Edit: il capitolo è decisamente troppo pieno di refusi; presto sarà modificato
UN PAIO DI
NOTE:
Questo capitolo doveva essere l’ultimo del 40 DF per un
po’, ma il capitolo
stava diventando mastodontico e probabilmente tra correzione e
quant’altro lo
avrei postato tra cinque mesi, quindi ho deciso di spezzarlo.
Onestamente non
sono sicura che la divisione sia a metà, perché
in realtà manca praticamente
solo una “scena” ma è una scena molto
importante. Quindi avremmo Alina II e
“prossimamente”
Alina III.
Oltre questo: il capitolo è un delirio, il problema
principale è che il POV di
Alina è stato alterato per tutto il tempo e voglio che sia
una cosa che teniate
a mente, Alina è alterata per tutta la durata del
capitolo.
Se il
capitolo avesse un titolo sarebbe: La brutta serata di Alina
TW: Vomito,
alterazione della percezione,
ubriacatura, bere alcool, minorenni che bevono alcool, voyeurismo non
consensuale. Intossicazione alcolica. Adolescenti che pensano al sesso.
MAL/NIKOLAI E RIFERIMENTI AD ALTRI INTRIGHI AMOROSI.
Con questo intendo che Alina non conosce bene
l’estensione di certi avvenimenti
e relazioni, questo perché i genitori hanno pensato bene che
tenerla all’oscuro
fosse una cosa “sana”.
Alina
II
(40
anni dalla D.F.)
Alina
non era stata affatto sorpresa di aver trovato il segnaposto con il suo
nome
affiancato a quello di Matthias Grimjor.
L’avevano
sistemata tra il principe di Fjerda e Genya – così
che la donna probabilmente
potesse tenerla d’occhio perché non avesse un
comportamento sconsiderato. Era
allo stesso tavolo di sua sorella Lilyiana ma ben lontana da lei e al
tavolo
opposto quello di Dominik e Vasilissa e odiava che
fosse lontana dalla
sua amica.
Era
la serata più importante della vita di Lissa e chiunque si
fosse occupato della
disposizione dei posti aveva avuto l’audacia di mettere la
sua amica che non
conosceva nessuno o quasi in un tavolo diverso.
Alina non poteva fare a meno di cercarla con lo sguardo, mentre la
vedeva
parlottare di tanto in tanto con qualcuno dei suoi vicini, indossava
l’abito
d’oro che la giovane Caitlyn aveva recuperato da uno dei suoi
vecchi. L’unica
cosa che la distraeva da Vasilissa – che sembrava cavarsela
meglio di lei sullo
scegliere con qualche forchetta fosse d’uopo mangiare cose
– era la presenza
rigida di Matthias al suo fianco e la presenza quasi ingombrante di
Meesha alle
sue spalle. Di tutti i maledetti posti in cui la soldatessa doveva
essere
schierata nella sua bella kefta rosso sangue, era capitata alle sue
spalle.
Alina
provava un sentimento inesprimibile, da un lato calore
all’idea che gli occhi
di Meesha dovessero finire volenti o nolenti su di lei e disagio nel
saperla
così vicina, così distante, mischiata al
nervosismo che le dava il principe di
Fjerda.
Matthias
era una persona noiosa, ma almeno in tutte le altre occasioni in cui
avevano
speso tempo insieme il principe si era sforzato di essere di compagnia,
di
tanto in tanto era stato anche piacevole,
divertente, ma quella sera
aveva continuato a fissare il suo piatto e sorseggiare coppe di kvas
che non
sembravano svuotarsi mai.
Alina
lo aveva imitato, mischiando anche brandy e vino, ignorando lo sguardo
acuto e
rapace di Genya su di lei.
Il
brandy con il suo sapore forte da spirito le aveva guastato la lingua
ed ogni
pietanza sembrava essersi fatta amara, ma le aveva dato un bacio
morbido ai
nervi.
Era
già alla terza coppa quando finalmente Matthias si era
deciso a rompere il suo
silenzio mortale, “L’Ingresso è stato di
un certo effetto” aveva detto placido.
“Sì” aveva concesso lei, era
stato d’un certo effetto.
Erano
arrivata cavalcando sul garrese della loro madre plasmata in forma di
drago,
maestosa e spaventosa, un’enormità oscura
stagliata davanti al sole morente e
poi Alina aveva fatto friggere le sue mani in fulmini blu, solo per
spiegare di
chi era il vero potere nel Mare Vero, Alina si era
sentita molto simile
a un orpello.
Avrebbe
potuto essere sul dorso di sua madre, come in camera sua rintanata nel
letto a
dormire e non avrebbe fatto differenza e se la questione normalmente le
sarebbe
scivolata addosso come l’acqua, quella sera la indisponeva,
forse perché per
tutta la giornata aveva goduto di attenzione. Prima erano stati Genya
ed il
duca di Keramzin, poi si erano aggiunti Tatiana e l’aitante
Fjerdiano poeta –
che le aveva fatto non poche domande e sembrava così
ammirato – e poi si
era aggiunto Kuume Fa il ministro dei trasporti di Novy Zem con la sua
adorabile e super curiosa moglie ed altri due suoi attendenti, poi era
stata la
volta di Laghoire Farrel, sorellastra del Marshal, accompagnata dal suo
scudo
giurato e due ambasciatori delle colonie del su e per ultimi la regina
Dalai,
il suo concubino favorito e almeno due donne guerriere. Anche alcuni
servi
avevano interrotto le loro faccende, in maniera discreta e ben attenti
a non
essere osservati troppo, per ascoltarla
E
tutti loro erano penduti dalle sue labbra mentre Alina con orgoglio
spiegava
gli orrori artici e storici del Gran Palazzo, come un piccolo esercito
l’avevano seguita lungo i corridoi e le stanze e avevano
fatto domande,
l’avevano interrogata e l’avevano ascoltata. E
Alina ne aveva amato ogni
minuto.
“Sì,
è stata un ingresso abbastanza trionfale. Mia madre non
è mai stata per la
discrezione” aveva aggiunto, decidendo di accogliere
l’intervento di Matthias e
non permettere al suo nervosismo di vincere.
“Oggi ho sentito che hai tenuto una lezione di storia
dell’arte, mi è
dispiaciuto averla persa. Ioren dice che sei stata sublime”
aveva riprovato
lui, non la stava guardando in faccia ed aveva le dita serrate sul
gambo del
calice, “L’arte è una mia
passione” aveva ammesso.
“Così
ho sentito” aveva constato lui, artificioso.
“Tu?” aveva chiesto lei, avevano
deciso di darsi del tu ed anche se sembrava innaturale sulle loro
lingue
avevano continuato, “A me l’arte non
dispiace” aveva considerato, “Hai
passioni?” aveva inquisito Alina. “Mi piace sparare
e leggere” aveva risposto
pigro lui.
“Sei
bravo, te lo concedo” aveva scherzato, prima di recuperare la
coppa che le era
stata riempita di nuovo, “Voglio la rivincita”
aveva aggiunto. Non era una
menzogna, aveva perso di proposito ma non aveva dovuto faticare per
farlo, i
Fjerdiani probabilmente imparavano a cavalcare e sparare prima ancora
di
camminare e parlare.
Sua
madre dalla tavola dei Cinque Re, come era stata soprannominata,
nonostante
nessun re vi fosse seduto, si era alzata per fare un brindisi. Ne aveva
fatto
uno a Sankta Alina, ma anche a Vasilissa. La sua amica si era alzata
con il suo
abito d’oro e le gote in fiamme. Alina si era tirata su quasi
subito dopo la
sua amica, guardandola. Vasilissa aveva aggrottato le sopracciglia
zenzero, poi
lei aveva guardato sua madre: “Per questa occasione, moya
Tsarina, considerando
la mia lunga amicizia con Vasilisssa, io e Tatiana avremmo preparato un
pezzo
con il balalaika” e si era rivolta a Tatiana.
La donna non aveva fatto una piega sorridendo accomodante, sempre
pronta la
sua Tatiana.
“Ah
davvero?” aveva chiesto Genya in un sussurro in
quell’orecchio, proprio quella
mattina aveva detto che non avrebbe suonato e non aveva intenzione di
farlo, ma
si era sentita in colpa, era una gran sera per Lissa e lei non si era
preoccupata
per nulla di organizzare qualcosa di bello.
Non
si era preoccupata per nulla di Lissa in generale, aveva avuto
l’impressione
che negli ultimi giorni non l’avesse vista abbastanza,
complici gli
impegni dell’altra – lavoro, preparazione alla
nuova titolatura e matrimoni
segreti – ma che tutto sommato neanche l’altra si
fosse impegnata poi molto.
Alina sapeva di essere egoista, ma non le importava.
“Oh,
suoni il balalaika? Mi hanno detto che è uno strumento molto
difficile” aveva
considerato il principe Matthias, “Ebbene
sì” aveva risposto sfacciata, anche
se non era né portata né particolarmente brava
né lo strumento era
particolarmente più difficile di altri, Alina sapeva che la
principessa Zetian
sapesse suonare il kathur a diciotto-corde come una professionista.
“Io ho
imparato un po’ a suonicchiare la domra,
potremmo suonare assieme” aveva
proposto il principe, la proposta sarebbe sembrata in bocca a qualcun
altro
quasi piacevole e disinteressata, ma il principe Matthias faceva
sembrare tutto
sempre formale.
“Certo”
aveva ammesso Alina e immaginava che probabilmente il bellissimo
principe di
Fjerda sapesse suonare la domra come se ci fosse nato con lo strumento
in mano
e non fosse una sgraziata creatura.
Aveva bevuto una coppa di vino intera – sotto lo sguardo
giudicante di Genya.
“Scusami
per averti messo in questo pasticcio” aveva detto Alina,
prima di ingollare
l’ultimo bicchiere di vino che era riuscita a sgraffignare
– Genya era stata
troppo presa da tutte le vicende nobiliari che stavano avvenendo
pubblicamente
e meno, per contare effettivamente quante coppe stesse consumando
Alina.
Tatiana aveva ridacchiato, aveva raccolto i riccioli in una crocchia
morbida ed
era vestita con un abito azzurro su cui erano appuntate pietre
luccicanti ed un
colletto di pelliccia di callorino; Alina sapeva che Tatiana voleva
apparire
come una regina delle nevi, ma l’effetto era tragicamente
lontano. I sankti l’avevano
dotata di molti talenti e doni, ma non l’aspetto elegante e
algido che
desiderava possedere. “Non si deve preoccupare, moya
tsarevich” aveva risposto
la nobil donna, agitando una mano piena di gioielli e preziosi,
“Avrei
preferito avere il mio strumento, questo pesa di più e non
è neanche accordato
bene” aveva aggiunto Tatiana, facendo ruotare i bulloni sulla
sommità, per
tendere le corde.
I
balalaika, che avevano dato loro, erano enormi e triangolari, in un
legno
chiaro su cui aveva tinto del bianco, con dei plessi arancio e oro.
“Scusa”
aveva ripreso colpevole Alina. Tatiana aveva ridacchiato con un certo
divertimento, “Che ne dici di suonare Valenki?
So che la sai suonare ed
è facile” aveva proposto, “Valenki non
è facile” aveva risposto Alina,
“Preferisce la Danza dei Goblin[1]?”
aveva chiesto di rimando
l’altra. Alina si era morsa il labbro, “Avrei
bisogno di altre due mani per
quella. Valenki andrà bene … ma
…” aveva provato, “Moya Tsarevich, non
suoneremo niente che non sia degno di questa nobile platea”
aveva considerato
Tatiana che aveva perso il suo sorriso dolce per
un’espressione più assertiva.
Tatiana
godeva degli scherzi, dei giochi e quant’altro ma non quando
si esibiva. A
dodici anni aveva suonato per la prima volta al Teatro di Ketterdam
davanti a
tutti i membri del Consiglio dei Mercanti, delle Maree e tutti i ricchi
signori
e banchieri dell’isola e di qualsiasi altro membro delle
corti del Mare Vero
fosse lì; da quel momento la sua capacità era
solo accresciuta.
Alina
sapeva che per il decimo giorno delle Dieci Giornate si sarebbe esibita
assieme
all’Orchestra Reale di Ravka.
“Valenki
sia” aveva ammesso Alina, forzando la sua calma, mentre
prendeva posto accanto
a Tatiana. “Chi era il fjerdiano di oggi?” aveva
chiesto poi, sebbene sapesse
esattamente chi fosse – l’istitutore del principe
consorte; quello che non
sapeva e quanto illustre dovesse essere la sua stirpe per essere
invitato alla
cena. “Non lo sa davvero?” aveva inquisito Tatiana,
aveva perso la serietà e la
sua espressione era più lucente divertimento.
“Dovrei?”
aveva chiesto Alina, “Non so. Era all’ambasciata di
Fjerda a Kerch negli stessi
anni che c’ero io. Possiamo dire che era un assiduo
frequentatore della
Corte-Oltre-Mare” aveva recitato sibillina.
La Corte-Oltre-Mare era un soprannome stupido e insulso che aveva
acquisto
l’Ambasciata nei quartieri della Piccola Ravka a Ketterdam
durante gli anni di
studio di suo fratello nell’isola della perdizione. Era una
storia ormai
obsoleta e vecchia più di dieci anni – Alina era
solo una bambina a quei tempi.
Tatiana le aveva passato la balalaika che aveva appena finito di
accordare,
prima di procedere con la successiva. Alina l’aveva raccolta
con delicatezza,
come se fosse stata di cristallo, “Forse ho bevuto
troppo” aveva scherzato o
non abbastanza, si era detta. Decisamente non abbastanza per aver il
coraggio
di suonare in pubblico, davanti a tutte le grige eminenze delle corti
del Mare
Vero senza essersi esercitata neanche un po’ il giorno prima.
“Il nobile signor
Birstorr è anche l’istitutore del Principe
Matthias” aveva chiacchierato
slavata Tatiana, mentre con dita sagge ed attenti sistemava le corde.
Alina aveva sentito quel nome pioverle addosso come soda caustica,
nonostante
lo avesse saputo, ma la menzione del principe l’aveva
alterata, senza vergogna
lo aveva cercato tra la folla di curiosi che guardava
l’orchestra prendere
posto sul prato. Matthias la stava guardando, avrebbe voluto dire con
l’intensità di soli ardenti, ma i suoi occhi
grigio-blu sembravano più lame di
ghiaccio e vetro. Era rigido e duro, come se fosse stato scomodo nella
sua
stessa pelle, e stava lì di fianco a Meesha, che era tutto
un roborante fuoco,
in un caldo satin rosso. Sembrava che i sankti stessi avessero voluto
punire
Alina per le sue sciocchezze, affiancandoli. “Il principe
è proprio un uomo attraente”
aveva considerato Tatiana con quei suoi occhi leziosi, Alina aveva
annuito, “Il
più bello.”
Il
principe non era un uomo, non come lo era Dominik almeno, aveva ancora
l’aspetto sbarbato ed innocente di un ragazzo, e non
era attraente,
perché il concetto stesso avrebbe sminuito la
verità: il principe era
bellissimo.
Di
una bellezza così totalizzante da fare male, stargli vicino
era fisicamente
fastidioso e lei era certa che tutta quella magnificenza
così perfetta, così
brutale, fosse opera di una sartoria finissima.
Nessuno al mondo era così bello, neanche i genitori di Alina
e … nessun uomo
poteva essere così bello, non secondo i gusti di Alina, che
apprezzava di più i
seni pieni, i fianchi tondi e le morbidezze gentili delle donne.
“Se lo
sposerà, avrete sicuramente figli bellissimi”
aveva aggiunto quasi con
casualità Tatiana. “Se non mi sfinirà a
noia” aveva borbottato.
Tatiana
non era sua amica, aveva sei anni buoni più di lei, ma era
stata una delle
poche dame di compagnia che le erano state affibbiate a non essere
finita in un
dimenticatoio in base al vento politico che soffiava, forse
perché prima di
essere una dama di compagnia era stata un’insegnante e
nessuno, in tutta Ravka,
era più bravo e capace di lei con la balalaika.
“Da lui mi farei sfinire in
ogni modo, anche di noia” aveva risposto la donna selvaggia.
“Suoniamo,
dai” aveva implorato con le gote un po’ rosse
Alina, non permettendo alla
lingua velenosa di Tatiana di aggiungere altro. “Va
bene” aveva concesso
l’altra, pizzicando una nota e valutando se questa avesse
l’intonazione che
cercava; Alina si era accomodata sulla sedia, alle loro spalle
l’orchestra
minore del palazzo e davanti a loro in semicerchio nello spiazzale
dedicato
alle danze tutti che le guardavano attenti ed affamati. Alina aveva
sperato
potessero ballare, ma sembravano tutti più curiosi di
vederla esibirsi e lei si
era sentita profondamente sciocca per essersi proposta.
Lilyiana la stava guardando con uno sguardo leggermente preoccupato ed
al suo
fianco Dominik sembrava fin troppo divertito con quel suo sorriso
sornione.
Alina aveva deciso di evitare completamente i suoi genitori –
sankti sperava di
non mettere in imbarazzo sua madre davanti a quattro corti straniere
– o quello
di Meesha o del principe Matthias ed aveva, invece, cercato lo sguardo
di Lissa.
Vasilissa,
dritta come una pertica, incerta, incastrata tra la contessa Najima
Polnudist e
Genya, la sua amica era traboccante di nervosismo e verde in viso, ma
nonostante tutto con gli occhi rivolti lei, e lei sola, e la sua
espressione
vibrava di un solo sentimento: fiducia.
Alina
era stata, ovviamente, un’esecutrice pietosa, ma la buona
mano di Tatiana aveva
nascosto le note stonate e quelle sbagliate. Alina era stata lenta nel
pizzicare
e nelle pressioni, inoltre, non che volesse giustificare la sua
impreparazione,
ma era abituata a suonare con il plettro ed usare un balalaika
accordato a mi-mi-la
invece di un la-la-re che aveva anche una
conformazione più grande nelle
dimensioni e le era risultato più ostico destreggiarsi[2].
Ovviamente nessuna delle
due cose aveva reso difficile per Tatiana strimpellare le note.
Ma
alla fine erano riuscite a creare una rispettosa imitazione della
Valenki[3]
– per merito di Tatiana
Dubrivin e dell’orchestra che li aveva accompagnati solerte,
come se si fossero
preparati per settimane prima a suonare quel brano e non fosse stato
completamente fuori scaletta.
Tutti
gli ospiti erano eruttati in un ovazione – una
così grande che Alina aveva
pensato presto si sarebbero ritrovate imbrattate di
uova – e anche se
non era giusto perché la gran parte del lavoro era stata
fatta da Tatiana, si
era sentita il cuore gonfio di orgoglio.
Aveva
cercato i suoi genitori, mentre Tatiana la trascinava in un generoso
inchino,
come si era tirata su aveva intercettato lo sguardo pieno di
divertimento e
riconoscenza di suo padre, che aveva capito i suoi errori, ma ne aveva
apprezzato comunque la riuscita. Era così soddisfatta da non
sentire neanche il
dolore dei tagli sui polpastrelli di una delle mani dovute alle rigide
corde.
“Credo
che con della preparazione più adeguata potremmo fare
meglio, prossimamente”
aveva sussurrato Tatiana, “Abbiamo nove giorni credi che
riuscirò ad imparare
qualcos’altro?” aveva scherzato Alina,
“La Barinya due volte[4]”
aveva riso Tatiana, con
un’espressione sorniona.
“Dovrò farmi solo crescere dieci dita in
più” aveva riso Alina.
Alina
aveva preso una coppa di qualcos’altro, era un vino frizzante
dello stesso
colore d’oro dei capelli di suo fratello e dei gioielli che
indossava lei. “È
stata brava, moya tsarevich” aveva sussurrato una voce lei
aveva quasi mandato
di traverso l’ultimo sorso di vino frizzante che stava
trangugiando, “Meesha … ehm,
volevo dire luogotenente Effimov” aveva sospirato stanca e
leggermente acuta.
Meesha aveva raccolto i suoi capelli riccioluti in una piccola crocchia
stretta, e l’unico orpello decorativo che indossava era un
gioello rosso che le
pendeva tra gli occhi, legato con una catenina d’oro rosa,
per il resto non
aveva né un filo di trucco né alcun monile,
tranne che il piccolo orecchino da
cui pendeva la falangetta che usava come amplificatore, mischiato
all’argento
grisha. Era un ossicino umano e Alina era una delle poche persone a
saperlo. Ad
Alina dava un po’ la vertigine pensare appartenesse ad un
amplificatore umano, perché
possederne uno non lasciava molto spazio a diverse
possibilità su come poteva
essere ottenuto, Meesha però non era voluta entrare di
più nel dettaglio e
Alina aveva preferito baciare vorace quelle labbra che chiedere.
Meesha era ben stritolata nella kefta rossa con i riccioli grigio-nero,
che
evocavano le figure di cuori segmentati sul bordo delle maniche,
l’orlo della
lunga gonna e sulle spalle e il petto, fino al colletto, di
taffetà. Segno che
era in servizio, come membro dell’esercito e non come figlia
di un membro della
dvorjanstvo.
Meesha aveva sorriso, con i denti bianchi come perle, piccoli e
graziosi, che
avevano fatto batte il cuore di Alina, “Grazie,
comunque” aveva biascicato,
finendo il suo vino. “Però ho visto che ti sei
graffiata i polpastrelli” aveva
considerato, lei aveva alzato la mano libera notante le piccole linee
rosse e
le bolle rosse di sangue, “Forse ho bevuto così
tanto da non sentire neanche il
fastidio” aveva mentito colma di imbarazzo. Meesha aveva
quasi riso, “L’alcool
anestetizza i nervi, anche quelli del dolore, sì”
aveva considerato la
corporalki, “Posso?” aveva chiesto poi allungando
una mano verso di lui.
Alina
aveva avuto un brivido quando aveva steso la sua mano su quella di
Meesha, e
dal brivido era passata a scintille di fuoco quando le loro carni erano
state a
contato. Aveva ricordato i loro furiosi baci durante l’ultima
Festa del Burro,
prima che Meesha fosse rilocata di servizio da tutt’altra
parte. Il loro
sbaciucchiamento non era fiorito dal nulla, non per Alina, le basi e i
sospiri
erano fioriti da che aveva cominciato a pensare a sé stessa
in relazione con
altre persone.
Quando
l’aveva vista al Piccolo Palazzo era stata così
felice che aveva abbandonato il
Principe di Fjerda in mezzo ad una conversazione e lo aveva lasciato in
balia
dello strano uomo del Bosco di Sankt Feliks da cui suo padre si era
sempre
raccomandata che stesse lontana.
Alina
aveva osservato la mano libera di Meesha muoversi, aveva chiuso
anulare,
mignolo e pollice in un pugno, lasciando stesi solo medio e indice, che
aveva
fatto vibrare sotto e sopra alternati, da quel piccolo movimento Alina
aveva
sentito la sua pelle formicolare, un bruciore appena, prima che le
linee rosse
di carne tagliata si riunissero in pelle intera. “Sei
diventata una healer”
aveva considerato Alina, sapendo bene che Meesha era una heartreander e
l’altra
specializzazione fosse quella di suo padre.
“Come dico sempre a Lissa:
la materia è la stessa” le aveva detto tranquilla,
sciogliendo la loro presa,
questo le ricordava che non aveva ancora parlato con la sua amica,
“Volevi dire
la baronetta Pavlov” l’aveva presa in giro.
“Non
vedo l’ora di doverla istruire a tutte le stupide facezie di
corte” aveva
ridacchiato Meesha, “Adoro da impazzire l’esercito:
un cucchiaio e una
forchetta, se sei fortunata un coltello per tagliare la carne, ma solo
il
martedì” aveva aggiunto. Alina aveva riso,
“Ti va un po’ di brandy?” aveva
domandato poi, “Vorrei, giuro, ma sono qui come membro
dell’esercito della
grande e potente Ravka, non vorrei creare vergogna alla mia
regina” aveva
spiegato. Comprensibile.
“E
ora penso di doverla lasciare, ero venuta solo per congratularmi e per
le dita”
si era congedata con quelle parole ed un inchino amichevole. Alina
odiava
quando usava quel tono così formale, quando usava il lei.
“Quanti
bicchieri hai bevuto?” aveva chiesto Lilyiana quando le aveva
visto riempirsi
un calice, “Sento ancora dolore ai piedi; quindi, non
abbastanza” aveva
risposto Alina con un sorriso sarcastico, “Ti
prego” le aveva detto sua sorella
maggiore, “Solleva le dita” le aveva risposto la
minore. Lilyiana aveva
sollevato tutte le dita meno in pollice, tenuto premuto contro il
palmo, “Quattro
dita! Vedi sono ancora sobria” aveva risposto, ma per qualche
ragione
l’espressione seria di sua sorella le creava un senso di
ilarità difficile da
spiegare. “Non posso lamentarmi, la prima sbronza io la ho
presa che di anni ne
avevo meno di te” aveva soppesato sua sorella. “Me
lo ricordo bene” aveva
scherzato Drina che l’aveva affiancata, Alina era rimasta
molto stupita dalla
sua inaspettata comparsa al banchetto, pensava si stesse congelando da
qualche
parte a Fjerda.
“Ti
ho dovuto tenere la testa mentre vomitavi” aveva aggiunto
spietata Drina,
l’attimo prima che Alina si sporgesse per abbracciarla,
“Ben tornata!” le aveva
detto, “Eh, che accoglienza” aveva ridacchiato la
giovane donna, ricambiando la
stretta. “Oggi ho passato la giornata con tuo padre, a
spiegare l’arte
tysibeiana; sembrava interessato” aveva rivelato,
“Mio padre? Il mio rozzissimo
padre che pensa che l’azzurro, il ciano e l’indaco
siano lo stesso colore?”
aveva riso Drina con una punta di divertimento, “La gente
può cambiare e
ampliare i propri orizzonti” aveva ammesso sua sorella,
versandosi un po’ di
brandy nel suo calice. “Non mio padre, ya
slomayus', no ne sognus' è il
suo motto” aveva risposto Drina, mi
spezzerò ma non mi piegherò, in
antico ravkiano; “Dopo e’ya sta rezku”
aveva ricordato Lilyiana.
Io
sono una lama,
anche quello in ravkiano antico.
Alina
era inciampata nei due diversi motti duranti i suoi studi di storia. Il
primo Mi
spezzerò ma non mi piegherò,
apparteneva al periodo subito posteriore alla
Rafka unificata, contro gli assalti sempre più invadenti
degli Atili, che
avevano poi fatto nascere il bisogno di conquista dello stato: da
difesa ad
attacco. Il secondo apparteneva ad un ordine di monaci guerrieri che
seguivano
le vie di un Dio dimenticato e della spada, che avevano combattuto sia
contro
gli oyriandi, sia contro gli eserciti del Grande Sulinato e di Rafka
stessa che
si univa sotto un credo che non era il loro. Due moniti ormai persi e
dimenticati che sopravvivevano nei fieri uomini del sud[5].
“Comunque
non vedo l’ora di raccontarlo a mia madre, così
potrà subissarlo di
informazioni relative all’arte” aveva ridacchiato
Drina, sollevando una mano
per soffocare una risata con le dita. Al polso aveva un piccolo
bracciale di
ferro argentato, come quello di suo padre – Alina lo
ricordava perché Genya lo
aveva commentato – e non si era potuta trattenere dal
chiedere.
Drina
aveva guardato il bracciale, come se si fosse stupita di averlo al
polso o lo
avesse dimenticato, “Oh, sì. Gli ho fatti quando
sono rimasta incinta, al loro
interno hanno l’iridio … non è solo uno
dei materiali più rari in natura ma
anche uno dei più difficili da corrodere. Lavorarlo
è stato davvero una
faticaccia, ma ho avuto nove mesi di letto per farlo” aveva
spiegato poi
tronfia, “L’ho realizzato per tutti i membri della
mia famiglia, così posso
sempre trovarli sai, se per caso qualcuno finisse rapito dagli
schiavisti. La
rarità lo rende facilmente rilevabile, la resistenza lo
rende difficilmente distruttibile
e, grazie alle mie doti scarse da fabrikator, la bruttezza lo rende
improbabilmente rubabile” aveva scherzato Drina.
“Non
hai pessime dote da fabrikator, sei semplicemente più
artistica” si era
introdotta Lilyiana, ed era vero. Nonostante Alina non conoscesse
così bene
Drina, aveva visto nel corso degli anni l’amica di sua
sorella piegare la
materia in forme ambigue, divertenti e suggestivi, senza mai concedersi
all’arte dell’invenzione, nonostante fosse stata
– per un periodo – un membro
degli zero di suo padre.
‘Drina ha una percezione che veramente pochi grisha
hanno’ ricordava di aver
sentito sua madre commentare una volta, mentre si passava tra le mani
una rosa
d’ottone con petali così arcuati e imperfetti da
sembrare che qualcuno avesse
colorato un fiore vero del colore metallico. Era quello il suo talento
superbo,
poteva trovare il proverbiale ago nel pagliaio, anche se il pagliaio
era
composto di chiodi di ferro e l’ago del medesimo materiale.
Alina
ricordava di averla vista spuntare tra gli alberi soldati, con la coda
alta, la
benda di seta con il sole – come Genya – e la kefta
porpora che raccoglieva i
ragazzini scalmanati fuggiaschi dall’orfanotrofio con la
stessa maestria di una
cacciatrice di tartufi. Quando erano scesi a sud per la nomina al rango
di
ducale della famiglia Rosen.
“Ovviamente
questo non ha reso le cose semplici al Bosco” si era
lamentata Drina.
“Oh,
sì come va nella ridente Fjerdia?” aveva chiesto
Alina sfacciata, dopo aver
udito la menzione del luogo dove Drina alloggiava. Era un po’
di parte sulla
questione Fjerda, non aveva mai provato particolare attenzione o
interesse per
il luogo, se non per l’algida architettura, massiccia,
imponente ma anche
stranamente alta, avendolo sempre relegato ad un posto freddo e buio.
Alina
sognava con più interesse le terre dell’estate
perenne e i frutti dolci del
sud.
“Fjerda?
Orribile come poche cose al mondo, il Bosco di Sankt Feliks? Peggio.
Un
posto dove ci sono poche ore di luce, il sole è una leggenda
e un freddo così
infame da gelarti l’aria nei polmoni. Inoltre, gli altri
studiosi sono una noio
colossale, per conquistarli ci vuole una fatica infame e non ne vale la
pena”
aveva risposto annoiata Drina, “E la corte?” aveva
chiesto invece lei, facendo
sollevare un sopracciglio scuro a Lilyiana, “Rispetto al Gran
Palazzo è uno
spettacolo, ma anche una cascina in campagna lo sarebbe.
Però, sì, la Corte di
Ghiaccio è un vero miracolo dell’ingegneria e
dell’architettura, è davvero
splendida ed ha il dono di farti sentire minuscolo, degno del titolo di
una
delle Cinque Meraviglie del Mondo. E nonostante fuori possa esserci
neve e
ghiaccio, dentro non fa mai freddo! Peccato esserci stata molto poco
… e
peccato che con l’eccezione della Regina Mila sia un posto
incredibilmente
austero dove stare” aveva risposto, “Perfino Re
Egmond parla poco, il principe
Bjorn d’altronde è molto chiacchierone”.
Il
famoso cugino di Matthias,
“Peccato che sua maestà la regina
Mila ha fatto tutto ciò che era in suo potere per tenermelo
lontano. Infondo,
sono l’erede di un podere e la nota amica
dell’erede di Ravka. Non che mi
interessasse parlare con lui nello specifico, ma almeno aveva una
personalità
frizzantina” si era giustificata.
“In
realtà credo ti abbia fatto davvero bene” si era
intromessa Lilyiana, Drina
aveva aggrottato le sopracciglia, aveva pettinato i capelli
affinché l’occhio
cieco fosse nascosto – Alina non aveva idea di cosa fosse
successo e una parte
di lei smaniava per chiederlo, anche in quel preciso momento
– “Cosa intendi?”
aveva chiesto la materialki, “Che non sei mai stata
così chiacchierona” aveva
buttato fuori Alina.
Sua
sorella le aveva tirato una gomitata senza grazia. In realtà
Alina sapeva che
era esistita una Drina chiacchierona, con gli occhi azzurri vispi e la
gioia di
vivere tatuata in viso, ogni tanto Cignaz – l’amico
di Lissa che lavorava alla
lavanderia – ne parlava e anche Genya, che le passava sempre
le mani tra i
capelli, materna e gentile. Alina però non l’aveva
mai vista.
Non
le sarebbe dovuto importare, ma una parte di lei si sentiva defraudata
di
un’Alina solare ed allegra e di una Lilyiana che, come la sua
amica, era morta
prima che lei emettesse il primo vagito.
Dopo
diciassette anni, Alina si sentiva ancora defraudata.
“Ah,
sì, certo. Al Bosco chiacchierano così poco che
perfino io ho fatto un accumulo
di tutte le parole che non ho potuto dire” aveva scherzato
con un sorriso
allegro. “E tuo marito?” aveva inquisito Alina,
“Sì, ecco …un’altra cosa che
mi
manca è il sesso, vero. Giuro, mi è sempre
piaciuto fare sesso, ma dopo aver
sgravato i miei ormoni si erano acquietati un attimo, ma invece no,
dopo un
paio d’anni, fuoco tra le cosce” aveva risposto
Drina, sorprendendola, Alina
voleva più sapere dove fosse, “Al Bosco non
si copula, non che potrei
farlo, mio marito non è lì” aveva
risposto quella con una risata.
“Non credevo avrei vissuto fino al giorno in cui ti avrei
visto fedele” aveva
detto sua sorella, con un tono stuzzicante, “Mi offendi! Io
sono sempre stata
fedele, se non nel corpo, almeno nello spirito” aveva
stabilito, guardando sua
sorella con l’unico occhio sano con
un’intensità tale che Alina aveva sentito
freddo per Lilyiana.
“Sì,
è stata una cosa profondamente ingiusta da dire, da parte
mia” aveva sussurrato
Lilyiana ed il suo tono era stato lacrimoso, per Alina era
già sconvolgente che
sua sorella si stesse scusando, ma che avesse preso quella vena
smielata
sembrava surreale. Drina aveva allungato una mano e l’aveva
afferrata per la
vita prima di spingersela addosso e strizzarla in un abbraccio da orsa.
Lilyiana era arrossita e l’aveva ricambiata, morbida, prima
di schioccarle un
bacio sulla guancia.
“Oh, per fortuna che il mio maritino non è qui,
potrebbe diventare geloso”
aveva scherzato Drina, “Il mio è qui, ma
conoscendolo probabilmente si starà
facendo corteggiare da mio fratello” aveva ridacchiato
Lilyiana.
Alina
era un po’ gelosa. Malcom, Najima, Dimitriji e suo marito
riuscivano ad
addolcire sua sorella, ma Drina – e il Juris, anche,
ovviamente – riusciva a
renderla una creatura morbida e ruffiana come una gatta, in una maniera
morbida
e bellissima che rendeva sempre Alina invidiosa. Non era gelosa del
loro
rapporto, Alina aveva Lissa, era gelosa che qualcuno potesse rendere
sua
sorella così e che quel qualcuno non fosse lei, ne avesse
mai condiviso i
segreti con lei. Alina avrebbe voluto avere un po’ della
Lilyiana di cui Drina
poteva disporre. “Per spezzare una lancia a suo favore, tuo
fratello è un uomo
molto attraente e con un discreto talento in camera da letto”
aveva scherzato
la donna. “Sankti! Drina!” lo aveva rimproverato
Lilyiana quasi scandalizzata,
“Non mi dire che ci sei giaciuta!” aveva invece
esclamato Alina sboccata, “Chi
io? No, no, per me non importa quanto bello e affascinante diventi
Dominik, per
me rimane lo stesso rospetto che ho conosciuto quando avevo nove anni.
Nonostante mia madre ci sperasse moltissimo” aveva replicato
Drina, “Ma ho gli
occhi, oh, be, ho almeno un occhio che ci
vede!” aveva risposto Drina,
strizzando verso di loro l’unico occhio che si vedeva sul
viso, mentre quello
cieco, ben nascosto dalla pettinatura, “O delle orecchie per
sentire. Ed ho
sentito un mucchio di cose, alcune così depravate
da aver messo in
imbarazzo anche me.”
Alina
era abbastanza sicura di averle sentite anche lei o, meglio, lette, i
libelli
erotici erano spudorati quando si trattava di Dominik e suo fratello
sembrava
quasi gioire nel voler nutrire le dissolute fantasie degli scrittori
più
sfacciati. “Voglio che sia noto, anche alle pietre, che per
quel che mi
riguarda Dominik e Alina per me sono pari a creature
asessuate” aveva stabilito
Lilyiana, piazzandole una mano protettiva sulla spalla. Alina era
saltata dalla
sorpresa ma poi aveva sentito il cuore scaldarle il petto. Aveva
ricordato
Dominik definirla la loro lapushka.
Era
più facile amare suo fratello, di quanto non fosse sua
sorella. Dominik era
sempre così aperto, onesto e sentimentale, mentre Lilyiana
sembrava una tigre
delle nevi rimasta prigioniera in una trappola per orsi che cercava di
graffiare anche l’avventore che tentava di aiutarla
– almeno con loro, in
pubblico sapeva mostrarsi la più raffinata ed educata delle
signore. “Comunque
dove è il mio bracciale?” aveva inquisito
Lilyiana, cogliendole di sorpresa,
toccando il piccolo capolavoro di Drina. “Tu non indossi
monili” l’aveva
rimproverata bonariamente Drina, passandosi una mano su uno degli
orecchini
pendenti. Era una cosa strana ed anche abbastanza risaputa, sua sorella
non vestiva
gioielli, neanche la fede – e nella corte si scommetteva se
quando sarebbe
ascesa al trono avesse o meno indossato la corona – di nessun
genere. Per anni,
cortigiani, mercanti e quant’altro avevano cercato di
guadagnare i favori di
sua sorella donandole pietre preziose, che puntualmente finivano o
restituite,
o date in beneficenza o ad Alina. La stessa collana che indossava in
quel
momento, una collana di una lega d’oro ed argento, che
raffigurava un drago a
quattro zampe di profilo, con ali spiegate e la coda che si arrotolava
sul
collo sottile, con pietre d’ametista come occhi, era un
regalo che Lilyiana
aveva ricevuto dal precedente Presidente del Consiglio di Kerch
– prima che
avesse uno sfortunato incidente con una scala da tre gradini
– e che non poteva
essere restituito. Era oggettivamente una collana ingombrante e
piuttosto
brutta, ma ad Alina piaceva, sembrava proprio urlare: sono la figlia
del drago.
“Una
spilletta?” aveva proposto Lilyiana, Drina aveva ridacchiato,
“Ho fatto dei
gemelli sia per Juris sia per il Piccolo Nikolai quando
crescerà” le aveva
detto, prima di allungare la mano ed accarezzarle i capelli quasi
materna.
“Oh!
Il principe di Fjerda!” aveva squittito Lilyiana attirando la
loro attenzione,
ammiccando a Matthias che incedeva a passo lento – molto
lento – verso di loro,
evitando i bagordi della festa e delle danze. Avevano ballato insieme
almeno
due volte erano stati rigidi e pieni di fatica.
“Il bellissimo principe di Fjerda” aveva
bisbigliato Alina, “Ti ho già detto
che penso la sua faccia sia opera di sartoria?” aveva
chiesto, era un commento
rivolto più a sua sorella, che alla giovane futura duchessa,
guardando il fondo
del suo bicchiere. “Decisamente sì”
aveva accordato Drina, con una mezza
risata, “Ti prego” l’aveva rimproverata
Lilyiana, dandole un buffetto.
“Vostra
altezza reale, vostra altezza e vostra grazia” aveva detto il
principe Matthias
quando era stato alla portata delle loro orecchie, facendo un inchino
con
gentilezza alla loro presenza.
“Vostra grazia” lo aveva
scimmiottato un po’ Drina, “Due mesi fa ero
Drina!” aveva aggiunto ridente. Era balenato un rosso vivo
sul viso di
Matthias, “Non volevo essere sfacciato”
aveva miagolato. “Gli uomini di
Fjerda possono esserlo?” aveva chiesto Alina, prima di
guadagnarsi un pizzico
sulla spalla da sua sorella. Matthias aveva sgranato gli occhi
azzurrissimi,
“Oh, sì possono esserlo!” aveva ghignato
Drina, “Non sai quanto possano esserlo
i druskelle” aveva sospirato sua sorella, ma non
c’era gioco o gentilezza nella
sua voce. “Sua altezza reale, perdona mia sorella, la
principessa Alina è
piuttosto agitata questa sera” aveva provato con un tono
più sicuro Lilyiana,
“Più allegra, direi” si era intromessa
lei stessa.
Matthias
l’aveva guardata, aveva deglutito pesantemente e poi aveva
detto: “Nessun
bisogno di scusare nulla e nessuno” poi aveva fatto una lunga
pausa, con gli
occhi blu spaesati come un cervo cacciato, “Era mio interesse
passeggiare con
t-voi, principessa Alina” aveva aggiunto.
“Oh, certo!” aveva risposto Alina, anticipando
Lilyiana, prima di buttare giù
l’ultimo sorso del bicchiere. “Non dovrebbe esserci
uno stuolo di
accompagnatori?” aveva inquisito Drina, mentre Alina si
divincolava dalle due,
per raggiungere Matthias e prenderlo a braccetto. Il principe era
sembrato in
leggera difficoltà, “Dovrebbe” aveva
considerato. “Fortunatamente siamo in
territorio Ravkiano e se una fanciulla e un fanciullo vengono trovati
da soli,
in atteggiamenti non ostili, si ipotizza stiano solo parlando o, forse
anche
amoreggiando, ma non è un problema” aveva
ponderato Lilyiana, dandole un
buffetto incoraggiante sulla schiena.
“Grazie
per avermi salvato da quelle due” aveva ridacchiato Alina,
aggrappandosi a lui,
“Mia madre dice sempre che quando sono insieme Lilyiana e
Drina perdono tutta
la loro compostezza e diventando due cinciallegre” aveva
rivelato, “Mio padre
dice che è ereditario, perché mia madre e Marina
Rosen sono uguali” aveva
scherzato. “Due contadinotte, passate per
l’esercito, fino ad un ruolo
nobiliare che mal si confaceva” aveva detto sguainata
– una vita completamente
diversa da quella in cui Alina era stata costretta, tra etichette e
lezioni di
matematica, letterature e buone maniere.
Ed era stata patetica nell’ultimo.
Matthias
si era morso un labbro, “Devo dire che i miei genitori non
hanno conservato
molte amicizie della giovinezza. Mia madre era la vedova di un
pescatore e mio
padre era un ragazzino malato; si sono avvicinati uniti dal cordoglio
di Hanne
Brum; hanno nutrito una bella corte poi” aveva considerato,
“Ma hanno pochi
amici” l’ultima sentenza l’aveva detta
con un tono basso e tinto di tristezza.
“Tua madre mi pare la donna più allegra e
socievole del mondo, riesce a tenersi
in competizione con mio padre” aveva ridacchiato, Alina non
aveva chiesto nulla
su di lui, era abbastanza nota che il principe Matthias non fosse
particolarmente loquace e socievole, le sue compagnie più
note erano stati il
cugino Bjorn e la giovane nobile hetsjut con loro, oltre la Frusta di
Mare – a detta
di quello che lui stesso aveva detto.
“In
base a questo …” aveva cominciato Matthias, mentre
lo trascinava in luoghi più
appartati, verso i boschi di pioppi circostanti la palude, che divideva
lo
spiazzale della festa – con il ballo, l’orchestra e
i tavoli imbanditi – e la
villa e l’alcova di Kirigin e Demidov. “Sta sera
è stato molto bello quello che
hai fatto per la baronetta” aveva considerato gentile,
“Se mi fossi preparata
meglio, sarebbe stato più bello” aveva sospirato
Alina, “Penso sia stato un
gesto così gentile che non importi” aveva
considerato e il suo tono era stato
mesto, onesto, e stucchevole, che Alina si era sentita quasi in colpa
per
qualcosa. “Grazie” aveva pigolato.
“C’è qualche parte dove vuoi
andare?” aveva
inquisito Alina, poi recuperando la sua compostezza, per quanto
l’alcol lo
permettesse, “In un posto … solitario”
aveva risposto Matthias, “Devo chiederti
di una cosa seria.”
“Uh
… siamo in un posto parecchio isolato” aveva
considerato Alina, posandosi al
tronco nodoso di un albero, senza preoccuparsi che la resina rovinasse
l’albero. Matthias era ad una distanza ragionevole da lei,
che per un Fjerdiano
sarebbe probabilmente costata una scudisciata sulla schiena per atti
osceni. Doveva
essere un posto molto triste Fjerda, freddo, cupo e repressivo,
nonostante la
regina Mila avesse fatto più miracoli di una sankta per
renderlo un lugo fresco
ed aperto. Alina non era abituata alle scorribande dei suoi fratelli,
ma perché
l’avevano sempre tenuta prigioniera in una campana di vetro
ed ogni sua fuga
era stata abortita prima di poter avere vita, e forse
nell’intimità era stata
piuttosto carente – e ancora ricordava i baci feroci di
Meesha e le sue carezze
avide – ma aveva letto libelli di ogni genere, e libri e
poesie, così come
quadri e litografie; aveva tormentato Genya in ogni modo. Una volta
aveva anche
cercato di infilarsi in un postribolo per guardare.
Sapeva
che, se avesse avuto la libertà non sarebbe stata dissimile
dal resto della sua
famiglia.
“Se tu volessi uccidermi, questo potrebbe esser un luogo
adatto. Potrei urlare
fino a squarciarmi la gola e nessuno mi sentirebbe” aveva
scherzato. Non
sarebbe stato utile solo per quello, pensandoci attentamente.
“Non voglio ucciderti!” si era difeso il principe.
Matthias
la guardava come se fosse stata l’incarnazione del Vampiro e
dalle sue mani
avessero potuto zampillare fiocchi di oscurità, la nuova
venuta dell’Oscuro.
“Meno male, perché devo dirti che Tamar Yul-Baatar
mi ha insegnato l’autodifesa
e so atterrare una persona due volte me” aveva stabilito.
Il principe di Fjerda non era due volte lei, anzi era anche piuttosto
magro in
confronto ai fisici statuari dei druskelle che aveva visto, e
più secco di suo
fratello Dominik, però aveva le spalle ampie ed era
più alto di Alina di almeno
mezza testa. Matthias aveva sollevato le mani, in una posizione di
resa, pieno
di disagio in viso.
“Appurato
che tu non voglia uccidermi e che io non debba romperti qualche osso
…Cosa
volevi chiedermi?” aveva chiesto poi, leggermente
spazientita, lontano, come
echi distanti sentiva la musica dell’orchestra ancora vivace.
“La
tua mano” aveva risposto Matthias freddo. Alina aveva
sollevato la mano
sinistra, contraendola dalla posizione molle in cui aveva costretto il
braccio,
“Eccola” aveva scherzato, allungandola verso di
lui. Matthias aveva fatto
zampettare l’azzurro dei suoi occhi dalla sua mano al suo
viso, con un’espressione
che tradiva la sua stoica apatia in qualcosa di molto più
umano: incredulità e
sorpresa. “Non in quel senso” aveva detto
leggermente a disagio. Onestamente
non capiva a pieno il perché, lui aveva chiesto, lei aveva
dato. “Non mi hai
appena chiesto la mano?” aveva chiesto Alina con
ovvietà facendo roteare il
polso. “Non in quel senso” aveva insistito il
principe, portandosi una mano sul
viso, sconfortato.
“E
in quale sens-oh!” aveva provato, prima di capire, “In
matrimonio! Tu
stai chiedendo la mia mano in matrimonio!” aveva esclamato
Alina. Stupita!
“Sì,
so che non è molto ortodosso. Di norma dovrebbero parlarne
mio padre e tua
madre e noi dovremmo a malapena saperlo. Mio padre si era raccomandato
di
scegliere bene e mia madre parteggia molto per te, però ho
pensato fosse d’uopo
parlarne con te prima di dar via alla chiassosa burocrazia
necessaria” aveva
spiegato pratico.
“Come?”
aveva chiesto. “Mio padre ha sposato una pescivendola, ma io
non avrò la stessa
grazia di poter sposare qualcuno che amo, ai tuoi genitori è
capitata la stessa
fortuna che non sarà estesa a te. Questo perché
siamo principi e principesse e
ci si aspetta che stendiamo alleanze” aveva cominciato a
recitare con un tono
insicuro, “I nostri genitori hanno potuto sfruttare
situazioni eccezionali che
a noi probabilmente non saranno concesse” aveva considerato.
Come
era stato per Lilyiana, almeno pensava Alina, che un giorno aveva
annunciato
che avrebbe sposato il figlio di un ministro di Shu-Han di cui lei non
sapeva
nulla – forse non era proprio come immaginava la storia
Alina, ma immaginava
che sua sorella avesse semplicemente scelto il partito più
appetibile per i
suoi giochi cortesi.
“Però,
ecco, pensavo prima di incastrarti in questa cosa di chiedere se ti
andasse
bene” aveva buttato fuori Dominik. Alina aveva sbattuto gli
occhi realizzando
la portata di quella dichiarazione.
“Vuoi sposarmi?” aveva chiesto con una certa
perplessità, “Ci conosciamo a
malapena!” aveva aggiunto. Matthias aveva battuto gli occhi
blu come se lei
fosse stata un elefante con ali piumate di colore arcobaleno.
“Sì, di sicuro
non è perché sei l’amore della mia
vita, ma …” aveva borbottato il ragazzo con
una goffa incertezza. “Hai bisogno di una principessa,
sì” aveva ponderato
Alina, “Dalai ha un sacco di cugine.” “Ho
bis-Ma preferirei te” aveva detto
Matthias, deviando lo sguardo, puntando gli occhi azzurri sulle sue
scarpe
leggermente infangate. Alina non riusciva a spiegarsi perché
questa improvvisa
dichiarazione la lasciasse leggermente scossa – non provava
niente per il
principe, ma …
“Io
credo vada bene” aveva borbottato alla fine. Sua madre ne
sarebbe stata felice,
adorava la regina Mila, la Corte di Ghiaccio non distava troppo da Os
Alto e …
Alina non avrebbe avuto poi molta scelta.
“Credi?”
aveva chiesto Matthias, “Sì credo, comunque non ci
sposeremo domani, no? Ci
saranno organizzazione, incontri. Sono sicura che Fjerda ha una rigida
etichetta per il corteggiamento” aveva borbottato. Matthias
aveva ridacchiato,
la sua voce era sembrata più leggera, “In effetti
sì. È una procedura lunga e
piuttosto nevrotica” aveva ammesso, grattandosi il capo
biondo, “Però credo
sarebbe d’uopo fare una cerimonia mista. Il vecchio Karl
impazzirà per
organizzarla” aveva considerato.
Si sarebbe sposata, era un pensiero che le dava una leggera nausea; le
era
venuto in mente il matrimonio di sua sorella qualche anno fa e
l’espressione affranta
di Anya quando aveva le aveva comunicato che si sarebbe unita in giuste
nozze a
Viktor Semyon. In effetti anche Alina avrebbe indossato il colore del
lutto se
avesse dovuto sposare il promesso sposo di Anya. Però a lei
non sarebbe toccato
l’insofferente Viktor Semyon, a lei spettava
l’algido principe di Fjerda. Per
un solido secondo aveva pensato che si sarebbe piegata in due in quel
momento e
che avrebbe vomitato tutto quello che aveva bevuto e mangiato fino a
quel
momento. Ma aveva ricacciato a fatica la bile nello stomaco, per
voltare lo
sguardo verso il principe.
C’era
qualcosa in lui di titubante, quasi tremolante – Oh Sankti!
Alina lo avrebbe
sposato, questo noioso ragazzo perfetto, perfettamente ben educato, con
una
faccia finta e che scommetteva dentro dovesse avere qualcosa di marcio.
“Parlo
il fjerdiano come una bambina, sappilo” aveva considerato,
cercando di
alleggerire la situazione, quando si sentiva tutt’altro che
leggera, Matthias
aveva annuito: “Probabilmente la lingua sarà
l’ultimo dei problemi” aveva
valutato lui. Alina si era allontanata dal tronco di pioppo, per
avvicinarsi,
“Immagino” aveva detto enigmatica, lui si era fatto
leggermente rosso in viso,
“Potrebbe anche essere la tua faccia” aveva
berciato lei. Il rossore dolce
aveva lasciato spazio ad un bianco cadaverico sconvolto, toccandosi le
guance
con un movimento meccanico, “La mia faccia?” aveva
balbettato.
Alina
aveva toccato la guancia che Matthias non stava toccando, aveva sentito
la
pelle del principe infiammata sotto i suoi polpastrelli,
“Questa non è la tua
vera faccia, vero?” aveva biascicato, l’espressione
sul viso di Matthias era
impagabile, sconvolta “Nel senso ti aggiusti,
no?” aveva considerato
divertita.
Matthias
le aveva allontanato la mano dalla sua faccia con un tocco delicato, ma
imperioso, come se non avesse voluto farle male ma non tollerasse di
essere
ancora toccato, “Cosa … intendi?” aveva
chiesto. “Nessuno è così bello. Nessun
uomo almeno” aveva ridacchiato.
Matthias
aveva battuto le ciglia colto di sorpresa, “No?”
aveva proposto, “Ti ho
letteralmente trovato con le mani di Genya sulla faccia!”
aveva replicato
Alina.
“Questa
è la mia faccia!” aveva replicato Matthias ed era
sembrato profondamente offeso
dalle illazioni di Alina, che quasi aveva sentito un leggero
manifestarsi di un
senso di colpa.
Però, il viso irritato di Matthias era quasi delizioso,
“Va bene, tieni i tuoi
segreti. Ma se ci dovessimo mai sposare, mi dispiacerebbe svegliarmi la
mattina
con uno sconosciuto” aveva buttato fuori.
“Non succederà” l’aveva
rassicurata Matthias ma il suo tono era leggermente
aspro di panico, “Va bene, va bene” aveva ammesso
Alina ridacchiando, non
sapeva perché ma era decisamente compiaciuta dalla
difficoltà di Matthias, fino
a quel momento era sempre sembrato una creatura così posata,
anche sotto
l’incalzante interrogatorio di Dominik.
Sempre
perfetto, sempre cheto, il principe d’oro e di ghiaccio, che
Alina era sicura
sua madre avrebbe voluto al posto della sua irruenza fastidiosa, dei
modi
vezzosi di Dominik e dell’atteggiamento bisbetico di
Lilyiana. Eppure, eccolo,
umano e con le gote paonazze di vergogna e vino.
“Potresti
quasi piacermi, ora” aveva detto.
“Perché
non ti piaccio?” aveva chiesto Matthias, ma non aveva avuto
indignazione nella
voce, ma quasi genuina curiosità. Alina aveva ridacchiato,
“Oh, … ehm … come
dire, sei noioso?” aveva buttato fuori, “Guardati:
bellissimo, perfetto, bravo
in tutto, non mi sono neanche dovuta sforzare per perdere la
competizione di
tiro al piattello, sei così calmo, stoico, non sembri vero,
non hai alzato
neanche una volta la voce con Dominik che è stato orribile
per tutto il tè che
abbiamo preso assieme, suoni la domra, reciti bene le poesie, sankti,
ieri hai
recitato un sonetto che hai scritto tu nella mia lingua, forse non era
perfetto, ma hai rispettato la metrica e hai usato rime sagaci tipo
radicchio e
crocchio … come hai pensato di metterle in rima?”
aveva buttato fuori. “Non mi
sembrano cose … cose brutte” aveva provato il
principe. “Praticamente se
aggiornassimo La Giusta Immagine di un Principe,
dovremmo scriverci:
Matthias Grimojor” aveva buttato fuori. Matthias sembrava
confuso.
Non mi piaci perché mi fai sentire inferiore e
inadatta e io sono la dannata
principessa di Ravka! Avrebbe voluto urlare ma non era stato
il buon senso
a fermare la sua lingua, quanto la vergogna, anche alterata e sciatta,
Alina
non lo avrebbe mai ammesso.
Non avrebbe mai permesso di vincere a quella piccola vocina che
sussurrava
nelle sue orecchie che non era abbastanza.
“E
soprattutto sei bello, bello da far schifo, cioè sul serio,
guardarti soltanto
mi fa drizzare i capezzoli!” aveva buttato fuori, invece, e
non era neanche una
menzogna. Arrabbiato, confuso ed impacciato il principe Matthias
sembrava
davvero accettabile. Il fjerdiano era diventato rosso come un pomodoro,
“Questo
è molto audace” aveva buttato fuori,
“Per un fjerdiano sicuramente … scommetto
che essere qui al buio a parlare con me sia la cosa più
spericolata che tu
abbia mai fatto” aveva sogghignato.
“Perché
tu?” aveva risposto schietto il principe, con un tono
leggermente irritato ma
le guance ancora rosse, “Io? Io sono scappata di casa tre
volte, ho fatto il
Sentiero dei Pellegrini” – non era vero, non del
tutto, dopo che Vasilissa era
partita per l’Agroverde, Alina aveva scongiurato di poter
andare, ma non aveva
ricevuto l’assenzo, dopo tempo ancora le bruciava,
“Ho scalato le rovine
dell’Arcolaio e ho camminato tra gli Alberi Soldato con i
bambini di Keramzin e
ho visto l’Uccello di Fuoco” aveva quasi urlato,
quello, quello era vero.
In
particolare, l’ultima; Alina lo ricordava come una memoria
febbrile. Ricordava
di averlo raccontato a Drina e Lilyiana dopo certissima e ricordava lo
sguardo
leggermente accondiscendente di sua sorella, nessuno dei bambini che
era
fuggito allo sguardo attento di Marina quando avevano fatto
l’escursione dei
boschi lo aveva visto, quindi nessuno le aveva creduto.
A parte la duchessa: ‘forse è stato per il nome
nome’, aveva ipotizzato
gentile.
‘Ma
lei mi crede, vero?’ aveva chiesto impaziente,
‘Certo. Anche a me è capitato di
vederlo’ aveva risposto lei con gentilezza.
“Io
ho attraversato il fossato di ghiaccio per l’Isola Bianca
come un druskelle ed
ho ascoltato la voce di Djel” aveva buttato fuori.
“Noioso” lo aveva preso in
giro Alina, “Quante belle principesse o campagnole hai
baciato?” aveva chiesto,
“Sei mai stato così vicino a qualcuno?”
aveva chiesto audace, posandoli una
mano sul petto, dove c’era il cuore. Avrebbe voluto essere
una corporalki in
quel momento per leggere quel nervoso ragazzo come un libro.
Matthias
l’aveva colta di sorpresa, imprigionando le sue mani guance
come una morsa ed
aveva schiacciato i loro nasi insieme, anche le loro labbra e i denti,
ma Alina
aveva notato di più l’appendice sul viso. Si era
ritratta con fatica, con una
mano a massaggiarsi la punta del naso.
“Cosa
doveva essere quello?” aveva chiesto sconvolta e fin troppo
divertita, “Un
bacio” aveva provato il principe di Fjerda bianco in faccia,
mortificato. La
risata proruppe dalle labbra di Alina senza il suo controllo,
prepotente dal
suo ventre, fino alla luce. “Oh, sankti, cosa era
questo?” aveva chiesto
tenendo malamente l’ilarità. “Un
bacio” aveva risposto scandalizzato il
principe.
“Oh,
Sankto Juris del Drago, se questo era un bacio, siamo messi proprio
male” lo
aveva preso in giro spietatamente, “Mi sa che il parlare
sarà davvero l’ultimo
dei nostri problemi.”
Si era aspettata che Matthias rispondesse per le rime, ma il principe
di Fjerda
era rosso di frustrazione e la sua espressione era così
contrita che aveva
quasi fatto appassire la risata sulle labbra di Alina,
“Possiamo
riprovare se ti va” aveva proposto.
Matthias
sembrava spinoso e nervoso, si era sporto leggermente di nuovo meno
irruente,
questa volta senza toccarla con le mani, come se Alina fosse fatta di
fuoco.
Non
era stato comunque un bel bacio, era stato un cozzare di denti,
scoordinato e
la lingua di Matthias nella sua bocca sembrava lo strisciare di una
lumaca. Alina
non aveva potuto imbrigliare in alcun modo la sua mente che davanti
tutta
quella scomodità aveva ricordato un altro bacio,
un’altra ebrezza, un’altra
festa.
Meesha
è le sue labbra morbide, quella lingua esperta, che le aveva
fatto sentire le
scintille, i brividi lungo la schiena e quelle mani svelte, che
l’avevano resa
nervosa e umida.
E,
sankti, Matthias era completamente negato. Si era staccata di fretta
con ancora
un filo di saliva ad unirli, “Almeno ho trovato qualcosa in
cui non sei bravo”
aveva scherzato con ancora la risata sulle labbra.
L’espressione del principe era stato molto meno divertita,
“Neanche tu sei
particolarmente capace” aveva stabilito, “Come se
avessi un metro di paragone”
aveva risposto Alina, cogliendo la sua inesperienza. Il principe era
sembrato
inviperito, “Forse è il caso che ci fermiamo
questa sera” aveva proposto il
principe gonfiando le guance. “Vogliamo tornare
indietro?” aveva proposto lei,
“Forse resto qui per un po’, devo …
riflettere” aveva detto. “Va bene” aveva
concesso Alina, incerta di quello che fosse appena successo,
“Forse …” aveva
borbottato qualcosa lui, senza che lei lo comprendesse.
“Cosa?”
aveva chiesto Alina, ma Matthias l’aveva ignorata, si era
poggiato al tronco di
un pioppo con un braccio, ed aveva posato la fronte sul suo
avambraccio, per
nascondere il viso, come se avesse dovuto nascondere qualcosa. Alina
aveva
deciso di lasciarlo alle sue contemplazioni, la notte
d’altronde era giovane,
mentre seguiva la strada che si era lasciata alle spalle, la risata era
tornata
sulle sue labbra.
Era
una cosa stupida, ma provava un piacere difficile da spiegare nel
sapere che il
perfettissimo principe Matthias fosse negato in qualcosa, anche se era
una cosa
sciocca.
Aveva
sentito di nuovo la musica inondarle le orecchie ed aveva osservato il
caos che
si palesava davanti a lei, aveva cercato sua sorella con lo sguardo, ma
non la
riusciva a distinguere, c’era sua madre però, che
dominava la sala con il suo
abito di scaglie viola-nera e tulle, come la regina che era, mentre
duettava
con il Marshal delle Isole Erranti.
Mentre
osservava le giravolte di sua madre, aveva riconosciuto anche la sua
migliore
amica.
Il vestito d’oro di Alina, non era bello come
l’abito lillà che Najima le aveva
fatto confezionare, quindi, Alina non aveva chiaro perché
avesse indossato quel
vestito, considerato che Genya lo aveva fatto modificare a posta per la
sposa
segreta. Però
Vasilissa era bellissima
lo stesso, lo era perché indossava il suo sorriso
più bello e sembrava felice,
con le gote arrossate dalla fatica e l’uomo con cui stava
ballando – il
vice-segretario di Novy Zem – la stava rendendo felice.
Aveva
attraversato il campo visivo di Anya Karkoff, vestita come una colata
di
melassa, che aveva l’espressione verde di qualcuno che aveva
mangiato qualcosa
di indigesto, e Viktor Semyon che aveva lo sguardo truce dei soldati,
verso la
sala. Si era diretta verso uno dei tavoli, aveva raccolto
un’altra coppa di
vino con cui soffocare le risate al pensiero di quel bacio
così impicciato e
dopo aver tracannato un po’ di quel vino, si era diretta
verso la pista,
abbandonando le scarpe che cominciavano a dolerle. Ci aveva decisamente
camminato troppo e se avesse voluto ballare sarebbero state
più un problema che
altro.
Quando
Lissa l’aveva vista, si era sciolta dalla presa
dell’uomo con una giravolta
felpata e le era andata incontro. Alina le aveva gettato le braccia al
collo,
“Sei stata bravissima!” le aveva sussurrato la sua
amica piena di riconoscenza
e gioia. “Per favore, ho sbaglio più accordi io
che tutti i musicisti di Ravka
negli ultimi cinquant’anni. Tatiana è stata
bravissima … a nascondere tutto!
Andiamo a ballare!” le aveva urlato trascinandola ancora al
centro della sala.
Aveva cercato di raccontarle tra una giravolta ed una risata quanto era
accaduto, ma la presenza molesta di Dominik in compagnia di Saroise,
l’altra sorellastra
del Marshal, le aveva impedito di essere esplicita. Non voleva dire a
Dominik
di Matthias, non quando suo fratello era stato così
antagonista da quel famoso
tè nel Giardino Segreto di sua madre.
E
poi era arrivata anche Anya Karkoff ancora più verde in
viso, come se avesse
voluto vomitare tutta la sua cena sulle scarpe di Alina. Era stata
anche
egoista ma aveva trovato anche terribilmente fastidioso che la giovane
principessa della Seta avesse bisogno della sua amica.
Da
quando erano amiche?
Alina
era terribilmente invidiosa, Anya era stata una sua compagna di giochi
da
bambina ed anche se da piccole si erano trovate accettabili, da adulte
non era
rimasto così. Anya era tutto quello che Alina non aveva
potuto essere: libera.
Anya Karkoff poteva rotolarsi sull’erba, fare a gare con gli
uomini per sputare
i noccioli dei ciliegi, ballare sui tavoli e scappare dalla campana dei
suoi
genitori.
E voleva anche Lissa?
Aveva
accompagnato la sua amica da suo padre che le aveva concesso le chiavi
delle
sue nuove stanze – Alina non sapeva dove fossero, ma
immaginava dovessero
essere più vicine al Corridoio Principesco e lontane dalla
cucina – ma pensava
che avrebbero dovuto battezzarle insieme. Forse Alina
l’avrebbe raggiunta, dopo
gli spettacoli pirotecnici; per onore avrebbe dovuto accompagnare
Lissa, ma non
voleva perdere la sua prima festa alla Palude, voleva godersela per
intero,
dall’inizio alla fine.
Aveva
perso l’ultimo scambio tra suo padre e la sua amica, tornando
consapevole nella
realtà solo quando aveva sentito il suo nome in bocca al suo
vecchio.
“Per
essere dama di Alina, dovrai essere insignita del titolo di Damigella
di Corte
ed entrare nell’ordine di Sankta Vasilka” stava
spiegando suo padre. Lissa non
sembrava molto convinta delle sue parole, la sua faccia era bianca come
un
lenzuolo e si stringeva la chiave di ferro dorato al petto come se
fosse stato
un galleggiante, “C-Certo” aveva balbettato. Alina
aveva strizzato l’occhio
verso di lei, per darle fiducia, sicura che qualsiasi manfrina fosse
richiesta,
Genya l’avrebbe sistemata a dovere.
Mentre
Lissa e Anya in gran carriera si allontanavano dalla festa per
raggiungere le
zone delle carrozze, Alina era rimasta a vegetare nell’arco
di suo padre.
Lui
però non sembrava molto interessato a lei – cosa
che non l’aveva stupita molto,
Alina non era ne Lilyiana ne Dominik – preferendo tornare a
parlare con i suoi
commensali.
Il
duca di Keramzin le aveva rivolto uno sguardo,
“Sarà un po’ frastornante per la
tua amica” le aveva detto, “La nobilità.
Sembra una cosa da niente così, ma
cambia” aveva detto l’uomo con voce calma,
“Immagino” aveva provato lei.
Non
credeva che la vita di Lissa sarebbe cambiata così tanto,
alla fine la sua
amica era cresciuta a Palazzo e fino a qualche anno prima non aveva
svolto
nessuna incombenza domestica. Sarebbe tornato tutto a come quando erano
bambine; avrebbero passeggiato per i giardini, avrebbero spettegolato
insieme e
forse avrebbero potuto fare il Cammino dei Pellegrini insieme e
avrebbero
viaggiato, per vedere la Tsaraskaya e qualsiasi altra terra,
perché Alina entro
un anno avrebbe avuto diciotto anni e non sarebbe più stata
una bambina. Già
immaginava quello che avrebbero veduto, dalle terre calde di Shu, alle
peccaminose strade di Kerch, le città di Stoffa delle
Colonie, le stranezze
delle Isole Erranti, i campi d’oro di Novy Zem, solcato le
acque blu del Mare
Vero e le innevate distese di Fjerda … dove Alina avrebbe
vissuto.
Quel
pensiero la colpì con la stessa intensità di una
pioggia estiva improvvisa.
Se
avesse sposato Matthias avrebbe vissuto nell’algida bellezza
della Corte di
Ghiaccio, tra le nevi e gli uomini tristi.
“Sta
bene, moya tsarevich?” aveva chiesto preoccupato il duca di
Keramzin, che
veniva da una terra a sud, florida, con gli alberi di melo e pesco nel
giardino
e la casa piena di risate. Era un pensiero stupido ma si chiese se
anche sua
madre si fosse sentita così, quando aveva deciso di sposare
suo padre, sapendo
che avrebbe rinunciato al mondo intero per una corona, per un palazzo
da cui
non sarebbe mai potuta uscire. Certo, sua madre non era stata la
principessa di
Ravka, ma la figlia di un contadino, ma era un Drago, suo era il cielo
e Alina
non riusciva ad immaginare, o ricordare, una sensazione più
inebriante del
volo. Però sua madre rimaneva confinata lì, sulla
terra. “Sì. Penso tornerò a
ballare” aveva risposto Alina, allontanandosi di fretta.
Aveva
ballato con Genya, che si era dichiarato troppo stana e troppo vecchia,
con il
ministro Sonan, con il principe Huoion, due volte, con Lagohire e con
Samir
A-Far, che era il segretario di Novy Zem ed aveva fatto non poche
domande su Vasilissa
e a cui meschinamente Alina aveva mentito di tutto punto. Non voleva
che tra
lei e Lissa ci fosse il Mare Vero in mezzo.
E
ogni ballo era stato intervallato da un sorso di brandy o altro, anche
dell’acqua. Aveva cercato Matthias con lo sguardo ma il
principe era scomparso
come la neve alle prime avvisaglie di primavera.
Ed
un ballo anche con sua madre.
“Finalmente
riesco a vedere uno di voi” aveva scherzato sua madre,
“Tua sorella e tuo
fratello si sono fatti incredibilmente sfuggenti questa sera”
aveva considerato
quella, mentre la conduceva, con una morsa ferrea e precisa.
“Sono sicura di
aver visto Dominik singhiozzare verso il bosco” aveva
commentato, “Da che sono
arrivate le delegazioni sembra aver perso il suo fascino ed
è un fascio di
nervi e piagnistei” aveva detto senza vergogna,
“Quello che hai detto non è
carino, Lina” l’aveva rimproverata sua madre,
dandole un buffetto sulla spalla,
prima di osservare il suo viso, “Hai bevuto? Non mentirmi ho
sensi più
sviluppati” aveva risposto, “Senti il mio battito
del cuore?” aveva chiesto
lei, “No, sento il tuo fiato” aveva risposto
piccata sua madre. Alina aveva
riso, “Solo un po’! Sono del tutto
consapevole” aveva ridacchiato, prima di
fare una giravolta, sua madre aveva scosso il capo,
“Ciò non toglie che domani
io sarò sobria e Dominik ancora arrabbiato” aveva
considerato.
“Oh,
lapushka, tuo fratello ha il cuore spezzato” aveva soffiato
lei, mentre le
faceva fare una giravolta con gentilezza,
“Dominik?” aveva chiesto, “Ha un
cuore da essere spezzato?” aveva chiesto.
Nella
sua testa, suo fratello era meraviglioso, ma era anche uno spirito
libero, una
farfalla, non credeva avesse qualcuno da amare e da cui farsi spezzare
il
cuore. Onestamente, sapeva fosse giaciuto con la bella Min-Han ma non
credeva
di averlo mai visto innamorato. “Non gli piace parlarne, ma
una madre queste
cose le sa” aveva sospirato sua madre, per la prima volta era
sembrata stanca,
“Non riesco ad immaginare ne Dominik ne Lilyiana con il cuore
spezzato. Loro
sono sempre così eterei” aveva borbottato.
“Nessun cuore è immune ad una frattura, bambina
mia” aveva sussurrato sua
madre, “È quello che hai provato quando il signor
Rosen ha sposato Marina?”
aveva chiesto senza vergogna, aveva avuto quell’idea in testa
per molto tempo.
Suo
padre era principe, il secondo genito, e corteggiava la Sankta del
Sole, sua
madre era un soldato e probabilmente neanche pensava a suo padre e
… i coniugi
Rosen si erano sposati mentre suo padre era ancora Re e sua madre era
soldatessa, due ragazzini, più giovani
dell’età che Alina stessa aveva in quel
momento.
Sua
madre aveva riso in una maniera grave e gutturale, “Ma come
ti è venuto in
mente?” aveva chiesto, “Sankti che idee bislacche
che hai bambina” le aveva
detto. “Schievich mi piaceva molto, mi piaceva più
di altri; aveva delle capacità
notevoli, per certi versi molto più creativo di
tuo padre, ma tra noi non
vi era intessuto amore” le aveva confidato, allungando una
mano per
accarezzarle il viso, “Penso che sentimentalmente sia molto
più legata a
Marina” aveva confessato.
Alina
per tempo si era chiesta se Lilyiana e Drina fossero un’ombra
di Zoya e Schievich,
ma forse erano delle loro madri.
“Nessuno
ti ha mai spezzato il cuore, mamma?” aveva chiesto confusa,
perché non credeva
che suo padre avesse mai voluto, per un po’ di tempo il loro
rapporto si era
raffreddato, ma Alina aveva sempre visto che, anche se arrabbiati o
frustrati,
non avevano mai smesso di cercarsi.
“Sì
certo. L’Oscuro” le aveva detto e in diciassette
anni di vita, Alina non aveva
mai sentito il nome dell’oscuro generale del secondo esercito
pronunciato dalle
labbra di sua madre. La regina aveva sempre usato perifrasi e
pseudonimi per
rivolgerli a quell’oscura figura, come se anche solo
pronunciare il suo nome lo
avrebbe evocato dalla morte.
“Avevate
una relazione?” aveva chiesto sconvolta, Alina aveva sentito
parecchie storie
sulla gioventù dissoluta di sua madre, lei non era mai stata
molto discreta e
alla servitù del Piccolo e del Gran Palazzo piaceva parlare
e se nessuno di
loro tre principi si erano ritrovati cuciti addosso
l’ingiuria di bastardi era
perché era lei ad essere la regina ed era la sua dinastia
che contava[6]
– inoltre, Dominik e Alina
somigliavano molto al Re Consorte – ma non aveva mai sentito
una voce su sua
madre e l’Oscuro Generale. “No, no
…” aveva detto sua madre, “Ma ero
innamorata
di lui, lo eravamo tutte … e lui ha spezzato il paese e il
mio cuore[7]”
aveva ammesso sincera
come Alina non l’aveva mai sentita, forse anche sua madre
aveva ecceduto con il
vino. “Posso dire che è stato proprio una testa di
cazzo” aveva detto sobria
Alina, “Signorina, credo di averti disciplinato
meglio!” l’aveva rimproverata
bonariamente sua madre, “Non dovevi lasciarmi con Genya,
all’ora” aveva
risposto per le rime Alina, mentre una risata allegra si era aperta tra
le due.
Nonostante
la piccola prigione d’oro in cui sua madre sembrava
così ansiosa di tenerlo,
Alina adorava quella loro complicità, quel loro legame.
Era
il Frutto dell’Autunno infondo, la principessa
avuta dopo, avuta tardi, per quanto sembrasse stupida come definizione,
sua
madre era ancora bella e forte come nel fiore dei suoi anni. Certe
volte
perfino Lilyiana, che aveva la stessa stregante bellezza grisha che
confondeva,
sembrava più vecchia di lei.
“Comunque per frugare ogni dubbio che tu possa avere, ero
innamorata
dell’Oscuro come lo sono le giovani, in maniera connaturata e
deludente, più di
un’idea che un uomo” aveva sospirato, “Il
mio cuore, quando ho deciso di amare,
è sempre stato per tuo padre …” aveva
confessato gentile.
“E Dominik?” aveva chiesto Alina, “Quando
si è giovani si crede che l’amore che
provi durerà per sempre … a volte succede, a
volte no. Dominik non somiglia a
me in questo, molto più a Nik, ama in maniera totalizzante[8]”
aveva considerato con un
tono un po’ più spento.
Aveva
ballato ancora e bevuto, aveva cercato sfacciatamente Matthias, finendo
per
trovare solo la bella regina Mila e l’istitutore del
principe, l’uomo che
scriveva poesie e che quella mattina Alina aveva intrattenuto con
nozioni
d’arte – Joran o Ioren, non ricordava bene il nome.
“Il principe Matthias ha
deciso di ritirarsi dalla festa” aveva risposto con un tono
calmo e pratico il
giovane. I capelli biondo chiaro erano aggrovigliati per i saltelli ed
aveva
allentato il nodo del fazzolo sul collo – Alina ricordava di
averlo visto
ballare parecchio quella notte, per lo più con la
sfavillante Merissa Nassau.
“Immagino
che questo tipo di intrattenimento possa turbare un morigerato uomo
fjerdiano”
aveva considerato Alina, continuava ad avere nella sua mente
l’immagine
cotta di imbarazzo e frustrazione di Matthias, che quella
sera non riusciva
ad imbrigliare in alcuna maniera la sua lingua, l’altro aveva
riso, “Potrebbe”
aveva concesso, “Ma non per lei” aveva considerato,
“Ho frequentato
l’università a Ketterdam, penso sia rimasto poco
che possa sconvolgermi” aveva
valutato.
Joran-Ioren
sembrava più grande di Tatiana, più vicina
all’età dei suoi fratelli maggiori,
un uomo alto e allampanato, non molto muscoloso, e un po’
ingobbito, come se la
sua altezza fosse per lui uno svantaggio, con i capelli biondo cenere e
gli
occhi blu-verde. “Per caso ha conosciuto anche mio fratello?
Studiava anche lui
a Ketterdam” aveva considerato, probabilmente sì,
immaginava che un giovane
uomo dovesse essere entrato in contatto con la cugina dodicenne di un
ambasciatore frequentando le varie ambasciate, forse una volta
Joran-Ioren era
stata a quella di Ravka e qualche volta suo fratello era andata a
quella di
Fjerda. Inoltre, Tatiana lo aveva definito un frequentatore della
Corte-Oltre-il-Mare.
L’uomo
aveva roteato il viso verso di lei, svolto, come colto da una spina,
“Sì …
vostra altezza” aveva detto piano, “Io e il
principe Dominik ci siamo
conosciuti durante i nostri anni di studi.
Avevamo
conoscenze in comune” aveva considerato.
Merissa
Nassau, supponeva Alina.
“Non
mi inviti a ballare?” aveva chiesto poi, era stato un
pensiero stupido ma con
l’eccezione di Matthias non aveva ballato con nessun membro
della delegazione
Fjerdiana, “Sfortunatamente mia signora non posso invitarla,
sono il fratello
di un margravio minore e non ho il permesso di invitarla”
aveva risposto
Joran-Ioren. Oh. La raccapricciante cultura fjerdiana.
“Non
hai il permesso di ballare con me o di chiedermi di ballare?”
aveva inquisito
lei, “La seconda, vostra altezza” aveva risposto
l’uomo, “Quindi io posso
effettivamente chiedere di ballarti” aveva soppesato,
Joran-Ioren aveva
annuito, “Va bene, balliamo” aveva stabilito
perentoria, porgendo la mano verso
la faccia dell’uomo, “E mentre ci siamo potreste
raccontarmi qualcosa sul
principe Matthias” aveva considerato.
“Uhm”
aveva ponderato l’uomo, “Non so quanto mi
è concesso dire” aveva squittito
divertito l’uomo, “Ci si aspetta da un cortigiano
la fedeltà assoluta” aveva
stabilito, facendo ridacchiare Alina.
Joran-Ioren
era stato il ballerino migliore con cui avesse danzato quella sera, era
stato
aggraziato, elegante e a, modo suo, indomito, non permettendo mai ad
Alina di
prendere il controllo – un Fjerdiano fatto e finito, dietro
le sue parole
raffinate e le rime eleganti. Alina era rimasta quasi stupita da
quell’autorità
e non aveva potuto fare a meno di metterlo a confronto con
l’insicurezza
divorante di Matthias.
E
non le aveva detto niente sul principe, era stata Alina che aveva
permesso alla
sua lingua sciolta di parlare, di sua sorella, di sua madre e di suo
fratello.
“A fatto questo?” aveva chiesto con una punta di
divertimento l’uomo, gli occhi
chiari erano luccicati di autentica gioia, “Mia madre era
sconvolta, ma non
quanto l’Apparat Vladim, la sua faccia era
meravigliosa” aveva raccontato con
una risata allegra, ricordando la scena, “Anche durante gli
anni
dell’università, Dom-Il principe Dominik era in
grado di fare questo genere” di
cose, la sua voce aveva preso una sfumatura incredibilmente dolce,
“La duchessa
Katjia ha ammesso che mio fratello ha rischiarato la sua triste vita da
quando
era rimasta vedova quart’anni fa” aveva aggiunto.
C’era
qualcosa di bello in Joran-Ioren in quel momento, come se quelle storie
avessero riempito il cuore.
“Il principe Matthias mi piace molto, comunque”
aveva considerato Alina, quando
si erano sciolte le loro mani e si erano allontanati, “Ne
sono contento è un
giovano uomo adorabile” aveva detto Joran-Ioren, dandole un
bacio audace sulle
dita, “Spero di aver modo di parlare ancora con voi, moya
tsarevich, c’è molto
di cui le vorrei parlare” le aveva sussurrato, Alina avrebbe
voluto che il tono
dell’uomo fosse pregno di malizia, ma c’era solo
fredda e placida cortesia.
“Con
piacere … mio nobile signore” aveva ammesso,
realizzando di non sapere neanche
il nome dell’uomo, “Mi aspetto che lei racconti
qualcosa” aveva aggiunto. Joran-Ioren
si era allontanato, lanciandole un altro lungo sguardo e un sorriso
lezioso.
Alina aveva guardato la mano che era stata baciata dolcemente ed aveva
aperto e
chiuso le dita delle mani con un movimento nervoso, pensando alle
labbra
soffice dell’uomo e alle dita incandescenti di Meesha.
Dopo
altri due bicchieri in presenza di Najima – che senza
pietà aveva chiesto cosa
si fosse detta con il fjerdiano e ad Alina era sembrata stranamente
ansiosa – e
un rimprovero di Genya, Alina aveva deciso di essere pronta a
ritirarsi, aveva
cominciato a sentire la testa girare come una trottola, così
si era
appropinquata per avvertire suo padre. Avrebbe volentieri avvertito sua
madre,
ma l’aveva vista ridere divertita a braccetto della
scandalosa regina Mila, che
davanti quella dolcezza, aveva solo sentito il bisogno di rientrate a
Palazzo e
potersi stendere sulle lenzuola con Lissa e raccontarle quanto era
stato della
giornata.
Toyla
non era stato capace di indicarli dove fosse finito suo padre, ma
qualcun altro
sì, anche se Alina non aveva compreso bene chi si.
Era
stata indirizzata verso il lato ovest del parco, sull’ansa
limosa della laguna,
per camminare aveva finito per immergere le scarpe fino alle caviglie
nel
fango, ma aveva seguito le istruzioni, aspettando che il primo sparo
previsto
sull’acqua apparisse davanti a lei. Era lontana dal posto in
cui avrebbe potuto
vedere i fiori nel cielo shu-hanniti come erano previsti, ma avrebbe
potuto
vederli comunque.
I fuochi d’artificio Ravkiani erano belli, ma Alina sapeva
che la regina Dalai
aveva promesso i suoi: e Shu Han poteva dipingere nel cielo come un
pittore
sulla tela.
“Merda,
sono diventato troppo vecchio per queste cose!” aveva sentito
la voce pesante
di suo padre, colma di divertimento e allegrezza, “Non sei
diventato troppo
vecchio, ma solo troppo ricco e borioso” aveva replicato una
voce, era il duca
di Keramzin.
“Dove
è finto il mio pirata da strapazzo?” aveva chiesto
il Duca ed Alina era
riuscita finalmente a vederli, con il viso arrossato dal vino. Erano
immersi
nella laguna fino alle cosce, indossavano ancora i calzoni eleganti ma
si erano
svestiti delle giacche raffinate rimanendo solamente in camiciola.
Il suo vecchio padre aveva deciso di mettersi a fare una nuotata
notturna in un
lago con un vecchio amico?
Pericoloso.
Alina aveva fatto un passo, non ancora notata, per rimproverarlo
– perché a lei
mai era stata concessa niente di così divertente come un
bagno notturno al
lago. “Corsaro. Sono passati quarant’anni e ancora
non te lo metti in zucca”
aveva ridacchiato suo padre, indicando con l’indice la tempia
del Duca.
“Corsaro, soldato, principe e re. Non ti sei mai fatto
mancare niente” aveva
scherzato l’uomo, schioccando l’indice verso suo
padre per vendetta, “E
guardami ora a fare il marito trofeo” aveva ammesso suo padre
con un tono
nostalgico. “Vorresti abbandonare tutto, Zoya, Ravka e figli
per andartene per
mare come ai vecchi tempi?” aveva chiesto il Duca,
“Ogni tanto sì” aveva ammesso,
“Ogni tanto penso al mare e penso a quanto adoravo stare
lì. Lo sai che a
nessuno dei miei figli piace? Neanche un giro di regata sono riuscito a
convincerli a fare” aveva detto lugubre suo padre.
Alina lo avrebbe amato – ma non era mai stata invitata a fare
un giro in regata.
“A
te manca?” aveva chiesto,
“L’esercito?” aveva risposto il Duca,
“Non mi mancano
né le lunghe marce, né la Faglia, né
la Chiesa. Mi manca cacciare, mi manca
cacciare come facevo prima, quello sì” aveva
risposto l’uomo, “Sulle barche, la
Rusalye, tra le grotte” aveva detto suo padre, la sua voce
era stata
enigmatica, evocativa.
“Ti
inviterei a farti le vacanze giù al sud da me, con la tua
ragazzina
chiacchierona” aveva detto il Duca, Alina si era sentita
chiamata in causa ed
avrebbe voluto correre da loro ed urlare la sua approvazione; aveva
fatto solo
un passo però, nel silenzio. “Potremmo organizzare
una caccia ai Moschi
selvatici” aveva ponderato, “Una di quelle che
durano giorni, seguendo le
tracce, accampati nei boschi” aveva proposto
l’uomo. Suo padre aveva riso, “Oh,
Mal, ti prego. Non tentarmi, è la proposta più
bella che ho ricevuto da dieci
anni a questa parte. Ma ho la vaga sensazione che, se entrassi nella
sua
proprietà potrei ritrovarmi io cacciato al posto di un
mosco” aveva commentato,
la sua voce nel finale si era velata di una certa tristezza.
“Posso darti il
mio benestare, ma non posso fare promesse per Alina” aveva
risposto il duca di
Kermazin, e Alina si era sentita confusa.
“Non
molte donne mi hanno schiaffeggiato, ma due moglie lo ha fatto due
volte e
ricordo bene le sue sberle” aveva detto suo padre leggermente
melodrammatica.
Anche Alina lo ricordava, erano giunti con mezza corte al Castello di
Kermazin
e quello era stata la calda accoglienza che la duchessa, prossima
all’investitura,
aveva riservato al suo Re, per poco non era successo un putiferio tra
baionette
e movimenti grisha. Ma sua padre aveva riso e detto che lo meritava.
“Avrei
voluto davvero che venisse, Zoya ci teneva moltissimo” aveva
aggiunto, il suo
tono era triste e colpevole. “Togliti
quell’espressione cupa dal viso, moy
tsar. Alina sta arrivando” aveva risposto
Schievich, “Probabilmente sarà
qui domani o dopo domani” aveva spiegato con estrema calma,
“Davvero?” aveva
chiesto confuso suo padre. “Sì, saremmo dovuti
arrivare insieme tutti
appassionatamente, ma il tuo telegramma sembrava abbastanza perentorio
e così
qualcuno è dovuto partire” aveva risposto il Duca,
suo padre doveva essere
stato sul punto di dire qualcosa, ma il suo interlocutore lo aveva
anticipato:
“ma non poteva Alina.”
“Quindi
mi hai fatto pensare tutto il giorno che Alina fosse ancora arrabbiata
con me e
non volesse vedere Zoya” aveva detto con un tono offeso suo
padre, ma era
un’esagerazione.
“Alina
vorrà sempre vedere Zoya, ma è ancora arrabbiata
con te, ma non è capace
di provare rancore. Voglio dire: nostra figlia si chiama
Aleksandra” aveva ricordato,
c’era della rabbia nelle sue parole e aveva allungato una
mano per toccare
quelle di suo padre. Solo in quel momento che Alina aveva notato che il
suo
vecchio aveva tolto i guanti.
Fuori
dalla famiglia stretta, e Genya, Alina non aveva mai visto suo padre
senza i
guanti. In realtà, anche davanti a loro, suo padre non
indugiava mai troppo con
le mani nude. Non erano dita umane: erano nere, curve, spigolose, con
unghia
d’onice affilate. Ma in quel momento non c’era
titubanza ne vergogna.
“E
tu sì?” aveva chiesto suo padre, il suo tono era
pieno di colpevolezza, “Oh, io
sì. Sono orribile. Mi nutro della rabbia di Alina e
l’alimento a mio piacere –
Ulla me lo dice sempre” aveva replicato il Duca. Alina ancora
frastornata
dall’utilizzo del suo nome era riuscita a comprendere che non
stavano parlando
di lei, e lo ricollegava al discorso che aveva sentito fare a Genya
quella
mattina; però la moglie di Schievich, la duchessa, si
chiamava Marina! Che
avesse sentito male per tutto il tempo?
“La tua Moronzova è la ragione per cui non mi
addentrerei mai più al sud” aveva
replicato, “Parli tu che hai l’Oscuro nascosto nel
Piccolo Palazzo? Ulla è
decisamente meglio. Anche se ogni tanto ha questi momenti
d’assenza in cui dice
che le manca il mondo sotto l’acqua” aveva
raccontato con una punta di
divertimento.
L’Oscuro
era al Piccolo Palazzo?
Ma l’Oscuro non era morto quarant’anni
fa?
Nella
faglia? Con … Alina.
Le
avevano mentito, aveva realizzato, non solo a lei, a tutta la nazione!
A tutto
il mondo!
“Per
favore non ricordarmelo. Sto ancora cercando di comprendere cosa spinga
Zoya a
non averlo chiuso in una cella grande quanto una scatola per
trucchi” aveva
risposto suo padre, la sua voce era stata allegra, ma nel momento in
cui aveva
pronunciato l’ultima sillaba la sua espressione si era fatta
immediatamente
colpevole, come se avesse realizzato di aver detto …
qualcosa di sbagliato.
Doveva essere stato così perché tutto il tono
morbido del corpo del Duca era
stato risucchiato via in favore di una posa dura e risentita.
Suo
padre aveva sospirato, la sua espressione era come quella di un
cucciolo
colpevole, “Mi dispiace, sul serio, ancora, per quello che
è successo a Drina”
aveva ammesso suo padre pieno di rammarico, “Quale delle
volte, Nikolai?” aveva
risposto crudele Schievich, la sua voce era dura come la roccia su
roccia. “Quando
hai permesso che la rapissero gli schiavisti? Che la spezzassero sulla
Ji-han?
O quando hai pensato che la Matej fosse un posto adatto per passare la
degenza?” aveva chiesto con un filo di rabbia, nervoso,
“Non ho scusanti” aveva
sospirato, “Mi hai affidato Drina ed io ho … fatto
degli errori” aveva
ammesso suo padre, con totale abnegazione. “Tu li chiami
errori?” aveva chiesto
con una rabbia malcelata il Duca di Keramzin, “Errore lo
fatto io quando non ti
ho a pugni in faccia quando dovevo! Io ti ho dato mia figlia, con la
promessa
che tu l’avresti trattata come fosse tua” aveva
dichiarato, “Ed ho mancato
quella promessa, sì. E me ne vergogno ogni giorno, come un
verme” aveva ammesso
suo padre solenne. C’era una sincerità spaventosa
nella sua voce.
Il duca aveva sospirato, “Drina mi ha chiesto di non portare
rancore, anche se
non riesco proprio a concepire come. Questo non lo ha chiaramente
ereditato dal
mio lato della famiglia” aveva concesso, “Ulla cova
rancori vecchi di secoli”
aveva aggiunto.
“Potrò
mai farmi perdonare?” aveva chiesto Nikolai invece,
“Pensavo che il ducato
fosse la tua lettera di scusa” aveva considerato quello,
“Quello è stato tutta
opera della buona volontà tua e di Alina e
l’affetto che il duca ha sviluppato
per voi. Zoya ha solo dovuto ratificare una richiesta” aveva
ammesso suo padre,
“Bene, all’ora, succhiami il cazzo” aveva
risposto.
“Ti
prego Mal, ho passato i sessanta, le mie ginocchia sono diventata
deboli” aveva
ponderato suo padre con una mezza risata, “Inoltre in
acqua” aveva ponderato,
“Nuotare, sì?” lo aveva preso in giro il
duca, “Ogni tanto qualche bella follia
è meglio farla. Inoltre, se mi prendessi un colpo di febbre
potrei avere pace
da questa caotica fiera” aveva ammesso, “Pensavo
fossi un animale politico”
aveva ponderato l’uomo, “Lo sono ancora, ma inizio
ad essere stanco. Diciamo
che finalmente capisco perché il mio patrigno fosse un uomo
così amareggiato.
Inoltre, mi divertirei molto a vedere tutti quei figuranti camminare
sui gusci
delle uova cercando di non irritare il drago” aveva
ridacchiato, “Zoya ha una
personalità esplosiva, ma Juris e il drago non scherzano
neanche” aveva
borbottato, “Ho sempre pensato che la mia camera da letto
fosse affollata con
la presenza-assenza dell’Oscuro, ma credo tu mi
batta” aveva ponderato il Duca,
“Sicuramente sì, tre figli, un drago, un sankto
quattro-volte-centenario e un
demone d’ombra, direi che sì” aveva
ammesso suo padre, doveva essere una
battuta, ma la sua voce aveva assunto un tono leggermente
più cupo.
“Oh,
giusto e te e Alina” aveva ponderato, “E Genya
mai?” aveva chiesto Mal, “No,
Genya è un problema tutto tuo e di Alina, per me sarebbe
strano” aveva risposto
suo padre con un tono leggermente nervoso.
“Io
posso intuire” aveva detto il Duca, “Mi sei
mancato, mi siete mancati, in questi
anni” aveva detto suo padre con un tono più
languido.
Alina
iniziava ad essere terribilmente confusa da tutto quel discorso, si
sarebbe
allontanata, scompaginata e stanca, lasciando i due vecchi ciarlare per
conto
suo, si era già quasi voltata ed aveva smesso di ascoltare,
quando con la coda
dell’occhio aveva osservato un movimento.
Si era girata di nuovo e le labbra di suo padre erano premute contro
quelle del
Duca.
Era
rimasta scioccata per un secondo, un intero, lunghissimo, interminabile
secondo. Ma era bastato, perché doveva aver perso il
controllo di qualcosa,
della sua voce, perché i due uomini si erano voltati verso
di lei, confusi,
spaventati.
“Alina!”
aveva esclamato suo padre, riconoscendola, facendo un passo
nell’acqua verso la
battigia, ma Alina era già voltata ed aveva cominciato a
correre verso il
bosco, inciampando nel limo e macchiando il sarafan azzurro ravka.
Era
sicura che suo padre l’avesse inseguita, ma lei era andata
alla cieca nel
bosco, piena di … tutto.
Confusione e poi rabbia che aveva cominciato a montare nel suo petto,
pensando
a quel bacio che non aveva il minimo senso.
Il
mio cuore è sempre stato per tuo padre …
Così
aveva detto sua madre, neanche qualche ora prima.
Alina
aveva sentito per tutta la vita storie su Re Nikolai, che era uscita
dalla
porta principale del palazzo come bastardo di una regina decaduta e di
un
funzionario straniero, lasciando titoli, ninnoli e ed educazione reale
alle
spalle, per farvi ritorno passando dalla finestra della camera da letto
della
regina che lui stesso aveva incoronato. Alina aveva sentito per tutta
la vita,
vili insinuazioni che sua madre, una strega potente, capace di ogni
dove,
rimaneva un soldato ed una poveraccia affamata d’amore e
facile alle lusinghe
di un uomo ben più affamato di potere di lei.
Suo padre che aveva fatto esiliare il Re che lo precedeva, usando
pretesti al
limite del plausibile, aveva sempre esibito un comportamento atto a
screditare
l’erede e che aveva quasi portato all’altare la
luce di Ravka, la Sankta del
Sole e poi aveva sposato il drago – potente quanto inetta
davanti alle
politiche.
Alina
aveva accantonato quei discorsi, riducendoli a nulla di più
che i libelli pieni
di insinuazioni nauseanti sui suoi fratelli, giochi stupidi e
chiacchiere
stupidi di chi non conosceva la verità.
Ma, in quel momento, era Alina a pensare che era lei a non conoscere
niente.
Si era fermata, quando si era addentrata nel bosco di pioppi, non
riconoscendo
più dove fosse, arrabbiata, nervosa e nauseata.
Il
mio cuore è sempre stato per tuo padre …
Aveva
continuato a correre con un dolore bruciante alle gambe e sentendo la
rabbia
gonfiarsi addosso.
Poi si era arrestata arrabbiata e nauseata, letteralmente, si era
fermata ed
aveva vomitato tra le radici di un pioppo, prima di collassare sulle
ginocchia
per piangere.
Non
aveva neanche badato se avesse o meno colpito il suo stesso vomito,
prima di
cominciare a sentire le lacrime strisciare via dai suoi occhi e
qualcosa di
diverso dalla bile salire sulla sua gola, così, aveva
sentito il primo
singhiozzo emergere dalle sue labbra e i singulti sconvolgerla.
Provava una rabbia folle e un dolore quasi sordo, mentre sentiva di non
riuscire a trattenere i singhiozzi.
Non sapeva neanche perché le fosse venuta tutta quella
voglia di piangere,
quando il fastidio allo stomaco si era fatto più intenso ed
aveva rimesso
ancora, sentendo ora la bile acida sulla lingua.
Si era tirata su con fatica, tremolante ma animata di rabbia, nauseata
tra il
giramento alla testa e il sapore in bocca del vomito e delle lacrime,
quando si
era accorta di qualcosa di storto.
Era buio e i suoi occhi vedevano male, ma era certa che ci fosse
qualcosa di
sbagliato nell’erba sotto i suoi piedi. Sembrava secca e
arida. L’aveva
calpestata con i piedi sentendo sotto di se lo stesso trillare della
paglia
arida.
Aveva
sentito un fruscio e la voce di suo padre, chiamarla, questo le aveva
dato la
scossa per tirarsi dritta e correre via, facendo la gincana tra gli
alberi.
Non
sapeva fino quando le forze l’avessero guidata, ma poi
qualcuno l’aveva presa.
“Alina!”
la voce di Meesha l’aveva risvegliata. Le teneva i polsi con
una morsa ferrea e
dura come un soldato. La sua espressione era piena di febrile
preoccupazione e
gli occhi scuri dilatati, “Meesha! Come?” aveva
chiesto pregna di confusione,
“Ho seguito il battito del tuo cuore” le aveva
risposto subito. “Da quando?”
aveva chiesto poi con nervosismo lei, pensando che avesse potuto
seguirla fino
all’ansa del lago, che avesse potuto vedere quello che aveva
visto lei.
Ed
un panico che non riusciva a spiegare l’aveva accolta.
“Da
… poco. Io, mi ero allontanata per … prendere
aria dalla festa e ti ho sentita”
aveva detto calma Meesha, lasciando il suo polso, “Ho sentito
il tuo battito
così veloce e spaventato” aveva ammesso,
sfiorandole la clavicola con la mano,
“Non è mai così il tuo. Quasi credevo
di essermi sbagliata.”
“Sai riconoscere il mio battito?” aveva chiesto
Alina, nervosa, quasi
dimenticando ogni cosa, davanti quell’unica informazione,
“La prima lezione di
Genya è imparare a riconoscere i battiti famigliari,
riconoscerei il tuo in una
folla di centinaia di persone” le disse. Non aveva usato
formalismi, si era
rivolta a lei come una sua pari, non erano la principessa Alina o il
luogotenente Effimov in quell’occasione.
Era arrossita davanti quell’informazione, che aveva riempito
la sua testa ed il
suo petto dimenticando ogni resto, si era lanciata ed aveva baciato
Meesha
quasi selvaggia, urtando le loro fronti, i loro nasi e i loro denti.
Un
bacio schifoso non dissimile da quello che si era scambiata con
Matthias.
Meesha
l’aveva allontanata con fermezza ed Alina aveva sentito la
vergogna galoppare
nel suo stomaco per quel rifiuto, si era ritratta come una bestia
ferita ed
aveva sentito ancora quell’angoscia rabbiosa sorgere il lei,
l’altra doveva
aver compreso qualcosa perché aveva aggiunto:
“Vomito!”
Alina si era fatta dritta, “Come?” aveva chiesto,
“Hai vomitato?” aveva chiesto
Meesha.
Oh, questo aveva senso.
Alina
ricordava che i baci di Meesha erano stati pieni di fame e scintille.
“Potrei”
aveva ammesso piena di vergogna, “Per questo eri
sconvolta?” aveva chiesto.
No,
perché tutto si è fatto stupido, avrebbe voluto
rispondere, ma alla fine aveva
semplicemente annuito, “Forse, ho bevuto troppo”
aveva ammesso piena di
vergogna, che non era neanche una menzogna. “Potremmo tornare
alla festa?”
aveva proposto la soldatessa, ma Alina aveva scosso il capo decisa, non
voleva
tornare alla festa, fino a poco tempo fa aveva voluto tornare a casa,
ma ora
non voleva neanche quello, voleva solamente stare da qualche parte e
non essere
sola.
Avrebbe voluto Lissa, ma anche Meesha sarebbe potuta andare bene,
“Forse vorrei
solo … del silenzio e forse acqua” aveva ammesso
tremolante.
“Possiamo
andare a prendere dell’acqua alle cantine di Kirigen, non
credo abbiano solo
vino” aveva spiegato Meesha con calma, accarezzandole un
braccio in maniera
calmante e caritatevole, Alina aveva sollevato una mano ed aveva
stretto quella
di Meesha posata sulla sua spalla, in cerca di qualcosa, di sostegno.
L’altra
le aveva sorriso con gentilezza, prima di guidarla nella direzione
delle
cantine, quando aveva sentito lo scricchiolio della paglia secca sotto
i suoi
piedi, aveva abbassato lo sguardo ed aveva notato che l’erba
della foresta,
anche al buio, sembrava diversa.
Meesha si era chinata, “Secca. Strano, in questa
stagione” aveva ponderato,
toccandola con le dita, “Ma solo in questa zona”
aveva aggiunto, tastando un
po’ più in là, dove l’era
sembrava soffice ed umidiccia come sarebbe stato
auspicabile nella tarda primavera del centro ravkiano.
“Strano” aveva sospirato Alina muovendosi,
affondando le scarpe sporche di
fango limoso, sulla terra umida, più piacevole, nel buio del
bosco, lo strato
d’erba era ugualmente nero e lugubre, ma in qualche modo
quella macchia morta
sembrava estremamente visibile.
“Cosa
pensi che sia?” aveva chiesto preoccupata, Mesha aveva
giocato con un filo
d’erba che si era disintegrato tra le sue dita come polvere,
“Non ne ho idea,
ma non è di sicuro una cosa buona”
aveva ponderato, “Dovremmo parlarne
con la tsarina” aveva considerato, “Domani quando
non sarò ubriaca e la cosa
non mi sembrerà meno … importante?”
aveva proposto Alina.
Meesha
aveva annuito, ma aveva frugato nelle sue tasche prima di tirare fuori
un boccetta,
spessa come un dito ed alta come un mignolo, di vetro, con un tappo in
sughero,
“Perché hai un’ampolla con
te?” aveva chiesto, “Uhm …”
aveva boccheggiato
Meesha, “Io, non lo so? Di solito raccolgo campioni di acque
…” aveva ammesso,
le gote anche nel buio si erano manifestate in un rosso incantevole,
“La cosa
bella dell’essere un marinaio è scoprire che non
tutta l’acqua è uguale” aveva
rivelato, con un sorriso allegro.
Meesha
aveva raccolto del campione di terra ed erba secca, c’era
qualcosa di
incredibilmente preoccupate, “Solo una macchia”
aveva considerato, passando la
suola dello stivale sull’erba.
Proprio dove ero io, aveva pensato Alina ma non l’aveva detto
ad alta voce.
“Tutto bene? Sei bianchissima” aveva considerato
Meesha, guardandola
preoccupata, “Sto per vomitare di nuovo” aveva
risposto onesta, prima di
piegarsi e vomitare, l’altra le aveva afferrato i capelli per
cercare di
toglierli dal viso, mentre Alina tossicchiava, “Posso fare
una cosa?” aveva
chiesto con gentilezza, “Non sono una healer ma posso aiutare
un corpo
intossicato” aveva ammesso, “Posso farti stare un
po’ meglio.”
Meesha
era riuscita, in effetti, a farla stare leggermente più in
salute, non sembrava
avere più il desiderio di rimettere tutto quello che aveva
bevuto, ma aveva
ancora la bocca nauseata. Una parte di lei voleva quasi
bere ancora, per
cercare di togliere dalla sua mente quello stupido bacio, quella
stupida idea.
‘Succhiami
il cazzo.’
Però
sentiva ancora la Piccola Scienza di Meesha agire su di lei, come mille
formiche che vagavano sulla sua pelle, qualcosa di mostruosamente
simile ad un
intorpidimento. Però era piacevole, era come sentire il
calore dell’abbraccio
di Meesha contro il suo corpo; le ricordava quanto erano state strette
alla
festa del burro e si era chiesta se anche all’ora, senza
dirglielo, la grisha
avesse usato la sua Piccola Scienza.
“Quindi
la festa alla Palude è stata come la immaginavi?”
aveva chiesto Meesha, “Sì”
aveva mentito Alina, avrebbe voluto che fosse stato leggermente
diverso, che
non avesse mai deciso di camminare per prendere aria, avrebbe voluto
ballare,
sbaciucchiarsi con il principe Matthias – trovarlo piacevole
– e poi ritirarsi
con Lissa e passare la notte a mangiare dolci, nonostante la lunga
cena, su un
letto di piume e spettegolare di ogni evento. “Ti avevo detto
che non era così
eclatante, ma i giovani hanno sempre voglia di correre”
l’aveva recriminata con
divertimento la donna, riconoscendo la sua menzogna. “Parli
come se avessi
l’età di mia madre, quando sei giusto un
po’ più vecchia di me” aveva soffiato
Alina, con una punta di divertimento.
Meesha
aveva riso, la sua risata era così bella, così
piena di gioia e vita, “Però
avevo ragione” aveva replicato la soldatessa,
“Diciamo che è il regno di
perdizione che mi aspettavo, sì” aveva
considerato, provando ancora quel
brivido e quel fastidio, ricordando suo padre e il duca.
Si
chiese se Drina e Lilyiana ne avessero anche solo una vaga idea.
Dovevano
averne, se Alina di cui avevano parlato il duca e suo padre tutto il
tempo era
Marina, questo faceva di Drina la figlia di Alina … di Alina
Starkov.
Che
era viva e come l’Oscuro – di cui sua madre le
aveva detto di essere stata
innamorata – e viveva al Piccolo Palazzo.
Forse
Alina stessa doveva averlo incontrato qualche volta. Improvvisamente le
era
tornata addosso quella rabbia e quel dolore, così oscuri e
travolgenti, ma si
era impegnata a ricacciarli dietro, quando aveva sentito la mano
gentile di Meesha
raggiungere la sua.
“Avevi
detto che volevi trasferirti dal mare all’aria”
aveva detto alla fine Alina,
decidendo di soffocare la sua angoscia. Meesha lo aveva detto mesi
prima. Suo
nonno era stato un ammiraglio della marina, mentre suo padre era stato
un
colonnello dell’aviazione ravkiana, anche se aveva la sua
giusta conoscenza del
mare e delle navi – Ravka Ovest era un luogo di marinai e
l’aviazione ravkiana
somigliava molto alla sua marina. “Ho fatto la richiesta, ma
è stata cestinata,
mi è stato detto di poter imparare a timonare navi
volanti” aveva ammesso
Meesha, “Continuano ad essere preferite agli aerei”
aveva detto.
I
velivoli erano più piccoli e veloci, potevano volare
più in alto ed erano più
difficili da vedere, ma anche più facili da abbattere. Le
navi volanti potevano
atterrare e ammarare ed anche un buco sullo scavo poteva permettere
alla nave
di rimanere su, se c’era un bravo etherealki a manovrare i
venti. Nonostante i
progressi fatti negli altri continenti, Ravka restava sulla vetta del
mondo
nell’utilizzo della Piccola Scienza ad aiutare la Grande.
“Che
strano c’è una guardia” aveva ammesso
Meesha, notando l’uomo vestito in livrea
blu, sopra la kafka azzurra rinforzata, che stanziava ritto come una
pertica
davanti l’ingresso della cantina. “Sono vini
preziosi” aveva scherzato con un
punto di divertimento Alina, “Forse” aveva
ponderato Meesha, “Ma di solito
pattugliano, non stanno dritti come baionette” aveva
rivelato. “Qualcosa di
segreto sta avvenendo all’ora” aveva considerato
Alina, “Io voglio
disperatamente dell’acqua e …” non aveva
aggiunto altro, ma voleva pensare a
qualsiasi altra cosa, “Mia madre era alla festa e mio padre
era … altrove”
aveva detto, “Probabilmente è qualche piccolo
scandalo di Lilyiana o Dominik”
aveva considerato.
Forse, Dominik con il suo cuore spezzato, forse si era unito di nuovo
all’enigmatica Min-Han, forse Alina avrebbe dovuto dare le
spalle e decidere di
non voler scoprire qualsiasi altra cosa della sua famiglia, ma non
riusciva a
reprimere quel bisogno.
Era
stata cieca, pensava, fino a quel momento, e si chiedeva quanto ancora
non
avesse davvero visto.
Non voleva più essere cieca, né stupida.
“Puoi
fare quella cosa … sai, quella cosa …”
aveva provato, “In cui rilasso il corpo
di una persona così tanto da metterlo a dormire?”
aveva chiesto retorica
Meesha, con un’espressione preoccupata, lei aveva annuito.
“Alina …” aveva
provato l’altra, prima di mordersi il labbro,
“Principessa Alina” si era
corretta – ecco! Quello non le piaceva per nulla –
“Forse per lei è un gioco,
ma per me potrebbe essere alto tradimento” aveva ammesso,
“Sei con me, prenderò
io tutta la responsabilità” aveva replicato Alina,
non credeva fosse necessario.
Meesha
non era solo uno luogotenente e suo padre non era solo un membro di
alto
profilo dell’esercito, ma era uno dei pari del regno, uno
degli uomini più
importanti della corte di suo padre, un uomo dei miracoli
a detta di
tutti e lei era la sua unica erede.
“Spero
questo non ci crei problemi” aveva sospirato la corporalki.
[1]
https://www.youtube.com/watch?v=ECRdSBfQLOI
[2]
Spoiler:
non ho idea di come funzioni la balailaka o qualsiasi strumento a corda
da
‘pizzicata’ insomma chitarre, etc … ma
anche i violini. Cioè so solo come
funziona il piano e i fiati lol.
[3]
https://www.youtube.com/watch?v=UAfuMol1e-0
La Valenki eseguita con il Balailaka
[4]
https://www.youtube.com/watch?v=t1a2_Idawo0
[5]
Scusate
non potevo lasciare la questione della Lama così, forse sono
troppo esagerata
ma mi sembrava fin troppo ridicola nei libri buttata così.
Cioè, nel caso
specifico di Mal ha senso ma: a) lui lo fa prima di scoprire chi sia,
b) la
cosa continuava a sembrarmi terribilmente vaga buttata così.
[6]
Diciamo
che da aggiungere a questa cosa, per evitare una situazione alla
Rhaenyra
Targaryen dove non importava se i figli fossero bastardi o meno
perché “suoi”,
lei era la Targaryen e lei era l’erede, ma si poteva creare
attrito perché
sposata con un uomo nobile con famiglia annessa, Nikolai aveva
più o meno lo
stesso valore strategico di un gatto raccolto dalla strada, circa.
Letteralmente: sua madre era in esilio, suo “padre”
lo aveva ripudiato e il suo
padre naturale era un uomo di una corte straniera, ricercato dal suo
stesso
paese. Cioè. Zoya poteva pure avere tre figli da tre uomini
diversi e sarebbe
andata bene uguale a tutti – anche perché
ricordiamo che Zoya è il Drago, cioè
come ti appelli contro un drago?
[7]
Se non
sbaglio lo dice Genya stessa che erano tutte innamorate del Darkling.
Nella
serie tv è fortemente implicato che Zoya dormisse anche con
Aleksander prima
dell’arrivo di Alina, mentre nei libri no, nei libri lui era
il suo maestro e
lei la sua protetta … e Zoya era comunque gelosa di Alina
(probabilmente del
ruolo di pupilla e non di amante) ma mi piaceva l’idea che ne
fosse innamorata.
Inoltre, Zoya dice di non aver mai provato amore per nessuno dei suoi
amanti,
quindi era una situazione strana.
[8]
Scusate
ma Nikolai che chiede alle donne di sposarlo prima di limonarle per me
è
sinonimo di una persona che ama senza mezze misure, tipo: prima
assicurami che
ci ameremo per la vita, poi possiamo limonare. La Bardougo
può dirmi che era un
seduttore ma non ci crederò mai, è proprio
l’uomo dalle proposte romantiche a
caso, tipo Ted Mosby.