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Autore: La_Sakura    01/03/2024    6 recensioni
Nankatsu non è il Brasile, e se Tsubasa pare non rendersene conto, Keiko si trova a fare i conti con quella differenza. Nonostante sia giapponese, si sente un'estranea, una gaijin.
Le manca Cris, le manca il Brasile, ma soprattutto le manca la velocità, e lavorare non le basta per colmare quel vuoto che sente dentro; oltretutto, l'intesa storica con Tsubasa pare venir meno ora che lui è tornato nel suo mondo, e ciò contribuisce ad allargare la spaccatura fra di loro.
Come una ferita i cui lembi si sono rimarginati staccati l'uno dall'altro, ora che ha più bisogno di supporto si sente sola.
E, si sa, quando ci si sente soli si prendono decisioni che possono risultare discutibili.
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«Niente. Più. Gare.»
«Che c’è, hai paura che ti tolga il titolo di miglior pilota?»
«Pensi questo? Pensi che si riduca tutto a un “decretiamo chi sia il migliore tra noi”? Sai bene che non è così.»
«A me invece sembra che tu sia parecchio competitivo.»

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Serie "VeF - Velozes e Furiosos - sequel di "Velozes e Furiosos"
Genere: Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alan Croker/Yuzo Morisaki, Nuovo personaggio, Tsubasa Ozora/Holly
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'VeF - Velozes e Furiosos'
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Velozes e Furiosos

Un futuro qui

«Quindi Keiko non verrà? Che peccato…»

Yukari aveva pronunciato quelle parole con sincerità, ma Tsubasa non era ugualmente dispiaciuto dell’assenza della ragazza. Dopo la discussione pacifica avuta in officina, i loro rapporti si erano limitati a freddi messaggi scritti o orali riguardanti la gestione del lavoro o di Yuki, che continuava a essere contento di potersi dividere tra l’appartamento sopra l’officina e la casa di Natsuko.

«Aveva delle questione urgenti da sistemare.» mitigò portandosi la birra alla bocca, sperando che la conversazione non andasse nello specifico perché non aveva voglia di spiegare che le “questioni” di Keiko riguardavano Shuzo Mori.

«E voi due, invece?»

Yukari gli diede un colpetto di gomito, facendolo sussultare e arrossire allo stesso tempo.

«Noi due… chi? Cosa?»

«Ma come, tu e Sanae!» e così dicendo gli indicò la donna che si stava intrattenendo con i genitori di Ishizaki «È bello vedere che avete ripreso da dove avete interrotto.»

«Già…» si grattò la testa imbarazzato.

«Non lo ammetterà mai, ma ha sperato tanto in un tuo rientro, nonostante… beh, nonostante Yuki. È stato un duro colpo da metabolizzare, ma… sì, insomma.» Yukari si voltò verso il bambino e poi di nuovo verso di lui «È chiaro che tu l’abbia fatto per proteggere Keiko, non doveva essere facile essere una ragazza madre in Brasile…»

Tsubasa rimase con la bottiglia a mezz’aria, colpito da quelle parole: non aveva considerato che fino a prima del suo rientro in Giappone, tutti pensassero che fosse realmente il padre di Yuki, mentre una volta visto il bambino con quei tratti somatici misti, avevano realizzato che la sua paternità era solo una copertura.

Fece per rispondere, ma l’intervento provvidenziale proprio del bambino che portava il suo cognome interruppe l’imbarazzo.

«Bas! Bas!» gli corse incontro, e lui lo prese in braccio al volo.

«O que?» gli domandò, felice di vederlo così spensierato.

«Posso comer sorvete?»(1)

Annuì, depositandogli un enorme bacio sulla fronte, dopo aver scostato quei ricci scuri che gliela adornavano, e lo rimise a terra, osservandolo poi correre verso Daichi per trascinarlo in cucina.

«Ho l’impressione che assomigli a qualcuno che conosco, ma non saprei chi…» Yukari si era portata una mano al mento e aveva assunto una posa pensosa.

«Senti, Yukari…» decise di affrontare l’argomento una volta per tutte «Io capisco che ci sia molta curiosità attorno a Yuki, ma cerchiamo di tenere a mente che è solo un bambino di sei anni che è appena stato sballottato dall’unico mondo che ha conosciuto a uno completamente diverso. Lui parla giapponese, abbiamo cercato di fargli conoscere le sue radici, ma ha comunque parecchie difficoltà, e non vorrei aggiungere al pacchetto delle insinuazioni sulla sua origine.» chiarì, fissando la donna negli occhi «Yuki ha una famiglia, strana ma ce l’ha: abbiamo dovuto fare i conti con una perdita importante che realizzerà solo quando sarà più grande, non alimentiamo i traumi, te lo chiedo come favore personale.»

Gli fu evidente che Yukari non aveva pensato alle implicazioni delle sue frasi, o dell’impatto psicologico che avrebbero avuto se il bambino le avesse sentite: si portò le mani sul ventre pronunciato e annuì.

«Sei un ottimo genitore, Tsubasa, Yuki non poteva chiedere di meglio.» gli sorrise, e lui fece altrettanto, felice che la donna avesse capito.

«Ehi, di che si parla, qui?»

Sanae li raggiunse e lui ne approfittò subito per passarle un braccio attorno alle spalle e attirarla a sé: si rese conto solo dopo che quel gesto per lui così naturale aveva un impatto diverso su chi lo osservava.

«Yukari si stava complimentando con me per averti riconquistata.» mormorò, depositandole un bacio sulla nuca e sancendo in questo modo la sua totale messa a fuoco, da tanto che il volto le era arrossito.

«O forse sono stata io brava a farti ricadere nella mia rete?» replicò, sorniona.

«Ad ogni modo sono molto felice per voi, e sarò ancora più felice quando questo peso che mi porto qui dentro deciderà di uscire.» sdrammatizzò.

«Sei raggiante, lasciatelo dire.» Sanae si profuse in complimenti.

«Oh, sì, e goditi il momento: quando escono c’è da impazzire, soprattutto i primi mesi. Sono così piccoli e indifesi che ti senti davvero in difficoltà.»

«Ma non ditelo a Ryo, è ancora convinto che non cambierà nulla!»

Scoppiarono a ridere, e nel farlo Tsubasa si voltò alla ricerca di Yuki: lo trovò intento a disegnare, sotto lo sguardo vigile di Yuzo che stava decisamente scalando la classifica per ottenere il premio di “Zio dell’Anno”.

Si scusò con le due donne e lo raggiunse.

«Ehi, Tsubasa.» lo salutò con affetto.

«Tutto bene?»

«Mi spiace che lei non sia qui…» gli sussurrò. Tsubasa annuì, mantenendo lo sguardo su Yuki.

«Il tuo gemello non si risparmia, a quanto pare, e sfrutta al meglio la sua nuova driver.»

«Mi spiace anche di questo. Se vuoi…»

«No, è grande abbastanza da prendere le sue decisioni e assumersi le sue responsabilità.»

Un rumore conosciuto attirò la sua attenzione: era difficile che per Nankatsu girassero delle auto modificate, quindi aveva ben chiaro di chi si trattasse, e le sue supposizioni furono convalidate quando la figura di Kei fece la sua comparsa nel giardino.

«Mamãe!» Yuki mollò tutto quello che stava facendo e le corse incontro, felice.

«Ciao a tutti, scusate per il ritardo. Yukari, questo è per voi.» e, tenendo su il figlio, indicò la borsa che aveva poggiato ai suoi piedi.

«Non dovevi disturbarti.»

Yukari era a disagio, era evidente che nonostante Kei fosse inserita nell’invito, la sua presenza era fonte di imbarazzo.

«Oh, non preoccuparti: ho ripensato ai primi tempi, quando Yuki era piccolo, e ti ho preso un po’ di cose che credo ti saranno utili.»

«Mamma, vieni a mangiare il gelato?»

«No, piccolo, devo andare.»

«Di già?» a Tsubasa la domanda sfuggì dalle labbra, dove avrebbe voluto trattenerla. Keiko fece scendere il figlio, che corse verso Yuzo, e lo osservò con aria glaciale.

«So quando la mia presenza non è gradita, sono solo passata per dare il regalo e per ringraziare di aver invitato Yuki.»

«Non sei obbligata ad andartene.»

«Né a restare.»

Uno scambio di battute così freddo che, per un istante, gli sembrò che fosse calato l’inverno.

Un trillo di cellulare fece scattare Kei sull’attenti: estrasse il dispositivo dalla tasca, rispose e rimase in ascolto, quindi lo ripose nuovamente nella tasca posteriore.

«Devo andare.»

«Adesso hai anche il telefono personale?»

«Non ricominciare, Bas.» gli voltò le spalle.

«Ricomincio eccome.» fece un passo verso di lei e la obbligò in malo modo a voltarsi «Questa storia non finirà bene.»

«Finirà come deve finire, non sarai di certo tu a deciderlo.»

«Kei, pensa a Yuki.»

«E tu pensa a te stesso e alla tua menina.»(2)

«Kei…» fece per prenderle la mano ma lei lo scacciò in malo modo. Ora sentiva gli sguardi di tutti i presenti su di loro, così iniziò a parlare in portoghese, nella speranza di mitigare «Ti prego, cerchiamo di mantenere un basso profilo.»

«È quello che sto cercando di fare, ora ti prego, lasciami andare.»

Tenne gli occhi incollati su di lei, le cui iridi quasi lo supplicavano di lasciarla andare: le vide spostare lo sguardo da lui a qualcuno alle sue spalle, per poi tornare a focalizzarsi su di lui.

«Tudo ficará bem(3) gli carezzò una guancia, e per un istante lesse un sentimento diverso nei suoi occhi, ma fu solo un istante prima che indossasse la sua maschera e uscisse dal vialetto.

«Tsubasa?»

Si voltò verso Sanae, che lo osservava con aria preoccupata.

«Devo occuparmi di Yuki.» mormorò, raggiungendo il bambino.

 

Chiusa in auto in attesa che Gaho tornasse dalla consegna, continuava a rivivere la scena di poco prima nel giardino di casa Ishizaki. Si era sentita peggio di un pesce fuor d’acqua, e per un istante si era pentita di esserci andata, soprattutto quando Tsubasa aveva cercato di trattenerla, nella vana speranza di farle far parte di quel mondo. Ma lei non poteva farne parte, perché lei non era Sanae.

Sospirò, portandosi una mano alla fronte: la prima volta che aveva conosciuto Sanae si era sorpresa di come Tsubasa potesse essersi innamorato di una ragazza così diversa da lui, poi aveva capito che a tenerli legati era qualcosa di profondo, nato in gioventù e con basi solide. Tsubasa era partito per il Brasile sapendo che Sanae lo avrebbe atteso, qualunque cosa fosse successa. E così era stato: nonostante tutto quello che li aveva tenuti separati, loro erano tornati insieme.

Nonostante l’incidente.

Nonostante Yuki.

Nonostante lei.

«Andiamo, voglio fermarmi a prendere un milkshake.»

Gaho entrò in auto e si lasciò cadere malamente sul sedile.

«Una cosa veloce, ché devo tornare da mio figlio.»

«Sarai libera quando lo dirò io, Noshimuri.»

Kei si immise in autostrada e dopo pochi chilometri capì subito che c’era qualcosa che non andava.

«È normale che uno dei tirapiedi dell’ultima consegna ci stia seguendo?»

Gaho si voltò con discrezione, e imprecò tra i denti.

«Cambio di programma, non torniamo alla base: andiamo al locale.»

Kei sbuffò, ma non aveva scelta: se quelli si azzardavano a seguirli era per tentare un attacco al cuore dell’organizzazione, usando loro come cavallo di Troia.

Attaccò l’auricolare al cellulare e fece partire la chiamata, incurante della presenza di Gaho.

«Tutto bene?» la voce di Tsubasa era giustamente allarmata.

«Sì, ma tarderò parecchio…»

«Ci rimarrà male.»

Si concesse di chiudere gli occhi per un istante, giusto il tempo di mandare giù l’ennesima imprecazione.

«Mi farò perdonare, ma al momento sto vivendo un déjà-vu del PCC.» cercò di farsi capire da lui senza destare sospetti in Gaho.

«Merda, Kei

«Va tutto bene, è gestibile, solo che non posso tornare alla base e devo allungare il percorso. Non voglio chiedergli di aspettarmi sveglio.»

«Lo farà comunque. Fai attenzione.»

Tsubasa chiuse la comunicazione e lei sospirò pesantemente, alla ricerca di ossigeno.

«Problemi con il tuo fidanzatino?»

«Niente che ti interessi, Gaho.»

Lo yakuza si sporse verso di lei, con un ghigno divertito dipinto sulle labbra.

«Siamo suscettibili all’argomento, eh Noshimuri? Che c’è, il tuo merlo non accetta che tu sia diventata la puttana di Mori?»

Kei lasciò andare il gomito sinistro contro il viso di Gaho, che arretrò urlando.

«Mi hai spaccato il naso, puttana!»

«Sta’ zitto e lasciami guidare, o vuoi finire nuovamente fuori strada e romperti anche l’altro braccio, essere inutile.»

Gaho continuò a massaggiarsi il naso, che con sommo dispiacere di Keiko non era rotto: quando giunsero al locale, lo yakuza si diresse subito verso il piano superiore, lasciandola in disparte.

«Ehi, Keiko-san, il solito?»

Annuì al barista e si sedette a banco, aspettando che l’uomo le servisse la bevanda al guaranà che aveva iniziato a farsi spedire solo per lei.

Aveva appena iniziato a sorseggiarla quando i due posti al suo fianco vennero occupati: anche senza alzare lo sguardo riconobbe gli scagnozzi che stavano seguendo lei e Gaho poco prima.

«Ehi, bellezza, bevi qualcosa?»

«A posto, grazie.» mantenne lo sguardo sul bicchiere, seguendo la danza delle bollicine.

«Sicura?» mormorò quello alla sua destra, allungando una mano per scostarle una ciocca di capelli. Kei gli afferrò il polso e lo fissò negli occhi.

«Queste le tieni a casa tua.» e gliela lasciò in malo modo.

«Ehi, non toccare il mio amico.» l’altro scattò in piedi, Kei si ritrovò il suo viso a pochi centimetri dalla faccia. Con una lentezza esasperante, fece ruotare lo sgabello nella sua direzione.

«Io non lo tocco, lascio a te questa prerogativa.»

Il tizio alle sue spalle – più alto e corpulento – si mosse e le bloccò i movimenti, passandole le braccia attorno alle spalle, mentre quello basso davanti a lei caricò il pugno. Kei scostò la testa per schivare il colpo e lasciò andare un calcio che lo colpì nelle parti basse, quindi scivolò giù dallo sgabello e si chinò in avanti per far sbilanciare quello alle spalle, che mollò la presa.

Ruotò su sé stessa, facendo perno su una gamba, e con l’altra mollò un calcio in pieno volto al tizio che le aveva bloccato i movimenti, quindi si concentrò sull’altro. Era alto circa quanto lei, scuro di capelli e con il pizzetto che circondava la bocca piccola.

«Ora ti sistemo io, stupida puttana.»

«È la seconda volta che mi chiamano così, oggi, ho esaurito la pazienza.»

Schivò il pugno e si spostò di lato, quindi gli rifilò una gomitata tra le scapole: il tizio gemette, sbilanciandosi in avanti, ma si voltò subito e si rimise in posizione da combattimento.

«Vieni qui, bellezza.» le disse, piegando le labbra in un ghigno «Lasciati carezzare dal mio tocco, sarò delicato, lo giuro.»

Sapeva che stava cercando di provocarla per farla partire per prima, aveva partecipato ad abbastanza risse a San Paolo da sapere come gestirle – con buona pace di Cris e Bas. Con la coda dell’occhio notò che il primo tizio si era ritirato su ed era pronto a intervenire.

«Due contro uno non è corretto, però.» e, così dicendo, piroettò su sé stessa senza toccare il pavimento e si scostò, in modo da averli entrambi di fronte.

Fu il piccoletto a partire per primo, a passo di carica: lo schivò, tenendo d’occhio le sue mosse, e schivò anche l’altro, partito subito dopo. Cercò di difendersi fino a quando una svista la fece finire nella morsa del più alto, e il piccoletto non si attardò a rifilarle un bel pugno sullo zigomo.

Caricata dall’adrenalina del colpo, Kei lo colpì con un calcio in pancia e lo spinse via, quindi si chinò e fece ruotare quello alle sue spalle sopra di lei, per poi farlo atterrare alle sue spalle e approfittarne per dargli una gomitata in pieno stomaco.

I buttafuori la raggiunsero e afferrarono in malo modo i due aggressori per poi spedirli fuori dal locale; Gaho arrivò mentre si stava toccando lo zigomo dolente.

«Shuzo ti vuole vedere.»

Masticò un’imprecazione e raggiunse lo yakuza nel suo ufficio.

«Fortuna che ti avevo chiesto un basso profilo, Noshimuri.»

«Quei due hanno iniziato la rissa, non io.»

«Sì, ho visto.» annuì, mantenendo lo sguardo basso sulle carte che stava controllando «Chi erano?»

«Sono quelli che ci hanno seguito dopo la consegna.»

«Di che parli?» Shuzo lasciò cadere la penna e alzò lo sguardo verso di lei.

«Quando siamo ripartiti, ho notato un’auto che ci seguiva. L’ho detto a Gaho e lui mi ha suggerito di venire qui anziché tornare alla base.»

Shuzo lanciò un’occhiata a Gaho, che fece spallucce.

«E cosa volevano da te?»

«Hanno tentato un approccio maldestro, poi sono passati alle mani. Scusa se non ho approfondito, ho preferito difendermi.» biascicò toccandosi nuovamente lo zigomo, che ora le doleva parecchio.

«Vai a casa, Noshimuri, e curati quello zigomo. Ozora non sarà contento.» la punzecchiò, ridacchiando. Keiko lo liquidò con un cenno della mano e uscì dalla stanza, intenzionata ad andare a godersi un meritato riposo.

 

Il suono del campanello la fece sobbalzare: si era addormentata sul divano quasi senza rendersene conto. La borsa del ghiaccio giaceva per terra, molle a seguito dello scioglimento del contenuto, così la prese e la ripose in freezer.

Si lavò la faccia stando attenta a non sfregare la zona lesa, quindi si cambiò e scese in officina.

«Buongiorno. Nottata difficile?»

«Sono rientrata tardi.»

«L’ho immaginato, per questo ti ho lasciata dormire.»

«Mi ha svegliata il campanello dell’officina.»

Tsubasa era di spalle, così sgusciò verso la macchinetta del caffè, coprendosi la guancia con una mano: sapeva che non poteva evitarlo tutto il giorno, e rimpianse di non avere del fondotinta da poter mascherare la tumefazione.

«Prendo anch’io del caffè, ci vuole proprio.»

Le si affiancò e allungò una mano per prendere una tazza, Kei arretrò e volse lo sguardo altrove.

«Va… tutto bene?»

«Sì, sì certo.»

Falsa come poche volte nella sua vita, gli porse la guancia sana e gli sorrise in maniera sghemba.

«Dei del cielo…»

Tsubasa allungò una mano e le prese il mento, quindi la fece ruotare verso di lui.

«Non è niente.» minimizzò, cercando di sottrarsi al contatto, invano.

«Chi è stato?»

«Un tizio…»

«Quello che ti seguiva?»

Kei si scostò, arretrando di un passo: si sentiva in difetto, sotto lo sguardo indagatore e preoccupato dell’amico.

«Mi si è affiancato mentre ero a bancone a bere, ha allungato troppo le mani e gli ho spiegato dove poteva mettersele. Lui e il suo compare…»

«Ah, erano in due?» Tsubasa incrociò le braccia al petto, un scintillio di divertimento illuminò le sue iridi.

«Sì. Sono arrugginita.»

Tsubasa alzò nuovamente una mano e gliela posò sulla guancia: Kei socchiuse gli occhi e si godette il tocco delicato.

«Ti ha presa bene, eh?»

«Sì, ma… devi vedere com’erano messi loro.»

Bas scoppiò a ridere, pareva averla presa bene nonostante tutto.

«Ci hai messo il ghiaccio?»

«Sì, papà.» alzò gli occhi al cielo, risolvendosi a staccarsi da lui.

Tsubasa versò il caffè nelle tazze e gliene porse una, iniziando poi a sorseggiare la bevanda, addossandosi al muro.

«Devo considerarla una tregua?»

«Non voglio litigare, Kei.»

«Nemmeno io, Bas, nemmeno io…»

«Se guidare ti fa stare bene, e se mi giuri che si tratta solo di quello.»

«Si tratta solo di quello.» annuì.

Tsubasa sospirò, gli costava davvero tanto, ne era certa.

«E sia… non faccio i salti di gioia a saperti alla corte di Mori, ma se serve a farti stare bene… io vedo davvero un futuro, qui, e vorrei che lo vedessi anche tu.»

Annuì, concentrandosi sulla tazza tra le sue mani: il suo futuro era un po’ meno roseo rispetto a quello di Tsubasa, che si stava riconquistando il suo posto nel mondo, ma avrebbe fatto di tutto per rendere la loro vita migliore.

Perché, in fondo, continuavano a essere una família.

 

 

1

«O que?» - Cosa?

«Posso comer sorvete?» - Posso mangiare il gelato?

2 menina - un modo per dire "ragazza, donna"

3 «Tudo ficará bem.» - Andrà tutto bene

 

 


Una tregua all'orizzonte? Beh, speriamo, perché credo che Keiko ne abbia davvero bisogno. Benché abbia dimostrato di sapersela cavare nel mondo della malavita, dimostra comunque di aver bisogno del supporto del suo compare, e come biasimarla: non bisogna scordare che sono anni che si guardano le spalle a vicenda e, come sostiene spesso lei, le è rimasto solo lui, come membro della família. 

È forte e debole allo stesso momento, Keiko: forte nel momento del bisogno, ma che si lascia andare a una carezza quando la riceve. Un dualismo che raramente mostra, e solo con chi vuole lei. 

Mentre Tsubasa... da un lato ha Sanae, la sua àncora al passato; dall'altro Keiko, che lo conosce forse meglio di chiunque altro. Difficile dire come si muoverà in futuro. 

Grazie ancora e sempre per il vostro affetto e i messaggi (pubblici e privati) con cui mi fate sapere le vostre opinioni: siete ORO. 

Un abbraccio grandissimo 

La vostra Sakura 

   
 
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