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Autore: Afaneia    10/03/2024    1 recensioni
Link viene condannato ingiustamente per alto tradimento.
Impa e i Campioni escogitano l'unico, folle piano possibile per salvarlo.
Succedono cose.
La mattina del terzo giorno Zelda è stata confinata nei suoi appartamenti dalle guardie e a Link è stato ricordato senza mezzi termini che, rifiutando un ordine diretto del re, rischiava la corte marziale. Senza scomporsi, Link ha pranzato con calma, ha indossato la divisa della guardia reale, ha congedato il suo attendente e si è seduto nei suoi alloggi ad aspettare che venissero ad arrestarlo; ha scritto qualche lettera, nel frattempo, e ha annotato delle idee sulle mappe che campeggiano da mesi sul suo tavolo da lavoro. Quando i soldati mortificati si sono presentati con l’ordine d’arresto, ha chiesto solo la cortesia di non essere ammanettato, ha deposto la Spada sul tavolo e li ha seguiti senza opporre resistenza.
Revalink, ovviamente.
Genere: Angst, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Impa, Link, Nuovo Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Capitolo V – Tautologia
 
“Come ti ricompenserò?” esclamò il figlio della stella. “Perché questa è la terza volta che mi soccorri.”
“Ma tu per primo hai avuto pietà di me!” rispose la lepre, e corse via.
Oscar Wilde, Il figlio della stella.
 
    Si sveglia nell’aria del mattino più fredda di quella notturna. Sente che Revali non c’è senza bisogno di guardare per esserne certo: sa di essere solo.
    È sposato, pensa prima ancora di essere sveglio del tutto, mentre ancora, nel buio delle palpebre chiuse, riesce a trattenere le sensazioni del sonno; è sposato, pensa per la prima volta con uno sgomento che ieri ha cercato dentro di sé in ogni luogo possibile senza riuscire a trovarlo. È sposato con Revali, e ora che è sveglio non può più permettersi di credere che sia stato un sogno e che passerà col tempo. La realtà di quello che è successo precipita d’un tratto sulle sue spalle come macigni; gli pare d’averla cercata per tutto il giorno, ieri, e di non averla trovata perché era in una parte di lui dove non era ancora pronto per guardare. Ora che è solo per la prima volta da quando lo hanno svegliato per portarlo al patibolo, in quella parte può guardare davvero: è sposato, ripete a se stesso con uno stupore che ieri non è riuscito a provare e che ha cercato ovunque dentro di sé invano; a dispetto di ogni forma di antipatia, di rivalità, di competizione, Revali ha messo da parte se stesso e la propria libertà, una parte enorme del suo orgoglio, e lo ha salvato. L’enormità di quanto ha cercato di dirgli Impa quando lo ha salutato si fa d’improvviso tangibile e immane nella sua mente, innegabile: è legato a lui per sempre, adesso, in un modo che va molto al di là della gratitudine e del matrimonio singolarmente; e dovrà restare con lui per un bel po’. Il che, pensa alzandosi a sedere, si ricollega al problema che Revali non è venuto a letto, stanotte. Link non ha idea di dove abbia dormito, ma di certo non con lui. Prima o poi dovranno affrontare anche questo problema.
    C’è ancora un po’ d’alba sui monti, ma l’aria, a quest’ora, è livida e tagliente come una spada: quando si solleva faticosamente sull’amaca cercando di bilanciarne l’oscillazione, le coperte gli scivolano di dosso scoprendogli le spalle nude. Al Borgo fa più freddo che nella piana di Hyrule: dovrà abituarsi anche a questo.
    Si veste in silenzio come se temesse d’infrangere quel silenzio e quella pace. Attraversa la casa, nella luce livida dell’alba, ed esce nella strada deserta illuminata dal sole. Cammina attraverso il borgo come se fosse l’ultimo essere vivente rimando al mondo nella luce del sole: il villaggio non si è ancora svegliato. Sente d’essere il primo a credere al giorno.
    Le case sono immobili e silenti: attraverso una tenda appena scostata intravede il volto assopito di un piccolo Rito addormentato. Si sofferma a osservarlo per un momento, sentendo di commettere una terribile indiscrezione che nessuno scoprirà mai, poi prosegue: scivola attraverso le case come una folata di vento.
    La tenda che copre l’ingresso alla casa di Kagan è sollevata: Link vi getta uno sguardo senza volere. Kagan è seduto al centro della stanza centrale, di fronte al braciere acceso. Gli sorride quando i loro occhi s’incontrano.
    «Sei sveglio presto» dice a mo’ di saluto.
    «Anche tu» risponde Link un po’ sorpreso. Chissà perché si era sentito l’unico già sveglio in tutto il borgo.
    «Mi piace alzarmi prima della mia famiglia per avere un po’ di tempo per riflettere» ammette Kagan come se fosse una colpa. «Dicono che sia l’unico modo per avere un po’ di pace, quando hai bambini piccoli. Lo faceva sempre mio padre, e io credevo che esagerasse… poi è nato il mio primo figlio. Credevo che tu e Revali avreste dormito di più, però» soggiunge sorridendo, e Link si sorprende ad avvampare d’improvviso sotto i suoi occhi. Kagan scoppia a ridere. «Era di cattivo gusto, vero? Devi scusarmi, ma Revali sposato… è qualcosa che non avrei mai pensato di vedere in vita mia, ormai. Non ci sono ancora abituato.»
    Link si guarda intorno con un po’ d’imbarazzo, pur sapendo bene che non c’è nessuno attorno a loro, più per aspettare che le sue guance si sfiammino che perché non sappia cosa dire. «Non è come se fosse un vero matrimonio, però.»
    «Che cos’è un vero matrimonio?» chiede Kagan sorridendo.
    La domanda lo coglie talmente impreparato che Link rimane in silenzio. Forse era una domanda retorica, perché subito dopo Kagan accenna alla stoia di fronte a sé e riprende: «Ti va di tenermi compagnia? Siamo gli unici svegli, a quanto pare.»
    In qualche modo Link sente che Kagan ha qualcosa da dirgli. Entra nella sua casa con titubanza, sentendo di violare l’intimità della sua famiglia, e si siede di fronte a lui a gambe incrociate. Kagan gli porge una tazza di tè forte, amaro: Link non ricorda di averlo mai assaggiato. Si domanda cos’è, ma non gli sembra il momento giusto per chiederlo.
    Kagan lo osserva con attenzione.
    «Come stai?»
    «Bene» risponde Link macchinalmente. «Bene.»
    «Davvero?» Kagan reclina il capo. «Hai avuto una brutta esperienza, da quel che ho capito. Quello che ti è successo ieri… non dev’essere stato facile.»
    Il cielo grigio come fatto d’acciaio, la corda ispida e pesante attorno al suo collo, pesante: Link chiude gli occhi per un istante mentre i ricordi attraversano la sua mente come sassi scagliati che fendono l’aria. Sono dolorosi, improvvisi, e Link sente il bisogno di spingerli da parte come farebbe con la mano per non doverli guardare né sentire. Scuote la testa un po’ più duramente di quanto avrebbe voluto, tiene gli occhi spalancati per non vedere quelle immagini dentro di sé né provare quelle sensazioni.
    «No, non lo è stato» risponde. Tiene la tazza tra le mani per sentirne il calore, ne osserva le volute di vapore che si arricciano nell’aria per rimanere ancorato alla realtà e non sprofondare in quei pensieri: è vivo, adesso. Il resto passerà. «Ma non importa. Ora sono qui e va meglio.»
    Kagan sorride. «Spero che ti sentirai a casa, qui. Siamo un popolo tranquillo, ma sappiamo essere anche accoglienti. Lo vedrai col passare dei giorni. Revali avrà cura di te, ne sono certo, ma se tu dovessi aver bisogno di qualcosa, non sentirti smarrito. Tutti qui saranno pronti ad aiutarti.»
    «Avete già fatto tanto per me» mormora Link. «Anche tu. Non eri tenuto a…»
    Kagan lo interrompe con un gesto, ma gentilmente, e scuote la testa. «Link, ti prego… non c’è bisogno che mi ringrazi. Chiunque al mio posto avrebbe fatto lo stesso.»
    Quella non gli pare una spiegazione sufficiente per qualcosa di così grave e importante, definitivo e salvifico per lui, che ha messo a rischio, direttamente o indirettamente, tanto Revali quanto l’ambasciatore e chiunque altro fosse coinvolto: Link non vuole essere maleducato, ma ha bisogno di insistere, perché sente di non essersi spiegato bene. «Non mi conoscevi neppure, non mi avevi neppure mai visto. Salvarmi voleva dire rischiare di compromettere i rapporti con la Corona…»
    «Link» ripete Kagan. «Mettiamola così. Se il campione della mia gente viene a svegliarmi di notte e mi chiede di aiutarlo a salvare qualcuno che senza di lui morirebbe, io non gli chiedo chi sia o perché voglia salvarlo. Metto su l’acqua per il tè e cerco di ricordarmi che cosa va scritto in un certificato di matrimonio al buio e alle tre del mattino mentre lui insiste perché lo faccia il più in fretta possibile.»
    «E tu davvero non hai chiesto niente?»
    Kagan assume un’aria vagamente colpevole come se fosse stato colto in fallo. «D’accordo, forse qualcosa ho chiesto. In fondo anche un capo può essere curioso. E poi, diciamocelo… non è una richiesta che capita tutte le notti. Di certo non mi aspettavo che me l’avrebbe chiesto Revali.»
    «Non aveva nessuno qui?» chiede Link prima di chiedere a se stesso se sia una domanda adeguata da porre. È una di quelle cose che non lo riguarda, che fanno parte della vita di Revali al di fuori di lui, di quello cui ha rinunciato per sposare lui a dispetto di tutto: non avrebbe dovuto chiederlo; ora vorrebbe ritirare la domanda, ma la gentilezza di Kagan lo trattiene. Non c’è alcun giudizio nei suoi occhi.
    «Se hai paura di ritrovarti coinvolto in qualche spiacevole scenata di gelosia, la risposta è no» risponde. «E in generale, che io sappia, la risposta è comunque no. Non credo che gli sia mai interessato, a essere sincero. È sempre stato preso dai suoi allenamenti. Forse è qualcosa che puoi capire» aggiunge guardandolo, e Link annuisce tra sé, pensierosamente. Può capirlo perché in fondo Revali è come lui: ha voluto, o forse dovuto, essere il migliore sempre, e la sua forza e la sua grandezza hanno segnato il suo destino perché ha dovuto dimostrare continuamente agli altri quanto valeva, sempre un po’ di più a misura che i giorni passavano e tutti confidavano in lui un po’ di più. Kagan lascia che quest’informazione attecchisca dentro di lui per qualche momento prima di chiedere: «Posso permettermi di dirti un mio pensiero? Sei libero di prenderlo come vuoi.»
Link aggrotta la fronte. Chissà per che cos’è che gli serve addirittura il suo permesso. «Certo.»
    Kagan sembra cercare dentro di sé le parole per articolare quello che sta pensando. Esita un momento. «So che è un finto matrimonio e tutto il resto, e non mi permetterei mai di… ma prima mi ha colpito quello che hai detto sul matrimonio. L’altra notte Revali ha percorso tra andata e ritorno, in dodici ore, una distanza che normalmente a un Rito ne richiede circa quindici. Forse può non sembrarti una grossa differenza, e di certo Revali è il migliore di tutti noi nel volo, perciò sei libero di prendere come vuoi questa informazione… ma quello che voglio dire è che in ogni caso Revali lo ha fatto per te e ha scelto di restare con te. È per questo che mi sono stupito tanto quando mi hai detto che non era un vero matrimonio: perché io per conquistare mia moglie ho fatto molto meno di questo…»
    A nessuno si dovrebbe parlare così, Link di questo ha una precisa percezione che non saprebbe giustificare ma di cui è certo: che Kagan si è spinto troppo in là, che questa opinione non spettava a lui darla; eppure non riesce a sentirsi sdegnato. Solo un po’ frastornato. Alla sua reazione e al suo silenzio, Kagan ride come per nascondere un improvviso imbarazzo. «Ho detto troppo, vero? Mia moglie dice sempre che dovrei farmi i fatti miei. Lascia che ti inviti a pranzo da noi, oggi. Per farmi perdonare…»
    «Forse dovrei andare a cercare Revali» obietta Link, più per non approfittare della sua ospitalità che perché non voglia restare; in qualche modo sente che Kagan vuole davvero che lui resti, che sente che è suo dovere, come capovillaggio, aiutare anche lui; Kagan accenna sorridendo a qualcosa fuori dalla finestra. Link guarda in quella direzione senza capire.
    «Non credo che tornerà tanto presto, sai. È partito molto presto per andare al Volodromo. Ci sei mai stato?» Link scuote il capo. «È un campo di addestramento che ha fatto costruire per permettere ai nostri ragazzi di allenarsi con l’arco e a dominare le correnti, come lo fa lui. Anche se nessuno, per il momento, è ancora riuscito a eguagliarlo in nessuna delle due discipline.» C’è un’amarezza nel suo tono che gli fa intuire che quel nessuno comprende anche lui. «Non credo che tornerà tanto presto, ma perché non lo aspetti qui?»
    Link finisce per restare lì quasi tutto il giorno: quando si alza, sua moglie Tara lo saluta con affetto come se lo conoscesse da anni; gli chiede se ha dormito bene, anche, e se ha bisogno di qualcosa per la casa, perché, dice testualmente, Revali è stato scapolo tanto a lungo che probabilmente non ha mai pensato a come organizzarsi adesso che sono in due. Glielo chiede con tanta naturalezza che Link non ha il coraggio di ammettere che non ha quasi idea di cosa ci sia in quella casa, a parte un’amaca, una brocca e un bacile, e di cosa possa mancare, o di cosa avrà mai bisogno ora che non abita nei quartieri dell’esercito e non ha un attendente; opta per una mezza verità, ossia che ancora non ha avuto tempo di ambientarsi e che chiederà a lei se avrà bisogno di qualcosa: lei sembra soddisfatta della risposta. Link non riesce a determinare se sappia che quel matrimonio è una menzogna, ma forse, semplicemente, non le importa: le interessa che si senta a casa. Link la aiuta a dare da mangiare ai bambini, quando si svegliano e accorrono nella stanza: ne hanno due. Ce n’è uno che è proprio piccolo. L’altro invece lo tempesta di domande: vuole sapere tutto delle battaglie, della sua spada, della sua buffa paravela che ha usato per planare sul villaggio; continua a domandare finché sua madre non gli ordina di andare a pescare o a giocare coi suoi amici o a fare qualsiasi altra cosa. «Scusalo» aggiunge rivolta verso di lui. «Revali è il suo idolo, perciò adesso adora anche te.»
    «Anche gli altri bambini erano molto interessati, ieri» osserva Link ricordando la festa della sera prima e la piccola che gli ha chiesto di potergli toccare le orecchie.
    Tara ride a gola spiegata. «Abbi pazienza con loro, ma non troppa. Se ti vedranno troppo disponibile, prima o poi te li ritroverai nell’amaca che vorranno vedere come dormono gli Hylia. Qualcuno è un vero maleducato, perciò non riguardarti a rimetterli al loro posto, se serve.»
    Il pensiero dell’amaca lo turba solo per un istante, ma è lieto che lei non se ne accorga. Non vuole che nessuno lo sappia.
    Li lascia nel pomeriggio. La strada che discende dalla sommità del borgo verso la casa di Revali, o quella che adesso è anche casa sua, se si sforza di pensarla così, è piena di gente, ora, e tutti lo salutano contenti e gli danno ancora il benvenuto: Link non può non ricordare a se stesso che ciò è dovuto all’ammirazione sconfinata che hanno per Revali, il loro difensore e protettore, e che ora si riversa un po’ anche su di lui. È strano, per una volta, non essere riconosciuto per i suoi propri meriti ma per quelli di qualcun altro; è talmente abituato a essere considerato l’eroe di Hyrule, colui che protegge la principessa e brandisce la Spada che esorcizza il male, che talora fa fatica a ricordarsi che per le altre genti lui non è che un piccolo cavaliere Hylia con un’altrettanto piccola spada. Il borgo brulica di vita, a quest’ora: le botteghe sono piene di gente, i piccoli Rito si distanziano e si raggiungono inseguendosi lungo le scale infinite, qualcuno grida loro rimproveri che si sfilacciano nel vento dietro di loro, inascoltati; è tutto stranamente pacifico. È bello come qualcosa che non gli appartiene ma che vorrebbe poter toccare con la mano, trattenere; e forse ora può, o potrebbe se la Calamità non si levasse sempre all’orizzonte dei suoi pensieri come un termine di tempo al di là del quale non fosse in grado di intravedere il suo futuro. Ma per la Calamità, dal suo esilio, non può fare molto, ormai. Il re ha rifiutato il suo aiuto, il suo braccio e la sua spada nel momento in cui ha deciso di prestar retta ai teologi e non più alla saggezza di Impa: questo pensiero lo addolora, nonostante tutto, perché lui non l’ha mai fatto per il re né per Zelda. L’ha fatto sempre per Hyrule.
    La casa è vuota e silenziosa come l’ha lasciata nella luce dorata del pomeriggio. Link si sofferma al centro della stanza: sente che ora può guardarsi attorno senza fretta né indiscrezione. Quella è la vita di Revali. Posa la mano su un tavolo, lascia scorrere lo sguardo sugli oggetti, sperando che gli dicano qualcosa di lui che ancora non conosce: sta lavorando a un arco, forse ha in mente di sostituire quello che usa ora, che di certo avrà vissuto, come a lui succede coi suoi scudi e i suoi archi, sempre una battaglia più di quanto potrebbe reggere; è ingombrato di corde, di strumenti per lavorare il legno. Sul tavolo più lontano dall’ingresso, invece, c’è una mappa che mostra le regioni di Colbacco e di Hebra: il Borgo dei Rito campeggia al centro, e lontano, sui monti, sono segnalati grotte e covi di nemici. Sotto una X in un angolo c’è annotato in fretta Hinox, con un punto esclamativo. Revali teme sinceramente per la sua gente.
    «Bentrovato» dice Revali alle sue spalle.
    Link si volta di scatto: questo dannato Rito e Impa sono gli unici in grado di coglierlo di sorpresa. Revali è appena rientrato: è stanco come se si fosse allenato finora. La sua espressione è indecifrabile.
    Entra dentro, lasciando ricadere la tenda dietro di sé, e inizia a sfilarsi di dosso l’arco e la faretra. Link l’osserva in silenzio senza fare domande.
    «Spero tu abbia trovato tutto quello di cui avevi bisogno. Sono stato al Volodromo. Avevo bisogno di stare un po’ per conto mio.»
    «L’ho immaginato» risponde piano Link. «Sono stato da Kagan. Lui e sua moglie sono stati molto gentili. Ho conosciuto anche i loro bambini.»
    Revali sorride. «Ah, ecco perché il loro spiumatello più grande non è venuto a vedermi allenare, oggi. Di solito quando torno al Borgo non riesco a levarmelo di torno. Oggi eri tu l’attrazione del giorno.»
    Prima che Link riesca a stabilire dentro di sé se sia qualcosa per cui debba chiedere scusa o ritenersi ringraziato, Revali si volta verso di lui e dice guardandolo negli occhi: «Parliamo un po’.»
    Link si limita ad annuire. Non vuole dir nulla finché non avrà sentito che cosa abbia da dirgli: ha sempre fatto già abbastanza fatica a decifrare le sue intenzioni così, negli anni precedenti, a parte in guerra; ma in guerra non conta, ovviamente. Ascolta.
    «Non l’ho fatto perché tu mi fossi debitore di qualcosa» dice Revali. «Naturalmente i ringraziamenti sono stati graditi, ma ora mettiamo questa storia da parte.»
    Questo è totalmente inaspettato perché di solito Revali, per quanto lo conosce, ha sempre voluto essere acclamato e lodato per qualsiasi cosa; ma quello, realizza Link d’improvviso, è in battaglia. Tutto il riconoscimento che Revali ha sempre cercato è stato per il suo arco, per le sue ali possenti e instancabili, per la sua abilità nel fare qualcosa che spera che i Rito saranno in grado di imitare quando lui non ci sarà più; di certo non per aver falsificato un certificato ed essersi inventato un matrimonio che non è mai avvenuto. Non è poi tanto strano, dopotutto. Link fa segno di aver capito.
    «Molto bene» prosegue Revali. «Quindi togliti di dosso quella faccia da cerbiatto smarrito.» Su questo Link non è sicuro di poter fare qualcosa, perché è alquanto certo che Revali si stia riferendo alla sua faccia; ma in quest’occasione gli viene risparmiata la necessità di rispondere, perciò si limita a non farlo. «Penso che ti troverai bene qui, dopo qualche giorno, e che ti abituerai in fretta. Qui non avrai il tuo cucciolo di attendente a stirarti i vestiti, ma visto che hai servito nell’esercito da prima di diventare ufficiale non credo che avrai problemi. Comunque, se dovesse proprio servirti qualcosa, chiedi.»
    Link ritiene che questo sia il momento migliore per sollevare un problema che lo angustia ormai da ore.
    «Revali, ascolta. Dovremo trovare una soluzione per quanto riguarda…»
    Peccato che quello sia, evidentemente, anche un problema su cui Revali non è disposto a discutere né a cercare una soluzione.
    «Non intendo procurarmi un’altra amaca e dichiarare pubblicamente che non dormo con mio marito» scandisce chiaramente. «Come abbiamo fatto stanotte andrà benissimo per qualche tempo. Non è nemmeno detto che questa situazione sarà eterna.»
    Certo, non è detto che sia eterna: con un po’ di fortuna la Calamità li sorprenderà prima e moriranno tutti prima che la situazione possa diventare insostenibile. A volte Link non riesce a capacitarsi di quanto possa essere ottuso questo dannato Rito.
    «Almeno lascia che sia io a dormire sul pavimento.» Sa che insistere con lui equivale a soffiare forte su un fuoco incontrollato, ma su questo non può né intende soprassedere. «Sono stato soldato semplice per anni, sono abituato a dormire anche sul…»
    Revali non risponde subito. Lascia che la sua voce si spenga semplicemente perché Link la sente inutile come onde contro gli scogli: dopodiché Revali si avvicina a lui, lo guarda negli occhi e risponde: «No.»
    Con questo dannato Rito non c’è verso di discutere. Anche quella notte perciò Link si corica dopo una cena a base di pesce e di riso bollito sull’amaca che oscilla nella notte, sentendosi un po’ in colpa; a pochi passi da lui Revali si siede vicino al braciere, con le spalle appoggiate al muro, e si mette a lavorare sull’impennaggio delle sue frecce. Questa notte, chissà perché, Link non abbassa la tenda che separa le due stanze.
    «Hai sempre costruito da solo tutti i tuoi archi?»
    Questo è un argomento di cui Revali non sembra tanto seccato di parlare. «No, non sempre. Quando ero piccolo ho ricevuto in regalo il mio primo arco rondine come tutti i ragazzini. Ho cominciato a costruirne altri quando quello non è stato più sufficiente per me.»
    «E le frecce, anche?»
    Revali sorride come per un ricordo. «Quelle sempre. Anche quand’ero un bambino, prima ancora d’imparare a tirare come si deve.»
    «Revali, perché mi hai salvato?»
    Le parole di Kagan echeggiano nella sua testa ormai da stamattina: Link aveva bisogno di chiedere. Revali si ferma per un momento nel buio.
    «Credevo che avessimo deciso di mettere da parte questa storia.»
    «Hai detto che non volevi che ti ringraziassi oltre, ma io non ti sto ringraziando. Sto ai patti, come vedi.»
    Revali tace nell’ombra. Alla luce delle braci morenti, Link intravede solo il suo profilo e il riflesso verde dei suoi occhi.
    «Tu perché hai chiesto di me, quel giorno a Hebra?»
    «Non ricordo di averlo fatto.» Link aggrotta la fronte perché vorrebbe, veramente, ricordare quel momento. «Tu sai precisamente che cosa ho chiesto?»
    «No. Il tuo attendente è venuto a cercarmi nell’accampamento e ha detto soltanto: il Capitano ha chiesto di voi. Vi prego, venite, perché credo che stia morendo.» Lo dice con un tono che imita molto da vicino quello di Lelek, e Link sorride nell’ombra perché è tutto molto realistico.
    «E tu sei venuto.»
    «Certo. Magari in punto di morte volevi ammettere che ero il più grande guerriero che tu avessi mai visto.»
    «L’ho fatto?»
    «Sono certo che tu volessi, ma sei rimasto fuori combattimento per due o tre giorni. Al tuo risveglio, probabilmente, te n’eri dimenticato.»
    «È possibile» concede Link, che non può escluderlo dal momento che non se lo ricorda. «Non credo fosse per quello, però. Non so perché io abbia chiesto di te, Revali. Mi dispiace.»
    «Fai un’ipotesi, allora.»
    Link si sforza d’immaginare così, al buio, per quale motivo possa aver cercato Revali mentre agonizzava nella sua tenda cogli intestini appena ricuciti. D’un tratto, in modo del tutto inaspettato, gli viene in mente qualcosa che in tutto quel tempo ha sempre saputo ma cui non ha mai prestato attenzione. «Sei stato tu ad andare a chiamare Mipha quel giorno. Me lo ha detto Lelek mentre ero disteso a terra. Continuava a ripetere che eri andato a chiamarla»
    Revali pare in difficoltà come se non avesse mai pensato che questo potesse venirgli rinfacciato. «Certo che l’ho chiamata. Se ti aspettavi che mi sedessi a terra con te a importi le mani o a ricucirti il buco nell’addome, per quanto mi riguarda potevi aspettare per tutta la vita. Anche perché, francamente, eri immerso nella tua merda.»
    Link non avrebbe mai potuto immaginare di ridere di quel ricordo che è forse uno dei più drammatici della sua vita. Dal punto di vista di Revali, però, è assai più divertente.
    «Forse volevo ringraziarti» ipotizza per rispondere alla sua domanda.
    «Mi aspettavo che avresti detto così. Banale, ma credibile.»
    Il tono in cui ha detto quel banale non gli è piaciuto. «Magari volevo solo che tu fossi lì.»
    Cala il silenzio tra loro, per un po’. Link non riesce a credere di averlo detto.
    «Tautologico, non credi?» mormora Revali senza guardarlo.
    «Un po’» borbotta Link che non vuole dargliele tutte vinte in questo matrimonio.
    «Ti ho salvato perché non volevo che tu morissi» dice Revali bruscamente.
    Link rimane disteso a oscillare pigramente nell’amaca, guardando il soffitto della capanna. «Tautologico, non credi?» risponde a bassa voce.
    Entrambi sembrano convenire che parlare di retorica è troppo pericoloso.
   
 
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