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Autore: Afaneia    06/03/2024    1 recensioni
Link viene condannato ingiustamente per alto tradimento.
Impa e i Campioni escogitano l'unico, folle piano possibile per salvarlo.
Succedono cose.
La mattina del terzo giorno Zelda è stata confinata nei suoi appartamenti dalle guardie e a Link è stato ricordato senza mezzi termini che, rifiutando un ordine diretto del re, rischiava la corte marziale. Senza scomporsi, Link ha pranzato con calma, ha indossato la divisa della guardia reale, ha congedato il suo attendente e si è seduto nei suoi alloggi ad aspettare che venissero ad arrestarlo; ha scritto qualche lettera, nel frattempo, e ha annotato delle idee sulle mappe che campeggiano da mesi sul suo tavolo da lavoro. Quando i soldati mortificati si sono presentati con l’ordine d’arresto, ha chiesto solo la cortesia di non essere ammanettato, ha deposto la Spada sul tavolo e li ha seguiti senza opporre resistenza.
Revalink, ovviamente.
Genere: Angst, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Impa, Link, Nuovo Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Capitolo IV – Borgo
 
Cameretta sul mare; m’ha svegliato il troppo intenso chiarore della luna, della luna sul mare.
Quando mi avvicinai alla finestra, credevo fosse l’alba e che avrei visto il sorgere del sole…
André Gide, I nutrimenti terrestri.
 
    Ha preso male la mira, seppur di poco. Rischia di mancare di una spanna appena la vasta apertura sul fianco di Medoh che aveva preso come obiettivo quando si è lasciato planare dalla collina con la paravela: è stata colpa di Lelek, questa volta. Non perché gli abbia fatto perder tempo, a dire il vero – di tempo ce n’era a sufficienza; ma quelle storie lo hanno distratto. Se non conoscesse Lelek, se non fosse certo della sua trasparenza e della sua buonafede come lo è della consistenza delle proprie mani, del colore dei propri capelli, penserebbe che si sia sbagliato; ma disgraziatamente si fida dei suoi occhi e delle sue parole come si fiderebbe dei suoi propri occhi, delle sue proprie parole. Se Lelek dice che Revali lo ha imboccato, allora Link è certo che sia accaduto come lo sarebbe se se lo ricordasse lui stesso. Però, per quanto si sforzi, non lo ricorda. Non ricorda tutto di quei giorni, naturalmente: ricorda le cime innevate dei monti di Hebra ai margini dei suoi occhi come dita grige e bianche che indicassero il cielo, ricorda la voce di Lelek che lo supplicava di restar sveglio nella neve liquefatta dal calore del suo sangue; ricorda la preghiera di Mipha che scorreva sulle sue membra come se fosse acqua, il dolore atroce degli aghi dei chirurghi che gli sigillavano le carni; ricorda d’aver urlato… poi ricorda d’essere approdato alla coscienza a tratti, come attraverso scossoni che lo svegliavano e lo destavano da un’inconsapevolezza buia e priva di sogni: ogni volta che apriva gli occhi, Lelek era sempre con lui. Ricorda la sensazione della spugna intrisa d’acqua e aceto che gli rinfrescava le labbra, poi dei brodi tiepidi di pesce filtrati attraverso le garze; ricorda che Zelda si è recata a visitarlo, che anche i Campioni… ricorda anche gli occhi verdi di Revali nell’oscurità grigiazzurra della tenda; allo splendore dei suoi occhi nel buio ricorda d’aver infisso lo sguardo per qualche istante in mezzo alle febbri dell’infezione; ma altro non saprebbe dire. Quando i suoi ricordi si riallacciano alla linearità degli eventi e riassumono una coerenza logica e ininterrotta, la febbre s’è attenuata, sul suo ventre smagrito spicca una grande cicatrice irregolare e Lelek gli porge cucchiai di mela cotta schiacciata per far canalizzare l’intestino.
    Sono stati questi pensieri ininterrotti a fargli sbagliare la mira, seppure di poco. Se ne accorge quando rischia di mancare di una spanna appena l’apertura; allora, per raddrizzarsi, è costretto a compiere una manovra piuttosto infelice con la paravela: la piega di scatto fino a inclinarsi nel vento e, un istante dopo, la chiude. La manovra funziona, ma Link precipita all’interno di Medoh come un sasso lanciato da una fionda e rotola al suolo cercando di riprender fiato. È quasi sicuro d’essersi ammaccato qualche costola. Non che sia una novità, ma il dolore gli toglie il fiato ogni volta come la prima.
    «Quanta grazia» commenta Revali schioccando la lingua.
    Lo sovrasta in tutta la sua altezza nella lama d’ombra che le pareti del colosso sacro tagliano attraverso la luce, colle ali ripiegate dietro la schiena, superbo, marziale. Sul colosso sacro è a suo agio come lo è nell’aria; sembra fatta per lui, questa bestia di pietra che si libra in cielo massiccia eppure come priva di peso, e Revali vi appare sempre a casa sua come se non avesse mai abitato altrove che lì.
    Link si tira a sedere sul pavimento, controlla le condizioni della Spada che esorcizza il male, sebbene sia alquanto sicuro che sia molto più resistente di lui, e posa a terra la paravela. «Sono stati le correnti del colosso. Mi hanno spinto indietro al momento sbagliato.»
    «Sicuro. Le correnti» commenta Revali. «Strano, non me n’ero accorto.»
    «Revali» lo interrompe Link, che del suo sarcasmo non ha affatto bisogno, in questo momento, e vuole arrivare subito al sodo e dire quello che deve dire. Cerca lo sguardo dei suoi occhi verdi nell’ombra scura del colosso. «Grazie.»
    Revali rimane a osservarlo per un po’ cercando di decidere quale sferzante sarcasmo dedicargli, ma Link non vuole permettergli di ridurre il tutto a una risposta caustica. «Non eri tenuto a farlo e sai che non potrò fare niente che ricambi quello che hai fatto per me. Posso soltanto ringraziarti.»
    Revali pare decidere che le sue parole sono sincere, serie, e come sempre, quando qualcosa lo riguarda direttamente e non può ridursi a una sperticata lode delle sue abilità, distoglie lo sguardo e gli dà le spalle. Su questo Link ci avrebbe scommesso, ma non poteva esimersi dal parlare: non importa se Revali si ritiene troppo superiore a lui per sprecar tempo a dargli ascolto, persino in questo frangente. Lui dirà quello che sente di dover dire.
    «Avrei potuto dir di no» dice infine Revali. Continua a dargli le spalle. «Ma d’un tratto non mi è sembrato giusto. Ho detto di sì. Ho pensato che, in fin dei conti… se fossimo stati in guerra tu non mi avresti lasciato morire. Non che a me possa capitare, comunque.»
    Ovviamente no. Link sorride della sua sicumera.
    «Ma questo è diverso dalla guerra. Questo è…» Per sempre, vorrebbe dire, ma d’improvviso, quand’è sul punto di pronunciarle ad alta voce, quelle parole gli paiono troppo solenni e intime, quasi romantiche, ed egli si trattiene dal pronunciarle. Cerca una via alternativa. «Vincolante. Voglio dire che adesso, se tu volessi… non so, sposarti…»
    Si rende conto troppo tardi d’essere arrossito, ma, per una volta, Revali non cerca di farglielo pesare. Forse questa conversazione è penosa anche per lui. Si limita a scrollare le spalle. «Sì, beh… non che la cosa mi interessasse. I miei allenamenti occupano la maggior parte del mio tempo. Comunque, non ti montare la testa» conclude un po’ troppo in fretta. «Non sei il mio tipo. Suppongo che per te sia un onore essere sposato col grande Revali, ma non è che io possa dir lo stesso di te.»
    Non è che Link volesse tirar fuori questa arma tanto presto, a dire il vero. Avrebbe voluto avere almeno il tempo di rifletterci un po’ per conto suo, in verità, e di cercare di rievocare, dentro di sé, almeno qualche ricordo più preciso di quei giorni di febbre e di dolore; ma Revali ama provocarlo come una miccia, e la conversazione con Lelek lo ha turbato un po’ più di quanto voglia ammettere.
    «Suppongo che sia perché non sono il tuo tipo che mi hai imboccato quella volta a Hebra» risponde con indifferenza mettendosi a piegare la paravela.
    Non lo sta neppure guardando, ma potrebbe giurare di aver sentito Revali avvampar di rabbia.
    «Non gli avrai creduto, spero. Mi pare evidente che il tuo attendente sia un gran bugiardo.»
    «Non dir questo di Lelek» lo ammonisce Link pigramente, ma del suo tono tagliente è certo che Revali si sia accorto. «Certo che gli credo, e comunque Impa me lo ha confermato. Anche Impa è una bugiarda?»
    Questo è un bluff spudorato. Impa non gli ha detto proprio niente, e a dire il vero Link non è neppure certo di ricordare se in quei giorni lei si trovasse presso il suo accampamento o piuttosto più a sud; ma è quasi certo che, se lui non ricorda la posizione precisa di ciascuno dell’esercito, non possa ricordarsene neanche Revali, che in fondo non ha una gran considerazione di nessuno al di fuori di se stesso e in quella battaglia comandava truppe ausiliarie.
    Il bluff funziona. Revali lo fissa indispettito come se Link avesse appena osato mettere a nudo una sua debolezza: la sua rabbia è tale che non trova niente da dire per qualche momento.
    «Molto bene» dice infine, lentamente. «Allora facciamo che io ti spiegherò perché ho fatto quel che ho fatto quando tu mi spiegherai perché quel giorno hai chiesto di me quando sei rinvenuto. O questo per te non è conveniente?»
    Link apre la bocca, la richiude, ci pensa un momento e risponde: «Ho chiesto di chi?»
    «Ah, ecco» conclude Revali trionfante. «Quindi questo il tuo attendente ha tralasciato di dirtelo. Piuttosto comodo, eh?»
    Link è troppo preso da quello che ha appena scoperto per rispondere alla sua ennesima provocazione. Sta pensando. Quei pochi giorni a Hebra, evidentemente, sono stati più pregni di eventi di quanto potesse immaginare. È quasi imbarazzante il fatto che l’unico ricordo che ne conserva siano le poltiglie di mele cotte. «Perché ho chiesto di te?»
    Revali è molto soddisfatto di aver appena vinto la loro prima discussione dall’inizio del loro matrimonio. Non che a Link sia mai interessato molto combattere questa rivalità del tutto univoca e unidirezionale che Revali ha stabilito tra di loro il giorno del loro primo incontro. «Non lo so, Link. Perché non me lo dici tu?»
    Link sta ancora riflettendo. Alza gli occhi su di lui cercando di articolare una domanda che possa riassumere l’enorme quantità dei dubbi che lo stanno assalendo a partire da questa mattina.
    «Sei sicurissimo che non ci siamo sposati quel giorno, vero?»
    Revali lo guarda con disgusto come si guarda una blatta e ritiene che questa domanda non meriti risposta. Torna a occuparsi dei comandi di Medoh senza degnarlo di uno sguardo. Link rimane solo, nel ventre profondo del colosso, a riflettere su quello che ha scoperto nelle ultime ore.
 
    La dirupata città dei Rito compare sotto di loro verso il tramonto, innalzandosi come un albero tra i monti. È bella come un sogno, come sempre: Link la contempla nella luce rossastra senza saper bene che pensarne, appoggiato alle pareti del colosso a scrutare la vallata sotto di lui: i fuochi emergono dalla penombra come lampi in mezzo alla nebbia.
    «Se ci caliamo dall’alto, questa volta pensi di riuscire a beccare la città a dispetto di tutte le correnti?» chiede Revali spuntando dalle ombre alle sue spalle. Dal momento che la discussione di prima sembra momentaneamente messa da parte, Link decide di non raccogliere la provocazione e lasciarlo stare. Si sente ancora sufficientemente in debito con lui da lasciar correre qualche punzecchiatura, per il momento; forse deve ancora realizzare pienamente cosa vuol dire tutto questo, per la verità, ma probabilmente avrà il tempo di pensarci domani. Per il momento si limita a rimanere in silenzio. «È quella alta là in mezzo. A quest’ora è anche illuminata. La vedi? Se non ti senti sicuro, posso far calare Medoh sulla rocca…»
    Per non dargli soddisfazione, Link si prepara a spiegare la paravela e non risponde.
    Prima che faccia in tempo a planare nel vuoto, Revali stende improvvisamente un’ala davanti a lui e dice: «Aspetta un momento. Ascolta.»
    Link lo guarda senza capire: non capisce cosa ci possa essere da ascoltare nel tramonto infinito. Gli occhi di Revali sono puntati verso la città: guardando dove guarda lui, Link si concentra per ascoltare. È musica. Non che la cosa sia sorprendente, dopotutto: se c’è qualcosa che i Rito amano, dopo volare, è la musica; ma evidentemente Revali vi sente qualcosa che a lui sfugge.
    «Stanno suonando.»
    «Già» conferma Revali cupamente. «Hai mai sentito queste musiche?»
    Link si stringe nelle spalle senza capire. Non è che sia poi questo grande esperto di produzione musicale dei Rito. «Non mi pare. Dovrei?»
    «No, se non sei mai stato a un matrimonio Rito. Ci hanno preparato una festa.»
    Link è troppo stanco dopo questa giornata infinita per riuscire a decidere dentro di sé cosa pensarne. Probabilmente dovrebbe esserne turbato, o imbarazzato; qualcosa del genere; ma in questo momento non è in grado neppure di decifrare l’espressione di Revali. È più facile chiedere. «Sei a disagio?»
    Quella domanda lo riscuote. «Io? Certo che no. Dopotutto, era logico aspettarselo. Era ovvio che avrebbero voluto festeggiare le mie nozze.»
    Su questo, per una volta, Link è perfettamente d’accordo con lui: Revali è superbo e pieno di sé, d’accordo, ma è il più grande guerriero dei Rito, impareggiabile e invincibile, persino per lui, e la sua gente lo ama incondizionatamente. In questi tempi d’incertezza, il suo matrimonio dev’essere come un faro di speranza… persino con un Hylia.
    «Credevo che il nostro fosse un matrimonio segreto» commenta divertito. Revali lo fulmina con lo sguardo.
    «Sai com’è… stanotte sono stato troppo impegnato a spiegare al capovillaggio perché l’ho svegliato di notte per farmi fare un certificato di matrimonio retrodatato di diciotto mesi con un cavaliere Hylia contro cui una volta ho messo in allarme l’intero Borgo. Può darsi che mi sia sfuggito di dirgli che doveva anche mantenere il segreto. Direi che non è il caso di far troppo gli schizzinosi, eh?»
    Planano sul Borgo dal ventre di Medoh, fendendo l’aria infuocata del tramonto: hanno acceso fuochi ovunque. A quanto pare, il matrimonio dell’orgoglio dei Rito è una questione pubblica per questa gente che in lui ha riposto tutte le sue speranze e la sua fiducia: le strette strade scoscese del borgo che si avviluppano aggrappandosi ai fianchi della rupe sono decorate di ghirlande di fiori e festoni di carta. Revali le osserva con disapprovazione senza dir nulla.
    Appena atterrano sono circondati da Rito. Per un po’ Link non capisce nulla e rinuncia a capire: gli gettano fiori attorno al collo, lo abbracciano; vede solo un vorticare di piumaggi variopinti e di volti sorridenti che gli danno il benvenuto e gli fanno gli auguri per le sue nozze. Non sa neppure cosa rispondere, se non, quando gli rimane aria a sufficienza, grazie; lo consola il fatto che Revali non se la stia cavando tanto meglio. È stato preso di mira dai bambini: lo adorano, e più che adorarlo lo venerano. Lo chiamano grande Revali, saltano verso di lui per farsi prendere in braccio: lo sorprende quanto Revali sia a suo agio coi bambini. Quando un paio, un po’ più alti degli altri, lo supplicano, porge persino loro il suo Arco Aquila, che Link non gli ha mai visto lasciar toccare a nessuno: è talmente pesante che neppure in due riescono a tenerlo sollevato. Revali ne sorride: Link non sente con precisione le sue parole, ma ne comprende comunque il significato: ci riproverete quando sarete più grandi. È ancora troppo pesante per voi. Riprende l’arco che gli porgono, assieme delusi ed elettrizzati, con una tenerezza che Link non gli ha mai visto e che mai avrebbe associato a lui. Chissà perché la cosa lo colpisce tanto: era ovvio che qui, in mezzo alla sua gente che lo acclama come un eroe e un salvatore, Revali si sarebbe comportato diversamente; ma è un po’ meno pieno di sé, tra di loro.
    Quando i bambini lo lasciano andare, Revali lo attira a sé per le spalle e lo guida su per le scale che salgono verso la città alta, mormorando: «Andiamo a trovare il capo. Vorrà darci la sua benedizione. È tradizione.»
    «Credevo ce l’avesse data diciotto mesi fa» risponde Link innocentemente. I Rito fanno largo davanti a loro per lasciarli passare, ma non smettono di cantare: forse è un inno nuziale, chi lo sa.
    «Chissà. Forse non ne ha mai avuto l’occasione perché tu eri in fin di vita in una tenda a bere brodini di pesce» ribatte Revali senza neppure guardarlo. «Di certo non poteva lasciare il borgo per venire a benedire la nostra fortunata unione. Ti sembra credibile?»
    «Mi sembra realistico» concede Link continuando a salire.
    Le strade del borgo, che sono già strette e ripide in tempi normali, ora sono quasi impercorribili: i Rito li circondano da ogni lato. Si sono presentati proprio tutti a rendere omaggio al loro Campione, e Revali avanza in mezzo a loro ringraziandoli col capo.
    Il capo Kagan li aspetta di fronte alla sua casa, quasi sulla cima della rupe. Link non lo aveva mai visto: quando ha accompagnato Zelda al Borgo dei Rito, ormai tre anni fa, a chiedere a Revali di pilotare il colosso sacro, si è occupato unicamente degli aspetti di difesa, visto che i Rito li hanno attaccati confondendoli per qualcun altro, e ha parlato unicamente con i soldati e i capitani: è sempre stata Impa ad accompagnarla agli incontri diplomatici. Lo sorprende il fatto che abbia circa la loro stessa età, forse è persino più giovane di Revali: è un Rito alto e robusto, col petto ampio e le spalle larghe. Chissà perché il termine capovillaggio lo faceva pensare a qualcuno di anziano e saggio; invece Kagan è appena un adulto. Abbraccia Revali come un fratello.
    «Ci hai regalato un giorno di gioia, Revali» gli dice. «Devi perdonare il nostro entusiasmo. Era da tanto che non ricevevamo una notizia tanto bella. Abbiamo organizzato qualcosa per dare il benvenuto al tuo sposo.»
    «Non avreste dovuto» risponde Revali con un tono che vuol chiaramente dire che quello non è un complimento e che veramente non avrebbero dovuto. Per tutta risposta, Kagan si limita a guardare verso Link. Revali lo spinge avanti a sé senza troppe cerimonie. «Giusto. Capo, questo è… uhm… è Link.»
    È la presentazione più squallida del mondo: suona come se Revali si fosse vergognato, all’ultimo istante, a pronunciare le parole mio marito e avesse cambiato idea bruscamente. Kagan attende per un secondo di udire quelle parole, aspetta per sentire se non ci sia dell’altro; poi, visto che dell’altro, a quanto pare, non c’è, e lui è semplicemente Link, si china e abbraccia anche lui come se lo conoscesse da sempre. «Benvenuto, Link. Spero che ti sentirai a casa nel nostro borgo come nel cuore di Hyrule. La nostra gente è molto curiosa di conoscerti» aggiunge ridendo accennando alla folla che si è accalcata per le strade. «Ma ti prometto che faranno di tutto per metterti a tuo agio… da domani. Stasera dovrai sopportare un po’ di curiosità.»
    «Grazie» risponde Link. «Avete fatto molto per me. Non potrò mai ringraziarvi.»
    «Io ho solo firmato un vecchio foglio che Revali si era dimenticato di farmi firmare quando vi siete sposati un anno e mezzo fa» ribatte Kagan strizzandogli l’occhio. «Non mi pare che tu debba ringraziarmi per altro.»
 
    Kagan ha parlato di un po’ di curiosità. Non gli sembra una definizione adeguata, pensa Link per tutta la sera. Avrebbe parlato piuttosto di un’insana, morbosa, viscerale curiosità che riguarda tutta la sua persona.
    Hanno preparato un banchetto. Li fanno accomodare al centro di una tavolata sulla cima della città alta: Revali è pallido di rabbia, perché a quanto pare aveva sperato di poter condurre le cose con un po’ più di discrezione; fa del suo meglio per mostrarsi a suo agio, comunque, ma siede al suo fianco come starebbe seduto su una bomba. Tutti e tutte si avvicinano per congratularsi con lui, poi si rivolgono a Link, gli danno il benvenuto e gli ripetono quanto è fortunato e quanta gente avrebbe voluto trovarsi al suo posto in quel momento. Link stenta a immaginare in che modo essere sposati col più orgoglioso e supponente dei Rito possa costituire una fortuna, ma egualmente li guarda negli occhi e li ringrazia sforzandosi di sorridere in preda alla confusione.
    I bambini, naturalmente, sono i più indiscreti. Gli si avvicinano più volte durante la cena, osservandolo e ridendo tra loro in piccoli gruppi: la loro curiosità è così innocente e spontanea che Link non riesce a sentirsene a disagio. Una di loro, la più coraggiosa, forse, gli si avvicina e gli chiede se è veramente un Hylia. Link le sorride e le risponde di sì.
    «Perché hai le orecchie a punta?»
    È la prima volta che Link si rende conto di non averci mai pensato: gli Sheikah non le hanno e neanche le Gerudo. La domanda lo mette alquanto in difficoltà.
    «Non lo so. Sono nato così» risponde onestamente. «Tutti gli Hylia le hanno.»
    «Posso toccarle?»
    Quello scambio lo diverte a tal punto che acconsente. Dopo avergli toccato un orecchio, la piccola Rito ritorna ridendo dai suoi amici. Revali la osserva allontanarsi.
    «Devi scusarli, sai. I più piccoli non hanno mai visto un Hylia. Da quando si parla della Calamità, ormai riceviamo pochissimi viaggiatori.»
    «Non mi danno fastidio» risponde Link, piuttosto sorpreso: non gli era neppure venuto in mente che ci fosse qualcosa da scusare. Non ha avuto molto tempo per essere bambino, quand’era il momento, e nell’esercito non ha occasione di incontrarne molti: forse è per questo che non gli danno fastidio.
    Ora che ha mangiato, che è seduto ed è al sicuro, l’infinità della giornata comincia a pesargli sulle spalle e sugli occhi come massi. Fatica a tener gli occhi aperti: c’è troppo cibo, su questa tavola, e i suoi vicini di posto continuano a riempire il suo piatto ogni volta che lo vedono vuoto e a invitarlo a provare questo o quel piatto della loro tradizione. Nel frattempo cantano, naturalmente, e Link ascolta le loro ballate e le loro liriche d’amore sentendosi gli occhi sempre più pesanti e stanchi e piacevolmente rilassato; finalmente Revali si rivolge al capo Kagan e scambia con lui qualche parola. Link non sente cosa si siano detti, ma, di qualsiasi cosa si trattasse, Kagan sembra molto divertito. Revali si rivolge a lui a bassa voce e mormora: «Vieni, andiamo a dormire. Se non ci alziamo noi, sono capaci di continuare tutta la notte. Kagan farà le nostre scuse.»
    Gli sembra trascorsa un’infinità dall’ultima volta che ha dormito. Ricorda d’aver dormito a tratti, questa notte nella cella, appisolandosi per qualche minuto e svegliandosi in preda ai brividi e al terrore, ma reprime questi pensieri non appena si affacciano alla sua mente: non vuole ricordare questa notte. Vorrebbe essere in grado di non pensarci mai più.
    Si alza in silenzio dal suo posto prima che un’idea lo fermi sul momento, là dove si trova. Scruta Revali sentendosi d’improvviso un po’ indeciso. «Non è che penseranno che noi…»
    Non sa bene come dirlo, ma per fortuna Revali non ha bisogno che lui completi la frase.
    «Non vuoi sapere cosa penseranno e non voglio saperlo neanche io» risponde freddamente, implicando che entrambi sanno benissimo che cosa penserà la sua gente e non ne parleranno di comune accordo. «Comunque non possiamo cambiare le cose, quindi andiamo. Ti ricordo che mentre tu te ne stavi in cella, io ho volato per tutta la notte.»
    Link potrebbe fargli notare che il carcere non era propriamente un luogo di riposo, ma per l’ennesima volta stabilisce dentro di sé che è ancora sufficientemente in debito con Revali da dargliela vinta, anche se il credito di cui Revali gode si sta paurosamente assottigliando. In ogni caso, vagheggia miraggi di sonno e scivola dietro di lui nelle ombre del villaggio lasciando dietro di sé i cori dei Rito.
    Non ha mai saputo dove abitasse Revali. Non che se lo sia mai chiesto, comunque, e del resto l’unica risposta che avrebbe dato a se stesso sarebbe stata: in una capanna al borgo dei Rito. Questa sera scopre che è una risposta estremamente aderente al vero: nulla gli avrebbe permesso di identificarla tra le decine di capanne aggrappate alla montagna. Il grande braciere al centro della stanza principale è acceso: Revali si ferma a osservarlo per un istante, considerando qualcosa, dopodiché lascia ricadere dietro di lui la tenda che copre l’ingresso. Le luci del fuoco allungano sulle pareti di legno ombre misteriose che si perdono negli angoli.
    «È tradizione preparare la casa degli sposi» lo informa cupamente. «Meglio così, comunque. Almeno non avrai freddo stanotte. Voi Hylia siete troppo freddolosi.»
    «Sono stati gentili» risponde Link per non saper che dire. C’è tutta una parte di lui che vorrebbe guardarsi attorno, osservare la casa di Revali dove dovrà vivere per un po’, quantomeno; ma gli bruciano gli occhi di stanchezza, e poi, non vuole essere indiscreto. Ci sarà tutto il tempo.
    «Sì, suppongo di sì. Puoi andare a dormire, comunque» lo informa Revali, cambiando bruscamente argomento. «Di là.»
    Che la camera da letto fosse di là era facilmente immaginabile, visto che non è di qua, ma intuendo il suo imbarazzo Link preferisce non commentare. Solleva la tenda verso la seconda stanza, più piccola: contiene quasi solo un’amaca.
    Una amaca.
    D’improvviso l’imbarazzo di Revali gli appare piuttosto comprensibile. Si volta a guardarlo senza saper bene che dire, e Revali, che di quel problema ha evidentemente adottato la curiosa risoluzione di non voler parlare come se non parlarne bastasse a farlo sparire, si limita a distogliere lo sguardo.
    «Vai pure» ripete senza guardarlo. «Io ho qualcosa da fare. Ti raggiungo dopo.»
    Link vorrebbe chiedere qualcosa, ma si ferma. Se chiedesse, Revali risponderebbe seccato, discuterebbero, la notte si protrarrebbe infinita, estenuante, in un’eterna frustrazione di cui nessuno dei due ha bisogno; vorrebbe chiedergli che cosa deve fare, quando intende raggiungerlo e in quale modo pensa che questa situazione si risolverà semplicemente rimandandola ed evitando di parlarne; se questa sia una scusa, anche, e se l’idea di dormire con lui lo imbarazzi a tal punto da non volerne neanche parlare; se non abbia mai dormito con nessuno, nemmeno vicino a un altro soldato nelle notti gelate sui monti di Hebra; ma s’accorge prima ancora di parlare che tutto questo non ha il diritto di chiederlo. Che Revali ha sacrificato, per salvarlo, una parte troppo grande di se stesso e della propria vita, della propria libertà, per dover anche star qui a render conto a lui del suo imbarazzo e della sua volontà. Tutto quello che osa chiedere è: «Sei sicuro?»
    «Sono sicuro» taglia corto Revali senza guardarlo. «Buonanotte.»
    «Buonanotte» risponde Link senza convinzione.
    La camera, più lontana dal fuoco, è più fredda e più buia della stanza centrale: una volta calata la tenda che copre l’ingresso, Link intravede appena i contorni delle cose nell’oscurità. Intravede una brocca e un bacile, allora si lava il volto e le mani con acqua fredda che gli dà brividi nel buio. Si spoglia alla cieca e piega i suoi abiti con la disciplina militare che è ormai parte delle sue abitudini, allo stesso modo di lavarsi e spogliarsi; l’amaca è assurdamente in alto per lui, deve quasi arrampicarvisi; una volta salito, gli pare di sprofondarvi, ma a poco a poco si fa confortevole.
    Si addormenta all’istante avvolto in una nube di coperte, vagamente consapevole della presenza di Revali a pochi passi da lui, sentendo per la prima volta da giorni d’essere al sicuro come nel mare calmo.
 
    Si sveglia nella notte che non ha fine senza sapere con precisione che cosa lo abbia svegliato; poi capisce. È ascesa la luna, enorme, eterna, la notte s’è fatta bianca e argentata tutta intorno a lui, filtrando attraverso le finestre là dove le pesanti tende ricamate non si connettono con precisione a schermarle. Il suo primo pensiero è di levarsi e accostare quelle tende, poi si trattiene: attraverso quelle fessure tra le tende intravede la valle amplissima e pallida sotto la luna silenziosa. È bella come un sogno, come aspersa di madreperla: Link rimane disteso nell’amaca, in silenzio, a osservare la valle infinita sotto di lui.
    Anche la tenda che separa la camera dall’ingresso è parzialmente sollevata; eppure gli era parso di averla lasciata cadere ieri sera. Forse era davvero stanco.
    Revali è seduto a terra, colle gambe incrociate al modo della sua gente, la schiena appoggiata alla parete della capanna: Link intravede appena il suo volto serio, concentrato, alla luce delle braci che si vanno spegnendo di fronte a lui. Sta passando la cera sulla corda del suo arco.
    «Credevo fossi stanco» dice Link senza pensare né riflettere. La metodicità dei suoi gesti lo ipnotizza.
    Revali si ferma per un attimo, tutti i sensi tesi in allarme: è evidente che non è abituato ad avere compagnia. I suoi muscoli si ammorbidiscono dopo un momento.
    «Lo sono. Lavorare mi aiuta a rilassarmi» risponde a bassa voce. Poi, dopo un istante di silenzio, aggiunge. «Ti ho svegliato io?»
    Link si chiede la stessa cosa per un momento, poi decide di no. Che a svegliarlo è stata la luce della luna e la grande calma vastissima sotto il cielo. «No. Non mi dai fastidio. Continua pure.»
    «Come sei magnanimo» commenta Revali tornando a chinarsi sul suo arco.
    Link rimane disteso immobile nell’oscillare impercettibile dell’amaca, ad ascoltare il fruscio lieve dei suoi movimenti dall’altra stanza.
    «Posso farti una domanda?»
    «Se ti dicessi di no staresti zitto?»
    Link decide dentro di sé che quello è il suo modo di dirgli che può fargli tutte le domande che vuole.
    «L’ambasciatore ti ha chiesto se, dopo quello che ha fatto ieri per te, eravate pari. Ti doveva un favore?»
    Revali tace tanto a lungo che per un po’ Link pensa che non abbia sentito la domanda. Solleva il capo sull’amaca per cercare i suoi occhi, ma proprio in quel momento Revali parla. «Hai presente quella bambina che è venuta ad abbracciarmi, quando siamo arrivati? Quella che voleva che la prendessi in braccio.»
Revali è stato preso d’assalto da ogni singolo bambino del borgo, quando sono arrivati. Link si concentra cercando di ricordare. «Quella col piumaggio azzurro?»
    «No, quella dopo di lei.»
    Link ha la sensazione che Revali lo stia prendendo in giro, ma, visto che gli sta raccontando qualcosa, si decide a dargli il beneficio del dubbio. «Più o meno. Comunque, continua.»
    «È sua figlia. Qualche anno fa l’ho salvata. Per questo l’ambasciatore mi doveva qualcosa, ma adesso siamo pari, come vedi.»
    Link avrebbe immaginato che Revali si sarebbe pavoneggiato un po’ di più per aver salvato una bambina; eppure non sembra andarne molto fiero. «Che cosa le era successo?»
    Revali tace a lungo. Quando parla, la sua voce è bassa e piatta come un mormorio nel vento. «A volte capita che i bambini mi seguano quando mi alleno, per guardarmi. A volte mi metto a giocare con loro, ma quella volta non mi ero proprio accorto di lei. Era molto silenziosa. Non credo che sia stata colpa mia, ma comunque, quando mi sono accorto di lei, in qualche modo stava precipitando. Io l’ho solo ripresa e portata al villaggio, comunque, ma da allora Mazli ritiene di dovermi un favore.»
    Revali non parla mai della sua vita al Borgo dei Rito: la sua vita, al di fuori dei suoi allenamenti e delle sue abilità, è sempre stata per lui e per i Campioni inaccessibile più di un mistero; questa è la prima volta che gli racconta qualcosa di sé, e inavvertitamente ha detto anche qualcosa che forse avrebbe preferito non dire: che non crede sia stata colpa sua. Il fatto che non lo creda implica che, anche per un minuto solamente, quell’ipotesi lo ha sfiorato. Link ci pensa in silenzio per un po’.
    «Mazli non sta qui con sua figlia?»
    «Evidentemente. È rimasta qui con una zia. Non ha più la mamma e lui non voleva sradicarla dalla nostra gente, dalla nostra terra.»
    Il che spiega perché Mazli non si trovava questa notte: è vedovo, e può darsi, come sospetta Impa, che abbia trovato compagnia altrove; ma Link evita di sollevare questo argomento. Non sono affari che riguardano né lui né Revali né nessun altro.
    «Capisco. E Kagan?»
    «Kagan cosa?»
    «Lui che favore ti doveva?»
    Revali posa l’arco di scatto. «Senti un po’, Link. Ti è mai venuto in mente che qualcuno potrebbe avermi aiutato semplicemente perché mi trova simpatico?»
    «No» ammette Link. «Revali…»
    «Dormi» risponde Revali particolarmente piccato.
    «Grazie di avermi salvato.»
    Revali non dice più niente per un po’.
    «Smettila di dire che ti ho salvato» risponde infine. «Suona tremendamente melodrammatico.»
    Tutto sommato, pensa Link addormentandosi, su questo ha ragione. Però non glielo dirà mai.
   
 
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