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Autore: AndyWin24    28/02/2024    1 recensioni
Mentre a Camelot la giornata scorre quieta e tranquilla, ecco che all’improvviso un’antica e potente creatura fa la sua comparsa, minacciando la pace nel regno. Per sconfiggerla, Merlino e Artù dovranno unire le forze con dei misteriosi avventurieri, in apparenza connessi con il male appena sopraggiunto.
(Cross-over tra le serie tv Merlin (BBC) e Willow (Disney))
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, FemSlash | Personaggi: Gaius, Gwen, I Cavalieri della Tavola Rotonda, Merlino, Principe Artù
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Quarta stagione
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Capitolo 15
Due regni
 
   La sera arrivò presto e con essa anche la magnifica festa indetta dal re in persona. La sala dei banchetti era stata adornata in grande stile per l’evento. Per tutta la giornata i servitori del castello avevano lavorato sodo, ma alla fine il risultato aveva lasciato gli invitati a bocca aperta.
   «Guarda quanta roba da mangiare!» esclamò Jade, entrando nel sontuoso salone al fianco di Kit. Entrambe indossavano degli abiti di seta scuri, molto eleganti e decisamente troppo appariscenti, almeno per i loro gusti. Tuttavia, erano un regalo del re, quindi li avevano accettati di buon grado per non fare uno sgarbo al loro anfitrione.
   «Ehi, Kit?» continuò Jade, fissando l’altra. «Che ne pensi?»
   «Sì… hai ragione…» rispose questa, senza prestare particolare attenzione. Sembrava avesse qualcos’altro per la testa, a giudicare da come spostava con frenesia lo sguardo da una parte all’altra dell’intero salone.
   «Che hai?» le chiese Jade, preoccupata. «Chi stai cercando?»
   «Airk.» rispose Kit, continuando a guardarsi intorno. «Non lo vedo da quando abbiamo parlato con Artù stamattina. Credo che mi stia evitando.»
   «Chissà perché?!» replicò la giovane cavaliere con ironia. «Forse, ma è solo un’ipotesi, c’entra la scenata che gli hai fatto davanti a tutti quanti.»
   «Se l’è meritata!» ribatté Kit, stizzita. «Si è comportato male! Cosa si aspettava che gli avrei detto?! “Bravo per esserti divertito con quella ragazza”?!»
   «Non sappiamo com’è andata. Magari non è successo niente.»
   Kit alzò un sopracciglio, poco convinta. Anche Jade annuì in risposta, pensando a quanto quell’eventualità fosse poco probabile.
   «Ehi, ragazze!» esclamò all’improvviso Boorman, sbucando alle loro spalle. In una mano teneva in equilibrio un grosso vassoio pieno zeppo di cibo mentre con l’altra afferrava saldamente una specie di panino gigantesco.
   «Ciao, Boorman.» lo saluto Jade, stranita. «Che stai mangiando?»
   L’uomo scrollò le spalle.
   «Non lo so…» disse, addentando un bel pezzo di pane. «Bwah è ffuonnoo…»
   «Cosa? Che hai detto?»
   Boorman finì in fretta di masticare e inghiottì.
   «È buono.» ripeté, porgendo il vassoio verso le due ragazze. «Volete?»
   Entrambe scossero la testa con vigore, schifate.
   «No, grazie. Preferisco prendere qualcosa dove non ci hai mangiato dentro.» asserì Kit, convinta.
   «Va bene. Peggio per voi.» ribatté l’uomo, continuando a ingurgitare con voracità.
   «Accidenti, Boorman! Sembra che non mangi da settimane!» commentò Jade, disgustata.
   «Domani dobbiamo ripartire e non so quando avremo l’occasione di fare di nuovo un pasto decente. Meglio approfittarne finché si può!»
   «Fa’ come ti pare.» aggiunse Kit, sbrigativa. «Ma, possibilmente, cerca almeno di non farci fare altre brutte f…»
   «Buuuurrp!»
   Prima che la ragazza terminasse la frase, Boorman ruttò rumorosamente.
   «… appunto.»
   Due donne a pochi passi da loro erano sobbalzate dallo stupore e ora gli stavano lanciando degli sguardi scandalizzati.
   «Salve!» le salutò lui, tranquillo. Poi, rivolse di nuovo la sua attenzione alle due amiche. «Che stavate dicendo?»
   «Niente…» rispose Kit, scoraggiata. Sapeva che ragionare con Boorman era quasi sempre fiato sprecato, così lasciò perdere la questione. «Piuttosto, hai visto Airk, per caso?»
   Boorman ci pensò su per qualche secondo, poi annuì.
   «Sì. Poco fa stava chiacchierando con alcuni cavalieri. Vediamo… Oh! Eccolo là!» rispose, indicando a lato della sala.
   Lì, il ragazzo stava ballando con una gamba sola sopra un tavolo, mentre una dozzina di cavalieri lo osservavano, ridendo, e gli battevano le mani a tempo, divertiti.
   Kit lo fissò, rossa in viso dalla rabbia.
   «Calmati, Kit.» le disse subito Jade, vedendo la sua reazione. «Non fare niente di avventato.»
   «Certo che no!» esclamò la ragazza, cominciando a camminare. «Vado solo a uccidere quell’imbecille del mio gemello!»
   «Aspettami!» urlò Jade, cercando di starle dietro.
   Ma fu tutto inutile. Kit partì spedita in direzione del fratello. Arrivò fino al tavolo dove stava dando spettacolo e lo afferrò per la maglia, trascinandolo giù.
   «Ehi!» protestò questo. «Che stai facendo?!»
   «Ah, “io” che sto facendo?! E tu?! Brutto idiota! Cosa ci facevi lì sopra?!»
   Airk sorrise, abbracciandola. Dall’alito, Kit capì che era completamente sbronzo.
   «Mi divertivo con… hic!... i miei amici!» disse, alzando un pugno verso i cavalieri seduti lì vicino.
   Questi ricambiarono il saluto e lo applaudirono con veemenza.
   «Sei il migliore, Airk!» gridò uno a squarciagola.
   «Grazie, Galvano!» replicò il ragazzo, facendo un inchino e scivolando per terra.
   La sorella lo aiutò a rialzarsi e lo sostenne come meglio poteva.
   «Ti ringrazio… hic!... sorellina… hic!...» disse singhiozzando. Poi, si voltò verso Jade, sorridendo. «Grazie anche a te, Jade! Hai visto? Ci stiamo divertendo come quando eravamo bambini!»
   «Sì, certo… come no…» rispose lei, nauseata dalla puzza d’alcol che emanava l’altro.
   «Andiamo!» intervenne Kit, spazientita. «Prima che debba picchiarti di nuovo davanti a tutti!»
   Airk, però, non si mosse e la guardò con entusiasmo.
   «Ehi, ma…? Vedo un’altra Kit!» gridò, mentre afferrava l’aria di fianco alla ragazza. «È una tua gemella? Oh, aspetta un momento! Se è così, è anche una mia gemella! Che bello!»
   Poi, stramazzò su una sedia, completamente addormentato. A quella scena diversi cavalieri risero di gusto. Kit non riuscì a trattenersi e gli urlò contro.
   «Che avete da ridere?! È colpa vostra se è ridotto così!»
   «Ma che dici?!» ribatté sir Galvano. «Non lo abbiamo mica costretto noi a bere!»
   «E cosa è successo, allora?»
   «Abbiamo fatto una gara di bevute e… ha perso miseramente. Capita.»
   Kit stava per controbattere, ma Jade la afferrò per una manica.
   «Aspetta! Non conviene provocare ulteriore confusione.»
   «… No… Credo tu abbia ragione.» ribatté l’altra, cambiando improvvisamente espressione. «Ma ho un’idea migliore.»
   Poi, si andò ad accomodare al tavolo dove era riuniti tutti i cavalieri.
   «Allora?» domandò Kit, fissandoli uno a uno.
   «Allora cosa?» chiese uno di questi, stupito da quel comportamento.
   «Avete detto che stavate facendo una gara di bevute. Partecipo anch’io.»
   Tutti i cavalieri rimasero di colpo in silenzio. Poi, scoppiarono a ridere senza ritegno.
   «Chiedo scusa, vostra maestà, ma non credo che questo genere di sfida sia adatto a una principessa.» disse Galvano con ironia.
   «Beh, allora sei tu quello che dovrebbe alzarsi.» replicò Kit, piccata.
   Tutti attorno a loro risero ancor più di prima, Jade compresa. Galvano, invece, sogghignò amaro tra sé.
   «Va bene. L’avete voluto voi. Se proprio avete intenzione di giocare con noi, allora giochiamo.»
   «Bene.» ribatté la ragazza. «Cosa stiamo aspettando? Iniziamo!»
   «Un attimo!» la fermò subito Galvano, mettendo le mani avanti. «Prima, dobbiamo decidere cosa scommettere. Altrimenti, non c’è gusto a giocare.»
   Kit fece spallucce, accondiscendente.
   «Come vuoi. Con Airk cosa avete messo in palio, oltre alla dignità?»
   «Con lui abbiamo scommesso il balletto che avete visto anche voi, principessa.»
   «Kit.» lo corresse lei.
   «D’accordo… Kit. Chi perdeva avrebbe dovuto… intrattenere tutti gli altri con…»
   «…una danza ridicola. Sì, ho capito. Va bene, ci sto anch’io.»
   Il cavaliere, però, scosse il capo.
   «No, stavolta dobbiamo giocarci altro. Non possiamo scommettere sempre la stessa cosa.»
   «Giocatevi le vostre spade!» suggerì un altro cavaliere.
   Kit scosse la testa, categorica, stringendo l’arma più vicina a sé. Nonostante non si abbinasse bene al vestito, l’aveva portata dietro comunque. Non se ne sarebbe privata per nulla al mondo.
   «Non posso. La mia spada è un cimelio di famiglia. Un tempo apparteneva a mio padre.»
   Per un istante, Galvano la fissò con uno sguardo triste, mentre con una mano si toccava il ciondolo appeso al collo.
   «Non importa. Tanto ho in mente qualcosa di meglio.»
   «E di cosa si tratta?»
   «Se vinco io, una volta tornata a Tir Asleen, dovrai raccontare a tutti delle grandi gesta compiute dal prode cavaliere Sir Galvano. Ogni angolo del regno dovrà essere a conoscenza della sua incredibile maestria con la spada. Inoltre, si dovrà parlare di lui, cioè di me, come del più forte guerriero che Camelot abbia mai conosciuto. Non dimenticando…»
   Kit ascoltò tutto lo sproloquio senza fiatare, pensando a come l’uomo di fronte a lei fosse molto simile sotto certi aspetti a quel testone di Boorman.
   «E se vinco io?»
   «In tal caso…» rispose Galvano, frugando nelle tasche. «Avrai l’onore di possedere questa!»
   Così dicendo, posò sul tavolo una moneta.
   «Una… moneta d’oro?» chiese Kit, perplessa.
   Il cavaliere la fissò offeso.
   «Questa non è una semplice “moneta d’oro”!» replicò stizzito. «È la “moneta della vittoria”!»
   «Che?!» domandò Jade, seduta di fianco a Kit.
   «La moneta della vittoria.» ripeté Galvano con ovvietà. «Questa moneta ha accompagnato alcuni di noi cavalieri per anni. La trovò tempo fa sir Elyan durante una missione, e da allora ha sempre portato fortuna a chiunque la recasse con sé. Vedete questa incisione?»
   A quel punto, Galvano avvicinò la moneta alle due ragazze, mostrando loro un graffio a forma di “V” impresso su un lato.
   «E… allora?!» intervenne di nuovo Jade, scuotendo la testa.
   «Come “e allora”?!» insistette Galvano, sicuro. «Questa moneta è speciale! Dovreste essere grate se la metto in palio. Non vorrei farlo, ma è tradizione per noi cavalieri giocarcela a sorte. È così che l’ha vinta sir Randall, poi sir Ganariel, poi sir Marcus, poi sir Calior e infine è arrivata a me.»
   Kit e Jade si guardarono perplesse. Non lo dissero ad alta voce, ma trovavano i modi di quei tipi molto strani.
   «Per caso, non è che è magica?» azzardò Kit, con tono incerto.
   «Assolutamente no!» ribatté Galvano, inorridito da quell’eventualità. «La magia non c’entra niente con la fortuna!»
   Kit annuì per chiudere in fretta la questione. Era convinta che in realtà quella fosse una comune moneta d’oro, ma preferì tenerselo per sé per non offendere l’uomo con cui stava parlando.
   «Allora, ci stai?»
   La principessa fissò prima la moneta e poi il cavaliere.
   «Sì, va bene.»
   «Ottimo! Cominciamo!»
 
***
 
   Intanto, nella sala dei banchetti, ogni invitato si stava godendo la serata, chiacchierando amabilmente oppure assaggiando con gusto le pietanze che le cucine reali avevano preparato apposta per l’evento. Tuttavia, nessuno sembrava essere in grado di godersi il buon cibo più di Boorman. Da quando aveva messo piede alla festa, non aveva smesso neanche per un istante di ingozzarsi senza freni, mangiucchiando stuzzichini e riempiendosi avidamente la pancia di vivande di ogni sorta.
   «Scusate! Scusate! Lasciate passare! Scusate!» esclamò, districandosi tra un ospite e un altro.
   Si stava dirigendo in un angolo della stanza in cui avrebbe potuto abbuffarsi in santa pace, senza disturbi o strani sconosciuti che lo additavano a disagio.
   «Ehi, tu!» lo chiamò d’improvviso un distinto signore con abiti molto eleganti. «Sbrigati! Riempimi il calice.»
   Boorman si guardò alle spalle, in cerca del malcapitato con cui l’altro avesse a che dire.
   «Forza! Muoviti! Cosa stai aspettando?!» aggiunse con veemenza l’uomo, fissandolo in cagnesco. «Accidenti! La servitù qui al castello lascia veramente a desiderare!»
   «Ma stai dicendo a me?»
   «E a chi, sennò, testa d’asino?! Non farmi perdere la pazienza e fa’ come ti ho detto!»
   «Ehi, guarda che io non sono un servitore!» ribatté il cerca-tesori, indispettito. «E, anche se lo fossi stato, non è questo il modo di comportarsi! Dovresti vergognarti!»
   Il nobiluomo aggrottò le sopracciglia, con aria scandalizzata.
   «Cosa mi tocca sentire?! Uno straccione che mi parla con una tale mancanza di rispetto! Questo è oltraggioso!»
   «Che sta succedendo?»
   Un cavaliere sbucò dalla folla e si avvicinò con passo deciso ai due litiganti per capire quale fosse il problema. A Boorman prese quasi un colpo nel vederlo: si trattava dell’energumeno con cui aveva litigato alla taverna.
   «Questo buono a nulla si rifiuta di servirmi!» urlò con indignazione il nobiluomo.
   Boorman stava per controbattere le sue ragioni, ma il cavaliere lo ignorò e si avvicinò con fermezza al signorotto. La sua stazza di quasi due metri sembrava rimarcare con forza la bassa statura dell’aristocratico.
   «I vostri modi, signore, stanno infastidendo gli altri invitati. Vi prego di calmarvi, altrimenti sarò costretto a scortarvi fuori dal castello personalmente.»
   Il nobiluomo lo fissò con timore, ma anche con una certa presunzione.
   «Ma insomma! Come osi rivolgerti a me in questo modo?! Io sono Lord Baltiriane di Caldariot!»
   «E io sono sir Parsifal, cavaliere di Camelot.» replicò il guerriero con voce minacciosa. «Rispondo solo al volere del mio re, Artù Pendragon, e a nessun altro. Quindi, se avete dei problemi, rivolgetevi direttamente a lui oppure vi suggerisco di calmarvi e di tornare al vostro intrattenimento.»
   Lord Baltiriane iniziò a sudare dalla fronte. Dall’espressione che aveva assunto, sembrava che nella sua testa ci fosse un conflitto interiore tra il suo orgoglio e la sua codardia. Alla fine, fu quest’ultima ad avere la meglio. Così, con un gesto stizzito del braccio, si voltò verso uno degli altri invitati e lo andò a salutare come se niente fosse accaduto.
   «Tu!» esclamò Parsifal, indicando Boorman col dito. «Vieni con me!»
   Il cerca-tesori tentennò un istante, incerto sulle intenzioni del cavaliere. Quando, però, questo si voltò nuovamente a fissarlo, allora lui obbedì subito. Lo seguì fino a un tavolo, poi lo vide fermarsi.
   «Tieni.» disse Parsifal, afferrando due calici di vino e passandogliene uno.
   Boorman fissò a intermittenza il boccale e il viso del cavaliere. Continuava a non capire dove l’altro volesse andare a parare.
   «Che c’è? Non hai sete?»
   «Perché mi hai aiutato?» chiese Boorman di rimando. «E perché adesso mi stai offrendo da bere? L’ultima volta che ci siamo visti mi hai dato un pugno in faccia!»
   Parsifal scrollò le spalle.
   «Il pugno te l’eri meritato, anche se non è stata proprio quella l’ultima volta che ci siamo visti. Se non sbaglio, è stato quando sei scappato dall’ingresso del castello un paio di giorni fa.»
   «Davvero?» domandò Boorman, fintamente smemorato. «Non ricordo. Comunque, non hai risposto alla domanda: perché mi hai aiutato poco fa?»
   «Perché, anche se sei un imbroglione, presuntuoso, arrogante, bugiardo, doppiogiochista…»
   «Calma!» lo bloccò il cerca-tesori. «Non farmi i complimenti tutti in una volta, altrimenti poi finisco per emozionarmi!»
   «…Comunque, resta il fatto che, nonostante quello che è successo, hai combattuto valorosamente al fianco del re. Ho saputo che gli hai dato man forte e che hai rischiato la tua vita per proteggere Camelot.» spiegò sir Parsifal, serio. «Quindi, tutto il resto non ha più importanza. Gli amici di Artù sono anche miei amici. Ecco perché volevo ringraziarti.»
   Boorman rimase piacevolmente colpito da quelle belle parole. Non pensava che le avrebbe mai ascoltate. In verità, non gli capitava spesso di essere elogiato per il suo operato. Così, accettò di buon grado il boccale appena offerto.
   «Beh, grazie!»
   «No, grazie a te.» ribatté il cavaliere, porgendogli la mano. L’altro la strinse in modo amichevole, sorridendo.
   «Allora, salute!»
   «Salute!»
 
***
 
   Quando la serata stava ormai per giungere al termine, Elora arrivò nella sala a controllare che fosse tutto in ordine. Aveva cucinato per l’intera giornata, tuttavia sembrava che il cibo fosse stato appena sufficiente per sfamare ogni invitato. Anche a Tir Asleen accadeva lo stesso durante i ricevimenti: i commensali mangiavano sempre più di quello che ci si aspettava e a lei toccava lavorare fino a notte fonda. Però, da quando era partita con Willow e gli altri, non era più abituata a sostenere quel ritmo. Un conto era affrontare creature mistiche o streghe malvagie, rischiando anche di morire, e un altro era dare da mangiare a decine, se non centinaia di nobili affamati. Per come la vedeva lei, era molto meglio la prima opzione.
   «Tutto bene?»
   La ragazza si era seduta su una sedia per riprendere fiato, quando alle sue spalle sbucò Merlino, intento a recuperare i piatti lasciati in giro dagli ospiti.
   «Sì, sono solo un po’ stanca.»
   «Lo credo! Ho saputo che hai dato una grossa mano nelle cucine.»
   «Te l’ha detto Gwen?»
   «Sì, era molto contenta che la volessi aiutare.»
   «Beh, glielo dovevo, dopo tutto quello che è successo.»
   Merlino annuì, comprensivo. Sapeva benissimo cosa si provava nel dover mentire costantemente ai propri amici solo per nascondere un segreto. Date le circostanze, non c’era scelta, ma questo non voleva dire che lo facesse di buon grado. Elora, tuttavia, non sembrava solo stanca o dispiaciuta, ma anche preoccupata, a giudicare dal suo sguardo perso nel vuoto.
   «C’è qualcosa che non va?» le chiese, avvicinandosi a lei con discrezione. «Hai ancora problemi con la tua… tu-sai-cosa
   La ragazza scosse il capo.
   «No, anzi. Sento la mia… tu-sai-cosa, molto bene. In realtà, non l’ho mai percepita con così tanta… energia. È una bella sensazione.»
   «Ma, allora, cos’hai?»
   Elora sbuffò, titubante. Sembrava che fosse incerta se dire o meno quello che aveva in mente. Dopo un attimo di riflessione, però, si decise a vuotare il sacco.
   «Riguarda un fatto che è accaduto nella foresta.»
   Merlino aggrottò le sopracciglia, perplesso. Non capiva a cosa l’altra potesse riferirsi.
   «Quale fatto? Mi sembra che, alla fine, sia andato tutto per il meglio, no?»
   «Sì, ma… quando ho usato l’inca… insomma, quando ho usato il flauto… io… l’ho sentito.»
   Di nuovo, Merlino non riusciva a capire.
   «Hai sentito, cosa?»
   «Graydon.» rispose Elora con la voce rotta. «Ho sentito Graydon. L’ho… percepito, come se fosse lì accanto a me.»
   «Capisco. Però, suppongo che sia normale. Per usare… il flauto hai dovuto pensare a lui, così lo hai anche sentito vicino a te in quel momento.»
   «No!» ribatté la ragazza, sicura. «Non l’ho solo immaginato. Lui era proprio lì! È accaduto tutto in un istante, ma era vero. Ne sono certa!»
   «Ma… Graydon… non è…»
   «Morto, sì. L’ho visto con i miei occhi mentre veniva ucciso dalla Megera, eppure…»
   Merlino le mise una mano sulla spalla, cercando di farla calmare.
   «Senti… Anch’io, una volta, ho rivisto una persona a cui tenevo molto e che in precedenza aveva perso la vita1
   «Davvero?»
   Il mago annuì.
   «Accadde qualche tempo dopo la sua morte. Il suo spirito mi aiutò in un momento di difficoltà. Devo ammettere che fu bello poterla rivedere.»
   «Quindi, credi che… anche Graydon fosse solo uno spirito?»
   «No. In realtà, non so a cosa credere. Volevo solo farti capire che non è saggio lasciarsi suggestionare da ciò che è accaduto. Non possiamo sapere cosa sia successo veramente. Però, so che ne verrai a capo, in un modo o nell’altro. Hai degli amici che ti vogliono bene e con loro sono certo che riuscirai a trovare una risposta a questa domanda.»
   Elora lo guardò per un attimo e poi gli accennò un sorriso.
   «Hai ragione. Grazie.»
   Dopodiché, entrambi si misero in silenzio a fissare la grande sala dei banchetti e tutti gli invitati. Il loro sguardo vagò da una parte all’altra, fino a soffermarsi su un punto in cui si era radunato un discreto numero di persone, intente a ballare a ritmo della musica suonata da un bardo. Lì in mezzo, Willow danzava con incredibile grinta e dinamicità, con al suo seguito alcune dame che lo accompagnavano, quasi ammaliate dai suoi movimenti.
   A quel punto, sia Merlino che Elora sogghignarono, divertiti. Prima che potessero commentare qualcosa, però, ecco che Artù si alzò dal centro della sua tavolata e, con un tintinnio, richiamò l’attenzione dei presenti.
   «Ringrazio ognuno di voi per avermi fatto l’onore di accettare il mio invito.» esordì, attendendo di avere tutti gli occhi puntati su di sé. «Se siamo qui quest’oggi è per celebrare con gioia l’ennesima vittoria ottenuta contro le forze nemiche del regno. Questo piccolo, ma importante traguardo ci porta un passo più vicino verso il mondo di pace che tutti noi auspichiamo.»
   Delle urla di gioia si alzarono improvvisamente dalla sala, ma Artù riportò subito all’ordine e continuò.
   «Tuttavia, ciò non sarebbe stato possibile senza il prezioso aiuto di alcuni alleati provenienti dalla lontana Tir Asleen.» disse il re, indicando a turno Willow, Kit, Jade, Boorman e Elora. «A tutti loro dobbiamo molto, ma state pur certi che questo gesto non sarà dimenticato. Semmai ce ne sarà bisogno, Camelot ricambierà il favore e accorrerà in loro aiuto. Da questo momento, infatti, dichiaro il regno di Tir Asleen nostro fidato alleato e prometto reciproco sostegno per qualsiasi evenienza. D’ora in poi, i due regni condivideranno la stessa forza e lo stesso destino.»
   In mezzo alla folla, Merlino ed Elora annuirono, sorridendo; Kit e Jade fecero lo stesso, con Airk ancora addormentato al loro fianco; sir Galvano e altri cavalieri si trovarono concordi con quella decisione; lo stesso avvenne per sir Parsifal e Boorman; infine Willow si avvicinò al tavolo del re e, con il solo sguardo, mostrò al sovrano la sua gratitudine e riconoscenza per quel discorso.
   Poi, Artù alzò in alto il calice. Gli altri commensali lo imitarono.
   «A Camelot e a Tir Asleen.»
   «A CAMELOT E A TIR ASLEEN!»


 


 
Note
 
1 – Riferimento all’episodio 13 della 3a stagione di “Merlin”, “L’ascesa di re Artù (2a parte)”. In questa puntata, Merlino vede per la prima volta lo spirito di Freya, dopo la di lei morte avvenuta nell’episodio 9 della 2a stagione, “La signora del lago”.
   
 
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