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Autore: Duevite    17/03/2024    0 recensioni
Gabrielle è una ragazza di 29 anni che, all'ultimo giorno di tirocinio della sua facoltà, fa un incontro strano o meglio, stranamente speciale.
Un incontro che si porterà dietro per un po' di tempo.
Un incontro che le farà di nuovo provare qualcosa.
Un incontro che cancellerà gli anni di delusioni e di dolori provati a causa di persone sbagliate.
Un incontro che la aiuterà a scoprire sé stessa.
Un incontro che non dimenticherà mai più.
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Erano passati due anni da quello strano incontro.
Non vidi più Ahmed da nessuna parte.
O almeno, non fisicamente.
Ma lo seguivo in tutte le sue avventure.
Era diventato molto famoso, si era fatto conoscere parecchio.
Ne ero molto felice, anche se la cosa un po’ mi rattristava.
Io avevo realizzato il mio sogno.
Lavoravo per una Onlus italiana che operava in Africa.
Svolgevo cicli di sei mesi; dunque, lavoravo sei mesi in Italia e sei mesi in Africa.
Quando dovevo lavorare in Italia ero stata inserita nella sede di Milano in cui continuavo ad occuparmi di donne immigrate in gravidanza.
Stavo vivendo il mio sogno, e pensare che ci avevo messo così tanto per raggiungerlo mi sembrava impossibile.
Ero appena atterrata a Milano.
Mi diressi verso il carrello delle valigie aspettando di intravedere le mie.
Appena vidi la mia valigia rossa mi precipitai per prenderla, allungai la mano ma vidi delle dita lunghe con delle unghie smaltate rosse chilometriche afferrare il manico della valigia prima di me.
Spostai lo sguardo e vidi una donna molto slanciata, magra e bianca pallida fissarmi.
“Mi scusi…” le dissi timidamente.
“Quella sarebbe la mia valigia.”
Lei mi rise in faccia in maniera molto irruenta.
“Ti piacerebbe, vero?”
Ci rimasi molto male.
“No guardi, credo ci sia un errore. Quella è davvero la mia valigia, vede?”
Le feci notare la targhetta della mia Onlus attaccata al manico della valigia.
Lei abbassò lo sguardo, puntò di nuovo i suoi occhi nei miei e mi lanciò la valigia addosso.
A quel punto la mia gentilezza venne un po’ meno.
“Mi scusi, non capisco perché debba lanciarmi la valigia addosso. Non mi sembra di essere stata scortese nei suoi confronti.”
“Ciccia! Vedi di non iniziare, non è giornata!”
“Signora, mi scusi ma come non lo è per lei potrebbe anche non esserlo per me.
Questo non la autorizza minimamente a comportarsi in questo modo.”
“Ma non ti permettere di rispondermi in questo modo!”
Replicò lei, improvvisamente si agitò da morire tanto da avvicinarsi a me in modo brusco.
Io indietreggiai leggermente.
“Ehi, ehi, ehi! Angelica! Cosa stai…?”
Spalancai gli occhi quando vidi Ahmed arrivare velocemente sulla ragazza e mettersi in mezzo.
Era bellissimo, esattamente come quando lo incontrai la prima volta.
Era sempre altissimo, questa volta aveva i dreads lunghi fino alle spalle, la pelle leggermente più scura, probabilmente aveva preso il sole, indossava una tuta nera che faceva risaltare i suoi lineamenti.
“Gabrielle!”
Disse mentre le sue labbra si piegavano in un sorriso bellissimo.
“Ciao!”
Dissi io confusa.
Sapevo che viveva a Milano, ma quante probabilità ci potevano essere di incontrarlo all’aeroporto proprio dopo i miei sei mesi in Africa?
“Come stai?” Si avvicinò a me e mi abbracciò.
Io, letteralmente, sparii tra le sue braccia.
“Scusa?!” La ragazza strillò alle sue spalle.
Lui sciolse quell’abbraccio e si girò.
“Cosa c’è?” Le disse un po’ sconsolato.
“Guarda che questa mi stava urlando addosso!”
Io rimasi in totale silenzio, ancora pietrificata dal fatto di averlo davanti ai miei occhi.
“Angelica, sono dieci minuti che ti guardo. Nessuno ti ha urlato addosso, credo sia proprio il contrario.”
Allungai la mano per poter prendere la mia valigia che era tra i due.
Una volta presa mi allontanai lentamente mentre loro continuavano a discutere sempre più animatamente.
Nemmeno si accorsero che io ero andata via.
La cosa mi fece molto ridere.
Presi il telefono in mano, andai su instagram e lo cercai.
Non c’era nessuna Angelica sul suo profilo.
Non avevo idea che fosse fidanzato.
Non doveva importarmi nulla, certo, però ci rimasi un po’ male.
Forse nella mia testa immaginavo di essere io la sua fidanzata segreta.
Tirai fuori anche le cuffie e le infilai nelle orecchie.
Aprii spotify e misi la playlist con tutte le sue canzoni preferite.
Sentire la sua voce che cantava mi faceva sentire così bene.
Presi poi la mia tessera per la metro e mi avviai per tornare a casa mia.
Sinceramente, quando tornavo in Italia dopo i miei sei mesi in Africa avevo sempre una gran voglia di andare a casa dei miei genitori, ma era sempre molto difficile.
Però ci sarei tornata quel fine settimana stesso e la cosa mi rendeva molto felice.
Allungai i miei passi per raggiungere velocemente la metro.
In poco tempo mi ritrovai sulla linea da percorrere per raggiungere quello che sarebbe stato il mio appartamento per quei sei mesi in Italia.
La mia casa era molto piccola.
Si trattava di un bilocale in centro a Milano, era formato da un open space con una piccola cucina e un salotto, la mia camera da letto e un bagno.
Era tutto sui toni del bianco e del beige.
Le vetrate molto grandi e luminose.
Avevo anche un piccolo terrazzino sul salotto.
Per prima cosa aprii un po’ la finestra del terrazzo per far entrare aria in casa e poi svuotai la mia valigia dai vestiti.
Mi feci una doccia molto veloce e mi misi una tuta comoda.
Ovviamente dovevo andare a fare una spesa molto veloce.
Scesi e mi diressi a piedi in un supermercato aperto 24 ore su 24.
Entrata lì comprai molta frutta e molta verdura, qualche yogurt e un po’ di tisane.
Mi recai alla cassa e pagai velocemente.
Quando rientrai in casa mi sentii finalmente tranquilla.
Una tranquillità che provavo spesso negli ultimi mesi, ma quella sera lo ero ancora di più.
La settimana passò molto velocemente.
Era il secondo ciclo di sei mesi che passavo in Italia, mi trovavo molto bene con tutti i colleghi, la zona in cui lavoravo era molto bella e tranquilla, andavo e tornavo a piedi, avevo trovato la mia palestra per Crossfit e vivevo le mie giornate con molta serenità.
Quel fine settimana sarei tornata in Toscana dalla mia famiglia ed ero veramente felice anche perché l’ultima volta che li avevo visti era Natale.
Venerdì lavorai solo la mattina, il pomeriggio avevo il treno per tornare a Firenze.
Ero appena arrivata in stazione quando in lontananza vidi un sacco di persone ammassate.
Sicuramente qualcuno di famoso, pensai tra me e me.
Ma a Milano era veramente molto facile incontrare personaggi famosi girare per la città quindi non ero sorpresa.
Io odiavo quelle situazioni perché il mio lavoro mi aveva dato una piccola notorietà, o meglio, sui miei social parlavo molto del mio lavoro, dei miei interessi in quel campo, di come fossi riuscita ad arrivare a quel punto.
Con il tempo le persone si erano effettivamente interessate a ciò che facevo e per un po’ ero riuscita a star dietro a quelle cose, ma con il tempo diventò sempre più difficile.
Ogni tanto qualcuno mi riconosceva ma comunque ero riuscita a rimanere nel mio.
Avevo, però, visto quanta sofferenza ci fosse al mondo, quanto fosse difficile per alcune persone anche semplicemente riuscire a bere un bicchiere d’acqua al giorno, avevo visto la vera gioia negli occhi delle persone ad un semplicissimo sorriso.
Tutto questo mi aveva fatto capire che a me interessava aiutare quelle persone, fare in modo che qualcuno capisse la bellezza di quei gesti ma non mi interessava diventare famosa per quello.
Feci un piccolo sorriso a quei pensieri e mi avviai verso una caffetteria lì vicino.
C’era veramente tanta gente che urlava, che si ammassava, che si spingeva.
Io entrai nella caffetteria e mi misi in fila.
Alzai un po’ il volume delle cuffie, tanto prima che arrivasse il mio turno sarebbe passato del tempo.
Improvvisamente alzai lo sguardo e vidi che le persone davanti a me si erano girate tutte, io mi guardai attorno un po’ confusa.
Mi girai e vidi che alle mie spalle c’era, di nuovo, Ahmed.
“Dannazione!”
Dissi senza pensarci due volte.
Lui sorrise divertito, io mi tolsi le cuffie dalle orecchie.
“Che ci fai qui?”
Mi resi conto che eravamo letteralmente circondati da tantissime persone.
“Parto. Tu?”
“Parto.” Replicai a mia volta.
“Cosa prendi?” Mi disse avvicinandosi al bancone.
Improvvisamente la fila era sparita.
“Un caffè normale.” Risposi fissandolo.
Era disarmante la sua bellezza, i suoi lineamenti arabi mi facevano girare la testa, il sorriso che brillava anche grazie alla sua pelle leggermente scura, gli occhi nocciola che sembravano illuminarsi alla luce, i dreads lunghi fino al collo, le mani grandi ma affusolate, la sua altezza spaventosa.
Insomma era perfetto, ai miei occhi.
“Due caffè, grazie.”
La sua gentilezza nei confronti di tutti era sempre bellissima da osservare.
Io rimasi impalata.
“Sei sparita la scorsa settimana in aeroporto.”
Mi disse offrendosi di pagare.
Io lo fermai.
“Cosa fai?” Mi fermò a sua volta.
“Ahmed, lavoro anche io. Sai che mi danno noia queste cose.”
“Gabrielle, è solo un caffè.”
Pagò entrambi i caffè e mi sorrise.
“Stai facendo i tuoi sei mesi in Italia?”
Mi chiese spostandosi verso il bancone.
“Sì, sono stanchissima ma felice.”
“Si vede dai tuoi occhi.”
Sentii le guance diventare calde.
“Quando riparti per l’Africa?”
“Dovrei ripartire…” Fui bloccata da un gruppo di ragazzine che si lanciarono su di lui per avere delle foto.
Lui non rifiutò, gentile come al solito, mi lanciò una velocissima occhiata.
Io mi feci da parte e presi il caffè in silenzio.
Le ragazze lo circondarono letteralmente e lui provò a calmarle.
Mi venne un po’ da ridere nel vedere quella scena.
Lui in palese difficoltà allungò le braccia per fare una foto unica con tutte.
“Ragazze scusate, vorrei poter dedicarvi più tempo, ma sono con una persona importante e tra poco deve partire.”
Loro mi guardarono accigliate, lui si allontanò gentilmente da loro e si riavvicinò a me.
“Perdonami davvero.”
“Ma figurati, so bene che sei diventato una superstar.”
“Ora non esagerare.”
Ridemmo entrambi.
“Dicevi? Quando riparti?”
Anche lui bevve velocemente il caffè e posò gli occhi nei miei.
“Riparto a fine settembre o forse i primi di ottobre ancora devono dirmelo.”
“Ora vai dai tuoi?”
Io annuii guardando il tabellone.
“Anche io vengo in Toscana, un po’ di riposo.”
“Sei solo? O con la tua ragazza?”
“Che ragazza?” Mi disse guardandomi confuso.
“Angelica.”
Io lo guardai a mia volta con uno sguardo un po’ di sfida.
L’angolo sinistro della sua bocca si piegò verso l’alto.
“Adesso ho capito.”
“Cosa?” Risposi io prendendo la mia valigia per uscire dalla caffetteria, lui mi seguì.
“Ho capito perché sei sparita sabato scorso.”
Rise leggermente.
“Non è la mia ragazza, o almeno non più.”
“Ah certo, vai in vacanza con la tua ex?”
“No, dovevamo fare un servizio già pagato. Non abbiamo nemmeno parlato noi ma hanno parlato i nostri manager.”
Io lo guardai un po’ male, ma dentro di me avrei voluto saltare di gioia.
“Non sono fidanzato, te lo direi sennò.”
“Non devi dirmelo.”
“Perché no?”
“Perché non stiamo insieme, non ci parliamo da due anni.”
“Sai, le canzoni dei miei album di questi due anni parlavano tutte di te.”
Mi disse improvvisamente.
“Ma di cosa parli?”
Le sue canzoni parlavano di cose che io e lui non avevamo mai vissuto.
“Ahmed, noi due non siamo mai stati a letto insieme.”
Lui puntò i suoi occhi nei miei, tirò fuori una sigaretta e la accese tenendola con i denti.
“I discorsi che abbiamo fatto quella sera, per me sono stati come venire a letto con te. Anzi, molto peggio.”
Aspirò, lentamente, nel modo più sensuale che esistesse.
Mi si formò uno strano nodo alla bocca dello stomaco.
Le mani iniziarono a sudarmi dal nulla.
Non riuscivo più a sostenere quello sguardo, ma non potevo distaccare gli occhi dai suoi.
“Vorrei tanto baciarti, ma non posso.”
Mi disse aspirando di nuovo.
“Non puoi?”
“Non posso.”
Sentii il numero del mio treno all’altoparlante.
“Questo è il mio treno.” Dissi sottovoce.
“Buon viaggio, Habibi.”
“Anche a te, Wafa.”
Non riuscivo ad allontanarmi, lui mi prese una mano, mi accarezzò il palmo, mi sussurrò qualcosa in arabo e si allontanò da me.
Io sospirai lasciandomi andare l’enorme tensione che si era creata.
Chiusi gli occhi, non sapevo se fosse tutto vero oppure solo frutto della mia immaginazione.
Mi allontanati anche io e andai verso il mio treno.
Fu il viaggio più strano della mia vita.
   
 
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