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Autore: Scarlett Queen    23/02/2024    2 recensioni
[Chainsawman]
Nell'anno 1467, una violenta disputa fra Hosokawa Katsumoto e Yamana Sōzen per il titolo di Shogun portò allo scoppio della Guerra Onin.
Fu il primo dei numerosi conflitti civili che sconvolsero il Giappone per oltre cento anni, formando l'era conosciuta come Sengoku Jidai, l'epoca dei Paesi in Guerra.
E mentre i daimyo muovevano gli eserciti gli uni contro gli altri, le forze oscure tramavano, attendevano, e facevano le proprie mosse. In quest'epoca turbolenta nacquero gli Ikko-Ikki, contadini, monaci e piccoli nobili che, vedendo la vera minaccia, formarono una forza a sé stante, combattendo per l'anima del Giappone.
Ma alle volte non bastavano le armi… Alle volte, per combattere il Male serviva scendere a patti con un altro tipo di Male… Questa è uno spaccato di quella guerra segreta… e parla di un ragazzo, una kitsune e un demone in un tempio.
Genere: Angst, Avventura, Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Altri
Note: AU | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Atto II: Verso la cima

 
Quando scese la notte, la tempesta andò placandosi; a poco a poco le nuvole si diradarono, il vento si fece più gentile, i tuoni si allontanarono e il chiarore delle stelle e della luna tornò a puntellare il cielo come tante piccole gemme in un mantello blu scuro. Aki si svegliò in mezzo alla boscaglia, nudo e steso sulla sch9iena: i suoi vestiti giacevano piegati su di un masso lì vicino, oltre il muschio che ricopriva il basamento del loro supporto e le spade erano avvolte da un drappo per proteggere i foderi dagli elementi. Di Makima non c’era alcuna traccia, ma sentiva ancora il suo profumo nelle narici, la sensazione del suo corpo premuto contro il proprio, l’inebriante piacere che sapeva regalargli, dominandolo con il sesso e il desiderio.
Si passò una mano sul volto, mettendosi a sedere, piegando il ginocchio destro, col piede sinistro sotto la gamba e vi poggiò il braccio, osservando la pietra, i vestiti e poi, più in alto, la sagoma del tempio sconsacrato dall’Akuma. Anche a quella distanza, Hayakawa Aki sentiva le spirali di un potere malevolo strisciare sino a valle, tentacoli invisibili che lo sfioravano, che avvolgevano gli alberi, che s’insinuavano fra le mille fessure del terreno. Poi si accorse di un’altra cosa. In quella montagna non c’era un singolo essere vivente. Le creature degli dei avevano abbandonato quel luogo, restava solo lui. «Sembra proprio – sussurrò – che questa sarà la mia ultima scalata… Dopo tanto tempo che la aspetto.» Con gesti calmi e sicuri, il giovane samurai si riacconciò i capelli, indossò la sottoveste, il kimono e gli hakama, strinse la cintura e vi assicurò li fodero delle due spade; sopra la katana, sotto la wakizashi, la prima sempre con la lama rivolta verso l’alto.
Indossate le bianche calze e i sandali di paglia, prese un profondo respiro, e riprese la scalata, mettendo un piede davanti all’alto. Il suo Mantra gli permetteva di fendere le fitte ombre della notte con lo sguardo, la sua anima emergeva appena dalla carne, creando un sottile strato protettivo che gli consentiva di sfidare la maligna volontà che albergava nella montagna. Trovò il sentiero che proseguiva verso l’alto e ne seguì la forma sinuosa, trovandosi circondato da una vegetazione selvaggia e incontrollata, le fronde sopra la sua testa divennero incredibilmente fitte e ad ogni passo, il freddo si faceva più vivo, pungente e crudele. Era come se dita glaciali, con unghie di ghiaccio gli artigliassero le viscere, desiderose di strappargliele dal ventre.
«Ora capisco – disse snudando la spada con un gesto rapido e preciso, disegnando un arco discendente nell’aria – questa montagna… è stato un campo di battaglia tempo fa! Gli Ikko-Ikki non l’hanno abbandonata… sono stati massacrati!» e come a dare conferma alle sue parole, alla rabia che gli bruciò nel cuore a quel pensiero, lungo la strada si sollevarono delle zolle di terra, alla sua destra e alla sua sinistra si levarono fiamme come mura inviolabili. Aki strinse i denti, serrando la mano sinistra attorno all’elsa della katana, sotto la destra e portò in avanti un piede, sollevando la katana sopra la testa. «Terzo Mantra: Respiro dell’Anima.» E così com’era successo contro il demone dalle sembianze scimmiesche, il suo spirito proruppe prepotentemente, avvolgendo la lama nella sua interezza, facendo tremare l’aria attorno ad essa.
Dalla terra emersero cadaveri consumati, la carne era stata divorata da tempo dai vermi, vermi che ora formavano i muscoli e i tendini, facendo muovere le ossa di coloro che furono monaci, contadini e nobili minori: i non morti si levarono illuminati dal sinistro rosseggiare delle fiamme, brandivano fra le mani lame aggredite dal tempo, divorate dalla ruggine, aste di yari, nagitana, alcuni samurai brandivano pesanti ōtsuchi, martelli da guerra in legno, adoperati negli assedi per abbattere i portoni delle fortezze. Un vento ferale soffiò in mezzo alla via che si apriva davanti ad Hayakawa e il giovane digrignò i denti, sentendo una cieca rabbia che alimentava il suo fervore. «Non ti basta dannare le loro anime! Le usi come fossero i tuoi burattini, dannata bestia!» Eppure, in cuor suo egli gioiva, poiché forse aveva trovato una degna battaglia che potesse porre fine al suo vagare in quel mondo di dolore.
 

https://youtu.be/hXtjlgRTG9U
Il Mantra dei non morti era corrotto, debole, non più del lumicino di una candela… ma diecimila candele possono diventare un impetuoso incendio. Quella notte, la strada era rischiarata dalle anime dei Non Morti costretti a calcare nuovamente il suolo dei vivi, ma ancor di più arse la fiamma dell’anima di Hayakawa. Un samurai non poteva ritirarsi dalla sua battaglia, l’onore stava nell’affrontare la prova che gli si parava davanti, e la spada del giovane danzò in mezzo al sentiero, mentre si lanciava in avanti, urlando e balzando. Colpì più volte, girando rapido su sé stesso, segnando l’aria con il fuoco del suo spirito, incenerendo i corpi dei suoi avversari; i vermi cadevano al suolo e avvizzivano mentre il suo acciaio tranciava le loro ossa, spezzava le aste in legno, distruggeva i pesanti martelli da guerra.
Per quanti potessero frapporsi fra lui e la cima, Aki avanzò a testa alta, deviando gli attacchi, schivando i fendenti e gli affondi, tagliando teste e torsi, sfondando costati. Le frecce sibilavano sopra la sua testa, le punte a coda di rondine lo ferirono, conficcandosi nella carne. Un sorriso incontrollato gli segnò la bocca, cambiò posizione e portò dei fendenti dal basso, con i colpi di ritorno che scendevano veloci. Il sangue imbrattava il suo kimono con macchie rossastre e la sua anima lo guariva, col Mantra che ardeva, ardeva con forza. «È tutto qui?» il suo grido esplose dalla bocca, distrusse un ōtsuchi con un rapido fendente, mandandolo in schegge fiammeggianti e passò da parte a parte la fronte del monaco Non Morto, facendolo esplodere in una nube di fuoco «Non è abbastanza per uccidermi… non è ABBASTABNZA!»
«Terzo Mantra: ABBRACCIO DEL FUOCO!» e calò la catana davanti a lui: le fiamme avvamparono in linea retta e quando agitò la katana, il fuoco si mosse come fosse una frusta e fece scattare il braccio in avanti; le sue fiamme aggredirono i malefici vermi, il loro crepitio ebbe lo stesso fragore dei cannoni sul campo di battaglia e le agghiaccianti strida dei nemici si levarono mentre venivano consumati e andavano in pezzi. «Ancora! Non posso morire per così poco, mandamene ancora!» ci fu una raffica di vento, i fendenti di Aki si propagarono oltre le fiamme, tranciando i tronchi degli alberi, facendo tremare le barriere e riprese a correre, abbattendo i nuovi Non Morti di slancio, con un guizzo argenteo della sua spada.
Un Oni gli si parò davanti, un orco dalla pelle di un rosso cupo, con un solo occhio in mezzo alla fronte, nudo dalla cintola in su; con la bava che gli grondava dalle zanne, sollevò da sopra la spalla destra la massiccia testa di un’ascia di ghisa, e con un sorriso dalle labbra scorticate, con i denti acuminati e il torace coperto da un vello olezzoso. L’aria tremò quando sferrò il suo colpo, Aki si fece sotto, attingendo alle riserve di mantra. «Terzo Mantra: PROTEZIONE DELLA MONTAGNA!» I suoi muscoli si gonfiarono sotto le vesti sbrindellate e zuppe di sangue e quando le due armi entrarono in contatto, il terreno sotto i loro piedi andò crepandosi, e i non morti vennero sbalzati via dalla sola onda d’urto.
La ghisa andò in pezzi, Hayakawa si mosse in avanti, tranciandogli il torace sul lato sinistro, facendo esplodere il sangue in galloni rossastri. Il fluido scarlatto lo inzaccherò da testa a piedi, l’acciaio avvolto dal suo spirito fendette i muscoli, i tendini, le ossa e tranciò gli organi interni dell’Oni. Le fiamme fecero il resto, mondandone l’esistenza da quel Paese degli Dei. Ci fu quindi un momento di immobilità, i Non Morti restavano a distanza, ondeggiando pigramente sugli arti tenuti insieme dagli ammassi di vermi. I loro numero continuava a dilungarsi in avanti, e fin dove Hayakawa spingeva lo sguardo, vedeva null’altro che cadaveri in movimento. 
«Molto bene… MI SENTI? CHIUNQUE TU SIA, IO, HAYAKAWA AKI, ACCETTO LA TUA SFIDA A DUELLO!» E lo sfidante non si fece attendere.
 
Prima di vederlo, fu il suo Mantra a colpirlo con la violenza di un macigno contro il costato; sentì il suo respiro mozzarsi in gola e le ginocchia tremare. Per un attimo, la sua emanazione spirituale venne meno, pulsando debolmente, poi l’Akuma apparve. Sovrastava gli altri non morti di tutta la testa, una testa di rettile, nella quale si aprivano quattro acquosi occhi iniettati di sangue. Aki sentì un lieve fremito vedendo quella lucertola giganteggiare su di lui, brandendo una ōdachi dalla luma lunga due metri. La sua bocca senza labbra si spaccò in due metà quando sorrise, snudando die file di denti.
«Un Mantra di livello quattro… sei l’avanguardia del tuo signore vero?» Un sorriso nervoso si dipinse sul volto di Aki e fu solo con un considerevole sforzo di volontà che riuscì a mantenere il controllo sulla propria energia; solo con un livello a separarli, la differenza di potere era tale da spezzargli le gambe… e la sua preda designata era ancora più forte. Sentì sudore gelido lungo le tempie e d’istinto fece un passo indietro. “Ho paura? Io? Paura della morte? No… No, questo mondo mi ha già portato via tutto… NON GLI FARÒ PORTARE VIA ANCHE IL MIO DESIDERIO DI MORIRE!” [https://youtu.be/gh3VJ1E36W4] Quella volontà alimentò nuovamente le fiamme del suo spirito, brandelli si staccarono dal suo vestito, volteggiando nell’aria notturna prima di diventare cenere. Con un urlo, affrontò il nuovo avversario, le due lame entrarono in contatto e i loro spirito si diedero battaglia.
L’Akuma lo sbalzò via, pestando a terra la lunga coda squamosa e sferrò un altro fendente, sghignazzando. Aki girò su sé stesso deviando il colpo; corpo e anima tremarono allo stesso modo, cadde rovinosamente a terra e schivò di leto, sferrando un colpo alle zampe. La differenza spirituale fu tale che riuscì appena a farlo sanguinare prima che la coda lo centrasse all’addome, spezzandogli le costole e facendolo rotolare in mezzo alla polvere. Tossì sangue, la sua mente era colmata da esplosioni di luce bianche e i passi della creatura erano pesanti, sentiva le vibrazioni attraverso il terreno. E in quel momento, Hayakawa Aki sollevò lo sguardo, e conobbe la paura.
I quattro, orrendi occhi del demone rettile lo fissavano immobili e folli, la lingua guizzava fra le zanne e le sue squame verdastre mandavano sinistri bagliori ad ogni movimento. Iniziò a tremare, il suo Mantra ebbe un fremito e deglutì a vuoto. Vide sé stesso come un agnello, un agnello davanti ad una bestia senza raziocinio, mossa solo dal desiderio di annientarlo. “Io ti prometto – le parole di Makima gli risuonarono nel cervello in tono di scherno – che prima della fine, tu avrai paura della morte”. «Maledetta… Maledetta volpe! Perché non mi lasci morire in pace?! Io voglio… voglio solo che tutto quanto finisca!» Eppure, in quel momento, accadde qualcosa. L’Akuma rettile strinse entrambe le mani sull’elsa della ōdachi e scattò in una risata folle, calando la lunga, pesante lama ricurva su di lui.
Sarebbe stato facile, estremamente facile così, tutto ciò che doveva fare era stare fermo, e il suo desiderio si sarebbe realizzato. Ma no; il suo Mantra reagì al posto del suo corpo, qualcosa dentro di lui rigettò l’idea della morte e la vita, la sensazione del freddo e del caldo, della fame e della sete, del dolore e della passione gettò nuova legna sul suo fuoco interiore. «ORYAAAAAAH! – le fiamme esplosero con prepotenza verso il cielo, la sua anima straripò dal corpo mentre si risollevava, il corpo che veniva sanato e un nuovo potere a scorrergli nelle vene – NON POSSO MORIRE QUI… NON POSSO PERMETTERMI DI MORIRE PER MANO DI UN BASTARDO COME TE!»
Il suo Mantra crebbe di intensità, i suoi capelli divennero più lunghi, il suo corpo divenne più forte, gli occhi si cerchiarono di bianco mentre una coda albina comparve alle sue spalle. «QUARTO MANTRA: AFFONDO DEL DRAGO!» e affondò tendendo la katana in avanti; il ruggito di un drago si sollevò dall’acciaio dell’arma e si proiettò in avanti. L’Akuma poté solo sferrare un disperato attacco, ma la ōdachi andò in frantumi e la punta della spada lo passò da parte a parte, le fiamme lo investirono in pieno e, così come i due Akuma che lo avevano preceduto su quella montagna, egli cessò di esistere e la sua anima venne annientata. Non ci sarebbe stato nessun “dopo” per lui, solo l’oblio, e i ricordi che, col tempo, sarebbero sbiaditi, come la memoria di un gelido inverno che viene spazzato via dai colori e i profumi della primavera.  
 
https://youtu.be/qo1DT0BFLe4
La notte tornò quieta, le fiamme che facevano da mura sparirono come cenere al vento e i Non Morti ricaddero in terra, ridotti a pochi brandelli di ossa e stracci. Aki restò al centro del sentiero, respirando a pieni polmoni; il mondo gli parlò con i suoi profumi e odori, con i suoi rumori e i suoi scricchiolii. Nei suoi occhi scuri si riflesse il cielo notturno: stelle, luna, costellazioni… riuscì a sentire il profumo dello spazio e il tocco dell’aria sulla pelle. Scosso dalle emozioni, dal sentirsi “vivo”, cadde in ginocchio, affondando le dita nel terreno, sporcandosi le unghie e urlò, urlò con quanto fiato avesse in corpo, facendo sgorgare fiumi amare di lacrime. Dei passi gentili lo raggiunsero, sottili dita gelide gli sollevarono il volto, abbracciandolo con dolcezza.
I capelli rossi di Makima gli coprirono gli occhi, il suo volto venne premuto contro il solco dei pieni seni della kitsune e la sensazione di quell’abbraccio si diffuse in ogni parte del suo essere, andando sempre più a fondo. «Hayakawa Aki – sussurrò Makima, baciandogli la fronte – ora sei pronto per la tua battaglia» e così dicendo, si ritrasse, indicando con il braccio sinistro la cima della montagna: non mancava che una curva, ormai il tempio era direttamente sopra di loro e all’interno di esso, Kon, la volpe, attendeva, a stento capace di trattenersi. «Solo con la paura della morte e l’abbraccio della vita potevi salire di livello… e non era qualcosa che io potessi spiegarti». Aki guardò la kitsune, i suoi capelli, neri, erano tornati normali e così il suo corpo; buttò fuori l’aria dai polmoni e le afferrò il polso destro, facendola voltare di scatto, con un luccichio nei suoi occhi sinistri.
«Makima… se sopravviverò a questa notte… io ti libererò dalla tua maledizione» parlò veloce, ma in tono deciso, sentendo le gote arrossarsi; Makima lo guardò, per la prima volta in vita sua presa alla sprovvista: c’era un solo modo con cui un uomo poteva liberare una Kitsune dalla maledizione che affliggeva quelle come lei. Innamorarsi sinceramente e farla sua moglie. Tentò di sorridere, ma riuscì solo a emettere un gemito quando Aki la baciò sulle labbra. Quella notte, era diventato un uomo… era diventato, il degno erede del Clan Hayakawa. Mancava solo l’ultima battaglia, e l’avversario lo attendeva, in cima alla montagna, nella sua fortezza dove il male pulsava e sbavava, smanioso di battersi.
 
 
 
 
   
 
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