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Autore: Duevite    11/03/2024    0 recensioni
Gabrielle è una ragazza di 29 anni che, all'ultimo giorno di tirocinio della sua facoltà, fa un incontro strano o meglio, stranamente speciale.
Un incontro che si porterà dietro per un po' di tempo.
Un incontro che le farà di nuovo provare qualcosa.
Un incontro che cancellerà gli anni di delusioni e di dolori provati a causa di persone sbagliate.
Un incontro che la aiuterà a scoprire sé stessa.
Un incontro che non dimenticherà mai più.
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Quando, quella mattina, la mia sveglia suonò mi sentii pervasa da un numero alto di strane emozioni.
Era l’ultimo giorno del mio ultimo tirocinio in ospedale, dopodiché avrei dovuto solo scrivere la tesi e fare l’esame per l’abilitazione alla professione di ostetrica.
Avevo passato gli ultimi tre anni ad ammazzarmi, tra lezioni, esami e tirocini e adesso che ero arrivata alla fine non sapevo bene che emozioni provare.
Mi alzai velocemente dal letto, volevo arrivare il prima possibile per potermi godere la giornata dall’inizio fino alla fine.
Andai in cucina, diedi un saluto veloce al mio cane e presi una grossa tazza di caffè bollente.
Dopo circa un’ora ero fuori casa che mi dirigevo verso la macchina.
Mi sembrava così strano percorrere quella strada per l’ultima volta da tirocinante.
Non avevo idea di dove sarei andata a finire una volta laureata, in quale ospedale, di quale città, di chissà quale regione e ancora di più per quanto tempo.
Speravo con tutta me stessa di riuscire ad andarmene da lì per un lungo periodo, avevo voglia di viaggiare, avevo voglia di vivere in un altro posto, di conoscere, di aiutare, ero particolarmente curiosa e speranzosa di fare nuove esperienze e conoscenze.
Arrivai in ospedale felice e spensierata, una felicità strana da spiegare.
Le mie colleghe mi accolsero con un vassoio pieno di pasticcini e tanti sorrisi smaglianti, ma il mio turno iniziò in maniera del tutto inaspettata, con un bel parto cesareo d’urgenza.
Erano le 12.30 quando la mia responsabile si avvicinò a me e mi obbligò letteralmente a fare una pausa.
Io non volevo, era il mio ultimo giorno e per un po’ non sarei tornata in ospedale, ma anche io necessitavo di mangiare quindi accettai mio malgrado e mi diressi verso il bar al piano terra.
“Buongiorno carissima, cosa ti do oggi?” mi chiese Roberta, la signora del bar.
Io guardai la vetrina dei salati, non c’era niente che mi stuzzicasse, mi girai verso i dolci e mi convinsi a prendere un po’ di crostata alla marmellata.
“Robi, dammi un po’ di crostata e poi un bel caffè caldo che ne ho proprio bisogno.”
“Va bene tesoro.”
“Ah! Puoi darmi anche una bottiglia d’acqua, per favore?”
Ci sorridemmo a vicenda e lei si apprestò a prepararmi l’ordine.
Io aspettai vicino il bancone guardandomi intorno.
“Mi scusi?” Sentii alle mie spalle.
Mi voltai e mi ritrovai davanti un ragazzo alto, molto alto, con i capelli ricci lunghi, la pelle leggermente scura e un sorriso smagliante stampato in volto.
“Sì?” Dissi io quasi insospettita.
“Lei è una dottoressa?” Mi chiese continuando a sorridere.
“Sono una tirocinante, ha bisogno di qualcuno in particolare?”
“Oh, mi scusi, non sono di qui e non so dove devo andare. Devo fare una visita d’urgenza.”
“Ha dolori muscolari o dolori ossei?” Chiesi io mentre Roberta mi porgeva le cose che le avevo chiesto.
Lui sorrise ancora di più e si avvicinò a me leggermente.
“No, avevo un concerto ieri sera e mi sono penso slogato la caviglia.”
Parlò leggermente a bassa voce, non capivo chi fosse ma non riuscivo a togliere gli occhi da quel suo sorriso.
“Deve andare al secondo piano a sinistra, l’ascensore è in fondo a questo corridoio.”
“La ringrazio molto, dottoressa?”
“Non sono ancora dottoressa.” Replicai io arrossendo.
“Posso almeno sapere il tuo nome?” Mi chiese lui porgendomi la mano.
“Mi chiamo Gabrielle.”
“Molto piacere Gabrielle.” Mi diede un bacio sul palmo della mano che gli avevo porso.
“Io sono Ahmed.”
Si girò e andò via.
Io guardai Roberta quasi incredula.
Non capivo se mi fossi sognata tutto o se era successo davvero.
“L’hai visto anche tu, vero?” Le chiesi guardando quel ragazzo altissimo diventare sempre più piccolo in lontananza.
Lei annuì ridendo appena.
“Ti sei innamorata per caso?” Mi chiese quasi incredula.
“Sarebbe un miracolo.” Replicai io prendendo la crostata, il caffè e l’acqua e mettendomi a sedere ad un tavolino.
Il mio turno finì intorno alle 18, timbrai per l’ultima volta il mio cartellino, salutai tutte le mie colleghe che mi avevano preparato un sacco di sorprese e finalmente uscii dall’ospedale.
Era Settembre inoltrato, il tepore della giornata si stava facendo sempre più lieve tra il fresco di fine estate.
Io scesi gli scalini dell’entrata principale e fissai lo sguardo sul cielo rosa.
Sorrisi istintivamente mentre tirai fuori il telefono per fare una foto a quello spettacolo.
Mi sentii improvvisamente toccare la spalla.
Mi voltai e trovai di nuovo gli occhi scuri del ragazzo misterioso.
“Ti ho aspettata.” Mi disse rivolgendomi nuovamente un sorriso smagliante.
“C-Come?” Dissi io perdendomi nei suoi lineamenti.
“Hai voglia di fare un giro con me?”
“Ma hai detto che non sei di qui.”
“Sì, ma per fare un giro non serve essere di qui.”
“Come sta la caviglia?” Chiesi io prima di accettare.
“Sta bene, in realtà non ho niente, sono semplicemente sbadato.”
Io socchiusi leggermente gli occhi, potevo fidarmi?
“Se vuoi ti faccio vedere la cartella.” Mi disse ridendo appena.
“No, mi fido dai.” Guardai l’ora, guardai il cielo e infine guardai i miei vestiti o, meglio, la mia divisa.
“Io sono vestita così.” Gli dissi guardandolo un po’ in imbarazzo.
“Meglio!” Affermò lui fissando gli occhi nei miei.
“Dai, andiamo.” Mi porse la mano, le dita affusolate e curate.
Misi la mia mano nella sua e, senza dire una parola, accettai la sua proposta.
Ci ritrovammo in poco tempo nel centro di Firenze.
Avevamo parlato a lungo delle nostre vite.
Lui era un cantante famoso, a quanto pareva io conoscevo tutte le sue canzoni senza saperlo.
“Quindi, come mai hai deciso di fare l’ostetrica?” Mi chiese lui mentre passeggiavamo lungo l’Arno.
“Perché voglio aiutare le persone, io non posso avere figli; quindi, voglio aiutare le persone ad averli.” Non lo avevo mai detto ad alta voce.
Improvvisamente mi resi conto dell’enorme informazione che gli avevo appena dato.
Mi bloccai e mi misi una mano davanti la bocca.
“Oddio! Scusami, non volevo essere così sincera.”
Lui mi regalò un sorriso stupendo e rassicurante.
“Stai scherzando, vero? Non c’è niente di più bello della sincerità.
“Sì, ma forse non volevi sapere che non posso avere figli.”
“E perché non dovrei volerlo sapere?”
Mi zittii, non sapevo cosa rispondergli.
“Abbiamo scoperto che vuoi aiutare le persone e sappiamo che hai finito il tirocinio, quindi ora che farai?”
Era particolarmente bravo a non creare silenzi imbarazzanti e ad ascoltare le persone.
“Adesso devo scrivere la tesi, e poi voglio andare in Africa.”
Lui si girò verso di me incredulo.
“Davvero? Dove vuoi andare?”
“Non ho preferenze, dove serve il mio aiuto andrà più che bene.”
“Cavolo! Non sei per niente una persona banale, lo sai?”
Io sorrisi intimidita.
“Ci ho lavorato molto.”
“Si vede infatti.”
Mi guardò a fondo.
“Tu non sei fidanzata, vero?” Mi chiese dopo qualche istante.
Io scossi la testa sorridendo amaramente.
“No, non è una mia priorità nella vita.”
Lui annuì.
“Capisco di cosa parli.”
Guardai l’orologio di nuovo.
“Penso di dover tornare a casa adesso.”
“Sono solo le nove.”
“Sì, ma io sono fuori dalle sei di stamattina, inizio ad essere un po’ stanca.”
“Oh andiamo, domani finalmente giorno libero! Vuoi venire al mio concerto a Milano?”
Me lo chiese come se Milano fosse dietro l’angolo.
Io risi appena.
“Vorrei molto, ma ho altri piani.”
“Chissà se ti vedrò ancora.” Rispose lui un po’ malinconico.
“Chissà, davvero.” Risposi io.
Si avvicinò appena a me, io non indietreggiai e lui si avvicinò ancora.
“Cosa ti hanno fatto, per avere così tanta paura dei ragazzi?”
Mi toccò una ciocca di capelli guardandomi dalla sua altezza.
“Non me lo ricordo nemmeno più.” Risposi io guardando le sue mani e poi posando gli occhi sulle sue labbra.
“Sei davvero bella.”
Mi toccò il mento e tirò su il mio viso.
Fissò i suoi occhi neri.
Speravo mi baciasse il prima possibile.
Sembrò quasi capire ciò che stavo provando.
Si avvicinò ancora e si abbassò su di me.
“Non mi succedeva da tanto, ma penso di aver davvero perso la testa.”
Mi disse prima di posare le sue labbra sulle mie.
Mi baciò come se aspettasse quel momento da tantissimo tempo.
Mi strinse forte a sé, la sua mano affusolata si infilò tra i miei capelli.
Sentii il calore della sua bocca nella mia.
Le mie guance iniziarono a diventare più calde.
Misi le mie mani sui suoi fianchi, anche perché non arrivavo oltre.
Strinsi la sua maglietta tra le mie mani.
Lui continuò a baciarmi.
Non voleva staccarsi e io non volevo che si staccasse.
Ma improvvisamente lo fece, mio enorme malgrado.
Si morse il labbro inferiore.
“Non hai idea di quanto sia pericolosa questa cosa.”
   
 
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