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Autore: _Layel_    26/02/2024    0 recensioni
In un mondo dove ogni persona può prendere le sembianze di uno specifico animale chiamato Alias, e dove i Cavalieri del re sono chiamati a difendere l'ordine, Hawks è incaricato di infiltrarsi nella banda di criminali nota come Unione dei Villains. La missione non è semplice e a complicare le cose si aggiunge il misterioso dramma della famiglia reale e la fastidiosa etica morale di cui Hawks non è ancora riuscito a liberarsi.
Ah, e un drago di ghiaccio con la passione per il fuoco.
[fantasy!AU] [dabihawks] [accennata tododeku]
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Shoujo-ai, Yaoi | Personaggi: Dabi, Hawks, League of Villains, Shouto Todoroki
Note: AU | Avvertimenti: Incompiuta
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Non Siamo Soli

Camminarono in silenzio tra gli stretti sentieri di montagna; Keigo svolazzava di ramo in ramo come piccolo falco rosso mentre Dabi arrancava tra foglie secche e ciottoli scivolosi. Tralasciando il commento di Dabi sul trovare del cibo, nessuno dei due aveva un vero motivo per continuare il viaggio insieme. Keigo avrebbe potuto volare oltre le cime degli alberi e proseguire verso ovest finché non avesse scorto le famigliari montagne su cui era cresciuto. Eppure rimase al fianco del criminale. Lo attendeva sui rami più bassi per permettergli di raggiungerlo e cinguettava quando Dabi imprecava contro le radici degli alberi.

Dopo poco più di un’ora giunsero alle pendici del monte, Dabi era piegato su se stesso e prendeva grandi boccate d’aria, mentre Keigo era fresco e riposato come se si fosse appena fatto otto ore di sonno.

“Togliti quel sorriso dalla faccia,” disse Dabi tra i rantoli.

Keigo alzò le spalle, l’essere più in forma di Dabi lo faceva sentire estremamente compiaciuto, “Non è colpa mia se hai il fisico di un bambino malaticcio.”

Prese un lungo e difficile respiro, “Bastardo.”

Keigo riprese a camminare, stava già facendo buio e il paese più vicino era ad almeno due ore di distanza. “In verità,” disse mentre osservava l’orizzonte, “I miei genitori erano sposati.” Le torri del palazzo reale si vedevano a malapena, gli occhi sensibili di Keigo riuscivano solo a cogliere le sagome azzurre che si stagliavano all’orizzonte.

“In verità,” lo imitò Dabi, “Non me ne frega un cazzo.”

“Ma davvero?” chiese con finto stupore, “E io che pensavo volessi scoprire tutti i miei segreti.”

Dabi si asciugò il sudore dalla fronte, “In questo momento voglio bere.”

“Con una piccola deviazione arriviamo a quel ruscello,” suggerì Keigo mentre indicava una striscia argentata alla loro destra.

“Alcool, uccellino.”

“Allora non posso aiutarti."

“Nulla di nuovo.”

“Bastardo.”

Dabi gli rivolse un’occhiata divertita, “Anche i miei genitori erano sposati.”

Il sentiero che stavano percorrendo era deserto, nei campi coltivati che li circondavano i contadini si stavano preparando per tornare a casa dalle loro famiglie. Nessuno gli prestava attenzione, erano solo due viandanti con gli stivali impolverati. “Non so perchè, ma lo immaginavo. A proposito, come devo chiamarti ora? Chiamarvi?”

“Non dire cazzate.”

“Quindi è… eri serio quel giorno nella caverna? Touya è morto?”

“Lo siamo un po’ tutti. Se non uccidessimo le versioni passate di noi stessi non potremmo essere ciò che siamo ora.”

L'aria autunnale li sospingeva in avanti come una mano gentile che li guidava nella giusta direzione. “E se preferissimo chi eravamo?

“È questo il tuo grande dilemma, uccellino? Non puoi tornare indietro. Sognare di poterlo fare ti renderà solo miserabile. Piangersi addosso non serve a un cazzo. Anche i "se" e i "ma" non servono a un cazzo. Se non ti piaci, cambia. Brucia il te presente e diventa chi vuoi essere.”

“Certo che sei filosofico quando sei disidratato,” Keigo cercò di scherzare, ma la frase gli uscì più amara di quanto aveva previsto.

Dabi continuò col suo discorso come se non l'avesse sentito, “Non capisco cosa ti freni. Ormai il passo l'hai fatto. Liberati."

“Se solo fosse così facile.”

“Grazie al cazzo," rispose mentre si staccava una delle scaglie bianche dell'avambraccio, “Forza, come ti chiami?”

Keigo si aspettava quella domanda da quando aveva rivelato a Dabi che conosceva la sua vera identità. Se la aspettava eppure non aveva una risposta. Camminarono in silenzio sullo stretto sentiero battuto dalle ruote dei carri, mentre Keigo rimuginava su quelle tre parole. Perché ora, a distanza di sedici anni da quando Kaina gli aveva posto la stessa domanda, Hawks aveva assunto un significato completamente diverso. Non simboleggiava più il sogno di un bambino, la speranza di poter diventare qualcosa di più, ma gli anni passati dietro una maschera, a non sapere più chi era. Capiva perché Kaina se n'era andata, capiva perché avesse voluto essere libera, e capiva perché gli era stato ordinato di ucciderla. Hawks aveva ucciso così tante persone che non riusciva neanche a distinguere i loro volti. Ma anche Keigo l'aveva fatto. Perché lui era entrambi, era sempre stato entrambi.

"Sono Keigo."

Un sorriso di scherno gli alterò i lineamenti, "Wow, me l'hai detto davvero."

"Dei, sei proprio…" Cercò un aggettivo dispregiativo adatto, ma tutto ciò a cui riusciva a pensare era come il rosso del tramonto gli illuminasse il viso. "Perché hai scelto Sekoto Peak?"

Dabi si massaggiò il collo con una mano; ora riusciva a respirare normalmente, ma il suo passo era ancora estremamente lento. Ogni traccia di divertimento era scomparsa dal suo viso, la sua espressione gli ricordava il loro primo incontro, distante e guardinga. “Ci venivo da bambino.”

“Tipo un nascondiglio segreto? Il mio era la foresta vicino al villaggio.”

La campagna che circondava la capitale era pianeggiante e Sekoto Peak era un basso monte solitario, che svettava intruso in quella distesa piatta. Keigo era abbastanza familiare con l’Alias di Dabi da sapere che per un drago di simili dimensioni sarebbe bastata un’ora per andare dal palazzo al monte, ciò che non capiva era come il passaggio di un drago bianco fosse stato cancellato dalla memoria degli abitanti.

“Una cosa del genere,” disse prima di accelerare il passo, lasciando Keigo indietro, “Muoviti o non arriviamo più.”

+

Quando giunsero al villaggio il sole era già scomparso oltre l’orizzonte, ma ad accoglierli non furono le buie strade di un villaggio di contadini. Dai poderi immersi nella campagna alle villette nel centro del villaggio, ogni abitazione era illuminata a festa. Sulle finestre delle case erano accese candele rosse, sulle porte erano dipinti soli, alberi da frutto e altri prodotti della terra. Sui sentieri erano stati sparsi petali di rosa che ora erano quasi scomparsi tra il fango e la polvere. Keigo osservava i colori e le luci con la stessa meraviglia e lo stesso calore che aveva provato durante il mercato di Hosu. Camminarono per strette vie rese ancora più strette dei gruppi di persone raggruppati fuori dalle loro case, c’era chi suonava, chi cantava e un’indistinto chiacchiericcio di sottofondo. La pungente aria invernale era riscaldata dal calore della comunità e dai bicchieri di vino caldo che venivano passati tra gli abitanti. A Keigo ricordava le feste di paese che spiava dal cortile della sua catapecchia.

Stava per chiedere a Dabi se avesse idea di cosa si celebrava, ma rimase interdetto dall’espressione di infantile meraviglia sul viso dell’altro. Aveva gli occhi spalancati, naso e guance arrossate dal freddo, e il suo sguardo indugiava sulle decorazioni sui muri, le calde luci delle candele, la spensieratezza che si respirava nell’aria. Si voltò verso di lui e gli prese un braccio, “Andiamo in piazza.”

Lo trascinò per le vie, sbagliò strada un paio di volte, ma alla fine arrivò alla piccola piazza del paese. Lì le decorazioni raggiungevano l’apice, ai lati della piazza splendevano due grandi falò, uno davanti al tempio e uno davanti alla casa più riccamente decorata del paese. Al centro svettava un albero ricoperto da foglie rosse e gialle, adornato da pezzi di stoffa rossi e piccoli oggetti colorati. Un gruppo di bambini si stava rincorrendo ai suoi piedi, si nascondevano dietro il tronco per tendere agguati, e le loro grida si mescolavano con tutti gli altri suoni della festa.

“Sai cosa si celebra? Non mi sembra che in questo periodo ci siano feste religiose.”

Quando non ricevette risposta Keigo si voltò verso Dabi. Stava fissando un punto dall’altra parte della piazza, l’espressione corrucciata.

“Dobbiamo andare.”

Keigo lo bloccò prima che potesse scappare, “Cosa succede? Ci sono delle guardie? All’entrata del paese non ho visto nessuno.”

“Andiamo e basta,” disse con urgenza e si infilò in una piccola via tra due edifici. Keigo sfoderò il pugnale e lo seguì.

“Puoi almeno dirmi da cosa stiamo scappando?” Aveva raggiunto Dabi, ancora fuori forma dalla scalata di quel pomeriggio. Non lo degnò di un’occhiata, ne rallentò, anche se gli risultava sempre più difficile respirare.

“Stai… zitto…” lo ammonì tra i rantoli.

Keigo aggiustò la presa sull’elsa del pugnale e si concentrò sui suoni che li circondavano. Musica allegra giungeva dalla piazza mischiata al brusio di decine di voci che parlavano all’unisono. Era difficile cogliere i passi di un eventuale inseguitore; i loro rimbombavano nel vicolo, al ritmo del cuore che gli pulsava nelle orecchie. La sua vista, eccezionale alla luce del giorno, di notte era praticamente inutile. Era estremamente frustrante scappare da fantasmi con gli occhi bendati.

“Se mi spiegassi potrei darti una mano ad evitarli.” Era tanto così da prenderlo per le spalle e scuoterlo finché non avesse risposto.

Dabi si fermò in mezzo alla strada e lo fulminò con lo sguardo. “Tutto quello che devi sapere è che dobbiamo levarci dal cazzo.”

Hawks stava per protestare quando una voce femminile lo interruppe.

“Finalmente! Vi ho trovato! Pensavo sareste riusciti a scappare.” Entrambi riconobbero quella voce. Dabi chiuse gli occhi e prese un lungo respiro.

“Cosa vuoi?”

Todoroki Fuyumi abbozzò un sorriso e sistemò una ciocca bianca che era sfuggita dalla sua acconciatura. “Vi ho visto nella piazza e ho pensato di porgervi un saluto. Cavaliere.” Gli fece un cenno col capo, che lui esitò a ricambiare.

“Quei due bastardi mi hanno mentito.” Dabi ribolliva di rabbia.

“Non so bene a cosa ti riferisci, ma ti garantisco che è molto difficile tenermi all’oscuro.”

Keigo annuì con convinzione e Dabi gli lanciò un’occhiata prega di domande. Hawks respinse le sue preoccupazioni con un gesto della mano. “Ti spiego dopo.”

“Non cambia il fatto che mi avevano assicurato che tu non ne sapessi niente.”

“Credi veramente che i nostri fratelli mi nasconderebbero il tuo improvviso ritorno nel mondo dei vivi?”

“Ovvio che no,” disse con amarezza.

“Certamente non me l’ha detto nostro padre. O il Cavaliere.” Congelò Keigo con un’occhiata.

“Lascialo fuori,” lo difese Dabi. Keigo fece del suo meglio per ignorare il caldo sentimento che gli si diffuse nel petto. “A questo punto perché non sei venuta anche tu? Cos’è questa farsa?”

Fuyumi lo osservò per un lungo momento, il suo viso era imperscrutabile. “Hai incontrato Natsuo e Shoto.”

“Smettila di fare l’ignorante.”

“Non credi,” disse con dolcezza, “Che se avessi avuto l’opportunità di incontrati l’avrei colta? Quale sarebbe il senso di orchestrare un incontro casuale in un paese di cui neanche conosci l'esistenza?”

“Non sapevi che ero qui?” chiese esitante.

“Come avrei potuto saperlo? Sono venuta alla festa e vi ho visto nella piazza. Presumo che anche tu mi abbia vista e sia scappato.” Si avvicinò con cautela, come se stesse approcciando un animale pericoloso. “Sono così felice di vederti, Touya.”

Dabi non indietreggiò, ma Keigo era sicuro che avrebbe voluto. “E che cazzo. C’è qualcosa che possiamo bere? Non posso affrontare un’altra riunione di famiglia da sobrio.”

Keigo pensava che Fuyumi sarebbe stata offesa da un commento tanto scortese, ma lo sorprese di nuovo, e rise. “Conosco il posto perfetto. Dopo di voi.”

Li condusse di nuovo nella piazza fino ad un banchetto costruito fuori dalla taverna del villaggio. Una donna e due uomini stavano servendo liquido scuro e fumante, profumava di chiodi di garofano e alcool. Keigo si avvicinò a Dabi. “Cos’è?”

Fuyumi rispose per lui: “Vin brulè! È una bevanda tipica di questa festività.”

Keigo si rivolse di nuovo a Dabi per verificare che fosse tanto all’oscuro quando lui. Bene, almeno avrebbero fatto una brutta figura insieme.

"È semplice vino speziato, ma in una serata come questa è proprio quello che ci vuole," continuò Fuyumi con un sorriso.

Davanti alla bancarella si era radunata una piccola folla. Vari gruppi di persone si erano fermati a parlare e nella confusione era impossibile capire dove iniziasse la fila per comprare da bere. Per fortuna Fuyumi seppe destreggiarsi tra la folla con abilità e li condusse velocemente da un'oste. La donna aveva lunghi capelli bianchi e le orecchie da coniglio; la principessa la salutó come una vecchia amica.

"Rumi, questi sono i vecchi amici di cui ti parlavo, perché non gli offri qualcosa da bere?"

"Sicuro, i tuoi amici sono anche miei amici," esclamò con una punta di sarcasmo prima di riempire due bicchieri. Keigo lo prese riconoscente e notó subito che la bevanda gli riscaldava le dita. Dabi aveva finito il vino tutto d'un sorso ed era arrossito su naso e guance. Divenne presto la bevanda preferita di Keigo.

Mentre bevevano l'oste li scrutò dall'alto in basso. Se riconobbe Hawks non lo diede a vedere, ma commentò l'aspetto di Dabi con Fuyumi: "Sicura che siete parenti? La bellezza di famiglia non l'ha ereditata."

Lei le accarezzò discretamente un braccio. "Non essere scortese."

Keigo osservò attentamente Dabi in attesa della sua reazione. Lui sollevò il bicchiere e disse con un ghigno, "Fammene un altro, sgranocchia-carote."

"Brutto pezzo di merda!" Rumi si scagliò su Dabi, saltó oltre il banchetto e gli atterrò addosso. Alzò un pugno, pronta a fargli saltare tutti i punti, ma Keigo fu più veloce. Le bloccò le braccia e fece del suo meglio per tenerla ferma. Per essere una semplice oste era estremamente forte. Si calmò solo quando Fuyumi intervenne. La principessa si scusò con i passanti per aver causato tanto trambusto, separò i due, e gli fece una ramanzina sul modo corretto di comportarsi in pubblico.

"Yumi, hai sentito come mi ha chiamata!"

"Lo so," concesse Fuyumi, "Ma non puoi prenderlo a pugni nel mezzo della piazza!"

Dabi ghignò di nuovo, "Che? Ti sei offesa? Scommetto—"

"Piantala." Questa volta fu Keigo a intervenire. "Che ne dite di ignorarvi per il resto della notte? Così io e la— e Fuyumi possiamo bere in pace." Riuscì a correggersi in tempo. L’oste sapeva molte cose, come il rapporto di parentela tra Dabi e Fuyumi, ma non era detto che fosse a conoscenza del titolo della principessa.

“Mi togli tutto il divertimento, uccellino.”

Rumi si coprì la bocca e finse di sussurrare, “Non mi avevi detto che erano dalla nostra parte.”

“Onestamente non ne ero a conoscenza nemmeno io,” rispose Fuyumi e li scrutò con curiosità.

Che stessero parlando dell’accordo tra Dabi e i suoi fratelli? Più Keigo rimuginava su quell’eventualità più gli sembrava impossibile. A quanto pare Dabi stava facendo i suoi stessi calcoli, lo sguardo perso nel vuoto e l’espressione corrucciata. Per evitare lo scoppio di un’altra lite Keigo si schiarì la gola e chiese: “È una festa pagana? In questo periodo dell’anno non ci sono celebrazioni religiose.”

Fuyumi annuì con convinzione, “Si celebra l’arrivo dell'inverno!"

Keigo la guardò scettico; strano che in un paese di contadini si celebri l’arrivo della stagione più dura e difficile da superare.

“No, non proprio,” intervenne Rumi, “Si celebra il pero: l’albero nel centro della piazza. Quando sta per arrivare l’inverno e l’albero non ha più foglie verdi sui rami si organizza una festa in suo onore. Più foglie rimangono all’albero al momento della festa, più l’inverno si preannuncia mite. È una tradizione che dura da sempre.”

“Ed è vero?” chiese Dabi, “Fa meno freddo quando ci sono più foglie?”

Rumi alzò le spalle, “Per ora sì. Ma non è quello il punto, le feste tengono alto il morale e ci fanno tirare avanti.”

Keigo si guardò intorno e respirò l’aria di spensieratezza che li aveva avvolti da quando erano entrati in paese. “Funziona.”

“C’è un posto dove dormire?” La domanda di Dabi lo colse alla sprovvista, ma un veloce sguardo al suo viso gli rivelò che stava disperatamente cercando di nascondere ciò che provava.

Un sorriso pericoloso comparve sul viso di Rumi. “Finalmente guadagno qualcosa!”

+

Erano in una singola camera al secondo piano della taverna. Le pareti erano di pietra e una piccola finestra dava sul retro dell’edificio. I letti erano posizionati di fronte all’unico caminetto – che avevano acceso appena entrati – ed erano ricoperti da soffici pellicce. Era un posto confortevole e pulito. Keigo si sedette sul letto più vicino alla finestra e osservò il cielo scuro. "Non avevo mai notato questo paesino."

"Difficile vedere gli altri quando si vive tanto al di sopra.” Dabi prese posto al suo fianco con uno sbuffo e finì il suo terzo bicchiere.

La chiara sagoma della luna si intravedeva tra le nuvole, un occhio benevolo che li osservava tra i tetti delle case, "Parli per esperienza o stai cercando di farmi la predica? Perché ti assicuro di aver iniziato in un paese che fa sembrare questo la capitale."

Dabi scosse la testa, "Sto solo dicendo che quando si è abituati a dover sempre guardare in alto è difficile rendersi conto del resto."

"Forse non si vuole vedere.” I musicisti in piazza finirono la canzone e per qualche istante ci fu silenzio. "È impossibile salvare tutti."

"Lo stai comunque facendo." Lo disse come un'affermazione, un dato di fatto, senza giudizio o accusa. Keigo non sapeva bene cosa rispondere, non riusciva a convincersi che fosse vero. Aveva il desiderio di aiutare più persone possibili, ma come poteva essere quella la strada giusta?

"E tu? Vuoi solo… ucciderlo? E poi?"

"Poi basta." Lasciò cadere il bicchiere a terra e si lasciò cadere all’indietro. Il materasso lo accolse con un tonfo, "È l'ultima cosa che mi rimane da fare."

"Che spreco," rispose con una semplicità disarmante.

Dabi lo osservò per un lungo momento, l'azzurro dei suoi occhi rifletteva la luce delle candele e l'intensità delle sue emozioni. "Mi vuoi dire che tu hai un piano? Un "visse felice e contento" che ti aspetta una volta che questa merda finirà? Sei solo quanto me."

Le sue parole avrebbero dovuto ferirlo, ma tutto ciò che provava era il forte impulso di lenire il dolore che l'altro sentiva. Ora che erano lì, seduti nella stanza buia di un paese in festa, soli se non per l'altro, Keigo si accorse di quanto Dabi fosse diventato un cardine della sua vita. Non riusciva ad immaginare un futuro in cui Dabi non fosse al suo fianco. Come nemico o amico non importava.

"Non siamo soli." I loro sguardi si incontrarono ed entrambi capirono il significato di quelle parole. Dabi si alzò sui gomiti per poterlo vedere meglio e le loro ginocchia si sfiorarono. Keigo poteva sentire il freddo che emanava il suo corpo. Soppresse un brivido.

"È impossibile," Dabi sussurrò.

"È molto semplice in verità." Inclinò leggermente la testa e sorrise come se lo stesse prendendo in giro. "Vuoi che ti faccia vedere come si fa?"

Dabi fece la smorfia tipica di chi si stava trattenendo dal ridere. Scosse la testa e si strofinò gli occhi con le mani, "Ma che cazzo…" Tornò a guardare Keigo e in un battito di ciglia lo stava baciando.

Durò un’eternità o un attimo, ogni senso sopraffatto dall’altro; il profumo di fuoco e cenere, il freddo delle sue labbra, il battito del suo cuore. Keigo aveva spalancato le ali e non se n’era nemmeno accorto. Si separarono e le sue mani erano nei suoi capelli, sulle sue guance, sul suo corpo. Keigo provava un sentimento che non aveva mai sentito prima d’allora. Si sentiva a casa. Che pensiero terrificante. Si lasciarono, perché non sapevano che altro fosse giusto fare, e Keigo si concentrò su una crepa nella parete. Tutto tranne i suoi occhi. “È stato uno sbaglio?”

Non vide l’espressione di Dabi, continuava a non volerlo guardare. “Dipende. Vuoi che lo sia?”

Vuoi continuare a scappare, a nasconderti, a rinunciare? Pretendere che non sia successo sarebbe più semplice. Sarebbe la cosa giusta da fare. Keigo però era stanco di fare la cosa giusta per gli altri. “No.”

“Allora no. Non deve cambiare niente, uccellino.” Tornò a sdraiarsi sul letto e questa volta Keigo lo guardò. Quell’incredibile essere umano che gli aveva stravolto la vita, la persona più irritante che avesse mai incontrato perché riusciva a vedere oltre la pesante armatura dietro cui si nascondeva da sempre.

“Potremmo provare. Quando sarà tutto finito.”

Dabi sorrise beffardo e dolce allo stesso tempo, “Dovrei cambiare i miei piani.”

“Dovresti, sì,” sussurrò mentre si chinava per baciarlo di nuovo.

Lo prese per il mento e lo allontanò abbastanza da poterlo guardare negli occhi, “Vedremo,” disse sulle sue labbra. Per Keigo era abbastanza.

+

Note

IMPORTANTE: questo è l’ultimo capitolo che pubblicherò, per lo meno per ora. Ho metà del prossimo capitolo scritto, ma non so se o quando lo finirò. Quando ho iniziato a pubblicarla avevo l’intenzione di finire, o almeno continuare, ma è da qualche mese che ho perso interesse per My Hero Academia e purtroppo continuare a scrivere questa storia era diventato più un compito che un passatempo divertente.

Un grazie grandissimo a chi ha letto fin qui (almeno si sono baciati, eh?), spero che vi sia piaciuta!

Alla prossima storia,

Layel

   
 
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