscino, finito anch’esso a terra, per usarlo come scudo.
 
«Ben svegliato, Yuma! Lo sai che è iniziato il tuo primo giorno di scuola e sei ad un passo così…» alzò una mano, appoggiando intanto una scatola di medie dimensioni sulla cassettiera, per indicare il poco tempo disponibile col pollice e l’indice che, quasi, si sfiorano «…dall’arrivare in ritardo. Se ci tieni a duellare quando torni a casa, voglio vederti pronto entro cinque minuti»
 
Detto quanto deve dire, e scoccandogli nel mentre un’occhiata che lo fece balzare in piedi, chiuse la porta. Nel prepararsi, correndo da una stanza all’altra con lo spazzolino in bocca, non poté fare a meno di soffermarsi sulla nuova uniforme scolastica. Simile alla sua solita, ma col bordo smeraldino, segno che era riuscito a passare l’anno. Con un sorriso gongolante, al ricordo dell’espressione stupita della sorella quando il professor Kitano rivelò di averlo graziato, si sfila la maglia del pigiama per indossare gli abiti per la giornata.
 
Raggiunta la cucina, appena in tempo, trova Akari intenta a bere un caffè sull’entrata, la quale gli tende il deck non appena le si avvicinò. È stato il suo metodo di ricatto fino a ora, per incentivarlo a studiare. A compiti conclusi non ha più motivo di farlo.
 
«Grazie» esclamò, felice di averlo, di nuovo, al sicuro con sé.
 
Il tavolo è imbandito con un cestino di pane e diversi vasetti di marmellata: una colazione all’occidentale, ordinaria amministrazione in casa Tsukumo. I suoi genitori sono soliti viaggiare in giro per il mondo, e anche lui ha avuto l’occasione di visitare l’estero. Sarebbe stato piacevole, se non avesse avuto i bariani alle calcagna.
 
«Mamma e papà sono al lavoro, torneranno qualche ora dopo il tuo ritorno a casa» stava snocciolando la sorella, lo sguardo fisso sul telefono mentre apre pagine dopo pagine. Annuì, non senza smettere di spalmare la confettura sul pane.
 
«A proposito, il primo giorno finisce a mez- Yuma, non ingozzarti di cibo!» l’occhiataccia di Akari lo costringe a sfilare la fetta di pane, intera, dalla bocca «E sarà così per questa settimana, dalla prossima tornerà l’orario classico»
 
«Benissimo, grazie per la colazione!» le saluta Yuma, divorando l’ultima fetta di pane e marmellata, prima di uscire di corsa da casa.
 
Akari si passa una mano sul volto, sconsolata «Non cambierà mai»
 
A pochi metri, Yuma si accorse che non è necessario correre: ha tutto il tempo che vuole, e la probabilità di venir attaccato da qualche figura losca è praticamente nulla. Ogni tanto si lascia scappare uno sbadiglio, certo di destarsi completamente grazie alla camminata mattutina. Uno dei motivi per cui non viene mai accompagnato, considerando l’ultima volta dove si è addormentato in auto e sua sorella ha dovuto passare una buona manciata di minuti a svegliarlo.
 
Svoltò l’angolo, venendo accostato da Arito e Tetsuo, indaffarati in una gara sullo skateboard.
 
«Uno Yuma mattiniero, che cosa rara!» commentò il ragazzone, rallentando appena come per studiarlo. Anche l’ex gladiatore si accostò, ritrovandoseli entrambi ai lati.
 
«E già, già» gli fece l’eco. Yuma arrossì appena, sentendosi una cavia da laboratorio circondata da un gruppo di scienziati. Per sua fortuna, uno dei due schettinò poco più avanti.
 
«Chi arriva per ultimo compra la merenda!»
 
«Ma non è un po’ scorretto?» obbiettò Arito, rimasto affianco al campione dei duelli. Vincere non gli dispiace, ma lo trova un po’ ingiusto quando loro possiedono uno skateboard e Yuma solo le sue gambe.
 
«Naaah, quello se vuole corre come un ghepardo» Tetsuo agitò una mano con noncuranza. Convinto dalle sue parole, Arito prese velocità. Saltarono entrambi la rampa di scale, passando dalla discesa nel mezzo, con Yuma che cerca di tenere il passo poco più indietro, fino a quando non inciampò rotolando giù dagli ultimi gradini.
 
«Owh» piagnucolò, dandosi mentalmente dello stupido. Avrebbe dovuto declinare la sfida, così non si sarebbe trovato col dover pagare per tre e il fondoschiena dolorante. Lo sgommare di una moto lo distrae dal momento di autocommiserazione, riaprì gli occhi per vedere il volto di Rio che copre il sole.
 
«Oh, ma guarda chi abbiamo!» esclamò la ragazza, tendendogli una mano per aiutarlo a rialzarsi «Il grande Yuma Tsukumo, in tempo per giunta!»
 
Yuma alza gli occhi al cielo, borbottando «Il fatto che sono in tempo è così strano?»
 
«Abbastanza, non sei mai in tempo» si aggiunse Ryoga, rigirando le chiavi della moto, parcheggiata poco più in là, su un dito. Recuperato pure il casco della sorella, si congedò.
 
«A dopo Ryoga!» gli grida dietro, ricevendo un cenno della mano come saluto. Dopo essersi sistemata la gonna blu, prende Yuma sottobraccio trascinandolo davanti all’entrata. Lì, s’imbatterono in Tetsuo e un Arito alquanto gongolante.
 
«Il primo posto spetta a me!» gongolò, allungando una mano in direzione del campione di duelli «It’s coming Spartan City!»
 
«To Spartan City! It’s coming to Spartan City» lo corregge Rio, non senza farsi sfuggire le monetine posate sul palmo. Lanciò ai due ragazzi un’occhiata inquisitoria.
 
«Abbiamo fatto una scommessa…» si difende Tetsuo, prendendo anche lui il suo gruzzolo.
 
«E?»
 
«Yuma l’ha persa»
 
«Yuma!» strillò Rio, fulminandolo con lo sguardo.
 
«Lo so, lo so!» alzò le braccia, nel tentativo di difendersi dall’ira della ragazza «Non devo accettare scommesse del genere!»
 
Alle sue parole, la ragazza si rilassò tornando a sorridere tranquilla, ignara degli sguardi spauriti che ha attirato su di sé.
 
«Scusate?» s’intromette una voce, sconosciuta al quartetto, appartenente a una ragazza dai capelli acquamarina tagliati corti. Rio la studiò per un attimo, facendo balzare poi lo sguardo sul ragazzo che l’accompagna. Acqua e fuoco, che combinazione particolare.
 
«Serve qualcosa?» domandò, con una cordialità contrastante con le silenziose minacce proferite poc’anzi.
 
«Siamo nuovi qua, e ci servirebbe la mano di un membro del consiglio studentesco» risponde, indicando la fascia gialla, avvolta sul braccio della ragazza, col capo «A proposito, io sono Amaya Shimizu»
 
«Akihiko Kaneko» dice il ragazzo dalle ciocche fiammeggianti. Tende la mano verso la studentessa senior, ma quando la stava per ritrarre, imbarazzato di essersi presentato in un modo così informale in terra nipponica, Arito gliela strinse.
 
«Arito! Ma, ci siamo per caso già visti?» domandò, cercando di associare il volto a un ricordo. Improvvisamente, la realizzazione lo colse «Ma certo! Durante il duello contro Yuma!»
 
Akihiko annuì piano, tacendo per permettere ai restanti ragazzi di dire il proprio nome. A convenevoli finiti, iniziò a raccontare «Si, abbiamo visto un po’ di duello. Anche se Amaya non era molto d’accordo»
 
«Mi sembra un po’ inopportuno fissare dei completi sconosciuti» ribatte lei, incrociando le braccia con aria di rimprovero.
 
«Siamo stati lì per poco» si giustificò, scrollando le spalle. Non era raro che un duello attirasse curiosi «E comunque, ora non sono più sconosciuti»
 
La giovane borbottò qualcosa di indistinto, che giunse alle orecchie come un “se lo dici tu”, mentre la campanella suonò chiamando gli studenti a raccolta. Augurando loro buona giornata, Rio si allontanò coi due nuovi arrivati al seguito.
 
I tre ragazzi si fissarono per qualche istante, ora liberi dalla severa presenza della Kamishiro, non avendo altro da fare se non entrare in classe. La raggiunsero seguendo la fiumana di scolari, ripercorrendo gli stessi passi dell’anno scorso. All’interno, vi trovarono altri volti familiari.
 
«Ma guarda un po’!» Vector scese dal banco, uno dell’ultima fila, per andare a salutarli «Vi sono mancato?»
 
«Ovviamente, no» sbuffò scocciato Arito, andando a prendere posto il più lontano possibile dall’ex principe. Tetsuo lo imitò, facendo cenno a Yuma di sedersi accanto a lui. Non volendo rattristarlo, si avvicinò per appoggiare la tracolla sulla parte libera del banco, reclamandolo.
 
«Ehy, ma Yuma è-»
 
«Arrivato in tempo, ho capito!» esclamò esasperato quest’ultimo, voltandosi verso un ragazzino minuto con cipiglio severo. Durò poco, per lasciare spazio a un enorme sorriso «Takashi, Tokunosuke. Quanto tempo!»
 
«Sono passati un paio di mesi, non anni» precisa Takashi, ben sapendo l’indole socievole di Yuma. Data l’assenza del professore, chiacchierarono per un po’, parlando di come sono andate le vacanze – e qui il campione dovette mascherare una punta di gelosia, nel sapere che tutti si sono, in qualche modo, divertiti – finché non sentirono due voci femminili bisticciare.
 
«La prossima volta non ti aspetto, vai da sola!» brontolò Kotori, aprendo la porta con la delicatezza di un elefante in una cristalleria. Dietro di lei, Cathy non è da meno.
 
«Dovevo dar da mangiare ai gatti!» soffiò, richiudendola. Dopo diversi attimi carichi di tensione – i ragazzi pronti a separarle – si separarono per sedersi ai lati opposti della stanza, Cathy da sola e Kotori con Arito.
 
«Buongiorno» salutò Michael, per venire accolto da uno Yuma che si sbraccia e, in un modo più educato, dagli altri. Un po’ nervoso, essendo il suo primo giorno in una scuola pubblica, preferì prendere posto, in ultima fila, in silenzio.
 
A classe piena, il professor Kitano fece il suo ingresso, seguito a ruota da Akihiko.
 
 «Posso?» domandò, accennando alla sedia libera accanto a lui. L’Arclight annuì, levando la cartella da essa per appoggiarla sul banco. Aveva notato la chiacchierata tra il nuovo arrivato e Yuma, preferendo non aggregarsi poiché si sentiva un pesce fuor d’acqua.
 
«Ben ritrovati, tutti quanti! Avete passato bene le vacanze?» domandò il professore. Lasciò un po’ di tempo alla classe per rispondere, prima di continuare «Abbiamo tutta l’ora per approfondire meglio la questione, ma prima le presentazioni»
 
Il suo sguardo si posò sul suo compagno di banco. Ma, a differenza di quello che Michael s’aspettava, Akihiko non trasalì.
 
«Come potete vedere, abbiamo un nuovo compagno di classe. Io sono il professor Kitano, e sarò il tuo insegnante da qui fino alla fine del prossimo anno. Si vuole presentare, signorino…» si fermò per un attimo, per controllare il registro elettronico «…Kaneko?»
 
Akihiko si alzò, attirando completamente l’attenzione su di sé. Per essere uno che si imbarazza facilmente - Michael notò, ancora stampato in mente il suo incontro col quartetto - riuscì a parlare disinvolto, nonostante la quarantina di occhi puntati addosso.
 
«Molto bene. Ora, ditemi, che avete fatto di bello?»
   
 
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