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Autore: Tynuccia    11/03/2024    1 recensioni
[Gundam SEED Freedom] Dearka e Shiho scattarono sull'attenti e si scambiarono un'occhiata. Quella che poteva essere una grande vittoria per i PLANT si stava trasformando in uno sgradevole incubo.
Genere: Azione, Generale, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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Capitolo 2 
Mirino
 
 
 
La hostess camminò fino alle poltroncine, regalando loro un sorriso che era tutto zucchero e professionalità. "Stiamo per iniziare le procedure di atterraggio", comunicò con un tono di voce gentile, ed i suoi occhi chiari indugiarono sulla figura di Garcia, ma non aggiunse nulla di diverso dalle frasi che era stata istruita a sciorinare. "Posso portarvi qualcos'altro?".
 
Waltfeld si limitò a mandare giù le ultime gocce di caffè nella sua tazza. Non era interessato a trovare una compagna, non dopo il disastroso modo in cui la donna della sua vita se ne era andata, ma l'elegante ambiente di quello shuttle privato lo aveva reso oltremodo audace. "No, grazie", rispose, le labbra incurvate all'insù che rilasciarono una risata roca. "Siamo stati due ospiti inusuali, hm? Io con il mio caffè, e lui con il suo succo d'arancia".
 
Come da copione, la ragazza si esibì in un verso civettuolo e scosse il capo, i boccoli magenta della sua lunga coda ondeggianti. "Per una volta che non ho a che fare con passeggeri ubriachi e molesti? Non sono così folle da lamentarmi". Fece un cenno del capo, lasciando un'ultima occhiata all'uomo del momento, e li lasciò nuovamente soli.
 
Waltfeld colse come anche Garcia avesse fatto dono di uno sguardo lusinghiero all'attendente di volo mentre spariva oltre la porta scorrevole, e non nascose il suo divertimento. "Assurdo", mormorò, pizzicandosi il naso. "Quando è uscita la notizia del tuo ritrovamento, l'informazione che ha attecchito maggiormente è che tu non fossi sposato".
 
Hank rise, leggero, e roteò il bicchiere che aveva in mano. "Immagino che sia più rassicurante rispetto all'idea di un prigioniero di guerra torturato in continuazione", ragionò, tornando serio. Preferì posare lo sguardo oltre il finestrino, scorgendo in lontananza le Clessidre. "Non è forse lo specchio perfetto della società di PLANT? La supponenza di essere migliori degli altri, a scapito delle cose realmente importanti?". I suoi lineamenti si indurirono, e preferì stemperare la situazione con una scrollata di spalle. "Probabilmente sarò sommerso da donne bellissime, povero me".
 
Il Comandante, a cui non era sfuggito il tono gelido mentre parlava dei loro compatrioti, decise di non dare troppo peso alla questione, ma dissimulò con una sonora pacca sulla spalla del suo sottoposto, reggendogli il gioco. "Lasciane qualcuna anche a chi non ha la tua fama", gli consigliò con fare cameratesco, quindi rimase con la mano sulla sua uniforme. "Però, sappi che, se hai bisogno di parlare di quello che ti è successo laggiù, sarai seguito egregiamente. So che ci sono cicatrici invisibili che faticheranno a rimarginarsi, e lasciarti annegare nell'amarezza non ti farà affatto bene".
 
Garcia guardò l'uomo con gratitudine, nonostante tutto. Ai tempi l'aveva seguito fidandosi ciecamente di quel soldato scaltro e buono, ed il suo stomaco si strinse. Osservò la cicatrice che gli chiudeva l'occhio sinistro, e il bastone appoggiato al sedile, e pensò che era tutta una follia. Nel rapporto che aveva pigramente sfogliato c'era scritto che anche la Tigre del Deserto aveva quasi perso la vita nella battaglia di Tabadiya, e che per un certo periodo era stato etichettato come nemico di ZAFT per l'aiuto fornito alla Fazione Clyne. Similmente, durante la seconda guerra, aveva continuato la collaborazione con la ex-idol, perpetrando il suo ruolo di traditore di PLANT. Non erano simili, i loro percorsi? Conoscendo il Comandante, all'epoca doveva aver avuto soltanto nobili ragioni per ribellarsi alla mano che l'aveva nutrito, un fine salvifico, e non di distruzione. In quello differivano, ne era conscio, ma per il resto faticava a provare l'astio che avrebbe dovuto. "Certo", accettò di buona lena per non farlo impensierire con il suo prolungato silenzio. "Me l'hanno consigliato anche a Gibilterra, ma prima vorrei vedere che impatto avrà su di me la quotidianità, signore". 
 
Soddisfatto, Andrew annuì e lasciò cadere la mano. "Forza, allacciamoci le cinture. Non vorrei che la tua ammiratrice tornasse per sgridarci. Sempre che la cosa non ti stuzzichi, ovvio".
 
Garcia si limitò a gracchiare l'ennesima risata di circostanza, mentre il sapore acre della bile gli infiammava la gola.
 
*
 
"Non è triste?".
 
Kira Yamato scostò lo sguardo sulla ragazza alla sua sinistra, un sopracciglio sollevato. Lacus se ne stava con le mani piegate in grembo, ed il suo bel profilo appariva tormentato in qualche modo. "Che cosa?".
 
"Non ha nessuno, quell'uomo", disse lei in un sospiro melodioso. "Lo shuttle sta atterrando, e ci siamo solo io e te, ad attenderlo. Trovo che sia una situazione alquanto malinconica".
 
Il Comandante Yamato non replicò, ma si limitò ad allungare un braccio per intrecciare le loro dita. Ormai su PLANT si parlava solo di Hank Garcia. Vita, (quasi) morte, e miracoli. Tutte notizie che erano abilmente ricamate attorno al fulcro della sua popolarità, passato quasi in secondo piano rispetto ai pettegolezzi. Quindi Kira, per quanto poco interessato alla cronaca scandalistica, sapeva perfettamente che il padre di Garcia, un alto ufficiale di ZAFT, aveva perso la vita quando Hank era ancora un bambino, mentre sua madre era morta qualche mese dopo Tabadiya per crepacuore. 
Capiva, dunque, cosa rendesse la sua compagna tanto miserabile, e lui stesso avvertì una sensazione raggelante, strascico degli orrori visti durante le guerre. L'impotenza di fronte alle disgrazie era una costante dei suoi incubi, dopotutto. 
 
Lacus poggiò la testa sulla sua spalla e socchiuse gli occhi. "Grazie per essere venuto qui con me", mormorò, lieve e gentile. Sapeva che Kira era terribilmente impegnato, era l'elefante nella stanza di cui non parlavano mai. Soprattutto perché non ne avevano il tempo materiale. "Significa molto", aggiunse, sperando che potesse fargli carpire quanto, davvero, avesse a cuore il suo supporto. 
 
Il ragazzo sorrise, stringendole la mano con garbo, ma non le disse nulla. Certo, l'aveva fatto per una questione di rappresentanza, ma il vero motivo che l'aveva spinto a presentarsi al porto di Aprilius per accogliere Garcia era che, in qualità di membro dell'equipaggio dell'Archangel, aveva preso parte alla battaglia di Tabadiya, e una piccola parte di sé temeva che ad aver fatto esplodere il BuCUE del Caporale, facendolo finire in mano ai Blue Cosmos, fosse stato lui stesso. Il pensiero lo lasciava inquieto, e sapeva che se avesse esternato quella preoccupazione ad alta voce avrebbe soltanto dato il via ad una catena di frasi fatte e malcontento generale. Doveva lasciarsi il passato alle spalle, ne era conscio e ci provava, ma quando episodi risalenti ad anni prima si presentavano tanto prepotentemente, il Comandante Yamato doveva fare i conti col giovane, inesperto ed insicuro soldato semplice Yamato, che dal raid di Heliopolis si era ritrovato catapultato in una situazione ben più grande di lui.
 
Due lievi colpi alla porta li fecero separare, giusto in tempo perché Lio Mai, la segretaria di Lacus, facesse capolino. "Presidente, lo shuttle è atterrato", li informò. "L'auto è pronta e vi aspetta per portarvi alla pista".
 
La ex idol annuì e si alzò, seguita dal suo compagno. "Andrà tutto bene", mormorò, e lui non seppe se stesse provando a infondersi da sola del coraggio, o se avesse captato il suo turbamento, senza che avesse avuto il bisogno di esternare i suoi sentimenti.
Kira le regalò un sorriso carico di gratitudine e annuì, sperando sinceramente che lei avesse ragione. Come sempre.
 
*
 
Hank non tornava in patria da più di tre anni, e l'effetto che ebbe mettere il piede fuori dallo shuttle fu assolutamente mozzafiato. Per prima cosa notò il paesaggio perfetto e artificiale, dove neppure un filo d'erba era fuori posto. Nei momenti iniziali della sua prigionia si era spesso ritrovato ad anelare a quella vista rassicurante e a regola d'arte, la medesima con cui era cresciuto, e che aveva giurato di difendere con la sua stessa vita, ed il pensiero che, ora, la sua missione era distruggerla lo rendeva malinconico, come se stesse ricordando i bei tempi andati, persi per sempre;
secondariamente, la sua attenzione venne attirata dal numeroso gruppo di giornalisti, accorsi sul posto per immortalare il rientro di un eroe. Da anonimo soldato era diventato l'uomo del momento, con tutti i benefici e gli svantaggi di sorta. Sentiva il suo nome acclamato, alla pari di una rockstar, e le domande urlate al suo indirizzo erano tante da mischiarsi nell'aria e formare un brusio indefinito.
 
"Sciacalli", commentò sottovoce Andrew, schioccando la lingua sul palato. 
 
Hank gli rivolse l'accenno di un sorriso, e dentro di sé la convinzione che tutto quello dovesse terminare si fece ancora più forte. Stupidi, ipocriti Coordinator. Se avesse potuto tornare indietro nel tempo, e scegliere personalmente, non avrebbe mai concesso la manipolazione dei suoi geni. Era tutta una vetrina, dove la notizia del giorno era destinata ad essere soppiantata ben presto da qualcosa di più succulento. Di norma gli sarebbe capitata la medesima cosa, salvo che, se tutto fosse andato per il verso giusto, il suo nome sarebbe stato marchiato a fuoco tra le pagine della storia. 
Quindi, con quella risoluzione che lo aveva tenuto in vita, si costrinse a comportarsi come loro avrebbero voluto: l'intrepido, mansueto e umile Caporale, al settimo cielo per essere sfuggito all'inferno, di ritorno sulle amate Clessidre. Azzardò perfino un saluto con la mano, che fece ridere il suo accompagnatore.
 
"Sembri essere nato per stare sotto le luci della ribalta", notò Waltfeld, che invece non stava minimamente prestando attenzione ai giornalisti. 
 
"Immagino che sarà tutto più semplice, se do loro quello che vogliono", fu la pratica risposta di Garcia. "L'ultima cosa che voglio è dover leggere titoli in cui mi definiscono un freddo ed ingrato psicopatico". Il fatto che lo fosse davvero, però, sarebbe uscito più in là con il tempo.
 
Andrew continuò a sghignazzare. "Devo ammetterlo. Quando eri sotto il mio comando non brillavi particolarmente per iniziativa, o carisma, ma adesso mi sembra di avere a che fare con una persona completamente diversa". Fece una pausa, chiudendo l'unico occhio che gli era rimasto. "E forse lo sei, con tutto lo schifo che ti è capitato".
 
"Ammetto di essere cambiato", assicurò Garcia, rimanendo sul vago di proposito. Una mezza verità per ritagliarsi del tempo prezioso; per tenere buoni gli altri e confermare la storia che volevano sentire. 
 
Oltre le transenne, il brusio delle troupe giornalistiche si intensificava, man mano che i due e la scorta si avvicinavano al palco allestito ad hoc vicino all'uscita, dove l'inconfondibile figura di Lacus rimaneva in attesa che li raggiungessero. Ai tempi della sua incondizionata fedeltà a ZAFT, Garcia era stato ammaliato dal suo personaggio, come tutti i Coordinator che conosceva, e probabilmente avrebbe gongolato come un ragazzino alla prospettiva di poter incontrare la idol più amata dei PLANT. Quando si trovò davanti a lei, intenta a sorridergli gentilmente, provò per un istante quello stesso sentimento puro ed ammirato. Scattò sull'attenti, posando lo sguardo sul ragazzo alle spalle di Lacus. Immediatamente tutti buoni propositi si infransero, riconoscendo in lui Kira Yamato. Un Coordinator che aveva combattuto al fianco dei Natural, esattamente come lui, ma con la differenza che non sarebbe stato ricoperto di gloria dal governo. 
 
"Caporale Garcia, è un piacere, e un onore, averla nuovamente con noi", stava dicendo intanto Lacus, con la voce melodiosa che aveva potuto sentire soltanto nelle varie trasmissioni televisive. 
 
"Altrettanto, Presidente Clyne", rispose lui, mettendosi a riposo e scatenandole una piccola, adorabile risata.
 
"Quello era mio padre. Può chiamarmi per nome, non la vedrò come un'offesa", assicurò la giovane, inclinando il capo. "Come si sente? Il viaggio è stato piacevole?".
 
Domande di routine. Di cortesia. Hank annuì, preferendo rimanere taciturno, mentre i suoi occhi gialli indugiarono sulla figura del compagno di Lacus, che sotto quello scrutinio proferì parola per la prima volta e gli tese una mano. La strinse, forse troppo vigorosamente, perché il giovane non mascherò la propria sorpresa, ma oltre a quello non manifestò ulteriore fastidio. "Sono Kira Yamato", si presentò lui. "Ho preso parte alla battaglia di Tabadiya a mia volta", aggiunse, ed il suo sguardo si posò su Waltfeld, che annuì, a conferma della cosa. 
 
"Il pilota dello Strike, certo", confermò Hank, con voce amicale sebbene non fosse affatto sereno nello scambiarsi convenevoli con quel moccioso che, a bordo del Gundam, aveva sparato contro il suo BuCUE. Nei suoi occhi saettò la consapevolezza, e il Caporale decise di rassicurarlo con una menzogna. "Per fortuna che non ho avuto modo, ai tempi, di incrociare le armi con lei, Comandante. Non sarei qui a raccontarlo".
 
La tensione nelle spalle di Kira sembrò sciogliersi, e Andrew esplose nell'ennesima risata. Il suo atteggiamento gioviale era l'unica cosa rimasta immutata negli anni. "O forse sì, dopotutto a me è successo il contrario".
 
"Waltfeld-san", fece Lacus, apparentemente e modicamente divertita, come se l'oggetto della discussione fosse una battuta un po' troppo provocante e non il fatto che, per mano di Kira, il suo ex Comandante avesse perso, in un colpo solo, un occhio, un braccio, il pieno utilizzo della gamba e l'amore della sua vita. Hank valutò che per loro fosse acqua passata, e si chiese come diavolo potessero scherzare sull'argomento con tanta facilità. Perfino Yamato, con la sua espressione benevola e quasi timida, non gli sembrò particolarmente scioccato da quella frecciatina. Perché se il giovane non avesse azzoppato il suo Mobile Suit, i Blue Cosmos non avrebbero prelevato il suo corpo dalla sabbia, e non gli sarebbero toccate le torture, e le interminabili giornate all'interno di un bunker senza finestre. 
 
"Siamo stati scelti da leggi più grandi di noi, Henry. Anche le miserie, alla fine, convergono in un punto fisso. Quello del proprio destino compiuto".
 
Le parole gli risuonarono nella testa, fottutamente convincenti come la prima volta che le aveva udite. Fu grazie ad esse che riuscì a fingere una risata, unendosi agli altri tre. 
 
"Presidente", mormorò una ragazza dai capelli corvini ed un completo verde acqua, avvicinandosi a loro con la testa bassa. "I giornalisti vorrebbero che il Caporale rilasciasse una dichiarazione, dopo un suo cappello introduttivo".
 
Lacus annuì e si avvicinò al podio. In quell'istante le macchine fotografiche cominciarono a scattare, i flash quasi accecanti che ricordarono ad Hank il bagliore della lampadina della sua cella che veniva accesa nei momenti meno opportuni. "Caporale Garcia", cominciò a dire quindi la ragazza, "come Presidente dei Compass, ma suppongo anche a nome del governo di PLANT e tutta la nazione, ho il privilegio di darle il bentornato". Si volse a guardarlo, gli occhi chiari e trasparenti. "Le va di dire due parole?".
 
Dai giornalisti e dai membri dell'esercito si levò un applauso scrosciante, unito alle note di un'allegra fanfara, come se fosse stata una parata di vittoria. Hank si limitò a portarsi vicino a lei, e l'intensità del battito delle mani aumentò. Le fece un cenno, e d'improvviso si ritrovò solo di fronte a quel pubblico affamato. Di lui, della sua miracolata presenza, della sua immagine che, fino a qualche giorno prima, sarebbe stata ignorata. "Grazie, Lacus-sama", disse, quindi afferrò il podio, abbassandosi per parlare direttamente al microfono. "Non sono mai stato troppo bravo con i discorsi, ma suppongo mi tocchi". Si levarono delle risate di circostanza. "Vorrei ringraziare, anche, tutti i membri della task force che mi hanno salvato. Senza l'eccellenza di ZAFT, a quest'ora sarei ancora a marcire in un buco". Fece una pausa, e le sue nocche divennero bianche dalla forza con cui si stava aggrappando al legno. "Sono un uomo fortunato. Ed è bellissimo essere a casa".
 
Casa. Un concetto che non gli era familiare da troppo tempo. Da quando si era arruolato nell'esercito per la causa e per la vocazione dei suoi parenti. Da quando, poco più che adolescente, si era iscritto in Accademia e, da lì, le mura domestiche erano state stanze asettiche a scuola, prima, e nelle basi militari, dopo, fino a ritrovarsi in una prigione sotterranea. 
 
Avrebbe voluto tornare su November, ma la sua missione lo costringeva su Aprilius, e nessuno ebbe nulla da obiettare sul suo desiderio di prolungare la permanenza nella capitale. Waltfeld lo accompagnò personalmente agli alloggi dei soldati di ZAFT, una notizia che evidentemente era già trapelata ai media, perché anche lì trovarono i giornalisti in attesa di uno scatto che avrebbe fatto vendere migliaia di copie al proprio tabloid. 
 
"Aveva ragione, signore", disse Hank, prima di scendere dall'auto. "Dei veri e propri avvoltoi".
 
Andrew sospirò, ed aprì un dossier che aveva in grembo. Gli consegnò una chiave magnetica. "Il tuo appartamento è l'H-2. La guardia ti darà ulteriori dritte in merito. Ovviamente mi è stato detto di riferirti che, se avessi desiderio di rientrare nell'esercito, saresti il benvenuto. Domani dovrai recarti allo Stato Maggiore per un interrogatorio. Una formalità". Frugò nella tasca dell'impermeabile blu polvere che indossava e gli tese un telefono cellulare. "Anche la tecnologia è cambiata, in questi anni, ma sono certo che non avrai problemi ad adattarti". Sorrise, perché quelle parole nascondevano un significato più profondo che scoprire le impostazioni digitali del nuovo palmare. "Ho già inserito il mio numero. Non esitare a chiamarmi, se dovessi averne bisogno".
 
Hank ricambiò il sorriso e gli strinse la mano, sperando che Andrew Waltfeld tornasse al più presto su Orb e non finisse vittima del pandemonio che avrebbe fatto scoppiare. Tra tutti, ragionò, era colui che meno se lo meritava.
 
*
 
Accasciato sulla ringhiera del ballatoio, Dearka Elthman emise una risata, il mento appoggiato agli avambracci, mentre Hank Garcia era in coda per passare sotto il metal detector all'ingresso dell'edificio. "Che superstar", mormorò, seguendolo con lo sguardo. "Potrei quasi essere geloso delle attenzioni che riceve".
 
"Stiamo parlando di un sospetto terrorista", sibilò Yzak, affatto divertito dalle leggerezze del suo migliore amico. "Per una volta, sii professionale".
 
"Signorsì", replicò il biondo, fingendo rigore. "Anzi, a tal proposito, avrei un suggerimento". Vide l'albino sollevare un sopracciglio, invitandolo a continuare. "Al posto di scervellarci su come prenderlo in castagna su eventuali minacce a livello nazionale, forse dovremmo sfruttare il fatto che il Caporale sia belloccio". Arricciò le labbra in un'espressione furba. "Sai, un po' di alcol, la promessa di una serata intrigante, e potremmo estorcergli una confessione con i fiocchi".
 
Yzak imprecò, imponendosi di non afferrarlo per il colletto e scuoterlo violentemente. "Bella idea di merda", lo rimproverò. "Sai che sono contrario a quelle signorine di cui ti avvali e che chiami spie dormienti". In tutta sincerità, le conoscenze di Dearka nell'ambiente delle escort avevano risolto più di qualche situazione spinosa con personaggi di dubbio gusto, ma dubitava che certe strategie potessero attecchire con qualcuno che, se davvero stava facendo il doppio gioco, potesse essere tanto ingenuo da farsi sfuggire dettagli tanto sensibili. 
 
Dearka fece spallucce, quindi lanciò un'occhiata al Maggiore Hahnenfuss, che se ne stava con le braccia conserte e lo sguardo puntato sul Caporale, ora impegnato ad appuntarsi al bavero del blazer un cartellino giallo che l'avrebbe etichettato come visitatore. "Un po' di supporto da parte tua sarebbe una meraviglia", le disse. "Insomma, sei una secchiona, avrai sicuramente memorizzato il suo fascicolo, e avrai visto le foto delle cicatrici su quel torace palpitante. Non senti il bisogno femminile di toccargliele?".
 
"No".
"Sicura? Perché una volta mi hai detto che quella di Yz— AHIA".
 
Yzak osservò stranito come la solitamente mansueta Shiho avesse appena pestato un piede al Capitano Elthman. "Vi sembra il momento di bisticciare come poppanti?", sbraitò, quando si fu scrollato di dosso la sorpresa. "E, se vogliamo mettere i puntini sulle i, non permetterei mai che la Hahnenfuss diventi una sottospecie di femme fatale che allarga le cosce in una missione a luci rosse. Non siamo quel tipo di squadra".
 
"Peccato", disse Dearka, apparentemente non furioso per l'assalto fisico della collega. "Tutto quel ben di Dio sprecato".
 
"Di cosa stai parlando?", si incuriosì Yzak, facendolo ridere e strappando un sospiro profondo alla sua sottoposta. 
 
"Il Comandante Joule ha ragione. Non è il momento". Shiho si schiarì la gola. "Non vorremo fare tardi al nostro stesso interrogatorio".
 
"Ben detto", approvò l'albino, quindi partì alla volta della sala prenotata dalla sua assistente, lasciando dietro di sé i suoi sottoposti.
 
Dearka passò un braccio attorno alle spalle del Maggiore, il suo sghignazzare uno strascico dell'ilarità di poco prima. "Non preoccuparti. Un giorno si renderà conto che sei una ragazza molto attraente".
 
"Spero che ci arriverai vivo, perché ora come ora vorrei soltanto strangolarti", ritorse Shiho, profondamente indignata.
 
"Però pensaci", insistette il biondo. "Yzak è estremamente competitivo, e checché ne dica, è immensamente protettivo nei tuoi confronti. Vederti tra le braccia di un uomo che, al momento, odia più di Athrun Zala potrebbe svegliarlo definitivamente".
 
Lei si morse il labbro inferiore, trattenendo a stento la stizza. Quel piano così arzigogolato aveva un fondo di verità, ma non avrebbe mai mandato all'aria una missione tanto sensibile soltanto per far ingelosire quello stitico emotivo di cui si era innamorata. Che Dearka, poi, avesse perfino la faccia tosta di proporlo come se fosse stata un'idea brillante aveva dell'assurdo. "Grazie", si limitò a mormorare. "Perché mi hai innervosita al punto che potrò fare un ottimo lavoro come poliziotto cattivo. Mi basterà immaginare che, al posto dell'imputato, ci sia tu. Sarà già un successo se non gli metterò le mani addosso".
 
"Ehi, magari gli piace", considerò Dearka con fare innocente ed ignorando volontariamente l'occhiata assassina che ricevette in cambio.
  
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