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Autore: whitemushroom    13/03/2024    1 recensioni
Un investigatore della Santa Sede indaga sulla scomparsa di un potente magus, muovendosi in una Roma distorta, più interessata a proteggere i propri segreti che a rivelarli. In un' isola poco lontana Njal, un giovane turista, perde una persona di a lui cara e scopre che qualcosa, nel suo corpo, inizia a non comportarsi come dovrebbe.
Il primo ha dedicato la sua intera vita alla caccia di uomini e creature sovrannaturali, il secondo si ritrova suo malgrado in un universo di cui nemmeno conosceva l'esistenza; eppure entrambi rincorrono fantasmi presenti e passati sulla scia di qualcuno che, come un pittore, lascia la sua Firma su degli eventi di cui è impossibile rimanere soltanto passivi spettatori.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nei numerosi anni di servizio come esecutore, Padre Tsekani aveva imparato ad osservare. E osservare gli amici ancora più dei nemici.
Gli uffici dei propri superiori, ad esempio, già anticipavano le missioni che avrebbe ricevuto. Un computer piuttosto che un libro sulla scrivania. Il crocifisso appeso alle spalle della seduta o di fronte, oppure la presenza o l’assenza di un tappeto. Tante volte i suoi colleghi sostenevano che avesse uno speciale “fiuto” per i problemi in arrivo, che si abbinava spesso alla sua immagine di mastino.
Quando Padre Samuel gli aveva detto l’ubicazione dell’ufficio di Padre Whiteflame, per un attimo l’esecutore aveva pensato ad uno scherzo, ma il ragazzo lo aveva accompagnato fino all’entrata del capolinea della metropolitana.
“Gli dia questo” disse Padre Samuel, dandogli un bicchiere di carta con del caffè.
“Lo mette di buon umore?”
“Mettiamola così: evita che peggiori”.
L’esecutore passò i tornelli, mentre l’altro rimase in attesa. Scese le scale mobili, ancora poco convinto. Arrivato sulla banchina si guardò intorno, immaginando di trovare un ingresso celato da rune mescolate ai graffiti delle pareti -non sarebbe stata la prima volta, specie nella capitale- ma quando lo sguardo si posò sul treno in attesa, pronto a partire, vide oltre il vetro lo sguardo del suo superiore e si costrinse ad un rapido salto prima che le porte automatiche gli si chiudessero alle spalle e la metropolitana partisse senza di lui.
Diverse persone viaggiavano in piedi, eppure il posto vicino a Padre Whiteflame era vuoto. Padre Tsekani si sedette, sospirando per lo spazio strettissimo e per il turista sovrappeso che lo schiacciò contro la figura ossuta dell’esecutore più anziano. Gli passò subito il bicchierino, e quello trangugiò il contenuto in un istante.
Aveva avuto pochissime volte a che fare con quell’uomo, e in tutte ne era uscito con una fastidiosa sensazione di malessere. Non aveva superato i cinquant’anni, ma l’espressione torva talvolta gliene dava anche venti di più. I capelli e la barba scurissimi iniziavano a mostrare adesso qualche spruzzo bianco, ma il cappuccio calato fino a metà della fronte non faceva indovinare se avessero anche iniziato a cadere. Al posto del crocifisso d’ordinanza l’uomo portava un pendente dalla forma insolita, uno strano quarto di cerchio dorato che pendeva da un filo di corda; non ne aveva mai capito il senso, ma il suo superiore era famoso per dei comportamenti che ad altri sarebbero costati il posto, se non anche il memento.
“Angelo Pontieri è scomparso”.
L’esecutore anziano era più basso di lui, almeno di una testa. Con il capo coperto dal cappuccio e la posizione leggermente china, era impossibile leggerlo in volto.
Padre Tsekani si chiese se tutto, dal luogo alla posizione, non fossero una manovra per metterlo in difficoltà. “Un magus della Chiesa non sparisce come una moneta da un centesimo” replicò. “Immagino abbiamo tracciato i suoi movimenti”.
“Con il suo argume non andrà più lontano della prossima fermata, Padre Tsekani. Se avessi traccia dei suoi movimenti ora sarei in chiesa ad ascoltare i vespri. O, molto meglio, sarei nella mia cella a dormire”.
Erano passate circa tre stazioni davanti a loro, e ad una il vagone si riempì di gente. Un intero gruppo di adolescenti entrò gridando canzoni a squarciagola e con la musica al massimo. Passò anche un signore anziano e d’istinto fece per alzarsi e cedergli il posto, ma un pizzico violento dell’altro lo inchiodò sulla sedia. Per un attimo le reti incantate dei loro corpi cozzarono come scintille, e non osò muoversi. Per fortuna un giovane uomo dai capelli tinti di un azzurro improbabile si alzò, cedendo il passo al vecchio e levandolo dal cocente imbarazzo.
“I casi sono tre” mormorò, insicuro che l’altro potesse sentirlo “O non vuole farsi trovare. O qualcuno non vuole che lo trovi. Oppure …”
“Ecco, evitiamo di finire sulla terza ipotesi. Per quanto non so quale delle tre sia la peggiore”.
Padre Tsekani rimase in silenzio.
La faida contro i magi esisteva dalla nascita di Santa Madre Chiesa. Qualcuno ipotizzava anche da secoli prima, ma le documentazioni erano davvero minuscole e l’esecutore non si era mai considerato un vero esperto di storia.
Il Signore aveva lasciato parte di sé nel mondo. Guglielmo di Champeaux, nelle sue lettere a Ugo di San Vittore, l’aveva definita come la firma di un pittore nell’angolo del suo capolavoro, il segno del passaggio dell’universo dal mondo trascendente del Creatore al mondo particolare ad ai suoi accidenti. Ramon Llull aveva cercato tracce di questa essenza divina consultando anche la fede e la cultura araba, tracciando nei suoi viaggi di conversione ogni segno, ogni passaggio di questo potere; molti dei suoi scritti avevano illustrato quanto questa energia fosse conosciuta e rispettata nella fede ebraica, non in quanto reperti scritti ma nel rispetto di quelle figure, uomini e donne che potessero “sentirla”.
Per secoli l’avevano chiamata, proprio in onore di Guglielmo di Champeaux, la Firma. La Chiesa aveva cercato di avvicinare tutti coloro in cui essa si manifestava, di trovare in loro la via che avvicinasse al pensiero trascendente della vera Creazione; era stato a partire del Quindicesimo Secolo -o Sedicesimo, anche lì le sue conoscenze storiche talvolta avevano dei terribili scivoloni- che avevano compreso ed accettato la totale casualità di questo dono, che poteva per intere generazioni rimanere nel sangue delle famiglie o svanire del tutto, che poteva svegliarsi un giorno -Giovanna d’Arco forse era stato il caso più famoso passato alla storia- e poi svanire come una minuscola fiamma spenta dal vento, ineffabile come Colui che l’aveva lasciata, preziosa come il Suo dono.
Padre Tsekani l’aveva sempre sentita permeare il suo corpo. Una forma di energia che scorreva da un dito all’altro, come un circuito elettrico. Come tanti altri suoi colleghi, l’aveva percepita come del calore, talvolta flebile come un formicolio, altre volte esteso come un incendio. Poteva percepirla nell’aria, respirarla, sentirla proprio come l’aver appena ammirato un quadro meraviglioso e riconoscendone l’autore. Darle forma … era un altro discorso. Più complesso.
Più pericoloso.
La Firma scorreva tra le cose che il Creatore aveva lasciato nel mondo. Libera, pura, la sua stessa presenza non aveva mai causato problemi agli esseri umani. L’intera Chiesa l’aveva sempre conosciuta e trattata nell’unico modo in cui si potesse trattare un legame simile: rispetto.
Purtroppo, come tutti gli esecutori sapevano bene, il rispetto non era mai stato la caratteristica migliore del genere umano. Come la prima moneta di bronzo creò il primo ladro, così il primo calore della Firma creò i magi. Con l’unico scopo di ottenere potere e capacità oltre i comuni mortali, uomini e donne di ogni epoca avevano inventato migliaia di tecniche per incanalare l’energia della firma come acqua nei canali, incuranti delle piogge incessanti e delle inondazioni. Avevano studiato la materia nel dettaglio per imbrigliarne dentro l’essenza che riconduceva alla Creazione; come per mettere le redini ad un cavallo selvaggio, avevano forzato quella potenza per gli usi più svariati, ignorandone la sacralità. Nei secoli la Chiesa ed i suoi esecutori si erano battuti per impedire che la Firma venisse scempiata, abbattendo tutti i magi che usavano un simile dono per sottomettere il prossimo e compiere le azioni più aberranti; non erano riusciti ad impedire che formassero circoli e scuole in cui riunire il loro pensiero malsano, e a partire dal Diciannovesimo Secolo erano stati costretti a tollerarli come entità autonome, senza però smettere di dare la caccia a coloro che minacciavano il benessere della collettività con le loro ambizioni. E, purtroppo, era chiaro che per poter intercettare ed abbattere dei magi, fossero necessari altri magi.
Gli incantatori al servizio della Chiesa erano pochissimi, selezionati, e la loro fedeltà a Roma non poteva essere messa in discussione. Talvolta guidavano di persona le missioni degli esecutori, ed il loro influsso nella Santa Sede rivaleggiava con quello degli arcivescovi.
La sparizione di uno di questi magi assumeva un aspetto drammatico. “Vuole che ritrovi il nobile Pontieri?”
“No, vorrei che tingesse i capelli di rosa e ballasse in mezzo a questo vagone … CERTO che questa è la sua missione”.
Se c’era una cosa per cui Padre Querquen Whiteflame era ancora più famoso della mancanza di empatia, era la mancanza di ironia.
Alla fermata successiva, la metropolitana sembrò scoppiare. L’uomo anziano seduto davanti a lui ormai era sparito alla vista, seppellito da persone e valigie enormi; due ragazzetti cercarono di entrare spintonando tutti, e per poco il ragazzo dai capelli azzurri non gli cadde addosso, insultandoli in tedesco.
Adesso anche l’odore di sudore si stava facendo insopportabile. “Sono un esecutore, non un investigatore. Sono convinto che nella Santa Sede vi siano persone molto più qualificate di me in maniera, e so di esserle mai stato molto simpatico” fece Padre Tsekani, ormai irritato. “C’è qualcosa che ancora non mi ha detto”.
“Non è mia abitudine assegnare incarichi in base alle mie simpatie personali. Anche perché non posso mettere le mie piante a capo di un manipolo di esecutori, dunque mi ritrovo costretto ad affidarmi ai report delle vostre missioni”.
Per un istante la sua testa scattò verso l’alto, rivelando parte del naso, del mento, e le labbra corrucciate. Qualcosa doveva averlo disturbato, perché portò di getto la mano sullo strano quarto di cerchio che indossava. Padre Tsekani cercò di guardarsi intorno, ma nella moltitudine di passeggeri non gli parve di notare nulla di sospetto o anomalie.
“Il ritrovamento di Angelo Pontieri sarà la priorità di tutto il nostro ufficio. La moglie sta facendo incredibili pressioni, e per mia sventura qualcuno ha detto a quella donna che sono il principale referente dell’indagine. Dunque, per il bene dei miei timpani, lei risolverà questa incombenza per me, Padre Tsekani. Le sue competenze ed i suoi anni di servizio sono ciò di cui ho bisogno”.
“E la vittima? L’uomo trovato in casa di Pontieri?”
L’altro sollevò le spalle “I morti sono morti. Preoccupiamoci che i vivi non lo diventino”.
“Non sono d’accordo”.
Bastarono quelle parole a far irrigidire le spalle del suo superiore. “Qualcuno starà cercando quel Zurlì. Dovremo dare delle spiegazioni”.
“Molta gente scompare misteriosamente. Ha idea di cosa voglia dire un cadavere di un civile nell’appartamento di uno dei nostri?”
“L’ennesima pubblicità negativa per la Chiesa? Talvolta mi domando se non ce la andiamo un po’ a cercare …”
Stavolta l’altro si voltò del tutto, mostrando le sue iridi marroni cariche di irritazione. L’esecutore anziano era famoso per le sue esplosioni d’ira -Padre Samuel gli aveva raccontato di averlo visto con i suoi occhi scagliare un incensiere ancora fumante contro un suo stesso superiore- ma c’erano alcune cose che Padre Tsekani non avrebbe concesso a nessuno, nemmeno ad un uomo di quel calibro.
“Lei si limiti a fare il bravo mastino ed a portarmi chi le sto chiedendo”.
“Già, immagino non ci sia nessuna famiglia nobile a richiedere giustizia per il povero Antonio Zurlì. Nessuna moglie altolocata, nessuna pressione dall’alto. Solo un signore anziano che dimenticheremo tra un paio di settimane”.
“Proprio così”.
La mano ossuta dell’altro si serrò sul pendente. Per un attimo Padre Tsekani ebbe l’impressione che, se non ci fosse stata tutta quella folla, l’uomo se lo sarebbe staccato dal collo e glielo avrebbe spinto su per il naso. Ma per quello che gliene importava, a quel vecchio avvoltoio potevano esplodere le coronarie. Avrebbe dato la colpa all’eccesso di caffè. “Lei faccia ciò che le viene chiesto. E, poiché il suo buonismo sta contribuendo alla mia gastrite, sarò ancora più breve. C’è una testimone. La faccia parlare”.
Si alzò, stizzito, e persino uno dei teppisti si fece di lato per farlo uscire. Padre Tsekani si sollevò a sua volta e gli afferrò la tunica, ma la Firma scattò come una scossa; l’altro si voltò, torvo, e bastò quello per aprirgli un corridoio verso la porta nonostante il veicolo fosse pieno da scoppiare. Il signore anziano e il ragazzo dai capelli blu incrociarono per un attimo il suo sguardo, chiaramente incuriositi e spaventati allo stesso tempo. “Mi tocchi un’altra volta e la rispedisco a pulire la merda dei cammelli, Tsekani. Parli con Padre Samuel e si limiti ad eseguire. E rimanete al chiuso”.
All’altezza della fermata S. Paolo le porte si aprirono e l’uomo scese a larghe falcate, tirandosi appresso altre occhiate.
“Alla faccia della segretezza …” mormorò. Si sedette di nuovo. Guardò il proprio crocefisso e mormorò una preghiera, almeno per avere una scusa per non incrociare lo sguardo dei turisti. Una signora di mezza età, seduta di fronte, si segnò il petto.
Uscì due fermate dopo, come da accordi. Trovò Padre Samuel ad aspettarlo sulla banchina, la faccia afflitta e l’espressione di chi avesse appena ricevuto una gran brutta telefonata.
“Doveva proprio contrariarlo?” mormorò, facendo cenno di salire sulle scale mobili.
“Sai benissimo cosa ne penso, Samuel. È l’esempio di tutto ciò che fa schifo, tra di noi. Una telefonata dall’alto e magicamente il mondo inizia a girare al contrario”.
“Sì, ma poi sono io quello a cui urla nel telefono …”
L’esecutore capì che il dialogo non sarebbe andato da nessuna parte. Fu solo molto lieto che, almeno per quella volta, il giovane collega non lo caricasse sull’ennesimo autobus ma gli avesse fatto trovare una vettura d’ordinanza.
  
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