- 3 -
-
Il suo cappuccino, signore.
–
Kei
appoggiò la tazza sul
tavolo, sotto il sorrisino compiaciuto di Kuroo. Si scambiarono
brevemente uno
sguardo e Kei tornò dietro al bancone dove una
quantità spropositata di frutta
lo aspettava: la squadra femminile di pallavolo aveva invaso il locale
qualche
minuto prima per occupare la zona vicino alla vetrata. Non
c’erano molti altri
clienti, ma le voci esaltate delle pallavoliste riempivano ogni spazio
libero
della caffetteria.
Spazientito
da tutto quel
rumore, Kei si mise a sbucciare la frutta. Di tanto in tanto, lanciava
un’occhiata verso Kuroo, ma quello rimaneva a leggere il
giornale con
espressione vagamente divertita, il che aumentava il senso di
irritazione del
cameriere.
Sebbene
Kei avesse
rifiutato l’invito ad entrare nel Fronte di Resistenza, Kuroo
aveva continuato
ad usare il locale come punto di incontro per i suoi affari, dando per
scontato
che non sarebbe stato denunciato. Tale sfacciata convinzione irritava
Kei per
due motivi principali: primo, per la propensione smoderata alla fiducia
nel
prossimo che Kuroo dimostrava; e secondo, perché Kuroo aveva
fondamentalmente ragione.
Dopo
il rifiuto, Kuroo
aveva iniziato a presentarsi alla caffetteria ancora più
frequentemente, con
grande sorpresa di Kei. Non aveva abbandonato i suoi piccoli
accorgimenti: mai
un posto fisso, mai dare nell’occhio e sempre orari diversi.
Quasi per gioco,
aveva persino mantenuto il suo rituale di ordinare qualcosa di diverso
ogni
volta, gioco che coinvolgeva suo malgrado un esasperato Kei.
L’unico dettaglio
che era drasticamente cambiato era il suo modo di vestire: non era
più l’uomo
in completo, ma il ragazzo con il berretto dei MSBY Black Jackal.
Tuttavia,
nonostante le visite si fossero fatte più frequenti, i
contatti con Kuroo si
limitavano a scambi formali sull’ordinazione ed il pagamento.
Era capitato che
Kuroo arrivasse in un momento calmo e la caffetteria fosse vuota, ma in
quell’occasione Kei aveva ficcato il naso fra i libri,
fingendo di studiare, a
rosicarsi le pellicine di fianco all’unghia, incerto se
intavolare una
conversazione o meno; d’altra parte, Kuroo l’aveva
lasciato fare. Ad un certo
punto, però, dei bigliettini avevano iniziato a comparire al
momento del
pagamento. La prima volta, Kuroo aveva fatto scivolare le banconote
arrotolate direttamente
nella mano di Kei. Insospettito da quel contatto fisico non necessario,
Kei le
aveva svolte attentamente, al riparo da occhi indiscreti, e vi aveva
trovato un
pezzo di carta ripiegato. Aveva riposto le banconote nella cassa e
restituito
delle monetine nella mano aperta di Kuroo, che sorrideva sornione. Il
biglietto, non l’aveva letto subito; aveva atteso di rimanere
da solo, alla
fine del turno quando, con un certo turbamento e senza sapere bene che
cosa
aspettarsi, l’aveva aperto.
Era
un semplice:
Spero
che tu stia bene.
Non
sapendo come reagire,
lo aveva gettato nel cestino.
In
seguito, ne erano
arrivati degli altri:
Che
freddo fa oggi! Non
vedo l’ora arrivi la primavera.
Cos’era
quella faccia
lunga di prima?
Stai
battendo la fiacca!
Il tavolo dietro al mio ha aspettato il caffè per
mezz’ora.
Stai
preparando un esame?
Buona fortuna!
Sembri
stanco. Dormi
abbastanza?
Ai
messaggi, Kei non
rispondeva mai; quando arrivavano, però, le sue labbra si
piegavano inevitabilmente
un pochino verso l’alto. Ad un certo punto, prima delle
vacanze invernali, aveva
realizzato di attendere quei biglietti ed un lieve
sentore di panico
aveva iniziato a togliergli il sonno. Con sollievo, si era presto
ritrovato in un
treno con Tadashi, diretti verso casa: il campus si sarebbe svuotato
per due
settimane e la caffetteria avrebbe tenuto i battenti chiusi per tutta
la durata
delle festività. Si era detto che una pausa
l’avrebbe sicuramente aiutato a
scuotersi da quella strana situazione, a rinsavire. Tuttavia,
l’atmosfera cupa
che aleggiava in casa, le domande assillanti di sua madre –
“Sei sempre attento
quando esci, vero?” – e
le premure
soffocanti di suo fratello gli avevano ben presto fatto rimpiangere la
sua vita
all’università. La notte di Capodanno, si era
ritrovato a guardare fuori dalla
finestra a chiedersi se in qualche modo anche Kuroo e gli altri della
Resistenza stessero festeggiando la venuta del nuovo anno,
finché Tadashi l’aveva
sgridato di essere assente; per farsi perdonare, Kei si era lasciato
trascinare
in giardino, senza opporre troppa resistenza, ad ammirare i fuochi
d’artificio
allo scoccare della mezzanotte. Gli ultimi giorni erano stati
un’agonia, e li aveva
passati rinchiuso nella sua vecchia camera a desiderare smaniosamente
di
tornare alla normalità. Era stato così che,
nell’arco di due settimane, era
scappato una seconda volta a bordo di un treno. Il cattivo umore lo
aveva
abbandonato solo quando le ruote della valigia avevano toccato il
pavimento
dell’appartamento e si era lasciato cadere sul divano di
fianco a Tadashi. La
mattina seguente, con un certo nervosismo, si era ritrovato ad
aspettare
impazientemente che le lezioni finissero per raggiungere la caffetteria
e dare
il cambio a Yachi. Tuttavia, aveva dovuto attendere altri tre giorni
prima di
vedere la zazzera disordinata di Kuroo fare la sua entrata nel locale.
Quel
pomeriggio, al momento del pagamento aveva mascherato al meglio il
compiacimento nel ritrovare un bigliettino fra le banconote.
Intransigente, si
era costretto ad attendere la fine del turno per leggerlo, continuando
a
sminuirne l’importanza. Alla fine, quando lo aveva aperto,
non era riuscito a
sopprimere un sorriso. Diceva:
Ti
sono mancato? Buon anno!
Stava
per cestinarlo, ma
alla fine aveva cambiato idea e l’aveva infilato nel
portafogli. Era una
settimana ormai che se ne stava lì, come un portafortuna
confortante.
Sbucciata
e tagliata la
frutta, Kei la inserì nel mixer insieme al latte di soia e
frullò; distribuì
nei bicchieroni, e ripeté il procedimento un paio di volte
con combinazioni di
frutta differente. Caricò tutto su un vassoio e si
avvicinò con attenzione al
tavolo delle pallavoliste le quali, improvvisamente, da strepitanti si
erano
fatte più silenziose, nascondendo delle risatine dietro ai
palmi. Kei si limitò
ad appoggiare gli smoothies davanti alle ragazze: non ci fu bisogno che
gli
ricordassero chi avesse ordinato cosa, Kei l’aveva
memorizzato. Si era già
voltato per tornare alla sua postazione, quando una vocina stridula ma
risoluta
richiamò la sua attenzione:
-
Tsukishima-kun! –
Stizzito,
Kei tornò sui
suoi passi; si parò davanti al tavolo delle sportive e
alzò semplicemente un
sopracciglio, aspettando che la ragazza con la coda di cavallo e le
gote rosse
parlasse.
-
Ci stavamo chiedendo – la
ragazza si interruppe per guardarsi intorno come a raccogliere consensi
per il
suo coraggio, – Ci stavamo chiedendo se tu uscissi con
qualcuno al momento. –
Uno
scoppio di risatine
sovraeccitate lasciò il tempo a Kei di elaborare una
risposta abbastanza neutrale
da evitargli il licenziamento.
-
Non ho proprio il tempo
per cose del genere. – rispose, tendendo un sorriso forzato e
trattenendo
commenti acidi fra i denti.
Le
pallavoliste sembrarono
sgonfiarsi dalla delusione; tuttavia, la ragazza con la coda di cavallo
non
sembrò demordere e, estratta velocemente una penna dalla
borsa sportiva, scribacchiò
qualcosa su un tovagliolino.
-
Ecco – spiccò in piedi e
porse la salvietta a Kei – Se mai dovessi trovare il tempo.
–
Kei
tese la mano e osservò
per un momento il numero di cellulare scritto precipitosamente; lo
afferrò, stiracchiò
un altro sorriso e girò i tacchi sotto l’ennesimo
scroscio di risatine e
commenti concitati. Una volta dietro al bancone e posizionato in modo
da dare
la schiena ai clienti, accartocciò la salvietta e la
gettò furtivamente nel
cestino. Voltatosi, i suoi occhi si posarono su Kuroo che, ridacchiando
sotto i
baffi, stava scrivendo qualcosa su un foglietto di carta proteggendolo
da occhi
indiscreti con la mano, ed un violento calore prese a salirgli fin
sulle
orecchie. Sistemò gli occhiali con un gesto veloce e si
diresse a denti stretti
verso un altro cliente che aveva richiesto la sua attenzione. Stava
ancora
fumando di vergogna quando, tornando sui propri passi, si era accorto
che Kuroo
era stato raggiunto da una persona, con cui parlava fittamente. Era un
ragazzo
giovane, che Kei non aveva mai visto prima: di statura contenuta,
sembrava
essere un liceale fuori posto in una caffetteria universitaria, che
chiacchierava e scuoteva nell’aria una vistosa zazzera color
carota. Kei
escluse a priori che si trattasse di un anormale: era animato da un
entusiasmo
che raramente si ritrovava negli occhi circospetti di una persona
costantemente
braccata. Dopo una buona mezz’ora, Kei aveva deciso che quel
ragazzino, che
faceva ridere un po’ troppo Kuroo, non gli andava
giù.
Fu
quindi con un umore risentito
che Kei accolse Kuroo quando questi si alzò e gli si
avvicinò per pagare; il
tipetto coi capelli carota se ne stava qualche passo più
indietro ad osservare bramoso
la vetrina dei dolci. Kei ingoiò un commento acido sul fatto
che non sarebbe
più riuscito a vendere nessuno dei pasticcini se avesse
continuato a fissarli
così intensamente e si costrinse a spostare la propria
attenzione su Kuroo.
-
Il conto, per favore. –
sorrise quello.
Kei
grugnì e si mise a
trafficare con la cassa. - 2600 yen. – disse asciutto.
Kuroo,
che aveva già
preparato un rotolo di banconote, le fece scivolare nel palmo aperto di
Kei e
istantaneamente l’umore ingarbugliato del cameriere fu
spazzato via. Il
contatto fra le loro dita, un miscuglio di caldo e freddo, rimase
celato ad
occhi indiscreti dietro la figura densa di Kuroo. Fu Kei che si
sottrasse per
primo a quell’unione tanto impudente; si volse per nascondere
una smorfia di
soddisfazione infantile nel trovare l’ennesimo bigliettino,
che finì
furtivamente nella tasca della divisa. Infilò le tre
banconote da 1000 yen nella
cassa e ne pescò delle monetine da restituire.
Fronteggiò infine Kuroo, che lo
attendeva pacificamente a mano aperta; Kei ci fece cadere il resto,
senza
restituire il contatto.
Fu
in quel momento che,
con raccapriccio, Kei scorse con la coda dell’occhio un paio
di giubbe rosse; lo
scampanellio della porta seguì dopo una frazione di secondo.
L’orrore doveva
essergli serpeggiato sulla faccia come una scossa, perché
Kuroo aveva intuito
pur non vedendo e, abbassata la frontiera del berretto, si era voltato
verso il
suo accompagnatore afferrandolo per una spalla. Come schegge partite da
una
bomba a grappoli, i pensieri di Kei rimbalzavano impazziti nella sua
scatola cranica
ad una velocità innaturale.
Vattene!,
si
sgolava mentalmente.
I
due poliziotti erano gli
stessi della prima volta, l’anormale e la sua guardia. Il
primo sfilava con il
suo inconfondibile sorriso sornione, il secondo lo seguiva guardingo.
Tutto
sembrava accadere ad una lentezza sfiancante: gli agenti si dirigevano
verso
Kei, Kuroo con l’accompagnatore protettivamente sottobraccio,
verso l’uscita. Ci
fu un momento, e Kei trattenne il fiato, in cui le due coppie
sembrarono quasi
sfiorarsi, ma poi continuarono per le rispettive traiettorie, parallele
ed
inverse. Kuroo aveva quasi conquistato la porta, ma Kei era ormai
concentrato
su altro: cercava di mantenere i nervi saldi perché
l’agente Oikawa l’aveva
puntato come l’ago di una bussola punta il Nord. Con uno
spasmo allo stomaco, Kei
ebbe l’assoluta certezza che questa volta fossero venuti per
lui.
All’improvviso, tutto ciò che era accaduto negli
ultimi mesi con Kuroo e la
Resistenza diventò insignificante di fronte a quel terrore
paralizzante.
-
Hey, tu! –
Quel
richiamo risuonò
nell’ambiente come uno schiocco di frusta, facendo sussultare
Kei e Oikawa:
l’agente Iwaizumi si era fermato e fissava Kuroo. Nel breve
istante in cui
Kuroo si era voltato ed il suo sguardo aveva incontrato quello
dell’agente, Kei
scorse negli occhi del primo un odio viscerale, e in quelli del secondo
un
lampo di realizzazione; tanto gli bastò per sapere che la
situazione stesse per
esplodere.
Poi
tutto accadde in un
istante: intimando di fermarsi, l’agente Iwaizumi estrasse la
pistola dalla
fondina e la puntò alla gamba di Kuroo, il quale spinse il
suo accompagnatore oltre
la porta nel freddo della sera.
Uno
sparo esplose nella stanza;
il proiettile rimbalzò da Kuroo alla lampada sopra la testa
di Kei, causando un
secondo botto. Urla terrorizzate scoppiarono a cascata, e la gente
prese riparo
sotto ai tavoli; ma gli agenti erano già spariti oltre la
porta,
all’inseguimento.
Paralizzato,
Kei rimase a
fissare il punto in cui Kuroo era svanito. Sussultò
nell’udire altri spari;
poi, quando i rumori si fecero troppo distanti, si accasciò
sullo sgabello con
una sensazione di vuoto al petto.
Bravo
coniglio, l’hai
fatta franca un’altra volta.
***
Eccomi
qui con un nuovo
capitolo!
Non
ho molto da dire, se
non che sono abbastanza soddisfatta. Buona lettura e spero vi piaccia! :)
A
presto :*