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Autore: La_Sakura    08/03/2024    6 recensioni
Nankatsu non è il Brasile, e se Tsubasa pare non rendersene conto, Keiko si trova a fare i conti con quella differenza. Nonostante sia giapponese, si sente un'estranea, una gaijin.
Le manca Cris, le manca il Brasile, ma soprattutto le manca la velocità, e lavorare non le basta per colmare quel vuoto che sente dentro; oltretutto, l'intesa storica con Tsubasa pare venir meno ora che lui è tornato nel suo mondo, e ciò contribuisce ad allargare la spaccatura fra di loro.
Come una ferita i cui lembi si sono rimarginati staccati l'uno dall'altro, ora che ha più bisogno di supporto si sente sola.
E, si sa, quando ci si sente soli si prendono decisioni che possono risultare discutibili.
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«Niente. Più. Gare.»
«Che c’è, hai paura che ti tolga il titolo di miglior pilota?»
«Pensi questo? Pensi che si riduca tutto a un “decretiamo chi sia il migliore tra noi”? Sai bene che non è così.»
«A me invece sembra che tu sia parecchio competitivo.»

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Serie "VeF - Velozes e Furiosos - sequel di "Velozes e Furiosos"
Genere: Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alan Croker/Yuzo Morisaki, Nuovo personaggio, Tsubasa Ozora/Holly
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'VeF - Velozes e Furiosos'
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Velozes e Furiosos

Drifting Queen

Kei arrivò in derapata, sollevando qualche sassolino, e si fermò a pochi metri dal cordolo di persone intente a osservare la drift war.

Aprì la portiera e posò il piede a terra, quindi poggiò il gomito sinistro sopra la carrozzeria e alzò la mano destra col simbolo della vittoria.

Un coro entusiasta si alzò, frammisto grida di delusione di chi, evidentemente, non aveva puntato su di lei.

«Ok, ok, ma non esagerare troppo, Noshimuri, o non avrò più partecipanti.»

Sota la raggiunse e le strinse la mano, gongolando.

«Non ti lamentare: all’inizio ero la nuova, quella su cui nessuno avrebbe puntato. Adesso sono quella da battere.»

«La nostra Drifting Queen

«Non esagerare. Lo sai che Malerba tiene molto al suo titolo.»

Chiuse la portiera e seguì l’amico fino al bar improvvisato, dove una car girl le allungò una birra, che rifiutò.

«Abbiamo finito il guaranà.» si giustificò Sota, facendo spallucce.

«Non importa, devo andare: ho chiesto un favore a Tsubasa con Yuki, stasera, e non voglio approfittarmene.»

«Le cose vanno meglio, mi sembra, eh?» le diede una gomitata d’intesa.

«Se noi andiamo d’accordo Yuki ne giova parecchio, e siamo tutti più felici.» annuì, scrutando l’orizzonte «Cerchiamo di far funzionare questa strana famiglia che ci siamo costruiti.»

«Quindi con Sanae le cose procedono? Ma è vero che gli hanno offerto il posto di allenatore della Nankatsu?»

«Sì, della squadra elementare. So che ci sta riflettendo.»

Sota annuì distrattamente, era già intento a contare i guadagni della corsa e tutti gli altri discorsi erano finiti in ultimo piano. Kei si allontanò per dirigersi alla sua auto e tornare a casa.

Era quasi arrivata all’officina quando notò una vettura nello specchietto retrovisore: parcheggiò di fronte all’ingresso e scese, poggiandosi all’auto e incrociando le braccia al petto.

Non dovette aspettare molto affinché la Volkswagen si palesasse davanti a lei.

«Sei affezionato al marchio, a quanto vedo.»

Shimata lasciò la vettura in moto, coi fari accesi, e mosse qualche passo verso di lei.

«Salute a te, Noshimuri. La nuova Dea del Drift.»

«Che vuoi, Shimata.»

«Parlare con te senza la protezione di Malerba.»

«Non mi serve nessuna protezione.»

«Voglio la rivincita.»

«Parlane con Sota, gestisce lui il giro adesso.»

«Ne parlo con te, invece.»

Si avvicinò aggressivo, a denti stretti: dallo stato delle sue pupille non doveva essere proprio nel pieno della forma.

«Vattene a casa, Shimata, ne riparliamo quando non sarai strafatto.»

Gli voltò le spalle e fece per salire nuovamente in macchina, ma Shimata le fu addosso e la strattonò per i capelli, facendole poi sbattere il volto contro la carrozzeria.

«Non trattarmi con sufficienza, piccola stronzetta. Non sarai una gaijin ma sei comunque poco avvezza agli usi e i costumi di qui, quindi te lo spiego io come funziona.»

La strattonò nuovamente e la costrinse a girarsi, facendole sbattere la schiena contro la portiera posteriore dell’auto e bloccandola con le gambe.

«Non so quanti cazzi tu abbia succhiato per entrare nelle grazie di Malerba, ma sappi che a me non interessa con chi vai a letto: io non accetto di essere umiliato da una puttanella d’Oltreoceano.»

«Allora dovresti imparare a guidare meglio…»

Shimata le tirò nuovamente i capelli, costringendola ad arretrare con la testa: Kei sentì il suo fiato sul collo, la annusava e ansimava in preda a chissà quale eccitazione.

«Sai di esotico, Noshimuri…»

Kei resistette alla tentazione di reagire perché sapeva che avere a che fare con una persona alterata da droghe poteva essere pericoloso. Lasciò che l’uomo le annusasse il collo e chiuse gli occhi quando questi le cacciò il naso nel seno, leccandone il contorno.

Shimata arretrò di un passo, lasciandola libera, e si leccò le labbra. La luce del terrazzo alle sue spalle si accese, Kei ne vide il riflesso con la coda dell’occhio: Tsubasa la chiamò, così lei alzò una mano per farsi vedere.

«Buonanotte, Noshimuri.»

L’uomo risalì in auto e sgommò via, e solo quando non vide più i fari lungo la via, Kei si risolse a entrare in officina.

 

Attese che Kei parcheggiasse la sua vettura e salisse in casa, ma non appena mise piede nell’appartamento partì all’attacco.

«Chi era quello?»

«Un coglione che non sa perdere.» replicò lei, massaggiandosi la nuca.

«E per una drift war si prende la briga di seguirti fino a casa e minacciarti?»

«Era strafatto, Bas, non si comportava in maniera lucida. Avrà pensato che fosse una buona idea, che devo dirti?»

Kei si rifugiò in cucina ma lui non mollò, seguendola a breve distanza.

«Non mi piace che questa gente sappia dove abiti.»

«Gestiamo un’officina, Bas, tutti sanno dove abitiamo.»

«Ne va dell’incolumità di Yuki.»

«Non corre nessun pericolo, c’è sempre qualcuno di noi a proteggerlo, no?»

«Che macchina era? Mi sembrava una Volkswagen.»

Lei inspirò, e attese qualche secondo prima di replicare.

«Sì, mi pare.»

«Che auto era quella che ha fatto saltare la tua Reloaded?»

«Cosa vorresti insinuare?»

Kei si voltò verso di lui: era sulla difensiva, Tsubasa lo capì subito da come manteneva le distanze.

«Chi era quello, Kei?» lo domandò di nuovo, a voce bassa ma decisa.

La ragazza inspirò profondamente e si morse il labbro inferiore, chiudendo gli occhi.

«Gaho mi aveva messa in guardia da lui alla prima drift war, e già mentre scendevamo avevo notato che non era uno a cui piaceva stare nelle retrovie. Quando ho vinto, lui non l’ha presa bene, e ha diretto la sua R32 contro la mia Silvia, facendola esplodere.»

«Lo sapevo.» esalò, portandosi una mano alla testa.

«Va tutto bene, posso gestirlo, è solo un esaltato strafatto.»

«Cosa sarebbe successo se non mi fossi accorto di voi, eh Kei? Ti avrebbe aggredita? Ti avrebbe… kamisama, non voglio neanche pensarci.»

Kei continuava a torturarsi il labbro in evidente difficoltà, segnale che le sue parole avevano colto nel segno.

«Devi riflettere su ciò che fai, le tue azioni hanno delle conseguenze, che ne sarà di Yuki se ti succede qualcosa? Se tu muori, lui rimarrà da solo.»

«Come hai detto?» Kei aveva raddrizzato la testa talmente velocemente che Tsubasa si sorprese non si fosse rotta qualche osso del collo «Cosa vuol dire che rimarrà da solo? Ci sei tu con lui, o sbaglio?»

«Hai capito cosa intendevo.»

«No, non l’ho capito, spiegamelo.»

«Kei…» sospirò, portandosi le mani ai fianchi e arretrando di un passo.

«Bastano pochi mesi qui per farti pentire delle tue promesse? Già non sopporti più l’idea di prenderti cura di Yuki? Dov’è finito il tuo mantra “mi prenderò io cura di voi”.» scimmiottò le sue parole muovendo le mani come se fossero bocche.

«Io mi prenderò sempre cura di voi, qualunque cosa accada, ma devo pensare anche a me stesso.»

Kei rimase a fissarlo a bocca aperta, il che lo indusse a proseguire nel suo discorso, accorciando le distanze fra loro.

«Io pensavo…» deglutì, rendendosi conto solo in quel momento di quanto fosse difficile esternare ciò che aveva in mente «Tra me e Sanae le cose vanno bene, così pensavamo… volevamo…»

«Bas.» lo esortò, puntando le iridi scure su di lui.

«Vogliamo andare a vivere insieme.»

Lo disse tutto d’un fiato, e si sentì improvvisamente leggero e pesante allo stesso tempo.

Keiko rimase in silenzio, non disse nulla: furono istanti interminabili, dove si scrutarono a vicenda, come alla ricerca delle reciproche emozioni.

«Te ne vai…»

Un sussurro, una semplice constatazione carica di dolore.

«Non posso stare qui con te senza pensare di ferire i suoi sentimenti, e non ho intenzione di tornare a vivere da mia madre. Cercherò un posto qui vicino, e lei… noi ci proveremo, recupereremo il tempo perso. Ma sarò sempre qui, Kei-chan.»

Provò ad abbracciarla, ma Keiko si scostò, le iridi scure allagate: perché reagiva così? Non era felice per lui?

«Ed ecco un’altra persona che se ne va, e della mia família non rimane che un mucchio di ricordi.»

«Keiko…»

«Non toccarmi.» arretrò di un passo «Tu, Roberto, mio padre, siete tutti uguali, tutti della stessa pasta. Portate la gente a fidarsi di voi e poi la pugnalate dritta al cuore.»

«Adesso non essere melodrammatica, non ti sto abbandonando, abiterò qui in zona, ci vedremo tutti i giorni, mi occuperò di Yuki come ho sempre fatto, e avremo anche l’appoggio di Sanae.»

«Oh, certo. Certo…»

«Davvero non capisco quale sia il problema: pensavi che sarei rimasto qui a vivere con te e Yuki per sempre?»

Lo aveva detto come se fosse un’opzione non realizzabile, ma negli occhi di Keiko lesse tutt’altro.

«Kei…»

La ragazza uscì dalla cucina e si diresse verso l’atrio.

«Dove stai andando.»

Non gli rispose, mentre si infilava le scarpe.

«Keiko.»

Non servì. La porta d’ingresso si richiuse e lui rimase a fissarla, sperando che si riaprisse e che la donna tornasse da lui. Che tornasse a casa.

 

Botan le aveva aperto il portone del garage personale dove poteva occuparsi della sua auto in pace, senza essere disturbata dagli altri scagnozzi di Mori.

Aveva preso l’idro pulitrice e lavato l’esterno della vettura, quindi l’aveva asciugata con cura, e adesso stava lucidando carrozzeria e cerchioni.

Non riusciva a mettere bene a fuoco le sue azioni perché i suoi occhi erano velati da un costante strato di lacrime che, seppur spazzato via dallo sbattere delle palpebre, si riformava di continuo.

Tsubasa se ne sarebbe andato di casa.

Sarebbe rimasta sola con Yuki, mentre lui si sarebbe rifatto una famiglia, una vera famiglia, non quella congrega disastrata di amici come erano sempre stati loro.

Lanciò malamente lo straccio e si passò le mani tra i capelli: che stupida che era stata a fidarsi nuovamente di qualcuno. Aveva lasciato che Tsubasa prendesse talmente tanto piede nella sua vita da arrivare a convincersi di essere innamorata di lui.

Chikao entrò dalla porta laterale e la raggiunse in pochi passi: aveva in mano una bottiglia di cui non riconobbe le fattezze.

«Vuoi?»

«Ti sembro una che si sbronza?»

«Mi sembri una che ha troppi pensieri per la testa e ha bisogno di alleggerirla.»

Le porse la bottiglia e la mantenne alta davanti a sé, in attesa che lei si decidesse.

«Sì, come ti pare.»

La afferrò e ne svitò il tappo per tuffare il naso sull’imboccatura.

«Sembra alcool puro.»

«È whisky giapponese, ignorante.» la corresse, dandole le spalle.

Kei si sedette sui sedili posteriori e assaggiò la bevanda: aveva un odore terribile ma il retrogusto non era così male. Apprezzò soprattutto la sensazione di bruciore che le lasciò la scia alcolica lungo l’esofago, scia che dopo qualche sorso era diventata un vero e proprio inferno.

Eccola lì, a bere whisky in un posto pieno di yakuza che la proteggevano: se non fosse stato per l’alcool, le sarebbe parso di essere tornata bambina.

Era già a metà bottiglia quando Shuzo si palesò, stupito di trovarla lì.

«Credevo fossi a casa da tuo figlio.»

«Shimata mi ha aggredita nel parcheggio dell’officina.»

«Quella testa di cazzo l’ha fatto davvero.»

«Non ci sarà una seconda volta, lo spedirò a concimare margherite se non mi lascia in pace.»

«Non sembri una che uccide.»

«Sono una che si difende.»

Bevette un altro sorso di whisky, il bruciore all’esofago ormai era attutito dall’effetto dell’alcool.

«Qualche problema a casa?»

«Che cazzo sei, Mori, il mio psicologo?»

Lo yakuza le tolse la bottiglia e ne bevve due lunghe sorsate, quindi si pulì la bocca sull’avambraccio e gliela porse, mettendosi comodo sul sedile accanto a lei portandosi una mano sulla fronte.

«Chikao deve averti presa a cuore per darti una bottiglia della sua scorta personale.»

«Gli avrò fatto pena.» fece spallucce.

«Lo sai che noi giapponesi ci sbronziamo prima perché ci manca un enzima nel fegato?»

«In pratica beviamo di meno e ci ubriachiamo di più.» ne convenne lei.

«Se ci pensi bene, per i miei affari è un disastro: questi vengono nei miei locali, bevono poco e niente e sono ridotti come degli stracci.»

Keiko scoppiò a ridere, porgendogli nuovamente la bottiglia.

«La prima volta che ci siamo sbronzati è stato dopo la prima race war vinta da Tsubasa. Nessuno avrebbe scommesso su di lui, ma noi lo avevamo addestrato a dovere. Con una parte dei soldi della vincita, Cris ha comprato una bottiglia di un liquore improponibile e ce lo siamo bevuti nel giardino di casa, a notte fonda, guardando le stelle. Credo che Tsubasa abbia vomitato anche l’anima, prima di andare a letto, e il giorno dopo a scuola era uno straccio.» concluse, fissando il tettuccio della vettura e perdendosi nei ricordi.

«Io sono riuscito a far ubriacare Yuzo solo una volta, per il suo diploma. Me lo rinfaccia ancora adesso.» Kei voltò la testa verso di lui, corrugando le sopracciglia in una silenziosa domanda «Gli avevo corretto i cocktail analcolici a sua insaputa.»

«Sei un diavolo, Mori-san.»

Shuzo ridacchiò, ripensando probabilmente a quel momento.

«Ti chiedi mai…» Kei rannicchiò le ginocchia al petto e le abbracciò «Ti chiedi mai come sarebbe stata la tua vita senza la yakuza?»

«No, mi piace la mia vita.» fece spallucce, regalandosi un altro sorso di whisky «Tu invece sì, mi pare di capire.»

«Da che ho ricordo, ho sempre saputo di far parte di una famiglia che aveva qualche libertà in più rispetto alle altre, e che i soldi che avevamo non erano tutti frutto del lavoro da impiegato di mio padre. Dopo l’incendio, per Yukiko è stato naturale andare a chiedere protezione a Tanaka-san, in fondo eravamo già parte della famiglia… solo che senza la protezione di nostro padre eravamo semplici pezzi di carne da sfruttare a piacimento, così lei ha fatto da scudo in modo che io potessi avere una vita pressoché normale. Mi chiedo spesso come sarebbero andate le cose se lei avesse preso una decisione diversa.»

«Ah, Noshimuri, mi pare di leggere una vena malinconica nelle tue parole, e io non sono la persona adatta per questo genere di confidenze. Dovresti sfruttare di più mio fratello, lui è più bravo di me. Oppure Tsubasa, non è il tuo braccio destro? L’altra metà della tua mela?»

Kei sentì la rabbia montarle dentro, frammista ad alcol, una pessima combinazione.

«Tsubasa sta vivendo una nuova vita, e nel suo futuro la mia presenza non è contemplata.» ringhiò, voltando la schiena allo sportello e distendendo le gambe fino a toccare Shuzo.

«Ah, l’eterea Sanae ha ottenuto ciò che voleva, si è ripresa il suo manzo.»

«Auguri e figli maschi.» replicò lei, alzando un immaginario bicchiere per un brindisi.

«Forse è la tua occasione di riscatto: senza Tsubasa, puoi vivere davvero la vita che scegli.» Shuzo si sporse verso di lei «Che vorresti fare?»

«Credo che la cosa che mi renderebbe felice sarebbe tornare in Brasile, ma sono consapevole del fatto che manca comunque un pezzo di cuore per tornare là. Se anche lo facessi, non avrei il supporto di Cris, e comunque… comunque Tsubasa sarebbe qui. Abbiamo condiviso tutto in questi nove anni di conoscenza, è difficile pensare a una vita senza di lui.»

«Ma devi farlo: lui è proprio il classico uomo casa e famiglia, non mi stupirei se lui e Sanae si sposassero presto e avessero anche dei figli.»

«Tu non lo conosci.» Kei scosse il capo e si sporse verso di lui per afferrare la bottiglia quasi vuota «Forse una volta era così, sì, forse una volta lo era. Ma questo prima che il Brasile gli entrasse nelle vene e gli modificasse il DNA.»

Kei ingollò gli ultimi sorsi di alcol e porse la bottiglia vuota a Mori, che si limitò a lanciarla alle sua spalle attraverso il finestrino aperto, facendola finire in mille pezzi.

«Sei un coglione, Mori, io ci devo girare qui dentro.»

Kei scese barcollando e recuperò scopa e paletta da un angolo, radunò i cocci e li recuperò, non senza fatica.

«Chiamo Sota e ti faccio riportare a casa, non puoi guidare in quelle condizioni.»

«Non importa.»

«Importa a me: sei la mia unica driver al momento, finché quel coglione di Gaho non recupera la mobilità del braccio, quindi devo tenerti sotto una campana di vetro.»

«Non importa perché dormirò qui.»

Lo superò e tornò a sedersi nei sedili posteriori, guardandosi attorno alla ricerca di qualcosa da usare come cuscino. Shuzo si sporse verso di lei attraverso lo sportello aperto, la prese per una mano e la fece scendere.

«Non pensavo fossi una stupida ragazzina viziata che si rifugia a piangere quando le viene tolto il suo gioco preferito.»

«Io… cosa? Devo essere ubriaca perché sto sentendo discorsi senza senso.»

«Sì, tu sei ubriaca e io sono brillo, ma rimani una bambina viziata se adesso ti rifugi qui per non affrontare i problemi. Prendi Ozora e digli che è un coglione.»

«Parli di cose che non sai, per favore, taci.»

«Ascolta, te l’ho già detto, non me ne faccio di niente di un driver che ha altri pensieri per la testa. Rischio che tu ti perda mentre guidi e se ti succede qualcosa, succede qualcosa anche al mio prezioso carico. Che non sei tu, per inciso.»

«Grazie per la precisazione, ma quando guido sono perfettamente all’erta.»

Gli voltò le spalle per tornare a sdraiarsi in auto, ma Shuzo la afferrò per un braccio, glielo torse dietro la schiena e la spinse contro la portiera anteriore, la mano piantata in mezzo alle scapole. Kei rimase senza fiato per qualche secondo, poi recuperò la lucidità necessaria e con la mano libera afferrò la presa di Mori, premendo sul polso: quando percepì la morsa allentarsi, si voltò e lo allontanò con un piede, quindi si mise in posizione di guardia.

«Chi è che non è sul pezzo, eh, Malerba?» lo schernì. Shuzo non se lo fece ripetere e si avventò nuovamente su di lei, cercando di bloccarle le mani: Kei arretrò saltellando, fino a fermarsi contro la vettura, quindi approfittò di un gancio a vuoto di Mori per abbassarsi e volare alle sue spalle.

«Non male per essere sbronza, Noshimuri.»

«Non bene per essere uno yakuza, Mori-san.»

Shuzo si passò una mano sul volto, quindi alzò le braccia.

«Ok, ok, mi sbagliavo. Sei attiva.» Kei abbassò la guardia mentre lui si avvicinava «Resta il fatto che continui a pensare a lui, e non va bene.»

Sapeva che Mori non era uno che mollava, così stoppò il suo pugno sinistro, ma non aveva previsto lo sgambetto, e si ritrovò lunga distesa a terra, con lui che le teneva le mani ferme sopra alla testa.

«Questa posizione mi ricorda qualcosa…» sogghignò lui, il volto a pochi centimetri dal suo.

«Anche quella volta hai avuto fortuna.»

«Forse stavolta non è solo fortuna, forse sei tu che non sei nel pieno delle tue facoltà.»

«Ti ho già detto che sto bene, e che Ozora non sarà un problema.» ansimò, rendendosi conto solo in quel momento di quanto fosse sconveniente quella posizione e di quanto le labbra di Shuzo fossero vicine alle sue. Lo yakuza la fissò negli occhi, e si morse il labbro inferiore.

«Bene.» proclamò lui.

«Bene.» ripeté lei, con poca convinzione.

«E smettila di rispondermi a tono!» un lampo gli attraversò gli occhi mentre l’aiutava a sollevarsi.

«E tu smettila di trattarmi come se fossi una tua dipendente.»

«Lo sei.» ghignò.

«Sono solo la tua autista di fiducia.»

«Sei una mia proprietà.»

Kei lo afferrò per la maglietta e lo attirò a sé, fissandolo duramente negli occhi.

«Io non sono di nessuno, Mori-san, mettitelo bene in testa.»

Shuzo si limitò a sorridere, ma l’attimo dopo aveva infilato le mani all’interno dello spazio tra le sue braccia, sciogliendo la presa che lei aveva sulla maglietta, e l’aveva spinta malamente contro al muro.

«Finché hai a che fare con me, considerati parte del mio team. Sei fortunata, non a tutti è dato scegliere come farne parte e quando poterne uscire, quindi sì, in parte sei libera, ma solo quando lo decido io.»

«Fottiti, stronzo.»

La reazione di Shuzo fu tutto fuorché sensata: si era avventato sulle sue labbra e le aveva tappate con le proprie. Keiko si accorse di non ragionare più col cervello quando percepì le proprie gambe avvinghiarsi alla vita di Shuzo, che la sostenne dalle natiche mentre la baciava con foga.

Quando la bocca di Mori scese lungo il suo collo, Kei lasciò andare un gemito che provocò un ghigno soddisfatto in lui, portandolo a lacerarle la maglietta per avventarsi sui suoi seni.

«Mori…» mormorò, in un vano tentativo di fermarlo, ma ormai la miccia era stata innescata e non poteva più fermarla.

 


TAAA-DAAAAAN 

C'era chi se lo aspettava e chi mente XD 

Ma d'altronde, quando il fuoco incontra un accelerante, non può succedere altro *ridacchia*

Si aprono nuovi scenari, Shimata torna di prepotenza - in tutti i sensi - mentre Tsubasa spiega le sue ali e vola via dal nido. 

Non dico altro, ci vediamo venerdì prossimo ^^

Un abbraccio grandissimo

La vostra Sakura

   
 
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