Anime & Manga > Fairy Tail
Segui la storia  |       
Autore: rosy03    07/03/2024    0 recensioni
• || Storia Interattiva || Iscrizioni Chiuse || •
Tutto è determinato da forze sulle quali non abbiamo alcun controllo. Vale per l’insetto come per gli astri. Esseri umani, vegetali o polvere cosmica, tutti danziamo al ritmo di una musica misteriosa, suonata in lontananza da un pifferaio invisibile.
È questo il destino? Come vostro Umile Narratore non posso rispondere a una tale domanda.
Finora non ho mai visto nessuno abbandonare la pista, non ho mai incontrato qualcuno che fosse stato in grado di cambiare disco. Il destino è davvero già scritto?
Se sapeste la verità, penso proprio che mi odiereste.
Ma nonostante questo sono qui: a raccontarvi di questa mitica impresa. Sono qui a parlarvi di come la Bestia dagli Occhi di Luna ululerà, di come questo porterà il caos nel continente di Ishgar, di come seguirà un’infinita notte, di come le stelle smetteranno di brillare, di come la luna scurirà il suo colore... e magari anche di come sorgerà una nuova aurora. Chissà.
Il vostro Umile Narratore.
J.C.
|| • «Ho perso tutto. Ho perso la mia umanità, il mio tempo, la mia famiglia. Lei è l'unica cosa buona che mi sia rimasta...»
Genere: Azione, Commedia, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Altri
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
- Questa storia fa parte della serie 'Ancient Aurora'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

CAPITOLO 16. Arcani Maggiori
 
 


 

Quando l’aveva raggiunto in ospedale – con addosso una parrucca e degli abiti che normalmente non avrebbe mai indossato – non si aspettava certo di trovarlo così in salute.
Ne era felice, ovviamente. Non avrebbe mai voluto che gli capitasse qualcosa. Ma aveva come il sentore che fosse solo l’inizio – che prima o poi sarebbe capitato qualcosa di terribile. E questa brutta sensazione si acuì nel momento in cui negli occhi d’ambra di Royal saettò una strana inquietudine.
Clizia si curò di chiudere bene la porta con un mesto sorriso a dipingerle le labbra.
L’uomo se ne stava seduto con le gambe a penzoloni oltre il bordo del letto, i capelli spettinati, e le fece segno di avvicinarsi. Lei eseguì la richiesta senza proferire parola, quel tanto per sentire il suo caldo respiro sulla pelle. Poggiò la fronte sulla sua e con le mani gli accarezzò le guance in un sospiro. «Stai bene.»
Royal annuì. «In effetti, scoppio di salute. Mi spiace averti fatto preoccupare.»
«Già. Tanto prima o poi te la farò pagare.»
A quelle parole, il mago ridacchiò. Le lasciò un bacio sulla punta del naso e uno sulla labbra, a mo’ di scuse. «Ora che sei qui mi sento molto meglio.»
Clizia sorrise – un sorriso dolce ma al tempo stesso triste. «Come sta la tua compagna di gilda?»
In un istante, il volto del Master dell’Aurora si rabbuiò. E l’attrice vi lesse tutto il dolore che lo stava attraversando. «Non si è ancora svegliata. Wiles le sta accanto giorno e notte, non dorme neanche più ormai.» Spiegò, amareggiato. «Nemmeno il dottor Cal è certo che sopravviva.»
Royal si sentiva come svuotato. La gilda era collassata. Ella versava in condizioni critiche a poche porte di distanza. E lui si sentiva di merda.
Clizia gli prese le mani senza smettere di guardarlo negli occhi. Bronzo nel miele. Miele nel bronzo. «Andrà bene. Starà bene.»
Per un attimo, il guizzo di un sorriso gli illuminò lo sguardo. «Te l’ho mai detto che mi sento terribilmente fortunato ad averti?»
Clizia fece finta di rifletterci, poi ridacchiò. «Non abbastanza, penso.»
Al che, Royal strinse le ginocchia attorno ai suoi fianchi e le rubò un bacio a fior di labbra. «Ti amo.»
E fu come sentirselo dire per la prima volta. Le guance le si imporporarono graziosamente e il cuore prese a battere in risonanza con quello dell’uomo. Sorrise ancora, ma questa volta non c’era ombra di tristezza o di altre sensazioni negative. «Ti amo anch’io, Royal.»
In una situazione normale – a riparo da occhi e orecchie indiscrete e senza preoccupazioni di vitale importanza – sarebbero finiti certamente a copulare come conigli. Ma no. Royal si impose, a malincuore, di trattenersi.
In più, c’era una questione che dovevano ancora affrontare.
Come ad avergli letto nel pensiero, le mani di Clizia si mossero, posizionandosi sul petto, su quella porzione di pelle lasciata scoperta dalla camicia sbottonata. Gliela scostò con delicatezza, come se avesse paura di fargli male. Ed eccolo lì.
Il marchio nero; all’altezza del cuore.
Era leggermente diverso da come ricordava, constatò. Sembrava quasi...
«Un orologio?» Domandò, sperando di sbagliarsi. Ma lui annuì. «La lancetta si è spostata.»
Royal le prese la mano, come a volerne calmare il tremore. «Finché non uso la magia è a posto.»
L’attrice corrucciò la fronte, confusa. «Vuoi dire che-?» Ma non terminò la frase.
Lui annuì mestamente. «Poco fa ho provato a fare un piccolo incantesimo e l’orologio si è subito attivato. Non potrò utilizzare la magia finché non trovo il modo di rompere questa... cosa
«Ti ha fatto male?»
«No.» . Ma non gliel’avrebbe detto. Così come lei avrebbe fatto finta di credergli.
Invece, Clizia annuì sospirando. «E adesso? Qual è il piano? Cos’hai intenzione di fare?»
«Devo trovare il modo di avvertire Killian di tutta questa faccenda.»
La bionda non se ne chiese il motivo; sapeva quanto Royal si fidasse di quel ragazzo. E anche se gliel’avesse domandato – perché mai è così importante raccontargli dell’attacco, del marchio, di quelle persone sbucate fuori dal nulla? –  aveva il vago sentore che non avrebbe potuto risponderle.
Royal, dopotutto, era un uomo leale.
«Ok. E come pensi di fare?»
«Non ne ho idea.»
Clizia annuì, pensierosa. Poi, le tornò in mente un piccolo, quanto cruciale dettaglio. «Charlie!»
«Chi?»
Per puro amor proprio, decise di ignorare il sottotono irritato dell’altro. «Charlie. Un mio amico. Forse può aiutarmi ad arrivare a Damocles. È lì che sono andati, no?»
Royal sussultò. «Cosa? No!» Esclamò, confuso per la velocità con cui la situazione stava prendendo quell’assurda piega. «Il regno di Damocles è nel caos più completo. Non ti lascerò andare lì. Se proprio deve andarci qualcuno quello dev’essere-»
«Tu? E chi ricostruirà l’Aurora?» Gli occhi della donna si fecero affilati. «Non puoi chiederlo a nessuno altro se non a me e si dà il caso che abbia tutto il tempo di questo mondo! Il prossimo spettacolo è tra quattro mesi.»
Il mago borbottò qualche imprecazione prima di sospirare. «Tanto ormai hai già deciso, no? Anche se ti chiederò di ripensarci, non mi ascolterai. Anzi, farai finta di farlo solo per farmi contento. Sei una ragazzina impossibile.»
Clizia scoppiò inevitabilmente a ridere piegandosi in avanti e appoggiando la fronte sulla sua spalla mentre Royal sospirava, sconfitto. «Sì, sì, ridi pure. Vedrai come sarò io a ridere, poi.»
Lei gli prese il viso tra le mani e gli stampò un sonoro bacio sulla bocca. «Non mi accadrà niente. Mi terrò lontana dai guai e se saranno loro a cercare me, gli assesterò una bella botta in testa.»
«Non mi aiuti a tranquillizzarmi, lo sai, vero?» L’abbracciò, spalmandosela addosso.
«Fidati di me.»
Lui storse la bocca. «Oh, ma io mi fido di te. È degli altri che non mi fido. Insomma, come si fa a resisterti?»
«Stiamo ancora parlando della stessa cosa, Royal? O la conversazione sta imbucando una via potenzialmente pericolosa?»
Il moro non rispose, si limitò a ridacchiare e ad appoggiare la testa sui suoi seni senza alcun doppio fine. Clizia lo sentì sospirare e percepì i suoi muscoli rilassarsi sotto le sue dita.
Con dolcezza, l’attrice gli accarezzò la nuca com’era abituata a fare, con la punta delle unghie smaltate di lilla. Royal sembrò apprezzare il formicolio generato da quella leggerezza, tanto che mugugnò di soddisfazione.
«Davvero, andrà bene. Vedrai. Consegnerò il tuo messaggio e tornerò sana e salva. Ella starà bene. L’Aurora verrà ricostruita. E quel marchio malefico sparirà. Ce la faremo.» Disse, decisa. «Risolveremo tutto e lo faremo insieme.»
Dopo alcuni secondi di silenzio, Royal alzò la testa – lo fece lentamente, per evitare di darle una capocciata.
Sul volto, un sorriso colmo di scuse. «Sono proprio pessimo, eh?»
«Sei perfetto, invece.» Gli carezzò una guancia. «Mi rendi ancora più felice quando conti su di me.»
Grazie. Grazie. Grazie di esistere. Il viso di Royal si rilassò.
«Anche tu sei perfetta. E i capelli corti ti stanno bene.»
Clizia gongolò. «Dici che dovrei tenerli così?» Nel chiederlo, sistemò alcune ciocche dietro le orecchie. I capelli biondi, che di solito portava lunghissimi e sciolti, erano stati infilati sotto una parrucca della stessa tonalità ma dalle ciocche più corte.
«Mh, no. Mi ricordano la prima volta che ci siamo incontrati.»
Clizia sorrise, sinceramente commossa. Avrebbe aggiunto volentieri qualcosa ma si vide costretta a rimandare – delle voci oltre la porta si stavano facendo sempre più vicine. «Devo andare. Non posso farmi beccare qui.»
«Devi proprio?» Domandò, in tono lamentoso. Sembrava quasi un bambino.
L’attrice annuì, a malincuore. «Tornerò presto. Aspettami.»
«Lo farò con impazienza.»
«Bene. E stai attento.»
«Certamente.»
«E guai se ti lasci toccare dalle infermiere. Sono le peggiori. Ogni scusa è buona per metterti le mani addosso.»
«Va bene. Starò attento affinché non attentino alla mia virtù.»
Clizia sollevò un sopracciglio. «Mi stai prendendo in giro?»
«Io? Quando mai!»
«Screanzato!» Esclamò, sforzandosi di non mostrarsi divertita mentre gli mollava un paio di schiaffi sulle spalle. «Fai meno lo spiritoso!»
Si allontanò con il cuore in gola e per niente pronta a salutarlo. Fece scattare la chiave nella serratura e prese un respiro profondo prima di parlare, di nuovo: «Allora, vado.» Non attese nemmeno una risposta, sparì oltre l’uscio salutando con naturalezza il medico che, invece, entrò nella stanza.
Royal sorrise; mille pensieri ad affollargli la mente. Era vero che si fidava. Era vero che Clizia sarebbe riuscita a cavarsela in ogni caso – dopotutto, era una donna intelligente, furba e sicura di sé.
Sarebbe riuscita a raggiungere Killian, informarlo e tornare da lui sana e salva.
Ma – andiamo! – come poteva non preoccuparsi nemmeno un pochino? La donna che amava – la sua donna – si stava gettando in un’impresa che per una persona normale avrebbe anche potuto risultare fatale!
Si sentiva spaccato in due.
Da un lato era fiducioso, ottimista; era certo che ce l’avrebbe fatta – diamine, si era preso una cotta per lei proprio per via del suo sangue freddo! Dall’altro lato, invece, si sentiva terrorizzato all’idea di perderla.
«Signor Vandom!» Esclamò il dottor Cal, fresco-fresco di laurea e già ampiamente conosciuto ovunque – per la sua professionalità, per il suo candore. «Come si sente oggi?»
Si sforzò di rimanere calmo, di comportarsi come al solito. «Alla grande!»
«Bene. E allora che ci fa ancora qui? Il caporeparto non le ha forse detto di sloggiare?» L’uomo non smise un attimo di sorridergli con la gentilezza che lo contraddistingueva. Avrebbe anche potuto insultare qualcuno ma quell’espressione sarebbe rimasta invariata, ispirando lo stesso garbo. «Dice che da quando c’è lei le infermiere non fanno che ronzare attorno alla sua stanza e si dimenticano degli altri pazienti.»
Royal ridacchiò, non sapendo bene cosa dire. «Ok. Allora prendo le mie cose e me ne vado.»
Il dottor Cal annuì. «Grazie mille, signor Vandom.» Uscì praticamente subito, lasciandolo solo.
Bene. Prima tappa: Ella e Wiles. Seconda tappa: Alastor e la gilda.
Poi, mentre si stava rivestendo, si rese conto di una cosa. Una cosa importante a cui non aveva prestato la dovuta attenzione.
Chi cazzo è Charlie?!
 
 
 
§
 
 
 
Charlie era un ragazzo di venticinque anni – quindi coetaneo di Clizia – che l’attrice aveva conosciuto in un teatro di Crocus qualche mese prima. L’aveva aiutata con il vestito di scena dopo che, a causa di uno stupido incidente, questo si era strappato.
Se non fosse stato per lui, Clizia avrebbe dovuto recitare con una chiappa al vento. Insomma, aveva salvato lo spettacolo – e la sua reputazione, certo.
Fisicamente, Charlie non aveva niente da invidiare a nessuno. Era alto, muscoloso. Aveva un taglio d’occhi che incuteva timore, affilati come rasoi, e capelli rosa che, davvero, non c’entravano niente con la sua espressione perennemente scazzata.
Quando Clizia si presentò laddove sapeva che l’avrebbe trovato, lo vide in piedi, di spalle e piegato in avanti. Concentrato com’era nella decorazione della sua nuova creazione che nemmeno l’aveva sentita entrare nel suo laboratorio.
Si avvicinò a passo felpato, convinta di riuscire a prenderlo alla sprovvista. Ma Charlie si girò di scatto non appena fu a un metro di distanza, inchiodandola con i suoi occhi rossi. «Che ci fai qui?»
«Sto bene, grazie per il pensiero. E tu? Tutto bene?»
Il ragazzo sbuffò sonoramente. «Che vuoi?»
È passato dall’antipatico al più antipatico. Ci vuole un genio anche per questo.
«Avrei un favore da chiederti.»
«No.»
Clizia si accigliò. «Non sai nemmeno cosa voglio-.»
«La mia risposta è comunque no
Lui tornò al lavoro e l’attrice si affacciò di lato, per vedere a cosa stesse lavorando. Sul bancone, c’era una torta già completamente farcita e guarnita solo per metà con della frutta di stagione. «È così bella! Sembra davvero impossibile che sia stato tu a crearla, acido come sei.»
«Ma insomma! Cosa diavolo vuoi?!»
Clizia sorrise. «Felice che tu me l’abbia chiesto. Devo raggiungere un posto.»
«Allora saresti dovuta andare in stazione.»
«Ho bisogno che mi ci porti tu
La mano di Charlie si fermò a mezz’aria; tra le dita un succoso mirtillo che finì per essere spiaccicato tra le sue dita. «Che cosa?»
«Ho bisogno che mi porti a Damocles. Puoi farlo?»
«Sei impazzita?! Non ci penso proprio a utilizzare la mia magia per una cosa del genere! Non trasporto esseri umani!»
L’attrice scosse la testa, battendo una mano sul ripiano. «Devo andarci, Charlie. Aiutami. Ti ripagherò il favore, promesso.»
«Non è questo il problema-»
«Allora qual è?» Domandò, seria. Non aveva bisogno di alzare la voce per farsi sentire; Clizia riusciva a zittire chiunque – a zittire lui! – con un solo sguardo. «Io mi fido di te e delle tue capacità.»
Lui digrignò i denti, furioso. Maledetto il giorno in cui ho ricucito quello stramaledettissimo vestito!
«Utilizzo il mio incantesimo di teletrasporto solo per le consegne. È da anni che non trasporto esseri umani, potrei farti a pezzi nel tragitto e nemmeno me ne accorgerei!»
Clizia sospirò, affranta. «Devo andarci, Charlie. E devo anche sbrigarmi.»
«Ho detto no!» E tornò a decorare la sua torta, a ignorarla bellamente.
Se solo non fosse gay...! Ma si maledì subito per il pensiero appena partorito – Charlie proprio non meritava di venire ingannato in quel modo, dopotutto. Nonostante il suo pessimo carattere le offriva sempre degli ottimi budini!
Poi, l’illuminazione. «Sei mi aiuti, esaudirò un tuo desiderio.» Charlie le gettò un’occhiata scettica ma attese che la ragazza continuasse. «Scegli tu. Qualsiasi cosa va bene tranne il sesso.»
La sua prima reazione fu rabbrividire. «Ah, già. Perché tu hai un fidanzato segreto... E comunque per quanto tu possa essere bella, non sei il mio tipo. In tutti i sensi.»
Clizia alzò le spalle e incrociò le braccia, in attesa.
«Ma quindi fai sul serio?»
«Certamente!»
Charlie sbuffò, allontanandosi dal bancone di un paio di passi. Si strofinò le mani sul grembiule legato alla vita e liberò un bottone della divisa da pasticcere. Con tutti quei forni accesi sembrava di essere in sauna. «Guarda che lo dico per te. È pericoloso.»
«Non mi importa. So che puoi aiutarmi e che ci riuscirai.»
«Sei una zuccona testarda, lo sai?»
Clizia ghignò, convinta di avere la vittoria in pugno, ormai. «E ne vado fiera.»
 
 
 
§
 
 
 
Salutarono Ysami, Abel e la piccola Eden prima di ripartire.
Diana regalò alla donna un intaglio raffigurante un drago a due teste che la donna accettò con grande gioia e riconoscenza, sostenendo che l’avrebbe conservata come fosse il suo piccolo tesoro. Intanto, Lily sorrise alla bambina mostrando le zanne e questa scoppiò a piangere, scatenando le risatine di Eve, Reha e Killian. «Fatela finita, voi!»
Nypha si congedò con un piccolo cenno della testa e con un po’ di fatica riuscì a salire sul carro senza bisogno di aiuto. Le medicine di Rehagan e gli impasti di Nimue sembravano fare effetto, ma sapeva di non essere al pieno delle sue forze. Era come essere chiusi dentro una bolla.
I suoni, gli odori, i sapori... erano ovattati. E più si sforzava a ignorare quella sensazione di estraneità, più il mal di testa si faceva forte. Quindi, si era detta, meglio abituarcisi il più in fretta possibile.
Avrebbe cercato di non pesare sugli altri e di stare lontana dai guai. Aveva persino provato a utilizzare la sua magia, sparando un paio di colpi in direzione della prima fila di alberi che circondava casa di Ysami e Abel – c’era riuscita ma con il doppio dello sforzo.
Un po’ abbattuta, appoggiò la testa sulla parete di legno del carretto. Al suo fianco, Eve si gettò a sedere quasi investendola e scusandosi l’attimo dopo. Di fronte a lei, invece, Hydra si era sistemato in silenzio, poggiando le sue sciabole ai suoi piedi cosicché non gli dessero fastidio.
Portava il suo cappello persino lì dentro e la tendina che li separava da Naevin e Diana, i guidatori, permetteva ad alcuni raggi di luce di entrare e rendere ancora più maestosa la sua figura.
«Qual è la prossima tappa, quindi?» Domandò Nimue, prendendo posto accanto a Eve.
Killian sghignazzò. «Che domande! Exca, ovviamente.»
«Il covo dei Goblin Thief?» Rehagan, che occupava il pavimento, era stato l’ultimo a salire a bordo. Ai suoi lati, Nimue e Lily annuirono, chi con apatia e chi con la furia negli occhi.
Poi, fu Eve a prendere parola: «E qual è il piano? Non possiamo mica andare lì, urlare “Chi di voi stronzi è Kiel Reidar?!”, aspettarci che questo si presenti al nostro cospetto e dargli pugno sul naso...»
«Lo decideremo una volta arrivati.» Suggerì, Killian. «Niv ha detto che Exca è completamente circondata dalle montagne. Basterà trovare un buon punto da cui osservare la situazione e valutare.»
Tutti parvero d’accordo, tanto che nessuno osò dire altro.
Ognuno di loro era perso nei propri pensieri. Rehagan era impossibilitato a fare qualsiasi cosa a causa del moto oscillatorio del carretto, per cui si limitò a ripassare a memoria tutte le informazioni acquisite sul veleno creato da Emilia. Una, due, tre volte.
Diana aveva chiuso gli occhi e stava sforzandosi di concentrarsi su qualcosa, qualsiasi cosa che non fosse il terribile senso di nausea che le provocava viaggiare sopra qualsiasi mezzo di trasporto. La medicina che le aveva offerto Nimue aveva funzionato anche fin troppo bene ma non voleva correre il rischio di abituarsi a quella sostanza – Naevin aveva detto che ci sarebbe voluta solo mezza giornata.
Poteva resistere per qualche ora, no?
Invece, Eve stava ripensando a Kyla. Cercò di immaginare un loro potenziale incontro per capire cosa avrebbe dovuto dirle prima: doveva abbracciarla o tirarle un calcio?
Nella testa di Lily, il caos. Orias sembrava essersi addormentato – non aveva spicciato parola dalla sera prima – e, nonostante questo, la mora non riusciva a far riposare la mente nemmeno per un secondo. Il veleno di Emilia. La paura che potesse accadere qualcosa a Nypha, specie dopo quella cosa che aveva voluto provare per curarla. Suo fratello.
Chissà come se la sta passando Ella, si chiese. E chissà come sta papà.
Il presentimento che se ne stesse bellamente sdraiato sulla spiaggia nera a prendere il sole, incurante del suo stato di prigionia la fece sorridere. Suo padre non era mai stato un tipo responsabile o il tipo da piangere sul latte versato. Non poteva liberarsi da solo, quindi... perché non approfittare e farsi una bella vacanza?
A volte capisco perché tutti pensano sia matta. Devo aver preso da lui.
La sua testa tornò a ripensare a quanto successo alle miniere, a quanto erano stati fortunati a ritrovare Abel, e poi a quelle stramaledette-
«Oh, Reha!» Il suddetto quasi saltò per aria tanto era concentrato. Il che la fece ridacchiare. «Alla fine hai scoperto perché quelle falene vampiro fossero così enormi?»
Lo scienziato si illuminò a quella domanda. «Certo che sì! E tutto grazie ai peli che sono rimasti suoi vostri vestiti!» E ignorò con tutto lo stoicismo del mondo il «Che schifo...» sbuffato dai due che erano rimasti bloccati in quelle miniere. «Sono stati modificati. Ieri sera, dopo il bagno, ho analizzato i campioni e ho scoperto che nel loro organismo è presente una sostanza artificiale chiamata Xenogen. È come un virus. Aumenta le dimensioni, la forza e l’istinto degli animali che l’assumono.»
«E le falene vampiro si nutrono di sangue. È per questo che sono diventate delle macchine assassine.» Completò Nimue, annuendo.
«Sono state tutte modificate? Saranno state almeno un centinaio, lì sotto!» Esclamò Lily, stordita.
«Non necessariamente.» Rehagan aveva ormai indossato le vesti di professore e nulla avrebbe potuto distoglierlo dalla sua dettagliatissima spiegazione. «Basta che una sola subisca la modifica e, in poco tempo, il virus attacca tutti gli organismi con cui entra in contatto.»
Lily e Hydra si ammutolirono e fu Eve a esplicitare il dubbio di tutti: «E come si diffonde? Cioè, potrebbe... potrebbero aver infettato anche loro due?»
Prima che a diffondersi fosse il panico, lo scienziato si affrettò a rispondere: «State tranquilli, ragazzi. È molto più complicato di così! Le falene vampiro posseggono uno speciale enzima che permette loro di digerire grandi quantità di sangue – in questo modo non soffrono mai di indigestione! Lo Xenogen si attacca esclusivamente a questi enzimi. Quindi no, non diventerete dei mostri succhiasangue.»
Entrambi, anche se impercettibilmente, emisero un sospiro di sollievo.
«Chi potrebbe aver fatto una cosa del genere?» Domandò Naevin, alzando di poco la voce per farsi sentire dalla sua postazione.
Rehagan sospirò, avvilito. «Non ne ho idea ma chiunque sia stato dev’essere uno sconsiderato oltre che un grandissimo stronzo!»
«Scusa, ma tu non sei uno scienziato?»
Lui guardò Eve quasi come fosse offeso. «Certo che sono uno scienziato ma non mi sognerei mai di violare così un essere vivente. Insomma, una cosa è sperimentare, tutt’altra cosa è far soffrire delle creature innocenti per il semplice desiderio di trasformarli in mostri!»
E la questione si fermò lì.
Hydra tornò a fissare fuori, cercando di ignorare il disagio che gli provocava non essere vicino al mare. Per lui, che viveva praticamente di quello, spostarsi sulla terraferma per così tanto tempo era uno strazio! Si appuntò di farla pagare a Killian. Sì, gliel’avrebbe fatta pagare perché mai nella sua vita si era allontanato tanto dal suo habitat naturale.
Lo sentì parlottare prima con Nimue, poi con Eve. Stavano discutendo di cosa mangiare. Si ricordò di avere con sé il marsupio-frigo e del pesce ancora fresco al suo interno.
Il suo sguardo cadde su Diana, pallida e quasi bluastra per via della nausea. E con la mente ritornò a poche ore prima, a quando aveva chiamato Killian in disparte, poco prima di svegliare tutti. Era stato di poche parole ma il secondo aveva perfettamente intuito lo stato di tensione in cui versava.
Era preoccupato. E incazzato. Il marinaio non aveva ancora digerito quanto successo. E quando Killian aveva provato a chiedergli cosa avesse, lui l’aveva fulminato con lo sguardo. «Davvero non lo immagini? Avrà anche vuotato il sacco ma non mi fido. Abbiamo un lavoro da svolgere e quella lì fa il cazzo che le pare? La prossima volta potremmo non essere tanto fortunati.»
E con fortunati, intendeva non morti sul colpo. «Va bene. Lascia fare a me.»
«Spero tu sappia quello che fai
Killian aveva ridacchiato e annuito con convinzione. «Non ti preoccupare, puoi fidarti di me
L’altro gli aveva dato le spalle un po’ dubbioso ma comunque soddisfatto nel sapere che Killian sembrava aver capito la sua preoccupazione. Certo, ogni tanto faceva lo scemo – e un po’ questa cosa lo impensieriva ancora di più – ma in un certo senso non gli dava davvero fastidio. L’aveva visto al lavoro diverse volte alla gilda, quelle poche volte che si faceva vivo, almeno. 
Non aveva mai sbagliato. E se sbagliava, poteva dirsi un caso su un milione.
 
 
 
§
 
 
 
Clizia sapeva che avrebbe dovuto aspettarsi qualsiasi tipo di atterraggio, eppure non riuscì a non rimanere sorpresa quando si materializzò in un bagno pubblico.
Fortuna volle che non finì in acqua ma non era mai stata sua intenzione attirare così tanti sguardi maschili sulla sua persona, specie se questi erano per lo più nudi come vermi. Clizia rabbrividì, al ricordo. Era riuscita a uscire e a dileguarsi abbastanza in fretta ma per riprendere fiato ci impiegò più tempo del previsto.
Si cambiò nel camerino di un piccolo negozietto e riprese il suo cammino.
Tyrfing si presentava come una città vivace, piena di vita. Clizia sapeva cosa avrebbe dovuto fare come prima cosa: racimolare quante più informazioni possibili. Doveva scoprire dove fossero finiti Killian e il suo gruppo ma prima doveva capire come muoversi senza attirare l’attenzione. Doveva anche capire di chi poteva fidarsi e di chi, invece, dubitare.
Domandò ai pescatori, ai mercanti, ai proprietari delle taverne. Studiò bene la situazione prima di decidere di abbandonare la città – ma prima aveva un ultima meta. Il Blade.
Girava voce che ultimamente fosse frequentato da gente losca. Clizia non aveva davvero voglia di andarci ma le mancavano dei pezzi: il gruppo di Killian doveva aver parlato con qualcuno. Per questo, in pieno pomeriggio, si infilò nel locale con nonchalance e con indosso dei vestiti davvero poco appariscenti – in questo modo non avrebbe attirato l’attenzione. Si era persino messa una parrucca scura, di un marrone tendente al rossiccio, cosicché il biondo miele dei capelli non risaltassero troppo.
Osservò i presenti. Muscoli, mascelle pronunciate, zazzere unte, risate sguaiate, mani grosse e tozze, alito pestilenziale e occhi iniettati di sangue; Clizia avrebbe voluto vomitare.
Al porto le era stato raccontato come il Blade fosse cambiato nel giro di un paio di giorni, successivamente alla scomparsa della punta di diamante del locale: la danzatrice del ventre, Min. E l’attrice ricordò immediatamente, collegando quel nome a una lettera che le era arrivata pochi mesi prima in cui le si chiedeva di mettere su uno spettacolo proprio in quella città.
Aveva chiesto cosa le fosse successo ma nessuno era riuscito a dirle altro se non che era stata trovata in mezzo alla strada, pugnalata a morte. Sui muri c’erano ancora alcuni poster che la ritraevano in alcune pose di danza e Clizia dovette ammettere a se stessa di non aver mai visto una figura tanto sensuale, nonostante fosse semplicemente una fotografia.
E sì, avrebbe tanto voluto conoscerla. Magari sarebbe riuscita a farsi insegnare qualche passo!
Ma ormai c’era ben poco da sognare; Min era morta misteriosamente e nessuno sapeva spiegarsi il perché. Girava voce che fossero stati quelli di Goblin Thief, altri sostenevano l’ipotesi di un omicidio passionale.
Ad ogni modo, l’istinto di Clizia le diceva che non era vero niente.
Niente accade per caso, men che meno una ragazza muore per caso. Si addentrò nel locale e ordinò un drink senza avere neanche l’intenzione di berlo. Restò lì, al bancone, senza la più pallida idea di cosa cercare esattamente, finché qualcuno non catturò la sua attenzione.
Era giovane, la pelle abbronzata e i capelli neri come la pece. Non sembrava avere nulla a che fare con quella gentaglia, non parlava con nessuno e si limitava a starsene seduto in attesa di qualcosa. Indossava dei semplici pantaloni e una casacca chiara che non faceva che far risaltare l’abbronzatura dell’incarnato. Gli occhi erano anch’essi molto scuri.
D’un tratto lo vide alzarsi, come richiamato da qualcosa – o qualcuno – e sparì dietro una porta.
Preda di un istinto incontrollabile, Clizia decise di seguirlo.
Si acquattò al muro e sbirciò oltre lo stipite. Salì le scale fingendo disinvoltura – nel peggiore dei casi avrebbe convinto qualcuno che si fosse persa – e raggiunse un corridoio buio e maleodorante. Clizia storse la bocca, obbligando se stessa a non fare commenti a riguardo.
Il ragazzo era entrato in una stanza e parlava con qualcuno. L’attrice si sporse quel poco per poterlo spiare e con sua enorme sorpresa vide che era... solo?
«Non abbiamo trovato nulla, nessuna informazione.» Disse, neutro. «Né sul Cavaliere, Yvan Thorpe, né sulla famiglia reale. Sembra davvero che siano tutti morti.»
Scandagliò la stanza alla ricerca di indizi – con chi diavolo stava parlando?! Poi la vide e Clizia non poté credere ai suoi occhi. Il ragazzo stava parlando alla sua stessa ombra!
«Molto strano. Ho sentito dire che stanno organizzando una resistenza e che prima o poi tenteranno di entrare a Cortana.» A proferire tali parole fu una donna. O meglio, Clizia immaginava fosse una donna – l’ombra.
Era una semplice pozza nera senza alcuna consistenza, eppure Clizia si sentì tremare sin dentro le viscere all’ascolto di quella voce.
«D’accordo. Cercherò ancora.» Asserì il giovane, annuendo obbediente.
«Bene.» L’ombra, la donna, sembrò soddisfatta e Clizia aveva il sentore che le prossime parole sarebbero state ancora più pericolose e sperò di sbagliarsi. «Sasha, uccidila
Per un attimo non accadde niente. L’ombra si spense – cioè, tornò a essere una normalissima ombra – e Clizia trattenne il respiro. Fu questione di millesimi di secondo: nel momento in cui l’attrice fece per affrettarsi a levare le tende, Sasha si precipitò nel corridoio.
Lei sgusciò via prima che potesse acchiapparla e cominciò a correre fino a raggiungere le scale che scese a due a due senza fermarsi un attimo, senza darsi il tempo di girarsi a controllare. Una volta raggiuto il cuore del locale, Clizia avrebbe voluto non fermarsi e continuare a scappare ma si ritrovò con una dozzina d’occhi piantati addosso.
Che succede? Si chiese; il cuore a mille.
«Uccidere la ficcanaso.» Disse uno. «Uccidere la ficcanaso.» Ripeté un altro.
Vengono comandati da qualcuno, capì. La donna-ombra.
Clizia udì i passi di Sasha raggiungerla e allora impose al suo cervello di pensarci dopo. Prima doveva scappare, mettersi al sicuro. Solo dopo avrebbe potuto ragionare con calma. Perciò decise di evitare di gettarsi in mezzo ai leoni e preferì sparire dietro il bancone del bar per poi infilarsi in cucina.
Si guardò un attimo attorno e riprese a correre verso l’unica sua salvezza, la porta che dava all’uscita sul retro. Alcuni dipendenti la guardarono stralunati ma levarono le tende quando videro il motivo di tanta fretta.
Questi, più grossi e più veloci, quasi la raggiunsero ma l’attrice adocchiò una bottiglia di vino e la lanciò senza troppi scrupoli su un fornello lasciato acceso. Si accucciò dietro il frigo mentre l’esplosione faceva volare per aria i suoi inseguitori.
Clizia non perse nemmeno un secondo, approfittò della confusione e uscì dalla porta sul retro.
Prese a correre lungo il vicolo ma non riuscì nemmeno ad affacciarsi sulla via principale che Sasha le bloccò il passaggio. L’attrice arrestò quindi la sua corsa e arretrò di qualche passo, tenendo ben saldi gli occhi bronzei sulla figura del ragazzo, pronto a impedirle qualsiasi altra mossa.
Clizia non era una maga. Non era una combattente. E non era da lei farsi beccare.
Il suo pensiero volò a Royal e si ritrovò a stringere i pugni.
Fece un altro passo indietro, ma Sasha ne compì uno in avanti. «Non ti lascerò andare da nessuna parte.»
«Ho forse visto qualcosa che nessuno dovrebbe vedere?» Domandò, ironica.
Sasha tirò fuori dallo stivale il suo stiletto e prese a marciare verso di lei. Clizia arretrò ma andò a sbattere contro un suo compagno – aveva i vestiti bruciacchiati e il fumo gli aveva scurito la pelle – che l’afferrò per le braccia impedendole di scappare.
Si dimenò più forte che poteva ma la presa era ferrea e non lasciava vie di scampo. Clizia gli tirò allora un calcio sullo stinco e, approfittando della sua distrazione, si liberò con uno strattone deciso nel momento esatto lo stiletto di Sasha stava per affondarle nel petto.
L’attrice si piegò di lato, perdendo la parrucca nel frattempo, e cominciò a correre, venendo però subito riacchiappata per i capelli.
Sasha la tirò all’indietro e lei cadde a terra, grugnendo di dolore. Lui le piantò un ginocchio sullo stomaco per tenerla giù. «Non sai fare altro che scappare?»
Clizia fece per rispondergli a tono ma Sasha premette le dita attorno alla gola e le fu impossibile pronunciare anche solo una parola. Tentò di fargli allentare la presa arrivando addirittura a graffiargli il dorso della mano e tutto l’avambraccio ma la presa di Sasha era impossibile da sciogliere.
«Ritieniti fortunata. Non ho tempo per giocare, per cui sarà una morte rapida e indolore.»
Clizia agitò le gambe e le braccia, cercando allo stesso tempo di evitare che lo stiletto si piantasse al centro della sua faccia. Ma non era forte abbastanza per riuscire a impedirglielo. E intanto chiuse gli occhi, pensando a quanto avrebbe sofferto la sua famiglia se non l’avesse mai vista tornare. E Royal?
Una singola lacrima si raccolse sulla coda dell’occhio ma si rifiutò di piangere in un momento simile.
Non posso morire adesso... no.
Ma Clizia non avvertì mai il freddo della lama penetrarle la carne. Anzi, udì un grido e poi, come per magia, l’aria tornò a riempirle i polmoni e per lei fu come tornare alla vita.
Restò a terra per alcuni secondi, troppo agitata e con i brividi che ancora correvano lungo le braccia. Si mise a sedere soltanto quando udì dei passi avvicinarsi a lei, per poi rendersi davvero conto che qualcuno l’aveva appena salvata. La figura che aveva davanti era quella di un ragazzo, un giovane uomo dai capelli bruni e occhi dello stesso colore.
Questo si fece avanti e le porse una mano per aiutarla a rialzarsi, mano che l’attrice accettò volentieri.
«Ti ringrazio davvero tanto per avermi salvata.» Disse sorridendo. Si voltò poi nella direzione di Sasha e lo vide malamente steso al suolo, privo di sensi. Dopodiché, tornò a concentrarsi sul suo salvatore: la sua postura era rigida e l’espressione dura in viso dava l’idea di una persona estremamente severa. «Chi sei?»
«Yvan. Tu come mai sei stata aggredita di questi tizi?»
Clizia sgranò gli occhi, sorpresa. «Sei Yvan Thorpe? Il Cavaliere della principessa?»
«Questo non è importante al momento.» Asserì, per poi spostarsi e invitare l’attrice a camminare verso un luogo più illuminato. «Dobbiamo andarcene.»
Ma lei non si lasciò intimidire dal suo fare brusco, seppure elegante. Insomma, nonostante il tono di voce, le aveva appena sfiorato la schiena senza toccarla davvero per poter essere il più rispettoso possibile nei confronti di una ragazza appena conosciuta! «Ho bisogno di raggiungere la capitale.»
Lui corrucciò la fronte. «Che cosa?»
«Se tu sei davvero Yvan Thorpe, allora posso fidarmi. Alcuni maghi che conosco stanno andando lì e io devo parlare con loro. Devo andare a Cortana.»
«Va bene, ma ne discuteremo altrove. Questo non è un posto sicuro, specie di notte.»
Clizia annuì. Finalmente, le cose stavano andando nel verso giusto.
 
 
 
§
 
 
 
Gladis Sherman era una donna iperattiva e con una grave dipendenza dal caffè. Era sempre su di giri e non perdeva occasione di rifilare i suoi intrugli salutisti ai prigionieri confinati nella prigione labirintica costruita sotto il castello di Crocus.
Tutti la conoscevano. Tutti quelli che erano soliti frequentare il palazzo, per lo meno.
William Falkor, soldato dell’Esercito Reale, era uno di questi, suo malgrado. Jace Ivory lo accompagnò all’infermeria quasi saltellando – come può essere così di buon umore? – aprendogli persino la porta e lasciando che vedesse con i suoi occhi la situazione.
«Che diavolo sta succedendo qui?» Domandò, allibito dalla scena.
Gladis Sherman non era solo una donna iperattiva e con una grave dipendenza dal caffè. Era anche una persona a cui piaceva trovare nuovi modi per torturare le persone. E per qualche strano motivo era stata assunta come assistente della dottoressa Chandler – lei, la psicopatica.
Jace ridacchiò, per nulla toccato. «Sta solo giocando. Non li ucciderà. E gli abbiamo vietato qualsiasi cosa possa danneggiare i loro cervelli. Ci servono reattivi se vogliamo che rispondano alle nostre domande!»
A William non piaceva quest’atteggiamento opportunista ma se lo sarebbe fatto andare bene.
I prigionieri erano stati legati ai loro letti con delle cinghie di pelle assai spesse. Erano tutti addormentati – strano che fossero tutti ancora incolumi. «Allora? Sono svenuti?»
«Sì.» La voce acuta di una donna lo fece trasalire. Gladis spuntò fuori dall’ufficio della dottoressa capo del palazzo con un plico di fogli in mano. «Erano già così quando li ho legati.»
Non era molto alta, Gladis. Aveva i capelli corti e biondi, sfumati alle punte di un rosa caldo che avrebbe dovuto ispirare dolcezza – spoiler: niente di tutto ciò. Gli occhi ferini e color oro facevano quasi paura, tant0 schizzavano da una parte all’altra del documento, senza mai darsi un attimo di tregua. La dottoressa indossava, contrariamente alle consuetudini, un tailleur nero che mettevano in risalto le sue curve – curve di cui andava molto fiera, comunque.
William poteva andare oltre il suo sguardo malefico, oltre l’abbigliamento poco consono al suo mestiere, al suo caratteraccio... ma quando la sua attenzione si riversò sul frustino che faceva roteare in mano, il soldato alzò gli occhi al cielo e si morse la lingua per non imprecare.
«È stato Jace a catturarli e a portarli qui, prenditela con lui.»
Il più anziano dei tre sospirò, mettendosi il cuore in pace. Fece scorrere gli occhi sulle figure svenute. Fu all’improvviso che una terribile verità lo colse in pieno: «Sono i nostri soldati.»
Jace annuì. «Esatto.»
«Ma com’è possibile? Ci hanno traditi?»
L’altro storse la bocca, negando. «Non credo, sai.»
«E allora cosa pensi che sia successo?»
Il sorriso di Jace si fece ancor più inquietante. «Questi soldati hanno fatto parte della spedizione inviata da Sua Maestà Rambaud Fiore nel regno di Damocles. Tutti dicono di non ricordare niente. Ieri notte sono stati beccati a contattare qualcuno, una donna nascosta tra le ombre. E per di più, quando li ho affrontati non mi sono sembrati affatto consci di quello che stavano facendo. Ne consegue che tutti quelli che sono tornati da lì...» Fece una pausa, lanciando un’occhiata a Gladis che annuì divertita. «Vengono controllati da chi ha causato la distruzione del Regno.»
William sbiancò. «Intendi una Fata
«Non credo.» Asserì Gladis, irrompendo nella discussione. «Le Fate sono persone che hanno perso il controllo della propria magia. A meno che non si tratti dell’eccezione che conferma la regola... È improbabile che riesca a controllare così tante persone. Non scordiamoci che la crescita esponenziale della magia causa, nel tempo, dei seri danni a livello neurologico e psicologico. Dai cadaveri di coloro che si sono trasformati in Fate abbiamo appurato che è questo che accade nel novantanove percento dei casi.»
William Falkor sospirò, atterrito. «Ancora non riesco a crederci.» Poi si rivolse a Jace: «E come pensate di interrogarli se non ricordano nulla?»
«Ma è semplice!» Esclamò, su di giri.
Gladis fece schioccare il suo frustino. «Basterà chiedere all’ombra che li comanda, tutto qui.»
 
 
 
§
 
 
 
Nægling non era molto lontana dalla città portuale. Era la città in cui Yvan Thorpe aveva organizzato la sua base ma nessuno, a parte lui e i soldati reali superstiti, sembrava esserne a conoscenza.
In effetti, era sempre stata una città fantasma, persino prima del grande disastro. Nascosta in mezzo alle montagne e nella fitta coltre del bosco, sembrava che tutti l’avessero dimenticata.
Yvan aveva offerto a Clizia una comoda cavalcatura e, insieme a un paio dei suoi uomini, avevano lasciato Tyrfing quella sera stessa. Durante il viaggio, il giovane aveva voluto sapere il motivo della sua presenza lì e lei gli aveva spiegato che si trattava di una questione di vita o di morte.
Non era scesa nei dettagli ma riuscì comunque a ottenere l’aiuto e la protezione di Yvan.
«Ci è giunta voce che si siano scontrati con gli uomini di Kiel.» Disse, chiudendosi la porta alle spalle. L’aveva fatta accomodare in una delle abitazioni meglio mantenute: una casetta a due piani che fungeva da alloggio femminile per coloro che avevano deciso di sposare la sua causa.
Clizia ne approfittò per far riposare le gambe e la schiena su un morbido divano; invece, il ragazzo rimase in piedi e rigido come una statua di marmo. «Avete occhi e orecchie ovunque, eh?»
«Non fin dove vorrei.» Asserì, pensieroso. «Kiel, o chi per lui, è molto astuto. Non è facile infiltrarsi a Exca, reperire informazioni e sperare di poterle trasmettere.»
«Cosa vuoi fare? Qual è il tuo obiettivo?» Clizia era davvero curiosa.
Yvan sembrò indeciso se parlarne, come reduce da una drammatica lotta interiore: doveva capire se poteva fidarsi di lei. Poi, però, i muscoli del viso si rilassarono. «La principessa si trova a Cortana, da sola, ed è mio dovere salvarla. Così com’è mio dovere salvare il paese.»
«Se è nella capitale, chi ti dà la certezza che sia ancora viva?»
Yvan sospirò. Slacciò il parabraccio rinforzato con la magia e lo lasciò scivolare sul davanzale della finestra, srotolando infine la garza stretta attorno all’avambraccio rivelando così un marchio: sulla pelle diafana spiccava il disegno di una spada attorniata da alcuni piccoli raggi, il simbolo della famiglia reale di Damocles. «Questo me ne dà la certezza.» Ne seguì una breve pausa. «Finché brilla, saprò che è viva.»
Sono legati, intuì lei. Non è come un legame vitale ma è comunque affidabile.
L’attrice annuì. «Posso aiutarti.»
«In che modo?»
«Posso infiltrarmi a Exca. Devo comunque andare lì e sperare di intercettare Killian prima che raggiunga la capitale.» Spiegò. Era seria e Yvan non poteva credere alle sue orecchie.
Lei, lei che era viva grazie al suo arrivo tempestivo, voleva gettarsi nella tana del lupo da sola?
Ma Clizia percepì il suo scetticismo e prese di nuovo parola. «Ho fatto di peggio. Kiel Reidar sarà anche difficile da avvicinare ma io posso farlo. Sono un’attrice.» E una spia.
Già. Lucinde era il nome che utilizzava in questi casi.
Aveva assunto l’aspetto di cinque persone diverse per poter consegnare ai maghi la lettera che Killian aveva scritto, invitandoli a partecipare alla missione. Aveva indossato una parrucca, si era disegnata delle finte lentiggini sulle guance e aveva indossato l’uniforme dell’ufficio postale di Fiore per poter depositare delle preziose informazioni dritte nelle mani di Royal senza destare sospetti – e per poterlo vedere, sì.
Era la maestra del travestimento. E anche se Yvan non immaginava nemmeno di cosa fosse capace quella donna placidamente seduta su quel divano, riusciva a comprendere in maniera inequivocabile quanto parlasse sul serio e quanta determinazione nascondessero i suoi occhi.
Per questo, decise di accettare. E anche perché, inevitabilmente, quella forza interiore che sembrava incendiarle l’anima gli ricordava qualcuno di importante.
«Pensavo sarebbe stato più difficile convincerti, sai?» Ridacchiò, pensando a Charlie. «Per arrivare qui ho dovuto faticare parecchio.»
Yvan accennò un debole sorriso prima di nasconderlo con una smorfia. «È che assomigli terribilmente a qualcuno che conosco. Ho l’impressione che, se anche mi rifiutassi, tu ci andresti comunque.» Spiegò. «E poi ogni aiuto è prezioso.»
Clizia rise ma non disse nulla.
Quella giornata si era rivelata particolarmente fruttuosa: Charlie aveva accettato di farle quel favore senza chiedere nulla in cambio – nonostante le apparenze, era davvero un cuore di panna; aveva scoperto tantissime cose; era uscita viva da una locale pieno di gente manovrata da chissà chi.
E Yvan le stava dando il suo pieno supporto. Sospettava, tra l’altro, che la persona che gli ricordava fosse una vecchia fiamma – ma non indagò né chiese nulla a riguardo.
Non ci voleva certo un genio per capire che non le avrebbe mai risposto con sincerità.
«Comunque, non ci andrai da sola.» Asserì, dopo un po’.
Clizia sollevò lo sguardo, confusa.
«O meglio, ti accompagneranno due persone. Loro resteranno fuori, a debita distanza.»
Lei annuì. «Conoscono la zona, vero?»
«Certo. Te li presento.»
 
 
 
§
 
 
 
In un luogo sconosciuto.
 

Il Palazzo dell’Aqua non era realmente fatto d’acqua. Il suo nome era dovuto ai colori freschi dell’oceano con cui era decorato il portone e ai fiori blu cobalto che incorniciavano i finestroni.
Non era molto largo, si sviluppava in altezza. L’edificio si ergeva al centro della città e si stagliava nel cielo con la sua immensa torre alla cui sommità era stato creato un giardino pensile.
Bello fuori, restava bello anche all’interno.
Il pavimento della sala riunioni riluceva e il lampadario di cristallo proiettava piccole scintille di luce.
La tavola rotonda – fatta di un vetro particolarmente resistente – era circondata da ben ventidue sedie.
Quello era il posto degli Arcani Maggiori – uomini benedetti dagli Dei, i protettori del regno. E lui era uno di loro; Puck, L’Alchimista.
Era basso di statura e non possedeva particolari doti fisiche. I capelli erano azzurri, corti, ma acconciati in una frangetta con alcuni ciuffi asimmetrici a sfiorargli le guance. Gli occhi grandi e color ocra davano l’idea di un ragazzino mansueto e non dedito alla violenza. Puck era così: preferiva rimanere in disparte, preferiva osservare e fare ricerche, piuttosto che combattere.
Per questo motivo, l’Imperatore l’aveva scelto come partner. Puck era diventato il suo fidato consigliere e archivista. Qualsiasi fosse la domanda, l’Imperatore avrebbe ricevuto una degna risposta. E anche quel giorno, l’Alchimista varcò le soglie della sala riunioni con largo anticipo – avrebbe controllato che tutto andasse per il verso giusto; lui, che era un ottimo osservatore.
Diede una veloce occhiata alla stanza e aprì meglio le tende, permettendo a quanta più luce di entrare. Il grande trono posto su un palchetto era stato pulito di recente e le pietre incastonate allo schienale risplendevano come non mai. Di contro, il trono più piccolo e situato al suo fianco, era molto più sobrio ma non per questo meno regale: adornato da volteggi e fiori di alabastro dipinti di blu, argento e azzurro.
Puck sospirò e prese posto alla tavola rotonda. Non dovette attendere molto perché i primi suoi colleghi palesassero la loro presenza. Come da programma, la prima a entrare fu Cordelia, Il Giudizio.
Con il suo caschetto di capelli neri e gli occhi di un verde intenso, quasi magnetico, Cordelia era senza dubbio la sua preferita. Sempre seria, sempre silenziosa... ma quando apriva bocca, quando dava prova della sua innata capacità oratoria, nessuno era in grado di darle contro.
Era la più responsabile di tutti, la più affidabile. Non sbagliava mai.
Parlare con lei era stimolante.
Subito dopo Cordelia, entrò Lisandro, La Torre. Ovviamente. Gli Arcani non lavoravano mai da soli, ma in coppia. L’uomo che aveva appena fatto il suo ingresso sembrava essere su un’altra lunghezza d’onda rispetto alla sua partner.
Non appena lo vide, infatti, gli sorrise affettuosamente, con fare fraterno. «Sei arrivato per primo anche ‘sta volta.» Era empatico, una persona a cui non dispiaceva mostrare i suoi sentimenti.
Secondo Puck – e secondo gran parte di loro –, Lisandro non era portato per quel ruolo. Lui era gentile, aveva l’anima del poeta; il peggior partner possibile da affiancare a una persona laboriosa e monolitica come Cordelia: era lento e odiava occuparsi di questioni diplomatiche.
Eppure, tutti apprezzavano il suo fare da galantuomo e i suoi consigli che – in qualsiasi caso – sembravano sempre essere quelli giusti. Forse era l’unico che sembrava rispecchiare la sua reale età.
Lisandro andò a sedersi a qualche sedia di distanza da lui, accanto a Cordelia. «Come hai trascorso queste ultime giornate di sole? Spero per te che non te ne sia stato tutto il tempo in archivio, Puck.»
«Beh, ho fatto una passeggiata in cortile due sere fa.»
Il più grande inarcò un sopracciglio e sospirò, tirando fuori il suo ventaglio finemente decorato. «Non va bene.» Disse, scuotendo la testa. «Prendi me: ogni giorno faccio almeno due passeggiate!»
Puck non rispose, lo fece Ofelia per lui, arrivata proprio in quell’istante: «Ed è per questo che Cordelia dovrebbe darti una bella lezione.»
Leonte salutò i presenti con un cenno della testa ed entrambi andarono a sedersi ai loro posti assegnati.
«E perché mai? Sono una buona spalla, dopotutto.»
«Sei fin troppo delicato per i miei gusti.» Ribatté Ofelia, Il Diavolo.
Puck ridacchiò ma non disse niente. A risponderle a tono fu, contro ogni previsione, Cordelia stessa: «La cosa non ti riguarda comunque. È il mio partner, non il tuo. La riunione sta per cominciare e sarà meglio per tutti non ritardarla a causa di inutili discussioni.»
Leonte incrociò le braccia al petto e si lasciò cadere contro lo schienale della sedia. Gli occhi verdi saettarono sulla figura candida e austera di Ofelia che, ne era sicuro, tratteneva l’istinto di sfiorare l’occhio monco e attraversato da una rosea cicatrice verticale.
Perdere contro il Master dell’Ancient Aurora era stato un terribile smacco per lei. Certo, era sicura di aver già reso pan per focaccia, ma l’idea di lui ancora vivo – anche se per poco – la irritava.
Un'altra figura fece il suo ingresso. «Su, su. Non litigate.»
Ofelia trattenne una smorfia e decise di ignorare il tono canzonatorio di Curio, Il Matto. Con i suoi capelli arancioni e con i suoi occhi di un azzurro brillante, quasi travolgente, era considerato il più avvenente degli Arcani Maggiori. E anche il più irritante.
«Sei da solo? Dov’è la principessa?» Domandò l’albina, sprezzante.
«Non ti stancherai mai di chiamarla in quel modo, vero?»
Ofelia ghignò con malignità. «È quello che è.»
«Era.» Ribatté lui, avvicinandosi al proprio posto. «Ha scelto di essere un Arcano tanto tempo fa. Non è più una principessa...»
E proprio mentre la gara di sguardi tra i due andava avanti – con Curio che a stento riusciva a trattenersi dal ridere e Ofelia che impallidiva di rabbia –, arrivò lei. Lavinia, L’Appeso. Persino Leonte si prese del tempo per osservarla: aveva lunghi capelli azzurri, più scuri e tendenti all’indaco, e occhi dello stesso colore. Al contrario del suo partner, che indossava abiti rossi e dorati – probabilmente a indicare un animo passionale, sanguinario ma altresì elegante nei modi –, vestiva panni dai colori freddi e regali.
Non tutti si erano ancora abituati a vederla come una di loro. Ofelia era tra questi.
Emilia si rivolgeva ancora a lei con l’appellativo di principessa ma, al contrario dell’albina, lo faceva senza alcuna malizia e, anzi, un po’ per gioco.
Il fatto che Lavinia – così aveva scelto di farsi chiamare dopo aver stretto un patto con una delle Carte Divine, quella dell’Appeso – andasse a sedersi alla tavola rotonda, anziché sul trono posto accanto a quello di suo fratello, era già una gran bella prova di rispetto nei loro confronti. Ofelia non la pensava così – per lei era soltanto una presa in giro.
«Strano che Giulietta non sia ancora arrivata.» Disse l’ex principessa, prendendo posto accanto a Curio.
Lisandro sorrise. «Sarà andata a chiamare Antonio. Sapete com’è... quando si allena dimentica tutto il resto.»
Puck annuì ridacchiando a sua volta, coprendo il risolino con il suo taccuino prendi-appunti non appena notò la figura di Antonio, Il Sole, varcare la soglia. Era alto e ben piazzato, sicuramente il più muscoloso degli Arcani; un ragazzotto biondo dagli occhi grigi.
Per andare a sedersi prese la strada più lunga e nel tragitto posò una mano sulla spalla di Lisandro a mo’ di pat-pat, soffocando una risata. «Un po’ di allenamento farebbe bene anche te.»
«Mh, credo di no. Sei tu il guerriero, io sono l’artista.»
«Certo, certo. Un artista imbranato, però.»
Persino Ofelia si lasciò sfuggire un risolino, mentre Leonte strinse le labbra per non scoppiare a ridergli in faccia. Antonio non era affatto un uomo freddo e austero – non in quei momenti, per lo meno. Lui viveva di emozioni e passioni, era il sole che bruciava. Di contro, Giulietta, La Luna, era acqua limpida e sapeva come adattarsi a qualsiasi situazione.
Entrò dopo il suo partner e alzò gli occhi al cielo non appena lo vide scherzare con Lisandro. Il caschetto asimmetrico di capelli blu era leggermente sfumato di azzurro sulle punte; gli occhi erano due finestre aperte sull’oceano.
Al contrario delle altre donne presenti nella sala, indossava un abito più succinto e provocante ma per l’occasione aveva deciso di indossare un cappottino bianco che aveva appoggiato sulle spalle. Giulietta e Antonio erano agli antipodi, ma loro – a differenza di Cordelia e Lisandro – non si erano scelti.
I loro partner erano morti e, di conseguenza, l’Imperatore aveva deciso di farli lavorare insieme.
«Come va a voi due?» Domandò, sedendosi tra Antonio e Cordelia, di fronte ai suoi due interlocutori. Ofelia sbuffò ma non rispose; Leonte annuì in segno di ringraziamento. «E anche ‘sta volta, Oberon è in ritardo.»
Fu Curio a rispondere, ilare: «Poverino, ha sempre così tante cose da fare...»
«Mai tante quante il nostro Puck. Eppure, lui è sempre il primo ad arrivare!» Esclamò Antonio, facendo imporporare le guance dell’Alchimista, sempre lieto di essere d’aiuto.
«Parli tu che ho dovuto trascinarti fuori dagli spogliatoi.» Ribatté Giulietta, serafica. «Stavi per dimenticarti della riunione di oggi, dì la verità.»
Il biondo non rispose ma il suo silenzio bastò per confermare l’ipotesi della sua collega.
«E invece non sono in ritardo.» Asserì una voce ferma sull’uscio della porta. «I grandi capi non sono ancora arrivati, no?»
Oberon, Il Mondo, era lì. Aveva la pelle scura, lunghi capelli neri a incorniciargli il volto e il cappuccio di una tunica bianca bordata d’oro regalmente appoggiata sul capo. Gli occhi verdi erano socchiusi, segno che era davvero troppo stanco per tenerli completamente aperti, mentre gli orecchini d’oro tintinnavano.
Al suo seguito, c’era Porzia, La Ruota. La sua assistente.
I capelli blu erano intrecciati in uno chignon, il viso roseo e a forma di cuore incorniciato da una folta frangia. Era bassa, praticamente una ragazzina, ma riusciva a star dietro a tutte le cose che Oberon si vedeva costretto a passare in sordina, per via del troppo lavoro.
Era la più dolce, lì in mezzo. Veniva coccolata da tutti, a volte persino da Ofelia – l’acida del gruppo.
«Oh, siamo gli ultimi!» Esclamò, sgranando gli occhi d’ambra.
Il Mondo le sorrise, accomodandosi al suo seggio e venendo imitato dalla più giovane.
«Direi che ci siamo.» Asserì Lisandro, guardandosi attorno. «È sempre una gioia poter essere qui insieme a tutti voi.»
Ofelia storse la bocca. «Peccato che siamo ridotti alla metà di noi.»
La prima a guardarla male fu Cordelia. Ma nessuno osò cominciare a discutere perché proprio in quel momento l’ultimo di loro fece il suo ingresso. Iago, l’Imperatore, avanzò lentamente verso il suo seggio, alla sinistra di Puck. Era un uomo alto, dai folti capelli biondi e un po’ lunghi. Come suo solito, indossava abiti scuri, neri, impreziositi da dettagli oro e blu, colore simbolo del regno.
Tutti i presenti sapevano quanto ripudiasse il contatto fisico, per questo indossava sempre un paio di guanti e non lasciava mai alcuna porzione di pelle scoperta se non il viso – o, per lo meno, metà viso. Infatti, la parte destra del suo volto era coperta da una maschera di tessuto nera e blu. In pochi sapevano cosa ci nascondesse ma nessuno se l’era realmente chiesto, solo i più curiosi – tipo Emilia. Già. E a proposito di Emilia…
«Novità?» Domandò, sedendosi.
A rispondere fu, ovviamente, Puck: «Nulla da riferire. Macbeth ha il pieno controllo di Cortana.»
Iago annuì. «Bene. Allora, diamo inizio alla riunione.»
«Non aspettiamo Sua Maestà?» Chiese Curio – detto da lui, quel Sua Maestà sembrava quasi una presa in giro. «O devo dedurre che si tratti di un caso eccezionale?»
«Pierre Lazuli non centra niente, sono stato io a richiamarvi tutti qui.»
E questo bastò a preoccuparli. L’Imperatore non indiceva mai un’assemblea di punto in bianco, men che meno senza la presenza del re. Se ciò accadeva... Antonio imprecò, non curandosi che qualcuno potesse sentirlo. Giulietta neanche ci fece caso, tant’era abituata.
Di fronte a loro, Ofelia digrignò i denti. Porzia si morse una guancia, curiosa e spaventata al tempo stesso.
«C’è ancora un Incubo a piede libero.»
Lisandro scosse la testa. «Intendi, un altro
All’assenso di Iago, Cordelia sospirò. «È già grave che ce ne siano sfuggiti due, ma tre...!»
«Sbagli, a essercene sfuggiti sono due. Il terzo è stato creato.»
«E chi è lo squilibrato che si mette a creare mostri del genere?!» Sbottò Antonio, furioso. «Se gli metto le mani addosso giuro che lo ammazzo!»
Giulietta guardò il suo partner con apprensione. Il Sole era fatto così. Si scaldava subito.
L’Imperatore volle ignorare la sua rabbia semplicemente per non alimentarla. Si rivolse, anzi, a Leonte, rimasto in silenzio per tutto il tempo. «Tu sei sicuro di quello che hai sentito, non è vero?»
«Sì. In quella gilda c’è puzza di Incubo
«Come fai a dire che sono due? Potresti aver percepito la Bestia che già stiamo cercando.» Domandò Lavinia.
Leonte scosse la testa, mesto. «Perché l’ho visto. Dopo che siamo scappati, sono tornato per accertarmi che non fosse solo la mia immaginazione. L’ho visto. È stato lui a soccorrere il Master dell’Aurora e a portarlo in ospedale. È rimasto rintanato sotto le macerie per tutto il tempo del combattimento.»
«Puoi descriverlo?» Lisandro prese a farsi aria con il suo ventaglio.
«Alto. Pallido. Capelli neri e bianchi. Occhiali.»
Iago strinse i pugni. «Il nome?»
Leonte guardò la sua partner, aspettandosi un suo intervento. D’altronde, era stato facile per lei – una volta guarita – spiare attraverso gli specchi gli affiliati di quell’insulsa gilda. E fu con un sorriso carico di soddisfazione che finalmente Il Diavolo poté pronunciare quel nome infernale: «Alastor.»
 
 
 
 
 







 
 


 
 

 
Rieccomi! ^^ Salve!
Come state? Io da pochissimo ho fatto l’operazione agli occhi e ho definitivamente detto byebye agli occhiali da vista! ^^ Certo, poi sono stata bocciata all’esame che ho dato tre giorni dopo ma, ehi, mi sono consolata con la pizza fritta più buona che io abbia mai mangiato (non che ne abbia mangiate tante, ma ormai è entrata nel mio cuore!) Insomma, tra alti e bassi, va...

Sono tornata dopo un’eternità ma almeno qui le cose cominciano a farsi succulente!

Abbiamo il ritorno in scena di Clizia, signori e signore! Sono tornati tutti: William Falkor, Jace Ivory, gli Arcani... uh, gli Arcani! Alcuni li avevo già mostrati, eh, anche se per pochissimo.
Ho trovato dei prestavolti fenomenali – in realtà ho creato i personaggi sulla base di queste immagini che ho trovato, per poi scoprire che appartengono quasi tutte allo stesso fandom ma il capitolo era già pronto, così... ce li teniamo ^^

Nuovi personaggi (alcuni un po’ di sfondo ma ok):

CHARLIE ► (devo ancora trovare qualcosa, mi spiace ^^)

GLADIS SHERMAN ► https://w0.peakpx.com/wallpaper/514/910/HD-wallpaper-catherine-ward-manga-angels-of-death-satsuriku-no-tenshi.jpg


YVAN THORPE ► https://i.pinimg.com/originals/16/f1/27/16f1277a207cc0f6750a7ab377551153.jpg

Ed ecco gli Arcani Maggiori:

PUCK, L’Alchimista ►  https://static.zerochan.net/Xingqiu.full.3125760.jpg


IAGO, L’Imperatore ► https://i.pinimg.com/originals/52/b4/56/52b456489c2cb834159ce88c935d6558.jpg

CORDELIA, Il Giudizio ► https://i.pinimg.com/originals/0c/4b/82/0c4b8295055764f8ce1c2fdef4ef1f20.jpg

LISANDRO, La Torre ►  https://cdn.donmai.us/original/06/94/06940b675c541a8639ac090c4960e8bb.jpg

CURIO, Il Matto ► https://i.pinimg.com/736x/ae/e0/b3/aee0b390571e3e90d832f80e01152eb5.jpg

LAVINIA, L’Appeso ► https://img.freepik.com/premium-photo/anime-girl-with-blue-hair-blue-eyes-city-generative-ai_958192-23894.jpg

ANTONIO, Il Sole ► https://images-wixmp-ed30a86b8c4ca887773594c2.wixmp.com/f/ceae5666-2a98-4c69-8060-e3ac622f1bc4/dea9cul-168c8061-01c1-4ae2-a60f-26db907b1902.jpg?token=eyJ0eXAiOiJKV1QiLCJhbGciOiJIUzI1NiJ9.eyJzdWIiOiJ1cm46YXBwOjdlMGQxODg5ODIyNjQzNzNhNWYwZDQxNWVhMGQyNmUwIiwiaXNzIjoidXJuOmFwcDo3ZTBkMTg4OTgyMjY0MzczYTVmMGQ0MTVlYTBkMjZlMCIsIm9iaiI6W1t7InBhdGgiOiJcL2ZcL2NlYWU1NjY2LTJhOTgtNGM2OS04MDYwLWUzYWM2MjJmMWJjNFwvZGVhOWN1bC0xNjhjODA2MS0wMWMxLTRhZTItYTYwZi0yNmRiOTA3YjE5MDIuanBnIn1dXSwiYXVkIjpbInVybjpzZXJ2aWNlOmZpbGUuZG93bmxvYWQiXX0.H9sU6FA3CjG_X1WCl418k8bHpRSICUpDT1DGTGa_bQM

GIULIETTA, La Luna ►  https://upload-os-bbs.hoyolab.com/upload/2022/03/29/64211779/72ac558c1966b2e34c06db2d952eb476_2982375825850840914.jpg?x-oss-process=image%2Fresize%2Cs_1000%2Fauto-orient%2C0%2Finterlace%2C1%2Fformat%2Cwebp%2Fquality%2Cq_80

OBERON, Il Mondo ► https://www.reddit.com/media?url=https%3A%2F%2Fpreview.redd.it%2Fx84tmy3elay61.jpg%3Fauto%3Dwebp%26s%3D451c8ebd72e2ab5e0477a4a53dc8a2abcc8a2704

PORZIA, La Ruota ►  https://upload-os-bbs.hoyolab.com/upload/2021/08/15/152964738/1f599434e69557fe45181045ba85c7bb_5695542364800551435.jpg

LEONTE, La Forza ► https://static.zerochan.net/Shikanoin.Heizou.full.3652924.jpg

OFELIA, Il Diavolo ► https://i.pinimg.com/originals/50/ee/11/50ee11f4cbe0487073022d737c5fcab6.jpg

L’immagine che avevo trovato di Lavinia, però, l’ho persa. Questa ci assomiglia ma nonostante le mie due ore di ricerche non l’ho più ritrovata. Mannaggia me che non salvo mai niente!

Vi lascio anche queste:

EMILIA, L’Amante ► https://s1.zerochan.net/Ebisu.Kofuku.600.1699770.jpg


MACBETH, L’Imperatrice ► https://static.zerochan.net/Cornelia.li.Britannia.full.3602114.png

Vi lascio con una piccolissima curiosità:

Curiosità n.28 ► Gli Arcani Maggiori sono un gruppo di carte dei tarocchi. I personaggi che avete appena conosciuto hanno stipulato un patto con una Carta Divina (le 22 carte dei tarocchi, come detto) ma, come potete aver intuito, non ci sono tutti e ventidue! Perché? Eeeh, non posso dirvelo.
Piccolo riepilogo doveroso (perché vi faccio sempre aspettare decenni prima di aggiornare ^^): gli Arcani stipulano quindi un patto e la Carta dona loro un potere specifico che si aggiunge alla magia che normalmente utilizzano... in pratica è come se possedessero due magie.
Esempio scemo: Leonte ha la carta de La Forza ma utilizza anche la magia del vento, Ventus.
E sì, i nomi delle loro magie sono in latino. Perché? Mi piaceva l’idea, tutto qui ^^

Alla prossima!

Rosy
 


 
  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Fairy Tail / Vai alla pagina dell'autore: rosy03