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Autore: Hinata_Dincht     05/03/2024    1 recensioni
Dal testo:
"Tuttavia, quell’uomo, quello seduto alla vetrata, era un totale mistero. Si poteva presentare per tre giorni consecutivi o sparire per settimane; a volte si sedeva da solo, altre era in compagnia di una o due persone. Non aveva orari prediletti, poteva apparire sull’uscio in qualsiasi momento. Ordinava sempre qualcosa di diverso e non aveva un posto preferito. Una totale frustrazione per una mente metodica e organizzata come quella di Kei."
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Kei Tsukishima, Tetsurou Kuroo
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- 3 -

- Il suo cappuccino, signore. –

Kei appoggiò la tazza sul tavolo, sotto il sorrisino compiaciuto di Kuroo. Si scambiarono brevemente uno sguardo e Kei tornò dietro al bancone dove una quantità spropositata di frutta lo aspettava: la squadra femminile di pallavolo aveva invaso il locale qualche minuto prima per occupare la zona vicino alla vetrata. Non c’erano molti altri clienti, ma le voci esaltate delle pallavoliste riempivano ogni spazio libero della caffetteria.

Spazientito da tutto quel rumore, Kei si mise a sbucciare la frutta. Di tanto in tanto, lanciava un’occhiata verso Kuroo, ma quello rimaneva a leggere il giornale con espressione vagamente divertita, il che aumentava il senso di irritazione del cameriere.

Sebbene Kei avesse rifiutato l’invito ad entrare nel Fronte di Resistenza, Kuroo aveva continuato ad usare il locale come punto di incontro per i suoi affari, dando per scontato che non sarebbe stato denunciato. Tale sfacciata convinzione irritava Kei per due motivi principali: primo, per la propensione smoderata alla fiducia nel prossimo che Kuroo dimostrava; e secondo, perché Kuroo aveva fondamentalmente ragione.

Dopo il rifiuto, Kuroo aveva iniziato a presentarsi alla caffetteria ancora più frequentemente, con grande sorpresa di Kei. Non aveva abbandonato i suoi piccoli accorgimenti: mai un posto fisso, mai dare nell’occhio e sempre orari diversi. Quasi per gioco, aveva persino mantenuto il suo rituale di ordinare qualcosa di diverso ogni volta, gioco che coinvolgeva suo malgrado un esasperato Kei. L’unico dettaglio che era drasticamente cambiato era il suo modo di vestire: non era più l’uomo in completo, ma il ragazzo con il berretto dei MSBY Black Jackal. Tuttavia, nonostante le visite si fossero fatte più frequenti, i contatti con Kuroo si limitavano a scambi formali sull’ordinazione ed il pagamento. Era capitato che Kuroo arrivasse in un momento calmo e la caffetteria fosse vuota, ma in quell’occasione Kei aveva ficcato il naso fra i libri, fingendo di studiare, a rosicarsi le pellicine di fianco all’unghia, incerto se intavolare una conversazione o meno; d’altra parte, Kuroo l’aveva lasciato fare. Ad un certo punto, però, dei bigliettini avevano iniziato a comparire al momento del pagamento. La prima volta, Kuroo aveva fatto scivolare le banconote arrotolate direttamente nella mano di Kei. Insospettito da quel contatto fisico non necessario, Kei le aveva svolte attentamente, al riparo da occhi indiscreti, e vi aveva trovato un pezzo di carta ripiegato. Aveva riposto le banconote nella cassa e restituito delle monetine nella mano aperta di Kuroo, che sorrideva sornione. Il biglietto, non l’aveva letto subito; aveva atteso di rimanere da solo, alla fine del turno quando, con un certo turbamento e senza sapere bene che cosa aspettarsi, l’aveva aperto.

Era un semplice:

Spero che tu stia bene.

Non sapendo come reagire, lo aveva gettato nel cestino.

In seguito, ne erano arrivati degli altri:

Che freddo fa oggi! Non vedo l’ora arrivi la primavera.

Cos’era quella faccia lunga di prima?

Stai battendo la fiacca! Il tavolo dietro al mio ha aspettato il caffè per mezz’ora.

Stai preparando un esame? Buona fortuna!

Sembri stanco. Dormi abbastanza?

Ai messaggi, Kei non rispondeva mai; quando arrivavano, però, le sue labbra si piegavano inevitabilmente un pochino verso l’alto. Ad un certo punto, prima delle vacanze invernali, aveva realizzato di attendere quei biglietti ed un lieve sentore di panico aveva iniziato a togliergli il sonno. Con sollievo, si era presto ritrovato in un treno con Tadashi, diretti verso casa: il campus si sarebbe svuotato per due settimane e la caffetteria avrebbe tenuto i battenti chiusi per tutta la durata delle festività. Si era detto che una pausa l’avrebbe sicuramente aiutato a scuotersi da quella strana situazione, a rinsavire. Tuttavia, l’atmosfera cupa che aleggiava in casa, le domande assillanti di sua madre – “Sei sempre attento quando esci, vero?” –  e le premure soffocanti di suo fratello gli avevano ben presto fatto rimpiangere la sua vita all’università. La notte di Capodanno, si era ritrovato a guardare fuori dalla finestra a chiedersi se in qualche modo anche Kuroo e gli altri della Resistenza stessero festeggiando la venuta del nuovo anno, finché Tadashi l’aveva sgridato di essere assente; per farsi perdonare, Kei si era lasciato trascinare in giardino, senza opporre troppa resistenza, ad ammirare i fuochi d’artificio allo scoccare della mezzanotte. Gli ultimi giorni erano stati un’agonia, e li aveva passati rinchiuso nella sua vecchia camera a desiderare smaniosamente di tornare alla normalità. Era stato così che, nell’arco di due settimane, era scappato una seconda volta a bordo di un treno. Il cattivo umore lo aveva abbandonato solo quando le ruote della valigia avevano toccato il pavimento dell’appartamento e si era lasciato cadere sul divano di fianco a Tadashi. La mattina seguente, con un certo nervosismo, si era ritrovato ad aspettare impazientemente che le lezioni finissero per raggiungere la caffetteria e dare il cambio a Yachi. Tuttavia, aveva dovuto attendere altri tre giorni prima di vedere la zazzera disordinata di Kuroo fare la sua entrata nel locale. Quel pomeriggio, al momento del pagamento aveva mascherato al meglio il compiacimento nel ritrovare un bigliettino fra le banconote. Intransigente, si era costretto ad attendere la fine del turno per leggerlo, continuando a sminuirne l’importanza. Alla fine, quando lo aveva aperto, non era riuscito a sopprimere un sorriso. Diceva:

Ti sono mancato? Buon anno!

Stava per cestinarlo, ma alla fine aveva cambiato idea e l’aveva infilato nel portafogli. Era una settimana ormai che se ne stava lì, come un portafortuna confortante.

Sbucciata e tagliata la frutta, Kei la inserì nel mixer insieme al latte di soia e frullò; distribuì nei bicchieroni, e ripeté il procedimento un paio di volte con combinazioni di frutta differente. Caricò tutto su un vassoio e si avvicinò con attenzione al tavolo delle pallavoliste le quali, improvvisamente, da strepitanti si erano fatte più silenziose, nascondendo delle risatine dietro ai palmi. Kei si limitò ad appoggiare gli smoothies davanti alle ragazze: non ci fu bisogno che gli ricordassero chi avesse ordinato cosa, Kei l’aveva memorizzato. Si era già voltato per tornare alla sua postazione, quando una vocina stridula ma risoluta richiamò la sua attenzione:

- Tsukishima-kun! –

Stizzito, Kei tornò sui suoi passi; si parò davanti al tavolo delle sportive e alzò semplicemente un sopracciglio, aspettando che la ragazza con la coda di cavallo e le gote rosse parlasse.

- Ci stavamo chiedendo – la ragazza si interruppe per guardarsi intorno come a raccogliere consensi per il suo coraggio, – Ci stavamo chiedendo se tu uscissi con qualcuno al momento. –

Uno scoppio di risatine sovraeccitate lasciò il tempo a Kei di elaborare una risposta abbastanza neutrale da evitargli il licenziamento.

- Non ho proprio il tempo per cose del genere. – rispose, tendendo un sorriso forzato e trattenendo commenti acidi fra i denti.

Le pallavoliste sembrarono sgonfiarsi dalla delusione; tuttavia, la ragazza con la coda di cavallo non sembrò demordere e, estratta velocemente una penna dalla borsa sportiva, scribacchiò qualcosa su un tovagliolino.

- Ecco – spiccò in piedi e porse la salvietta a Kei – Se mai dovessi trovare il tempo. –

Kei tese la mano e osservò per un momento il numero di cellulare scritto precipitosamente; lo afferrò, stiracchiò un altro sorriso e girò i tacchi sotto l’ennesimo scroscio di risatine e commenti concitati. Una volta dietro al bancone e posizionato in modo da dare la schiena ai clienti, accartocciò la salvietta e la gettò furtivamente nel cestino. Voltatosi, i suoi occhi si posarono su Kuroo che, ridacchiando sotto i baffi, stava scrivendo qualcosa su un foglietto di carta proteggendolo da occhi indiscreti con la mano, ed un violento calore prese a salirgli fin sulle orecchie. Sistemò gli occhiali con un gesto veloce e si diresse a denti stretti verso un altro cliente che aveva richiesto la sua attenzione. Stava ancora fumando di vergogna quando, tornando sui propri passi, si era accorto che Kuroo era stato raggiunto da una persona, con cui parlava fittamente. Era un ragazzo giovane, che Kei non aveva mai visto prima: di statura contenuta, sembrava essere un liceale fuori posto in una caffetteria universitaria, che chiacchierava e scuoteva nell’aria una vistosa zazzera color carota. Kei escluse a priori che si trattasse di un anormale: era animato da un entusiasmo che raramente si ritrovava negli occhi circospetti di una persona costantemente braccata. Dopo una buona mezz’ora, Kei aveva deciso che quel ragazzino, che faceva ridere un po’ troppo Kuroo, non gli andava giù.

Fu quindi con un umore risentito che Kei accolse Kuroo quando questi si alzò e gli si avvicinò per pagare; il tipetto coi capelli carota se ne stava qualche passo più indietro ad osservare bramoso la vetrina dei dolci. Kei ingoiò un commento acido sul fatto che non sarebbe più riuscito a vendere nessuno dei pasticcini se avesse continuato a fissarli così intensamente e si costrinse a spostare la propria attenzione su Kuroo.

- Il conto, per favore. – sorrise quello.

Kei grugnì e si mise a trafficare con la cassa. - 2600 yen. – disse asciutto.

Kuroo, che aveva già preparato un rotolo di banconote, le fece scivolare nel palmo aperto di Kei e istantaneamente l’umore ingarbugliato del cameriere fu spazzato via. Il contatto fra le loro dita, un miscuglio di caldo e freddo, rimase celato ad occhi indiscreti dietro la figura densa di Kuroo. Fu Kei che si sottrasse per primo a quell’unione tanto impudente; si volse per nascondere una smorfia di soddisfazione infantile nel trovare l’ennesimo bigliettino, che finì furtivamente nella tasca della divisa. Infilò le tre banconote da 1000 yen nella cassa e ne pescò delle monetine da restituire. Fronteggiò infine Kuroo, che lo attendeva pacificamente a mano aperta; Kei ci fece cadere il resto, senza restituire il contatto.

Fu in quel momento che, con raccapriccio, Kei scorse con la coda dell’occhio un paio di giubbe rosse; lo scampanellio della porta seguì dopo una frazione di secondo. L’orrore doveva essergli serpeggiato sulla faccia come una scossa, perché Kuroo aveva intuito pur non vedendo e, abbassata la frontiera del berretto, si era voltato verso il suo accompagnatore afferrandolo per una spalla. Come schegge partite da una bomba a grappoli, i pensieri di Kei rimbalzavano impazziti nella sua scatola cranica ad una velocità innaturale.

Vattene!, si sgolava mentalmente.

I due poliziotti erano gli stessi della prima volta, l’anormale e la sua guardia. Il primo sfilava con il suo inconfondibile sorriso sornione, il secondo lo seguiva guardingo. Tutto sembrava accadere ad una lentezza sfiancante: gli agenti si dirigevano verso Kei, Kuroo con l’accompagnatore protettivamente sottobraccio, verso l’uscita. Ci fu un momento, e Kei trattenne il fiato, in cui le due coppie sembrarono quasi sfiorarsi, ma poi continuarono per le rispettive traiettorie, parallele ed inverse. Kuroo aveva quasi conquistato la porta, ma Kei era ormai concentrato su altro: cercava di mantenere i nervi saldi perché l’agente Oikawa l’aveva puntato come l’ago di una bussola punta il Nord. Con uno spasmo allo stomaco, Kei ebbe l’assoluta certezza che questa volta fossero venuti per lui. All’improvviso, tutto ciò che era accaduto negli ultimi mesi con Kuroo e la Resistenza diventò insignificante di fronte a quel terrore paralizzante.

- Hey, tu! –

Quel richiamo risuonò nell’ambiente come uno schiocco di frusta, facendo sussultare Kei e Oikawa: l’agente Iwaizumi si era fermato e fissava Kuroo. Nel breve istante in cui Kuroo si era voltato ed il suo sguardo aveva incontrato quello dell’agente, Kei scorse negli occhi del primo un odio viscerale, e in quelli del secondo un lampo di realizzazione; tanto gli bastò per sapere che la situazione stesse per esplodere.

Poi tutto accadde in un istante: intimando di fermarsi, l’agente Iwaizumi estrasse la pistola dalla fondina e la puntò alla gamba di Kuroo, il quale spinse il suo accompagnatore oltre la porta nel freddo della sera.

Uno sparo esplose nella stanza; il proiettile rimbalzò da Kuroo alla lampada sopra la testa di Kei, causando un secondo botto. Urla terrorizzate scoppiarono a cascata, e la gente prese riparo sotto ai tavoli; ma gli agenti erano già spariti oltre la porta, all’inseguimento.

Paralizzato, Kei rimase a fissare il punto in cui Kuroo era svanito. Sussultò nell’udire altri spari; poi, quando i rumori si fecero troppo distanti, si accasciò sullo sgabello con una sensazione di vuoto al petto.

Bravo coniglio, l’hai fatta franca un’altra volta.

 

***

Eccomi qui con un nuovo capitolo!

Non ho molto da dire, se non che sono abbastanza soddisfatta. Buona lettura e spero vi piaccia! :)

A presto :*

  
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