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Autore: Afaneia    16/03/2024    1 recensioni
Link viene condannato ingiustamente per alto tradimento.
Impa e i Campioni escogitano l'unico, folle piano possibile per salvarlo.
Succedono cose.
La mattina del terzo giorno Zelda è stata confinata nei suoi appartamenti dalle guardie e a Link è stato ricordato senza mezzi termini che, rifiutando un ordine diretto del re, rischiava la corte marziale. Senza scomporsi, Link ha pranzato con calma, ha indossato la divisa della guardia reale, ha congedato il suo attendente e si è seduto nei suoi alloggi ad aspettare che venissero ad arrestarlo; ha scritto qualche lettera, nel frattempo, e ha annotato delle idee sulle mappe che campeggiano da mesi sul suo tavolo da lavoro. Quando i soldati mortificati si sono presentati con l’ordine d’arresto, ha chiesto solo la cortesia di non essere ammanettato, ha deposto la Spada sul tavolo e li ha seguiti senza opporre resistenza.
Revalink, ovviamente.
Genere: Angst, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Impa, Link, Nuovo Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Capitolo VI – Crisi del secondo anno (più o meno)
 
Le famiglie felici si somigliano sempre l’una con l’altra: ogni famiglia infelice lo è in un modo particolare.
Lev Tolstoj, Anna Karenina.
 
La mattina, quando Link si sveglia, Revali non c’è mai. Link non riesce mai a determinare a quale punto della notte se ne vada: probabilmente al mattino molto presto, di certo prima dell’alba, ancora col buio, perché non vuole che i suoi concittadini sappiano o immaginino che non condivide il letto con suo marito: ai suoi allenamenti mattutini, del resto, tutti hanno fatto l’abitudine ormai da anni. Quel che venerano in Revali, del resto, è la sua grandezza instancabile e indomita, la sua fierezza costante e inappagabile: sono molti i guerrieri che vanno ad allenarsi con lui al Volodromo, quando non sono di guardia a custodia del borgo. Al loro ritorno Link li sente parlare della sua grandezza come di qualcosa che non potrà essere eguagliato mai, della sua abilità non solo di sfruttare, ma anche di creare le correnti d’aria sotto di sé come di un potere magico, quasi mistico; ma Link non la vede così. Nell’abilità di Revali non c’è la magia misteriosa, forse ereditaria, che dà vita al potere di Mipha o di Urbosa, a quello che dovrebbe risvegliarsi tra le mani di Zelda: ci sono la sua volontà e la sua ambizione costanti, roventi, e null’altro. Nessuno a Revali ha lasciato in eredità niente, i suoi poteri non si sono svegliati un giorno a dispetto di ogni sua aspettativa come una magia tra le sue mani: quello che è in grado di fare se l’è creato da sé. Non ha cercato che un modo per superare i limiti oggettivi del suo corpo e, quando ha visto che quel modo non c’era, l’ha creato da sé, con la forza delle proprie ali, la costanza dei suoi allenamenti sfiancanti. Non c’è magia in lui, non ci sono miracoli: c’è solo abnegazione; ma questo Link, che ha la sensazione di conoscerlo così poco ora che lo vede tra la sua gente, non ha il coraggio di dirlo ad alta voce. Lo pensa solamente.
Durante le giornate, Link si trova qualcosa da fare al borgo. Tutti hanno l’aria di volerlo trattare come un ospite intoccabile cui deve esser risparmiata ogni fatica, ma Link, in vita sua, non ricorda d’essersi riposato mai più di un giorno consecutivamente; e le cose da fare sono sempre tante, naturalmente, anche in vista dell’avvento della Calamità; perciò, col passare dei giorni, questa gente che l’ha accolto spontaneamente inizia anche ad accettare il suo aiuto. C’è da costruire una casa per una nuova coppia che sta per sposarsi: lo sposo, Avaris, è un giovane guerriero che gli racconta d’aver servito anche lui nella battaglia di Hebra e, prima ancora, di aver attaccato lui e Impa il giorno in cui hanno accompagnato Zelda al Borgo dei Rito per la prima volta e loro hanno creduto che fossero invasori. Glielo racconta ridendo, ma un po’ imbarazzato, come se fosse il suo modo per chiedergli scusa di quell’errore a distanza di anni. «Abbiamo combattuto insieme, dopo» gli ricorda Link un po’ sorpreso, perché, per quanto lo riguarda, aver combattuto insieme per la stessa causa equivale a sanare qualsiasi disguido sia esistito precedentemente. «E poi, non conta. Credevate che volessimo attaccarvi, perciò era ragionevole che vi difendeste.»
«Senza rancore, quindi?»
«Certo» risponde Link con indifferenza continuando a piallare una trave che andrà sul tetto della futura abitazione. «Senza rancore.»
«Com’è la vita coniugale?» gli chiede d’un tratto questo speranzoso promesso sposo in un momento di pausa dai lavori, mentre stanno pranzando insieme agli altri Rito nel bel mezzo del cantiere; Link per poco non si soffoca bevendo. Tossisce e getta la testa all’indietro sotto i suoi occhi stupiti sperando che il suo rossore venga attribuito al fatto che ha appena rischiato di annegarsi.
«Bella» s’inventa dopo aver finito di tossire, asciugandosi gli occhi e la bocca con la mano. «Impegnativa, ma bella.»
«Impegnativa, eh?» ripete Avaris un po’ assorto. Per fortuna è sufficientemente concentrato su se stesso e sulla sua futura felicità da non dar troppo peso della sua reazione esagerata alla domanda. «Lo immaginavo. Vivere con un’altra persona…»
«È dura abituarsi» completa Link con simulata naturalezza, grato del fatto che esistano infiniti luoghi comuni dai quali può attingere senza dover necessariamente ammettere la verità; ne è così grato che neppure si sofferma a riflettere sul fatto che è la verità, quella, e che vale anche per loro. Se vi riflettesse, la cosa lo imbarazzerebbe troppo.
«E… senti, scusa se ne parlo con te, ma siete l’unica altra coppia giovane qui al Borgo. I miei amici sono tutti sposati da così tanto tempo, e hanno quasi tutti bambini…» Link inizia a presentire la domanda prima ancora che arrivi, la vede nei suoi occhi mentre si forma; vorrebbe disperatamente fermarlo, davvero, o quantomeno scappare il più lontano possibile per non doverla ascoltare; invece si costringe a restare fermo, col piatto sulle ginocchia, a domandarsi se in fin dei conti quella del patibolo sia stata un’esperienza peggiore di questa. «Ma la prima notte di nozze, insomma…»
«È diversa per tutte le coppie» afferma Link con una sicurezza che non sapeva di possedere sull’argomento. Beh, di certo la sua è stata molto diversa da quella della maggior parte delle coppie; quindi, tecnicamente, non ha neppure detto una bugia. «Non basarti sui racconti degli altri. Devi solo essere te stesso.»
È evidente che questo giovane sposo si aspettava da lui qualcosa di assai più rassicurante e definitivo, magari un vero e proprio consiglio che gli fungesse da guida e sostegno, ma purtroppo, nel fondo comune di verità scontate e proverbi da cui Link può attingere, vere e proprie epifanie sconvolgenti non ce ne sono. Poiché vede la sua delusione, però, si sforza di aggiungere qualcosa che sappia di vita vera. «Anche se, sai… per me è stato diverso. Quando mi sono sposato credevamo che sarei morto» gli ricorda, dal momento che, ufficialmente, il suo matrimonio risale alla primavera scorsa ed è stato celebrato in quello che si credeva essere un punto di morte. «Di certo non sono la persona più adatta per parlare questo argomento. Non è proprio un matrimonio come gli altri, capisci.»
A sera, col buio della capanna che maschera il suo imbarazzo, trova chissà dove il coraggio di raccontare quella conversazione a Revali. Per tutta risposta, Revali ride talmente forte, a lungo e intensamente che per la prima volta Link si preoccupa che qualcuno possa sentirlo.
«Sei ancora la principale attrazione del villaggio, a quanto vedo. Eppure ormai sono passati diversi giorni. Tu che cosa gli hai risposto?»
La sua risata lo ha infastidito a sufficienza perché Link decida che, a dispetto di tutta la gratitudine che prova per lui (e che del resto Revali ha ribadito che non gli deve), si merita una lezione. «Le solite cose che si dicono in questi casi» risponde perciò con naturalezza, aspettandosi l’inevitabile domanda che questa risposta porterà automaticamente con sé.
«Cioè? Esiste qualcosa che si dice di solito in questi casi?»
«Certo. Che la prima volta non sei riuscito a trattenerti e mi hai posseduto in piedi contro un muro.»
Link concede a se stesso di godersi il silenzio carico di panico di Revali per i quindici secondi più piacevoli della sua esistenza prima di decidere che è stato punito a sufficienza.
«Dai, scherzavo» lo tranquillizza in tono annoiato, sollevandosi a guardarlo dall’amaca. «Ho detto soltanto che sei un amante gentile ma appassionato e molto attento ai miei desideri.»
Il silenzio prosegue nell’aria della stanza: di Revali Link intravede solo gli occhi enormemente dilatati dall’altro lato della capanna. Avrebbe voluto saperlo prima che ci voleva così poco a metterlo a tacere: si sarebbe risparmiato un gran numero di discussioni di fronte ai piani di battaglia.
«Revali... stavo solo scherzando.»
Revali gli scaraventa addosso la punta di una freccia imprecando. Link ride fin quasi a soffocarsi.
«Ti preferivo quand’eri serio e posato» stabilisce Revali tornando a sedersi contro il muro. «Se avessi saputo che il matrimonio ti avrebbe peggiorato tanto, ti avrei lasciato su quel patibolo. Avresti dovuto dirgli questo.»
Il giorno dopo arriva la lettera che Mazli aveva promesso: Kagan si presenta di persona a casa loro per consegnargliela. Sembra di buonumore. «Non l’ho letta, ovviamente, ma ha scritto anche a me. Credo che abbia tutto sotto controllo. Era relativamente tranquillo.»
«Relativamente rispetto al suo solito, intendi?» chiede Link aprendo la busta. La scorre rapidamente: a quanto pare, è tutto tranquillo. Hanno mandato un ufficiale a fargli ancora domande sul presunto matrimonio, ma Mazli s’è limitato a ripetere ciò che era stato già detto, e questo è quanto: il matrimonio è legalmente valido e dunque inattaccabile. In fondo alla lettera Mazli s’è degnato di aggiungere anche qualcosa che sa stargli molto a cuore: che la principessa Zelda è stata rilasciata dai suoi appartamenti. Link sospira leggendo quella riga di un sollievo misto a preoccupazione. Zelda è libera, dunque, e di certo è tornata ai suoi studi e ai suoi allenamenti; ma è anche sola, o comunque senza di lui a proteggerla. Non è in suo potere farci nulla, tuttavia: Mazli ribadisce nella lettera che non ha novità in merito al suo congedo forzato. Link non sa come sentirsi in merito: quand’anche potesse, non sa se vorrebbe tornare dopo quello che gli hanno fatto; ma vorrebbe poter proteggere Hyrule. La Calamità tornerà indipendentemente da lui e dal re.
«Certo: rispetto alla sua consueta ansia» risponde Kagan sorridendo. Lo osserva mentre legge, e forse intuisce qualcosa dal contrarsi della sua fronte, perché, dopo qualche momento, domanda: «Brutte notizie?»
Non è una domanda semplice come Kagan pensa: se si tratti di brutte notizie o no, Link non saprebbe deciderlo. Stabilisce di riporre la lettera e di pensarci in un secondo momento.
«Notizie» risponde semplicemente. «Grazie, Kagan.»
Kagan agita la mano, per l’ennesima volta, come a voler dire che non c’è bisogno di ringraziarlo affatto. «Dimmi di te, piuttosto. Come va la vita coniugale?»
Lo chiede in un tono che vuole essere scherzoso, probabilmente, ma che invece suona piuttosto malizioso. Link scuote il capo sorridendo: per quanto sia oltraggioso, per chissà quale motivo, non riesce a prendersela con lui. «Non la definirei coniugale, Kagan. Lo sai. Io sto bene, se è quello che vuoi sapere.»
«Revali mi sembra contento, quando lo incontro» ribatte Kagan con simulata noncuranza.
A lui, veramente, Revali sembra sempre il solito indisponente, pomposo e altezzoso Rito che ha conosciuto sul campo di battaglia; ma questo a Kagan non si può dire. Forse è la sua definizione di buon umore. Link decide diplomaticamente di lasciar perdere.
Finiscono di costruire anche la casa della giovane coppia: per ringraziarlo del suo aiuto, la promessa sposa gli dona una tunica pesante e spessa, che ha tessuto e ricamato a mano alla maniera dei Rito, della sua taglia. È azzurra e bianca, dei colori che sono stati attribuiti ai Campioni, come la sua tunica e la sciarpa che la principessa ha donato a Revali quando ha accettato di pilotare il colosso sacro. Link se la rigira in mano incredulo senza saper che dire e prova a protestare che non può accettare un regalo simile, che è di valore troppo grande rispetto all’aiuto che ha prestato, ma Leta rimane inflessibile e nasconde le ali dietro la schiena perché lui non possa restituirgliela. «Se preferisci, vedilo come un dono di nozze» risponde. «Ma ti prego, accettala. E poi, quest’inverno avrai freddo» gli ricorda. «Qui siamo molto più a nord e più in alto che a casa tua. Non sei abituato ai nostri climi. Ti terrà al caldo, spero.»
È vero che avrà freddo, tra poche settimane: la neve, che in estate è a malapena visibile sulle cime più lontane di Hebra, ogni tanto al mattino si fa più vicina e chiara. Link l’osserva avvicinarsi con preoccupazione, non per il freddo, ma perché il diciassettesimo compleanno di Zelda s’avvicina ogni giorno di più; e, stando ai ricordi che Pruna è riuscita a recuperare dalla memoria del piccolo guardiano misterioso, quello sarà il giorno del ritorno della Calamità.
Il giorno in cui si sveglia col freddo nelle ossa e guardando dalla finestra intravede la neve più grande e più vicina, Link trascorre la mattinata inquieto ad attizzare il fuoco nel braciere senza sapere perché; la sua mente si rifiuta di soffermarsi su un pensiero in particolare; mangia nervosamente un paio di mele, per ingannare l’attesa, sbucciandole lentamente. A un certo punto si taglia appena col coltello: il taglio sottile sul suo pollice brucia più fastidioso delle ferite più gravi, e Link si sente stizzito come se avesse commesso chissà quale sciocchezza. Si è tagliato perché stava guardando fuori dalla finestra, in direzione del Volodromo.
Alla fine, verso l’ora di pranzo, perde la pazienza. Si cinge alla vita la cintura e il fodero della Spada, attorno al petto le cinghie che trattengono il suo scudo, la faretra e il suo vecchio arco militare e tira fuori la paravela dal baule dove l’ha riposta; fa per uscire, poi ci ripensa. Ha volato molto più carico di così, perciò annoda in una tovaglia mele, pane e formaggio e la fissa a una delle cinghie prima di uscire di casa.
Si lascia planare verso il Volodromo dal punto più alto della rupe, manovrando delicatamente la paravela per aggiustare la direzione: non è una manovra difficile, comunque. Il Volodromo è facilmente raggiungibile dal borgo.
Non ci è mai stato: non sa se fosse già stato costruito quando ha accompagnato Zelda a chiedere a Revali di combattere per loro, e comunque non ci sarebbe stato molto tempo per giri turistici, all’epoca. Oggi il cielo è freddo e livido come acciaio: forse per questo non c’è nessuno ad allenarsi. I bambini, che ogni tanto vanno ad ammirare le gesta di Revali, di certo a quest’ora sono a pranzo nelle loro case. Link attraversa il campo d’allenamento senza guardarsi troppo intorno: Revali non si sta allenando, lo sente dal silenzio che permea l’aria, e Link si limita a registrare distrattamente nella sua mente la presenza di bersagli sparsi ovunque il suo occhio possa vedere e di un freddo più intenso e più pungente che al borgo. Questo luogo è pieno di vento e di correnti d’aria: non c’è da sorprendersi che Revali lo abbia scelto per i suoi allenamenti.
All’estremità opposta rispetto al borgo c’è un edificio su cui Link punta d’istinto. Entra senza pensarci troppo. Revali è seduto sul pavimento, nella posizione abituale in cui Link è ormai abituato a vederlo, e sta lavorando sulla corda del suo arco. Il suo arrivo non lo ha colto di sorpresa: evidentemente l’ha visto arrivare da lontano, forse da quando ha iniziato la planata con la paravela dall’alto. Del resto, a questo luogo è impossibile avvicinarsi di soppiatto provenendo dall’alto: non è sorprendente che l’abbia progettato uno stratega come Revali.
«Ehi» si limita a dire senza levare lo sguardo dal suo arco. È il suo modo di riassumere un saluto e di domandargli insieme se ha qualcosa da dirgli. «Sei venuto a vedere il mio Volodromo?»
Link si slaccia la prima delle cinghie che gli serrano il petto.
«Ehi» risponde a sua volta guardandosi intorno. Sta per dirgli quello a cui ha pensato tutta la mattina, e in verità ormai già da qualche giorno, ma d’un tratto gli cade l’occhio sull’arredamento della capanna: è un’unica stanza spoglia, pensata per riposare durante gli allenamenti, e forse è per questo che in un angolo c’è qualcosa che colpisce la sua attenzione perché è totalmente fuori posto – c’è un’amaca.
I suoi pensieri precorrono la sua voce. Rimane in silenzio per un attimo a osservare quell’amaca mentre nella sua mente tutto trova la sua adeguata collocazione: stupito dal suo improvviso ammutolire, Revali segue con gli occhi il suo sguardo.
«Tu dormi qui» dice Link improvvisamente.
Revali lo osserva per un istante cercando di decidere, sulla base della sua espressione, se dirgli semplicemente la verità oppure rispondergli col consueto sarcasmo. Poiché è Revali, propende per la seconda. «Evidentemente.»
Link non sa perché la cosa lo faccia tanto arrabbiare. Forse perché non l’aveva intuita da solo, o forse perché è semplicemente troppo stupida per crederci. «Tu non vieni qui per allenarti. Rimani sveglio fin quasi all’alba e poi vieni qui a riposare perché nessuno sappia che non dormi con tuo marito e tutti credano che ti alleni.»
«Certo che mi alleno!» sbotta Revali sdegnato. «Solo che prima dormo qualche ora. Ti pare tanto strano che persino io abbia bisogno di dormire nella mia vita e che non sia stato ininterrottamente sveglio negli ultimi quaranta giorni?»
«Allora dormi con me!» urla Link. Non sa da dove gli provenga tanta rabbia, ed è evidente che non lo sa neanche Revali, perché rimane esterrefatto e, per una volta, incapace di trovare una risposta arguta: i suoi occhi si sono fatti enormi di stupore. Non lo ha mai visto alzare la voce neppure in guerra. «È la cosa più stupida del mondo! Hai una casa! Perché diamine non dormi lì di notte?»
Revali riesce a controllare il suo stupore abbastanza da provare a rispondere. Tenta davvero di articolare una frase, ed esclama: «Link, ascolta…»
Il punto è che Link non ha voglia né tempo di star lì a sentire le sue argomentazioni, anche perché non gli direbbero nulla: non sa neppure perché è arrabbiato, e c’è una parte di lui che è consapevole che qualunque cosa Revali decida di fare non lo riguarda, perché è libero esattamente come lui; ma è proprio questo il problema. Che in realtà quel problema lo riguarda, a dispetto di tutto, perché Revali non dorme in casa sua da quaranta giorni per permettere a lui di farlo; e di tutto ciò non gli ha nemmeno chiesto il suo parere. Link non sa se si senta arrabbiato perché quello è l’ennesimo gesto che lo pone in una posizione di debito e di gratitudine nei confronti di questo maledetto Rito o semplicemente perché quella è la soluzione più stupida che Revali potesse trovare al problema; e ora è troppo furente per riuscire a verbalizzare la prima ipotesi.
Si dà il caso che la seconda, invece, sia perfetta per l’occasione. Perciò Link gli scaraventa addosso la tovaglia annodata con tutto quello che contiene e ci tiene a sottolineare il gesto gridando: «Come fa uno stratega come te a essere così idiota?»
Dopodiché si volta e lascia il Volodromo a piedi. Ha bisogno di sbollire per un po’.
 
Arrivare al Volodromo dal Borgo dei Rito è molto semplice: basta planare. Ma compiere il percorso inverso allo stesso modo è impossibile, visto che il borgo è troppo sopraelevato rispetto al piano del Volodromo: va benissimo. Link non chiede di meglio che camminare per conto suo per qualche ora. Non ci tiene a rivedere Revali per un po’, e non ci tiene nemmeno a domandare a se stesso perché si sia infuriato tanto.
Quando fa ritorno a casa, il sole è tramontato da un pezzo e lui si sente stanco, infreddolito e affamato. La combinazione di queste sensazioni, e la consapevolezza di aver urlato addosso alla persona cui tecnicamente deve la vita, lo rendono anche profondamente nervoso, ma si sforza di non pensarci. Affronterà tutto a suo tempo.
Revali è già in casa, ovviamente, dal momento che il viaggio di ritorno dal Volodromo a lui non richiede che qualche minuto di volo, e sta arrostendo qualcosa sul fuoco. Quando Link entra in casa e lascia ricadere la tenda alle proprie spalle si aspetterebbe la sua rabbia o il suo sarcasmo, ma, stranamente, non è così. Revali sta ridendo, il che lo farebbe infuriare ancora di più se solo non avesse freddo e fame e non fosse così stanco.
«Che hai da ridere?» domanda perciò senza troppe cerimonie mentre si sfila di dosso la faretra.
«Eri tremendamente buffo, prima» risponde Revali. La risata vibra ancora nella sua voce, un po’ nascosta, ma quantomeno egli si sta sforzando di non ridergli in faccia. «Come un gattino arrabbiato. Non ti avevo mai visto così. Sei più simpatico quando perdi le staffe.»
La sua scoperta ironia è l’ultima cosa di cui Link abbia bisogno, sebbene ci sia una parte di lui, neppure tanto sepolta, che si sente sollevata dal fatto che Revali non sia arrabbiato con lui. Non sa come avrebbe potuto gestire la sua rabbia in questo momento. Gli dà le spalle mentre si sfila di dosso anche l’arco.
«È tutto qui quello che hai da dire, quindi?»
«No, naturalmente no. Ma volevo aspettare che ti sedessi, prima.»
La sua voce s’è fatta un po’ più seria d’improvviso. Gettandogli un’occhiata nel tentativo di decifrare la sua espressione, Link si sfila di dosso la cintura col fodero, la ripone su un piano e si siede di fronte a lui. Gli occhi di Revali brillano come smeraldi nella luce del fuoco.
«Sono seduto.»
«Bene. Allora, posso dirti che ho deciso di interpretare la tua simpatica scena di oggi come un segno di manifesta preoccupazione per la mia salute, piuttosto che come l’ennesimo sintomo del tuo carattere petulante e della tua tendenza al controllo.»
È un discorso talmente infarcito di sostantivi e aggettivi che Link impiega qualche momento a sbrigliarlo tutto nella propria mente. Probabilmente è quello che Revali voleva, perché approfitta del suo silenzio per proseguire. «Link, non ti ho salvato perché tu mi fossi debitore, e neppure perché tu dormissi come un cane o uno schiavo sul pavimento di casa mia. Se c’è qualche modo in cui posso essere più chiaro di così, ti prego, dimmelo, perché non so come altro esprimerlo. Non intendo umiliarmi facendo scoprire alla mia gente che questo è un falso matrimonio, ma non intendo umiliare neanche te… in qualunque modo diverso che su un campo di battaglia, cioè. Lì va benissimo a entrambi, presumo. Puoi comprendere che, sebbene io mi ritenga infinitamente superiore a te sotto una cospicua varietà di aspetti, non voglio esserlo perché tu mi devi la vita?»
Link rimane senza parole per un po’ perché questa è la massima sincerità possibile che abbia mai ricevuto da Revali e non sa come prenderla. Non sa che cosa dire.
«Posso capirlo» mormora infine.
«Bene» sospira Revali. «Allora, direi che abbiamo chiarito.»
«No, un momento» lo interrompe Link. «Vorrei dire anche io qualcosa, se non ti dispiace. Dopotutto, siamo sposati» gli ricorda. «Alla pari, quindi.»
«Giusto» commenta Revali sogghignando. «Avanti, allora. Non sia mai che si dica che tolgo al mio sposo il diritto di far valere le sue ragioni sotto il nostro tetto coniugale.»
Link soprassede sulla sua palese ironia perché, come sempre, se si soffermasse a combattervi finirebbe soltanto per restarvi invischiato.
«Posso comprendere tutto quello che hai detto. Ma tu puoi sforzarti di comprendere a tua volta che io sono davvero preoccupato per te, e che il fatto che tu mi abbia ceduto la tua casa e la tua amaca non fanno che accrescere un debito che forse tu non vuoi vedere, ma che io continuo comunque ad avere nei tuoi confronti?»
Questa volta è Revali a rimanere in silenzio di fronte al chiarore del fuoco. Contempla le sue parole nelle fiamme per qualche momento.
«Posso sforzarmi» dice infine.
Quella è la massima concessione che gli sia possibile strappargli, di questo Link ne è certo, perciò è bene approfittarne.
«Bene. Per favore, Revali, troviamo una soluzione. Potremmo fare a turni. Una notte per uno, come di guardia.»
Revali scuote il capo. «No, Link. Non intendo cedere su questo.»
Link odia la sensazione di perdere terreno. «Per l’amor del cielo, Revali! Quanto pensi di poter resistere così senza crollare? Dormi con me.»
Questa volta, semplicemente, Revali ride. Non c’è amarezza nella sua risata, ma a quanto pare, semplicemente, trova l’idea molto divertente. Link non sa se ritenersene insultato. «Continuerò a sforzarmi di apprezzare i tuoi tentativi, Link, ma la risposta continua a restare no. Vedila così: ti sto facendo un favore. Di certo staremmo troppo stretti in due.»
Quella è la bugia più spudorata che Link gli abbia mai sentito pronunciare. «Non è vero, e lo sai. Quell’amaca potrebbe contenere tutto l’esercito.»
Revali si limita ad aggrottare la fronte sorridendo. «Una curiosa associazione mentale, Link, davvero, ma per quanto i tuoi sforzi di sedurmi mi lusinghino, la risposta rimane comunque no. Ora vogliamo cenare o intendi continuare a manifestare i tuoi imbarazzanti desideri inconsci?»
Link è sicuro che un modo per vincere una discussione con questo dannato Rito, da qualche parte, esista; il problema è che dev’essere come uno di quei rompicapo truccati, impossibili, che si possono terminare solo conoscendone in anticipo la soluzione. Revali non cederà, qualsiasi cosa lui possa dirgli, e gli ha detto anche perché: a quanto pare dovrà accontentarsi di questo, del fatto che è stato onesto con lui e ha cercato di vedere la cosa dal suo punto di vista. Il che, naturalmente, non ha portato a niente; ma è comunque un miglioramento. Perciò, con un sospiro, Link si alza e va a lavarsi per la cena nella minuscola stanza adibita a bagno.
Quando ritorna nella sala, Revali sta sorridendo come se, in sua assenza, fosse stato colpito da un pensiero estremamente divertente. Link si ferma sulla soglia a osservarlo.
«C’è qualche altro pensiero che trovi ridicolmente ilare?»
Revali si sforza di smettere di ridere come se questo fosse sufficiente a rispondere alla domanda. «Non è niente. Pensavo solo che… non sai che giorno è oggi, immagino.»
Poiché Link davvero non lo sa, non gli rimane che restare in silenzio ad aspettare che Revali gli faccia l’enorme grazia di rivelarglielo.
«È passato un anno e mezzo esatto dalla battaglia di Hebra» dice Revali. «E a quanto pare abbiamo appena avuto il nostro primo vero litigio di coppia.»
Link rimane interdetto a tal punto che non sa come replicare.
«Credevo che i periodi di crisi venissero più tardi» commenta dopo un po’. «Il nostro matrimonio sta andando davvero male, allora.»
Revali scrolla le spalle facendogli cenno di avvicinargli i piatti. A quanto pare la cena è pronta. «Non saprei. Il primo litigio dopo un anno e mezzo non mi sembra male.»
«Lo dirò ad Avaris, allora» risponde Link sedendosi di fronte a lui. «Anche se, a dire il vero, io ricordo un discreto numero di discussioni sui piani di battaglia.»
«Quelle non contano come litigi coniugali, però» stabilisce unilateralmente Revali, e Link decide di non discutere oltre. In fin dei conti, non si sente poi questo grande esperto di matrimoni.
Più tardi, dopo cena, mentre Revali si rimette al lavoro sul nuovo arco che sta realizzando per sostituire il proprio, Link si siede a un tavolo a studiare le sue mappe.
«Non mi hai detto perché sei venuto al Volodromo, poi» lo informa Revali continuando a lavorare, senza neppure guardarlo. Questo è il suo modo di cercare di scoprirlo senza doversi abbassare a chiedere, naturalmente, ma Link non intende dargliela vinta tanto facilmente. È ancora un po’ arrabbiato.
«No, hai ragione» conferma sfogliando le mappe. «Non te l’ho detto.»
Revali attende per quasi un paio di minuti prima di decidersi a domandare: «Posso saperlo adesso?»
Lynel, dice una scritta sulla mappa di fronte all’imboccatura di una caverna. In un angolo a nord, dentro quella che si direbbe una gola, c’è una grossa croce: Link vi posa le dita per un momento. Revali sta studiando da mesi un luogo dove la sua gente possa rifugiarsi quando verrà la Calamità.
«Si sta avvicinando» risponde solamente.
Revali continua a lavorare il legno per un po’ senza dar segno d’averlo sentito. «Eri venuto a dirmi questo? So leggere un calendario, sai.»
«Che cosa faremo noi quando tornerà la Calamità?»
Revali s’interrompe con un sospiro. Quel sospiro, così come i segni sulle mappe, gli dice tutto quello che ha bisogno di sapere: che, come lui, alla Calamità Revali non ha smesso di pensare mai.
«Io devo difendere la mia gente» dice Revali semplicemente.
«Piloterai Medoh, quindi.»
«Certo. Sebbene ritenga che il mio talento sia sprecato in un semplice ruolo di supporto, come credo di averti già detto.»
«Ricordo vagamente d’avertelo sentito dire, sì.»
Revali non ha ancora ripreso il lavoro. «Combatterai anche tu.»
Link sorride appena. «Perché non suona come una domanda?»
«Perché non lo è. Se c’è qualcosa che devo riconoscerti, è che supplisci la tua deplorevole mancanza di talento con un notevole impegno e qualche trucco con quella tua spada. E che hai sempre difeso Hyrule.»
«Non l’ho mai fatto per il re» mormora Link. Malgrado quello che gli hanno fatto, malgrado il tradimento, l’oltraggio, l’umiliazione, combatterà comunque, sempre, perché è Hyrule ad aver bisogno di lui: non il re. Ma lo sorprende che Revali lo conosca tanto bene da averlo saputo prima ancora di chiederglielo.
«Lo so» risponde Revali. «Quindi eri venuto ad allenarti, suppongo.»
Link si stringe nelle spalle. «Non vedo lati negativi ad allenarci insieme. Dal momento che siamo esiliati qui, tanto vale mettere a frutto il tempo. No?»
«Suppongo che qualche volta capiti anche a te d’avere ragione» risponde Revali. «Perché no? Se prometti di non tirarmi altro addosso, torna domani. Che cos’era poi quella roba che mi hai tirato addosso?»
Link si era quasi dimenticato di avergli scaraventato contro la tovaglia con tutto il suo contenuto.
«Era il pranzo» risponde seccato.
Questa volta Revali si volta direttamente a guardarlo senza riuscire a trattenersi. Link aspetta per un po’ un commento pungente che, stranamente, non arriva. Per una volta, Revali lo sta solo guardando.
«Mi avevi portato il pranzo?»
La sua domanda è così stupida che Link decide di ritorcergli contro una delle sue risposte preferite. «Evidentemente.»
«Grazie» dice Revali soltanto.
«Prego» risponde Link. «Sono contento di avertelo tirato addosso.»
Revali si rimette a lavorare ridendo tra sé.
   
 
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