Capitolo 65
Un amore a Fossoli
“Suona, risuona il mare lontano.
Questo è un porto.
Qui ti amo.
Qui ti amo e invano l’orizzonte ti nasconde.
Ti sto amando anche tra queste fredde cose.
A volte i miei baci vanno su quelle navi gravi,
che corrono per il mare verso dove non giungono.
Mi vedo già dimenticato come queste vecchie àncore.
I moli sono più tristi quando attracca la sera.
La mia vita s’affatica invano affamata.
Amo ciò che non ho. Tu sei così distante.”
Pablo Neruda, Qui ti amo
Immagine dal film “Il club del libro e della torta di
bucce di patata di Guernsey”
Castellammare di Stabia, 28 aprile 1946
Miei
cari,
vi
scrivo guardando dalla mia finestra lo spettacolo del sole al tramonto che si
specchia sul mare tra le barche ormeggiate nel porto con il Vesuvio che fa da
sfondo. Quanto vorrei che foste qui con me!
Non
saprei da dove cominciare a raccontarvi gli accadimenti di questi ultimi
difficili anni, ma lo farò partendo dal mio oggi per darvi conforto.
Sicura
che avreste approvato la mia scelta, ho deciso di trasferirmi nella città
natale del signor Gennaro che mi ha proposto di lavorare come cameriera al Gran
Cafè, dandomi anche ospitalità in un piccolo appartamento vicino alla Torre
dell’Orologio.
Non
sono sola. Con me abita Hannah, la figlia dei nostri vicini di casa che ho
ritrovato non appena sono tornata a Roma e che oramai è diventata come una
sorella. In questo momento, mi sta porgendo una tazza di tè caldo che ha
preparato anche per me.
Sono
molto grata. Come papà aveva previsto, il signor Gennaro ha saputo proteggere
la nostra casa e tutto ciò che ci apparteneva è tornato ad essere nostro. è davvero una persona tanto cara e,
assieme a sua moglie, si preoccupa affinché non mi manchi nulla. Qui tutti sono
oltremodo affabili e solari e mi fanno sentire in famiglia.
Nulla
mi è mai mancato in questi anni, anche quando mi trovavo nel campo di transito
a Fossoli, dove, lavorando come cameriera, mi sono guadagnata il necessario per
vivere dignitosamente e lì sono rimasta finché i partigiani non hanno liberato
una gran parte di noi.
Questi
mi hanno poi affidata ad una famiglia di antifascisti sull’Appennino modenese,
marito e moglie sulla sessantina, due persone squisite e disponibilissime che
tenevano già nascosta nel loro seminterrato una bambina ebrea milanese di
cinque anni dai grandi occhi scuri, bellissimi. Si chiamava Maria Luisa e con
lei sono rimasta fino alla fine della guerra.
Proprio
qualche settimana fa, con mia grande gioia e stupore, sono venuta a sapere
tramite corrispondenza che la piccola ha riabbracciato i suoi cari e spero e
prego che questo possa accadere presto anche a noi.
Di
tanto in tanto, dai vicoli della città si odono le voci di gente festante e
musica di tamburelli, talora per il ritorno di un soldato, altre volte per il
rimpatrio di un prigioniero di guerra e sempre il cuore si riapre alla speranza
per noi e per tutte quelle persone che ho incontrato lungo il mio tortuoso cammino
e che hanno saputo mitigarne le asperità facendomi sentire meno sola.
Intanto,
vi abbraccio forte col pensiero, affinché possa raggiungervi tutto il mio amore
ovunque voi siate.
Vostra,
Sarah
Mentre
leggeva la lettera di Sarah, Hermann poteva udirne la voce, delicata e
risoluta, e rivederla nei gesti, nello scrivere appoggiata a un tavolo dinanzi
alla finestra coi capelli lunghi a ombreggiare il foglio e nel sorridere
sospirando grata all’amica, e negli avvenimenti da lei raccontati, dal suo
ritorno a Roma, passando per la prigionia nel campo di Fossoli e nel
nascondiglio sull’Appennino modenese, sino alle scene di ricongiungimento alle
quali aveva assistito nella ridente provincia di Napoli.
Nelle
sue parole non v’erano velature d’odio né di sentimento di vendetta e del suo racconto
aveva filtrato gli accadimenti, smorzando al meglio le asperità del passato.
Le
sue erano parole di speranza e d’amore volte a proteggere i suoi cari e, tra le
righe del suo racconto, di lui non v’era neanche un accenno mistificato.
Sarah
s’era soffermata sulla premurosità di un tal signor Gennaro e di sua moglie,
sulla cordialità delle persone, sulla gentilezza della famiglia modenese e
persino sulla forma e il colore degli occhi di una bambina, omettendo però l’esperienza
di un amore a Fossoli.
Di
lui avrebbe potuto accennare, cambiandone il nome, la patria, il ruolo
all’interno del campo e, mentre il cervello s’arrovellava in tali congetture,
la paura che Sarah lo avesse dimenticato gli strinse il cuore in una morsa.
Si
piegò su se stesso, premendo i gomiti sulle ginocchia
e sulla fronte la lettera dove gli pareva ch’ella avesse lasciato impresso il
sigillo del suo profumo, dei suoi aneliti, del tocco delle sue mani.
Castellammare
di Stabia, 28 aprile 1946
Una
mano scorreva fluida sul foglio a scrivere per i suoi cari parole esprimenti
una più accomodante e consolatoria verità, mentre l’altra poggiata sopra ne
sosteneva un’estremità spiegazzandola leggermente.
A
distrarla, ispirandola a un tono carezzevole, v’erano il gioco di luci e ombre
al tramonto che penetrava dalla finestra aperta e l’andirivieni di Hannah alle
sue spalle che s’affaccendava vicino ai fornelli.
Fra
i tanti appellativi di cui godeva, Castellammare era denominata anche «la città
dei tramonti», vantando un panorama mozzafiato durante ogni tramonto, mai
uguale, sempre emozionante.
La
brezza di mare soffiò fra i capelli che ricadevano sul foglio, vento fresco
eppur piacevole che, assieme al ricordo, raggricciò i centimetri di pelle
scoperta, mentre s’apprestava a mutilare la sua verità su Fossoli. E tacque su
quanto fosse stato per lei scintilla di bene nel buio del male antisemita,
sofferenza e desiderio nei giorni e nelle notti altalenanti tra delusioni e
speranze, amore nell’odio, Hermann.
“Ci vorrebbe un mare dove naufragare
come quelle strane storie di delfini che
vanno a riva per morir vicini e non si sa perché
come vorrei fare ancora, amore mio, con te.
Ci vorrebbe il mare per andarci a fondo
ora che mi lasci come un pacco per il mondo.
Ci vorrebbe il mare con le sue tempeste
che battesse ancora e forte sulle tue finestre.
Ci vorrebbe il mare dove non c’è amore,
il mare in questo mondo da rifare.”
Marco Masini, Ci vorrebbe il mare