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Autore: Europa91    17/03/2024    1 recensioni
Otto anni dopo l’incidente di Suribachi, Verlaine viene informato della morte di Rimbaud.
“Arthur era morto. Il partner che lo aveva salvato dal laboratorio del Fauno e la persona che aveva tradito. (…)
Lo avrebbe salvato, avrebbe trovato un modo per riaverlo nella sua vita.”

Qualche stagione prima di Dazai e Odasaku, c’era stato qualcun altro che aveva provato a cambiare il corso del destino.
[Spin off di “In Order to Save You”]
[Contiene Spoiler della Novel Stormbringer]
Genere: Angst, Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Arthur Rimbaud, Chuuya Nakahara, Nuovo personaggio, Paul Verlaine
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'People Exist To Save Themselves'
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XXI Stagione - Chant de guerre parisien




 

«Ils ont schako, sabre et tam-tam,

Non la vieille boîte à bougies,

Et des yoles qui n’ont jam, jam…

Fendent le lac aux eaux rougies! »*

Poésie - Chant de guerre parisien  A.Rimbaud






 

Wonderland 

-Parigi-

qualche tempo dopo


Non fu facile per Black adattarsi a quella nuova vita ma Rimbaud era intenzionato a fare quanto possibile per aiutarlo. Desiderava solo che il compagno potesse vivere quell’esistenza che in qualche modo gli era stata rubata, conoscere il mondo al di fuori di quel freddo e asettico laboratorio di ricerca. Paul, così lo aveva ribattezzato solo qualche mese prima, sarebbe diventato una spia, un agente segreto al servizio dell’intelligence francese, era comunque un destino migliore di quello che lo avrebbe atteso rimanendo al fianco del Fauno.

Arthur aveva letto a lungo gli appunti di quel folle, tanto da arrivare a conoscerne diversi passaggi a memoria. Era un vero mostro che giustificava le proprie nefandezze nascondendosi dietro la scusa del progresso scientifico. Paul era il suo dodicesimo esperimento. Prima del compagno, undici esseri umani erano morti, molti dei quali poco più che bambini. Il solo pensiero gli fece accapponare la pelle e un brivido percorse la sua spina dorsale.

«Che stai facendo?» Paul lo aveva strappato da quei pensieri infelici semplicemente sedendosi accanto a lui. Si erano dati appuntamento in uno dei tanti Café della capitale, durante un raro pomeriggio di riposo.

Erano trascorsi diversi mesi dal loro primo incontro. Inizialmente il biondo sembrava infastidito anche solo dalla presenza di altre persone. C’era voluta tutta la pazienza di Rimbaud per convincerlo ad uscire dall’appartamento che Hugo aveva messo a loro disposizione. Arthur non si era arreso, gli era rimasto accanto giorno dopo giorno, aiutandolo a superare quei traumi che avevano finito col condizionare la sua psiche e comportamenti.

Nel frattempo, Paul aveva ripreso peso e colore, diventando se possibile ancora più attraente. Erano le lacerazioni presenti nella sua mente a impensierire Rimbaud, come il fatto che continuasse a celare i propri malesseri dietro ad un falso sorriso cordiale. Non gliene faceva una colpa, era stato lui stesso a istruirlo. 

Una brava spia sa controllare le proprie emozioni.

Nonostante questo Arthur non riusciva ad evitare di preoccuparsi per l’avvenenza del compagno, intercettando l’ennesima occhiata adorante di una cameriera. Odiò quella perfezione che lo poneva suo malgrado sempre sotto i riflettori.

Una spia deve sapersi muovere nell’ombra, rendersi invisibile

Ripensò alle regole di Hugo e come alcune risultassero impossibili da applicare a Paul. Scosse il capo. 

«Nulla stavo riflettendo, scambiamoci di posto» il biondo lo osservò confuso per poi fare quanto detto.

«Mi piace molto questo locale» esordì dopo qualche minuto guardandosi intorno. Non si trovavano in un luogo affollato, a quell’ora, subito dopo pranzo, vi erano solo una manciata di persone. Rimbaud si limitò ad annuire.

«Ci venivo spesso con Charles» si lasciò scappare, assorto com’era nei propri pensieri. 

Dalle ultime riunioni con Victor aveva compreso come la guerra ormai sembrasse una questione imminente, chissà per quanto tempo ancora avrebbero potuto godersi pomeriggi di svago come quello. 

Non era altro che una stagione effimera, presto sarebbe terminata e la realtà avrebbe distrutto qualsiasi fantasia, sogno o progetto. Poco distante da loro dei bambini stavano inseguendo un pallone mentre alcune donne chiacchieravano su di una panchina. Arthur si trovò inconsciamente ad invidiarli, avrebbe preferito non sapere nulla riguardo la situazione politica del continente. A volte l'ignoranza poteva rivelarsi una vera e propria benedizione. 

Per anni aveva preferito rincorrere i propri sogni di gloria quando un’esistenza serena nelle Ardenne lo avrebbe liberato da quella follia. Forse anche Baudelaire si sarebbe risparmiato quell’infausto destino. Sarebbero stati felici? Non poteva saperlo ma il solo immaginarlo gli provocò una fitta al petto, abbastanza forte da spezzargli il respiro. 

«E chi sarebbe questo Charles?» ancora una volta, bastò il tono insolitamente caldo della voce di Verlaine per ripotarlo con la mente al presente. Chinò il capo, divertito da quell’accenno di gelosia misto a curiosità che lesse nello sguardo del proprio compagno. Era una domanda innocente del tutto priva di malizia. Eppure i battiti del suo cuore accelerarono. Rimbaud si trovò a sorridere senza volerlo, sapendo di non dover fraintendere il significato di quelle parole. Non poteva permetterselo, non dopo quanto successo con Baudelaire. Quella era una ferita ancora aperta che non cessava di sanguinare.

Aveva deciso di chiudere il proprio cuore, rinunciando a qualsiasi sentimento o emozione ma il calore che la sola presenza di Paul gli regalava stava diventando sempre più difficile da ignorare.

«Era il mio migliore amico» confessò. Avrebbe risparmiato al compagno altri dettagli su quella storia anche se sapeva come quella risposta non avrebbe mai soddisfatto la curiosità del biondo e infatti finì con il provocare l’effetto opposto.

«Dove si trova ora?»

«È morto circa un anno fa» pronunciare quelle parole ad alta voce faceva ancora un certo effetto, rendeva il tutto solo più reale e allo stesso tempo doloroso. 

«Era un Poètes?» Rimbaud scosse il capo,

«Era un ragazzo di campagna, che se non mi avesse incontrato avrebbe potuto condurre una vita felice» lo aveva pensato pochi minuti prima, quando aveva immaginato per loro un’esistenza diversa nel cuore delle Ardenne, lontani da quel mondo fatto di guerre, inganni, segreti e tradimenti.

«Io sono lieto di averti incontrato»

Verlaine era fin troppo schietto. Per un istante Rimbaud odiò quella sincerità. Così come detestò se stesso per il proprio comportamento.

«Non è così semplice Paul, Charles è morto a causa mia» tentò di spiegare,

«Mi hai liberato da quel laboratorio. Sei il mio salvatore. Non è forse una delle prime cose che mi hai insegnato? I Poètes non sono eroi e a volte per un bene più grande bisogna saper scavalcare gli interessi del singolo. Tu hai ucciso il mio creatore, donandomi una nuova vita»

Arthur Rimbaud non seppe come replicare. Verlaine era una continua sorpresa. Non si sarebbe mai immaginato di udire simili parole, non dal proprio compagno. Lo stava ringraziando. Era assurdo.

«Stai diventando davvero bravo ad esprimerti» concesse, cercando di assumere un tono distaccato, quando in realtà desiderava solo abbracciarlo. Era da molto che non provava un simile calore. Paul gli ricordava la propria famiglia, l’infanzia.

«Ho avuto un ottimo insegnante» ogni buon proposito si scontrò contro due iridi di ghiaccio fisse sulle proprie. Rimbaud abbassò il capo, sentendosi avvampare. Nonostante cercasse in ogni modo di controllare le proprie emozioni queste continuavano a tradirlo. Era arrossito, tanto da sentire le gote in fiamme.

«Presto sarai pronto per partecipare ad una missione» mormorò dopo qualche minuto cercando di darsi un tono, anche se tornare freddo e distaccato si rivelò più complicato del previsto.

«Da solo?» la confusione sul viso del partner era palese. Paul poteva sembrare un enigma ma il più delle volte non era che un libro aperto, un mistero che solo lui aveva imparato a decifrare.

«Questo dipenderà da te»

«É vero che presto ci sarà una guerra in Europa?» Rimbaud lo fissò sorpreso, non si aspettava che Verlaine fosse a conoscenza della situazione politica nella quale versava il Vecchio Continente. Stava imparando più velocemente di quanto si sarebbe mai aspettato. Il gioco delle alleanze non era cosa semplice ma una partita infinita le cui regole erano in continuo mutamento. Paul si era rivelato era un allievo attento oltre che dotato di un fine intelletto. 

«E questa dove l’hai sentita?» non poteva esserci stata una fuga d’informazioni. Ne sarebbe stato a conoscenza. Con Victor la situazione non era ancora del tutto risolta ma quello era un argomento di primaria importanza. Era impossibile gli fosse sfuggito.

«Hugo. Ieri stava urlando al telefono per i corridoi» il moro si abbandonò ad un sospiro stanco, riuscendo perfettamente ad immaginarsi la scena. Era da diverso tempo che non accadeva. Gli venne quasi da ridere per essersi preoccupato tanto.

«Probabilmente stava discutendo con Lex. Solo quei due possono litigare in quel modo assurdo» utilizzando segreti di stato per punzecchiarsi

«Lex?» domandò confuso il biondo, anche se Arthur notò una punta di irritazione nel suo tono di voce. Si lasciò scappare un ulteriore sorriso. Non si sarebbe mai stancato di quella gelosia.

«Oh giusto tu non lo hai mai incontrato, Alexandre Dumas è il secondo al comando dopo Victor oltre che uno dei nostri migliori agenti» spiegò sommariamente.

«Credevo che fossi tu il migliore» Rimbaud scosse il capo, lusingato dalle parole del compagno

«Ti ringrazio ma non potrei mai competere con quei due. Sono di tutt’altro livello, fanno parte del gruppo elitario dei Trascendentali» Verlaine si imbronciò di colpo, arricciando il naso come un bambino.

«Dove si trova ora questo Dumas?» se era tanto potente come mai in quei mesi nessuno glielo aveva menzionato? Il mondo dell’intelligence era più complicato di quanto si fosse immaginato, anche se in realtà lo era ogni cosa al di fuori del laboratorio in cui era stato cresciuto. Era solo grazie a Rimbaud se aveva imparato le regole di quel nuovo ambiente. Si perse qualche secondo di troppo a contemplare la figura del partner ancora assorto nei propri pensieri. Arthur non si era nemmeno levato sciarpa o paraorecchie ma solo un guanto. Quell’uomo lo aveva incuriosito sin dal primo istante. Sentì l’impulso di sfiorarlo.

«Non ne ho idea. Ufficialmente risulta morto da oltre dieci anni» ammise il moro con una scrollata di spalle, interrompendo bruscamente il flusso dei suoi pensieri. Verlaine ritrasse la mano che inconsciamente aveva allungato verso di lui.

«E di cosa si occupa?» la confusione sul suo viso era palese, anche se Rimbaud trovò quel senso di smarrimento adorabile.

«Diciamo che possiede un’Abilità perfetta per lavoro di intelligence e svolge spesso incarichi sotto copertura. Si mormora che nessuno conosca il suo vero volto» ad eccezione di Hugo, ma tenne questo pensiero per sé. La curiosità del biondo però era difficile da soddisfare,

«Tu lo hai mai incontrato?» Arthur non potè fare altro che annuire, 

«Sono stato addestrato personalmente da lui e Victor. Quando sono entrato a far parte dei Poètes ero poco più che un bambino» non serviva aggiungere altro. 

Non avrebbe permesso al proprio passato di influire sul presente. 

Era una decisione che aveva imparato a proprie spese. 

Fammi un’altra promessa, diventerai l’agente segreto migliore del mondo

Erano state alcune delle ultime parole di Baudelaire. Pronunciate oltre le fredde sbarre di una prigione. Charles era morto per un suo errore, per il proprio egoismo. Non avrebbe mai potuto dimenticarlo. Aveva odiato Victor e le sue regole ma ancora di più se stesso per essere stato tanto stupido da infrangerle. 

Tornò ad osservare il viso perfetto di Paul, perdendosi nella curiosità del suo sguardo, così carico di aspettative.

«Quindi per te quei due sono una sorta di genitori?» Rimbaud scoppiò a ridere, divertito da quella prospettiva,

«Più o meno, piuttosto dimmi cosa hai sentito riguardo alla guerra?» tornarono seri, scambiandosi una lunga occhiata.

«Hugo continuava a sostenere come il conflitto fosse inevitabile poi ha nominato gli inglesi, e qualcosa su come la Francia non se ne starà buona ad attendere i loro comodi» Rimbaud si massaggiò le tempie scostandosi una ciocca di capelli di lato. Stava iniziando ad avere freddo o forse era semplicemente stanchezza.

«Il problema di Victor è sempre stato la sua diffidenza verso la Torre dell’Orologio o chiunque non sia francese. Se potesse farlo non esiterebbe a combatterebbe da solo contro il mondo»

«Ha forse qualche conto in sospeso con gli inglesi?»

«Non che io sappia, in pubblico si è sempre mostrato cordiale nei loro confronti»

«Magari quel Dumas si trova a Londra»

«Non mi stupirebbe, tieniti stretti gli amici ma ancora di più i nemici»

Era uno dei suoi insegnamenti preferiti, ricevuto anni prima da uno degli amici di Hugo e che descriveva perfettamente il modus operandi dell’intelligence. 

«Tu cosa ne pensi Arthur? Ci sarà davvero una guerra?» per la prima volta un velo di incertezza attraversò lo sguardo del biondo. 

«Sono convinto che gli ingranaggi di questa storia si siano messi in moto già da tempo e allo stato attuale sia quasi impossibile fermarli. Probabilmente anche l’intera ricerca svolta dal Fauno è parte di un piano molto più ampio» era un’idea che aveva iniziato a prendere forma nella sua mente anche se Rimbaud stava ancora cercando di comprendere il quadro generale degli eventi. Erano le tempistiche con le quali si erano svolti quei fatti a risultargli sospette. Non poteva trattarsi di semplici coincidenze. 

Ripensò al salvataggio di Black da quel laboratorio di ricerca. Se l’intelligence francese lo aveva trovato era perché qualcuno l’aveva reso possibile. Vivere al fianco di Hugo aveva preparato Rimbaud a vagliare ogni ipotesi, anche la più assurda.

«Io sarei stato creato per combattere questa guerra? Cioè gli esperimenti sulla mia Abilità servivano a quello scopo?» si interrogò Verlaine cercando nuovamente d’incontrare lo sguardo ambrato del proprio compagno.

«É una possibilità che non mi sento di escludere»

Le circostanze in cui Hugo gli aveva affidato quella missione erano sospette, così come tutto il resto. Victor aveva in mente qualcosa. Ogni sua decisione era guidata da un secondo fine. Rimbaud conosceva quell’uomo troppo bene, per anni aveva assistito ai suoi giochi di potere. Faceva parte del proprio addestramento come futuro leader dei Poètes. 

Aveva rinunciato a Baudelaire e ogni altra cosa per poter essere una spia degna di tale nome. Eppure Hugo non lo riteneva ancora degno della propria fiducia.

In sua presenza non aveva mai accennato ai propri progetti per Black, si era limitato ad affidargli l’incarico di addestrarlo.

«Se ci sarà da combattere lo farò» Verlaine però non si era rivelato un docile agnellino. Era testardo e caparbio, esattamente come lui. Sarebbe stata una pedina difficile da collocare su di una qualsiasi scacchiera.

«La guerra non è un gioco Paul»

«E io non sono un uomo comune, sono un esperimento, un’arma» Arthur alzò gli occhi al cielo, come ogni volta che il biondo tornava sull’argomento,

«Sei un essere umano come il sottoscritto, sei dotato di carne e sangue, puoi essere ferito o venire ucciso»

«Perché devi essere sempre così tragico?» Rimbaud fece appello a tutta la propria pazienza. Non aveva voglia di litigare. 

«Cerco di essere realista Paul, fino ad un paio di mesi fa non avevi mai visto un Cafè o un bicchiere di vino, mentre ora parli di combattere una guerra come di una passeggiata»

«Sei preoccupato» quella scoperta sembrò sorprenderlo,

«Certo che sono preoccupato»

«Perchè?»

«Come perché? Sei il mio partner»

«Me lo sono sempre chiesto, cosa significa essere partner? Cosa sono io per te?»

Per l’ennesima volta Rimbaud non seppe come rispondere.

«Siamo colleghi, compagni. Sei la mia missione, ti hanno affidato a me» Verlaine ne sembrò deluso,

«Ti senti solo responsabile, per questo hai speso tutte quelle belle parole sulla guerra, sulla sua pericolosità. Tu combatterai vero? Parteciperai allo scontro direttamente o meno, non te ne starai seduto in panchina» concluse sorridendo

«Paul non fare così» tentò di afferrarlo per un polso ma il biondo si ritrasse,

«Sai per un istante mi avevi quasi convinto, sembravi davvero preoccupato per la mia incolumità, invece era solo l’ennesima recita. Dopotutto per te sono solo una missione»

«Paul»

«A volte dimentico che siamo spie, avrò ancora molto da imparare ma non sono uno stupido quindi non trattarmi come tale» stava iniziando a spazientirsi, Arthur poteva notarlo dalla piega assunta dalle sue labbra. Detestava quel comportamento ma ancora di più se stesso per non aver potuto evitare quella situazione,

«Cosa avrei dovuto risponderti?»

Qualsiasi altra sentenza avrebbe potuto condannare entrambi e in passato Rimbaud aveva già perso qualcuno di importante. 

Verlaine non era Baudelaire, non lo sarebbe mai stato. Non potevano essere più diversi come la natura di quel sentimento che il moro continuava a nutrire nei loro confronti. 

Doveva proteggere Paul, non era ancora pronto per quel mondo e soprattutto per la crudeltà della guerra. Era una pedina importante sulla scacchiera di Hugo anche se Rimbaud avrebbe fatto quanto possibile per salvarlo anche da quella follia. 

In tutta quella storia, Verlaine non era altro che una vittima. Il Fauno lo aveva reso una cavia per i propri esperimenti, era arrivato col privarlo di ogni cosa tranne la vita stessa. Rimbaud ricordava ancora quel corpo martoriato, pieno di flebo ed ecchimosi, il pallore del suo incarnato e quei bellissimi occhi privi di ogni luce. 

Non avrebbe mai potuto voltarsi né abbandonarlo. Il destino di entrambi si era deciso nell’istante in cui aveva incrociato per la prima volta quello sguardo.

Il pensiero tornò inevitabilmente su Baudelaire ma le parole di Verlaine lo strapparono anche da quel ricordo.

«Mi sarebbe bastata la verità Arthur»

Non sei ancora pronto per quella

Rimbaud lo pensò ma non riuscì ad articolare una risposta. La delusione che lesse nello sguardo del biondo era palese ma preferiva il suo odio al resto. I sentimenti erano come veleno per una spia, la uccidevano dall’interno, lentamente. 

Col tempo Paul sarebbe arrivato a comprendere le sue ragioni, così come lui avrebbe cercato di trovare la forza necessaria per perdonare Hugo.

Il biondo rimase immobile per qualche minuto poi se ne andò senza aggiungere una parola. Rimbaud non fece nulla per fermarlo. 

Era meglio così. Tentò di convincersi mentre osservava la sua figura allontanarsi tra la folla.

La vita è una farsa dove tutti noi abbiamo una parte

Arthur Rimbaud era una spia e il suo destino sarebbe stato quello di diventare il prossimo leader dei Poètes Maudits.

Paul Verlaine un ex cavia da laboratorio, un essere umano dotato di Abilità Speciali amplificate dalla follia di un pazzo. Un’arma che li avrebbe aiutati a vincere un conflitto non ancora scoppiato.

 

***

 

Realtà originale

Francia

 

«Non fare quella faccia Henry. Se veramente Baudelaire si rivelerà complice di Black verrà arrestato» Stendhal scelse di rimanere in silenzio mentre studiava ogni più piccolo cambio di espressione comparso sul volto dell’attuale leader dei Poètes.

Aveva accettato quella missione nella speranza di raggiungere Charles prima dell’Europole o degli inglesi ma non aveva messo in conto la possibilità che Hugo si potesse aggregare alla propria squadra.

Il coinvolgimento di Dumas aveva sicuramente influito sulla decisione e ora entrambi si trovavano su un treno ad alta velocità diretto nell’entroterra francese.

«Pensiamo allo scenario peggiore, chi pensi sia l’avversario più temibile: la Torre dell’Orologio o l’Europole?» aveva esordito il superiore accavallando le gambe con fare divertito.

«Charles e Black si sono introdotti nel carcere di massima sicurezza di Meursault e hanno contribuito alla fuga di Lewis Carroll, un ex esponente della Torre»

«Per una corretta analisi della situazione andrebbe aggiunto anche il numero di vittime, che ammontano ad una cinquantina di guardie e sette detenuti appartenenti a vari livelli» Stendhal strinse i pugni. Era sicuramente opera di Verlaine, era quel mostro ad essere uno spietato assassino. Hugo gli stava solo suggerendo di agire con logica e di non tralasciare nessuna informazione. I suoi sentimenti personali non dovevano intromettersi in quell’analisi. Tuttavia gli era difficile pensare a Baudelaire come un sospettato in fuga.

«Carroll era un ex cavaliere inglese. Prima di tornare a Parigi, Black ha assassinato diversi membri di quell’organizzazione»

«Molto bene invece cosa sai dirmi riguardo l’Europole?»

«É un’Organizzazione di recente formazione creata per combattere la criminalità e il terrorismo internazionale. Trattandosi di un organismo sovranazionale non può minare con i propri interventi i diritti e egemonia degli Stati membri, se non quando sia strettamente necessario»

«Bravissimo una risposta impeccabile ma non è ciò che volevo» Stendhal prese un lungo respiro,

«L’Europole lotta per prevenire escalation o scandali che possano minare la sicurezza nazionale dei paesi coinvolti ma segue regole ben precise per occuparsene. Nel caso specifico di Black ad esempio, trattandosi di un agente francese non chiederanno mai intervento dei Poètes quanto piuttosto degli inglesi»

«Continua»

«C’è dunque la concreta possibilità che si siano alleati contro di noi» non ci aveva riflettuto ma dal sorriso comparso sul volto di Hugo, Stendhal capì di aver fatto centro. Era quello lo scenario peggiore.

«Conoscendo bene i soggetti coinvolti direi che siamo in netto svantaggio»

Stendhal annuì. 

«Ecco perché dobbiamo arrivare per primi. Tra il sottoscritto, Lex e Dame Agatha Christie, io sono il più indulgente» concluse Hugo.

Il capo della sezione interrogatori si accese una sigaretta.

Avrebbe fatto volentieri a meno di quell’informazione.

 

***

 

Wonderland

-Parigi-


Arthur Rimbaud si trovava ancora seduto ad uno dei numerosi tavolini del Café che aveva fatto da sfondo alla discussione avvenuta con il proprio partner. Fissava distrattamente i passanti mentre ripensava alle parole di Verlaine. Per l’ennesima volta aveva permesso che dei sentimenti influissero sulle proprie azioni. Solo Paul era in grado di fargli perdere la pazienza in quel modo. Si abbandonò ad un sospiro stanco prima di ordinare un calice di vino. Ormai aveva perso il conto di quanti bicchieri aveva terminato, probabilmente mezza bottiglia.

«Posso sedermi?» la voce di Stendhal lo colse di sorpresa. Era una delle ultime persone che si sarebbe mai aspettato di incontrare.

«Siete rientrato dalla Germania» esclamò facendogli spazio e invitandolo ad accomodarsi sostando il proprio cappotto.

«A sentire Hugo la guerra sembra una questione imminente» non serviva aggiungere altro. L’occhiata che si scambiarono fu abbastanza eloquente.

«Sono stanco di parlare di questo conflitto» esordì il più giovane massaggiandosi le tempie.

«Ma se non è manco iniziato» Rimbaud incrociò le braccia al petto scuotendo il capo rassegnato,

«Cosa è successo? Avete nuovamente litigato con Victor?» indagò il capo della sezione interrogatori. L’espressione comparsa sul viso del moro era di per sé abbastanza eloquente

«Ho discusso con Paul» Stendhal ci mise qualche secondo per associare quel nome alla longilinea figura di Black.

«Oh il biondino» Arthur alzò un sopracciglio. Non gli piaceva affatto quel tono allusivo e fin troppo amichevole.

«Il mio partner» si sentì in dovere di specificare prima di terminare il proprio bicchiere,

«Devo ancora capire perché Hugo te l’abbia affidato, possiede un’Abilità potente ma non mi sembra mentalmente stabile o affidabile. È un'arma a doppio taglio da cui dovremmo diffidare»

«Ti posso assicurare che Paul non ha nulla che non vada» Stendhal evitò di sorridere. Lui e Rimbaud avevano lavorato insieme per diverso tempo, lo conosceva abbastanza bene da intuire il suo attuale stato d’animo. Anche se era l’attaccamento che sembrava provare per il biondo ad impensierirlo,

«Ok non scaldarti. Posso almeno sapere per quale motivo avete discusso? C’entra forse la guerra?» Arthur annuì 

«Quell’idiota non vede l’ora di combattere» confessò con una punta d’irritazione che non si premurò di nascondere

«Non potrai proteggerlo per sempre. Nonostante quel bel faccino il tuo compagno è un’arma di distruzione di massa»

«Paul non è un’arma»

«Ma nemmeno un bambino indifeso» Arthur si morse un labbro.

«Ha imparato a controllare la propria Abilità e si sta impegnando per diventare uno di noi però ecco…» non riuscì a terminare quella frase. Ancora una volta si stava abbandonando alle proprie emozioni, facendo l’opposto di quanto richiesto ad una spia del suo calibro.

«Temi che una volta che avrà spiccato il volo si possa allontanare da te» concluse per lui Stendhal. Rimbaud annuì anche se le questione era più complicata di così,

«Non è solo questo» si trovò ad ammettere 

«Ripeto ha un bel faccino» proseguì il capo della sezione interrogatori con un tono velato,

«Cosa vorresti insinuare?»

«Nulla» anche se dalla sua espressione, Rimbaud non faticò ad intuire dove volesse andare a parare

«Sai bene che una spia non può permettersi di avere legami» ribatté leggermente irritato per essere stato colto in flagrante.

«Quanto successo a Baudelaire non è stata colpa tua» Stendhal aveva ragione, Arthur però non avrebbe mai cessato di sentirsi responsabile per la sorte capitata all’amante.

«Charles sarebbe stato più felice se non mi avesse incontrato» 

Se quel giorno a Parigi le nostre strade non si fossero incrociate di nuovo

«Non lo pensi davvero»

«Era il mio migliore amico, anzi era più di questo» non aveva motivo di nasconderlo.

Stendhal annuì.

Charles Baudelaire era morto un anno prima. Al rientro dalla propria missione a Londra, Rimbaud era stato informato dell’arresto del proprio giovane amante e della condanna emessa sulla sua testa. In realtà faceva tutto parte di un piano orchestrato da Victor, per allontanare Arthur da quella cotta adolescenziale così da renderlo la spia più potente d’Europa e prossimo leader dei Poètes. 

Baudelaire però aveva manifestato la propria Abilità e per questo motivo era stato obbligato ad entrare nel mondo segreto dell’intelligence. 

Rimbaud ne era venuto a conoscenza solo qualche mese dopo, in seguito al ritrovamento del suo cadavere. 

In quei mesi, Charles era stato affidato alla guida di Stendhal e lo aveva seguito in una missione sul fronte tedesco. 

Solo uno dei due però aveva fatto ritorno in patria. Era accaduto poco prima che Paul entrasse nella sua vita.

Solo grazie alla presenza del biondo, Arthur non era impazzito. Occuparsi di Verlaine gli era servito per distrarsi ed accettare la prematura scomparsa dell'amico.

«Era un mio sottoposto, dovevo prendermene cura, ma Charles è sempre stato una tale testa calda» di fronte alle parole di Stendhal, Rimbaud si trovò suo malgrado a sorridere,

«Era testardo, molto più di me» ammise passandosi una mano sul volto,

«Avrebbe solo voluto che tu fossi felice»

«Io avrei voluto lo stesso, se solo quel giorno non ci fossimo incontrati»

«Non si può cambiare il corso del destino. Allo stesso modo mi rendo conto di come sia difficile se non impossibile accendere o spegnere i sentimenti. Sarebbe tutto molto più semplice se fosse così. Non hai nulla da rimproverarti Arthur»

«Forse ho solo paura di perdere Paul» si trovò ad ammettere per la prima volta ad alta voce. 

«Senza offesa ma non somiglia per nulla a Charles» non capisco cosa ci trovi in lui 

Arthur accennò ad un sorriso

«Si, non potrebbero essere più diversi»

«Sai, Baudelaire possedeva gli stessi occhi di Mathilde, la mia fidanzata. L’ho pensato sin dal primo momento in cui l’ho visto. Era il moccioso più arrogante e insopportabile del mondo ma non riuscivo a distogliere lo sguardo dal suo» 

Rimbaud ne rimase sorpreso. Si ricordava della fidanzata di Stendhal, della sua scomparsa e di come Henry avesse scelto consapevolmente di abbracciare quella vita fatta di rinunce. Gliene aveva parlato Hugo, come sempre informato su ogni cosa che accadeva intorno a lui.

«Una volta ho chiesto a Victor di quelle regole. Il perché della loro esistenza»

«Ti ha risposto?»

«Penso che Vic sia il primo che non riesca a rispettarle» Stendhal scosse il capo, prima di accendersi l’ennesima sigaretta di quella giornata,

«L’altro giorno stava litigando con Dumas al telefono» Arthur tornò a sorridere

«Si, penso che mezza intelligence abbia origliato quella conversazione»

«E poi siamo noi quelli che dovrebbero muoversi e agire con discrezione»

«Sai bene di come Victor predichi bene ma razzoli male» Rimbaud non gli avrebbe mai perdonato quanto successo a Baudelaire, quella menzogna con cui lo aveva allontanato dal proprio amico/amante. Strinse i pugni, cercando di darsi un contegno. Non doveva fare altro che recitare la propria parte, quella della spia più potente d’Europa.

«So solo che Hugo perde la ragione quando si tratta di Dumas. È sempre stato così» proseguì Stendhal ripensando al giorno in cui le loro strade si erano incrociate. 

«Forse voleva solo proteggermi dai miei stessi sentimenti» era la sola spiegazione che aveva trovato per giustificare un simile comportamento; il capo della sezione interrogatori gli sorrise, sotto certi aspetti Rimbaud era ancora così giovane, forse troppo;

«Hai troppa stima di Hugo, questo offusca la tua capacità di giudizio»

«Mi ha insegnato ogni cosa»

«Solo perché ha deciso che un giorno tu sarai il nostro leader»

«Ancora con questa storia» odiava quel ruolo che gli era stato cucito addosso, quello del perfetto erede di Hugo. Rimbaud era quanto più lontano potesse esserci dall’essere una spia ideale ma solo lui sembrava rendersene conto.

«Vedila sotto un’altra prospettiva Arthur, quando guiderai i Poètes potrai tenere il tuo Paul al sicuro»

«Se fosse così semplice controllarlo» si lasciò scappare. Se possibile il sorriso sul volto di Stendhal si allargò.

«Non dirmi che ha preso la tua testardaggine?» Arthur annuì mesto,

«Abbiamo entrambi delle forti personalità che inevitabilmente finiscono col collidere»

«Come avvenuto poco fa, giusto?»

«A volte penso che dovrei parlargli di Charles, raccontargli la sua storia»

«Sarebbe sicuramente la via più semplice»

«Però non posso farlo» non voleva che Verlaine si facesse un’idea sbagliata. 

Aveva abbandonato Baudelaire, preferendo seguire le regole dei Poètes. Non aveva combattuto per quel sentimento, finendo con il condannare l’amico/amante.

Quello sarebbe rimasto uno dei suoi più grandi rimpianti. Il peccato con il quale avrebbe dovuto convivere per il resto della propria vita.

«Arthur?»

«Paul è il mio partner»

«Sicuro che sia solo questo?»

Rimbaud preferì non rispondere. Si stava comportando come un codardo, scappando dai propri sentimenti. Sin dal primo istante aveva compreso di come Verlaine non fosse come gli altri. Il tempo trascorso insieme aveva solo peggiorato le cose. Discutevano di continuo, la lite di quel pomeriggio era l’ultima di una lunga serie, eppure Arthur sarebbe sceso fino all’inferno per il biondo. 

L’amore è come la febbre. Nasce e si spegne senza che la volontà ne abbia una minima parte

Stendhal spense la sigaretta che teneva ancora tra le labbra.

«Dovresti andare da lui»

«Meglio lasciarlo sbollire per qualche ora o potrei solo finire con il peggiorare la situazione»

«Sai, ci sono dei rari momenti in cui mi ricordi Victor» 

«Suppongo sia inevitabile è pur sempre l’uomo che mi ha cresciuto»

«Fa attenzione Arthur»

«Non capisco»

«Sarà anche tuo padre ma ricordati che per Hugo rimani una delle tante pedine sacrificabili sulla scacchiera»

«Lo so, l’ho capito molto tempo fa» il giorno in cui aveva dovuto salutare Baudelaire attraverso le fredde sbarre di una prigione. 

Riviveva ancora quell’addio nei propri incubi, così come l’istante in cui aveva appreso la verità. 

Arthur Rimbaud aveva smesso da tempo di considerare Victor come un modello virtuoso, si era abituato a fingere in sua presenza, così come gli era stato insegnato. 

In fondo lui non era altro che una spia. La migliore d’Europa.

 

***

 

Wonderland

Circa un anno prima


«Voglio parlare con Victor» in quasi quindici anni di onorato servizio Stéphane Mallarmé poteva giurare di non aver mai visto Rimbaud tanto furioso. Il futuro leader dei Poètes era entrato a passo di marcia nell’ufficio di Hugo ma vi aveva trovato solo il povero impiegato intento a riordinare alcuni documenti.

«Monsieur Hugo non è qui»

«Questo lo vedo, potresti cortesemente dirmi dove si trova?» 

«Cosa sta succedendo qui?»

Alexandre Dumas era l’ultima persona che in quel momento Rimbaud desiderava vedere. Doveva essere da poco rientrato dall’ennesima missione top secret visto che si presentava con le fattezze di Edmond Dantes, uno dei suoi numerosi alias.

«Allora Arthur mi vuoi dire qualcosa o devo tirare a indovinare?» lo provocò divertito giocando ad impostare il proprio tono di voce,

«Voglio solo parlare con Victor» Dumas fece un cenno con la mano, congedando il povero Mallarmé che sembrava sul punto di svenire.

Gli era bastato intercettare le iridi dorate di Rimbaud per comprendere il livello della sua rabbia. Probabilmente non sarebbe riuscito a placarlo ma avrebbe evitato altre urla per i corridoi. Nonostante l’apparenza sapeva di come Victor odiasse dare spettacolo. 

«É per quanto successo in Germania?» si azzardò a domandare

Hugo gliene aveva parlato poche ore prima, quando con una telefonata gli aveva chiesto di rientrare urgentemente a Parigi. Come sempre Victor era riuscito a prevedere ogni cosa. Era solo uno dei suoi numerosi talenti. Molte stagioni prima, quando il futuro sembrava qualcosa di incerto e meraviglioso, una tela bianca da dipingere con mille e più colori, Lex aveva invidiato tutte quelle qualità che facevano di Vic un astro più brillante dello stesso sole. 

Di quella stella ormai non era rimasto che un vago ricordo, Hugo si stava consumando per colpa del proprio calore. Era così vicino dall’esplodere e diventare una supernova.

Arthur aveva ragione, Dumas comprendeva il motivo di quella rabbia. Hugo gli aveva mentito inscenando la morte di Baudelaire per poi arruolarlo tra le fila dei Poètes. Ciò che però non aveva saputo prevedere era stata la sua prematura scomparsa e come Rimbaud ne sarebbe comunque venuto a conoscenza.

«Se sai tutto Lex portami da lui»

«Non posso farlo, nello stato in cui ti trovi ora finiresti col dire o fare cose di cui potresti pentirti»

«Quanta premura»

«Arthur cerca di capire»

«Quando la smetterai di difenderlo?”

«Comprendo la tua rabbia, così come il tuo dolore» aveva avuto modo di provarlo sulla propria pelle, quando anni prima aveva creduto di aver perso Victor. Erano stati i minuti più lunghi della sua vita.

«Mi ha mentito, lo avete fatto entrambi»

«Vic ha agito in quel modo solo per il tuo bene»

«É solo un ipocrita»

«Arthur»

«Perché lui può avere un amante mentre agli altri è proibito? Perchè ho dovuto separarmi da Charles?»

«Non sai di cosa stai parlando»

«Vuoi forse negare?»

«Il rapporto tra me e Victor è più complicato di ciò che credi, quelle regole sono nate anche per proteggerti e per evitare che qualcuno potesse commettere i nostri stessi sbagli»

«Quale tremendo errore fuggire a Ginevra ogni volta che se ne presenta l’occasione» lo schiaffo con cui Hugo lo colpì stupì entrambi.

Nessuno si era accorto della sua presenza fino a quel momento, presi come erano dal proprio diverbio.

«Victor» persino Dumas sembrava a corto di parole

«Bada a come parli ragazzino» lo ammoní. Rimbaud gli rivolse un’occhiata carica d’odio. 

Erano soli, potevano permettersi entrambi di parlare apertamente. 

«Mi hai mentito. Charles era vivo, dannazione Vic come hai potuto?» non voleva piangere ma la rabbia che provava in quel momento era davvero incontenibile.

«Non era amore ma solo una sciocca infatuazione»

«Non stava a te deciderlo»

«Arthur, l’ho fatto per il tuo bene»

«Non mi interessa. Ormai Charles è morto»

«Arthur»

«Mi è concesso di vederlo o avete già provveduto a nascondere il suo cadavere?»

«Stanno ricomponendo ora i suoi resti» Rimbaud fece per andarsene,

«Aspetta ti accompagno» mormorò Hugo tentando di afferrarlo per un polso,

«Smettila di giocare a fare il padre. È un ruolo che non ti si addice»

Dumas stava per intervenire ma il compagno gli fece cenno di tacere.

«Puoi odiarmi, non mi interessa. Baudelaire non era adatto a restare al tuo fianco, una spia non può permettersi di avere dei punti deboli e lui sarebbe stato solo una zavorra per le tue ambizioni»

«Non preoccuparti diventerò l’agente perfetto che tanto desideri. Quando ti ritirerai guiderò i tuoi preziosi Poètes»

Se ne andò sbattendo la porta, lasciando i due Trascendentali soli.

Hugo si abbandonò ad un sospiro stanco lasciandosi scivolare contro la propria scrivania.

«Sai, io non ti capisco…» iniziò Dumas avvicinandosi,

«Non è stato possibile risalire all’identità del cadavere anche se con ogni probabilità appartiene al giovane Baudelaire, cioè dalle tracce di dna si tratta di lui»

«Quindi nemmeno tu pensi sia morto?»

«Ciò che penso io è irrilevante anche se credo che quel moccioso sia vivo e quello solo un tentativo di depistarci. In qualsiasi caso non abbiamo nulla di che preoccuparci, se tornerà lo farà per Arthur»

«Forse dovremmo raccontargli tutto» Hugo scosse il capo,

«Non possiamo»

«Vuoi proteggerlo, lo capisco»

«Quando questa storia sarà finita, gli affiderò i Poètes»

«Vuoi davvero realizzare il desiderio di nostro padre?»

«Arthur diventerà la spia più forte d’Europa»

«E cosa ne sarà di noi?»

Il silenzio che seguì quella domanda forní di per sé una risposta.

«Non ammetterò mai di aver sbagliato Lex. Non è nel mio carattere. Arthur ha sempre rappresentato il nostro futuro, l’eredità che avremo lasciato al mondo»

«Hai scelto tu di investirlo di quel ruolo»

«Volevo che lui potesse avere ciò che a noi non è stato concesso»

«Hai arrestato il suo primo amore e inscenato la sua morte, per poi arruolarlo nell’intelligence» si limitò a fargli notare alzando un sopracciglio 

«Tu che avresti fatto? Anzi non credo di volerlo sapere»

«Avrei lasciato correre. Se era una cotta passeggera avrebbe fatto il suo corso»

«Baudelaire sarebbe stato solo un peso, un mezzo per ferirlo»

«Ha sofferto ugualmente»

«Sai cosa intendo Lex. Arthur è diverso da noi» lo era sempre stato, sin da bambino.

«Non te la perdonerà facilmente»

«Prima o poi quel moccioso irritante tornerà e ci dimenticheremo di questa storia. L’erba cattiva non muore mai»

«E se Baudelaire fosse morto?»

«Un problema in meno»

«Sei proprio un bastardo»

«Lo so e mi ami per questo»

Un bacio decretò la fine di quella conversazione.







 

*Hanno ceppi, sciabole e tam tam,

non una vecchia scatola di candele,

e yole che non han gian gian

Solcano un lago dalle acque arrossate!

 
  
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