6°
Capitolo
Stiles mugugnò, lo
sbadiglio a bocca aperta che rilasciò e che con un secondo di ritardo coprì con
una mano, gli occhi che prendevano coscienza con l’ambiente ormai fin troppo
noto e le iridi boscose riposate che seguivano i suoi movimenti. Forse era la
prima volta che le trovava in quelle condizioni, non affaticate dal ritrovarlo
in giro per il campus di notte e riuscire ad escogitare un modo per ripotarlo
indietro. Era evidente che passare la notte insieme, senza troppe complicanze,
fosse un bene per entrambi. «Ehy, buongiorno».
Derek fissò lui e
poi la finestra che mostrava barlumi di raggi solari, l’impressione che le
nuvole si fossero dileguate. Borbottò qualcosa, un mormorio in risposta e
l’umano se lo fece bastare.
«È stato meno
traumatico di quanto credessi» osservò meglio intorno a sé, non c’era nulla di
diverso, non era cambiato niente, eppure sapeva che una variazione ci fosse
stata. «È bello svegliarsi in un letto in cui ci si è effettivamente
addormentati precedentemente» sorrise leggermente, niente camminante notturne,
niente sorprese.
Il lupo mannaro lo
scrutò, i lineamenti che sondavano. «È una tua paura?».
«Svegliarsi
accanto ad una persona mezza nuda senza sapere cos’hai effettivamente fatto o
cosa ti sia stato fatto? Sì» lo indicò con un braccio, a sottolineare la
condizione vestiaria con cui il mannaro lo accoglieva quotidianamente.
Derek roteò gli
occhi per nulla toccato, trovando quella frecciatina infondata ed esagerata.
«Ti è mai capitato?».
«Eccetto te?»
domandò retoricamente, gli occhi ambrati che scorrevano sulla sua figura
parzialmente coperta dalle lenzuola. «Fortunatamente no» era anche fortunato
sotto un altro punto di vista, il lupo completo si era sempre dimostrato
delicato sotto quel punto di vista, evitava che andasse in panico, aspettando
che le sue membra fossero completamente reattive e pronte a cogliere cosa fosse
variato, in che situazione scomoda si trovasse. «E comunque non è mia abitudine
rimanere in letti di estranei».
«Lo dici come se
frequentassi soltanto persone occasionali» rifletté a voce alta il padrone di
casa, la fronte crucciata incapace di identificarlo, di cacciare via l’idea che
aveva di lui.
Stiles non capiva
affatto quale potesse essere. «Principalmente è così. Di seria ho avuto… una
relazione e mezza?».
«È una domanda?»
chiese di rimando il capitano della squadra di basket, le sopracciglia
aggrottate.
«Non so
quantificarle» rivelò Stiles senza giri di parole, non appariva nemmeno
mortificato della situazione. «Qual è la tua abitudine, invece?» cambiò
completamente argomentazione, ribaltandola come se in realtà esistesse una
congiunzione tra l’una e l’altra.
Derek rimase in
silenzio nella caratteristica che lo contraddistingueva, ma Stiles avvertiva
una nota sinistra, lo fece sentire a disagio. «Non ho abitudini».
«Nel senso che non
hai regole?» domandò allora, il mistero che si accentuava. «Dipende dalla
persona?» chissà qual era il genere di persona che attirava Derek, oltre a
psicopatiche assassine manipolatrici.
«Non ho abitudini»
ripeté il licantropo e Stiles non aveva la minima idea di che cosa
significasse.
Il figlio dello
sceriffo avrebbe voluto indagare ancora, sfibrare il mistero e cogliere quali
fossero le sue reali intenzioni, il modo di fare, ma dall’ammonizione che
ricevette dal padrone di casa coglieva che era il caso evitare di farsi buttare
fuori a calci; non erano nemmeno affari suoi, soltanto una parte di sé
disturbata. «Non volevo dirti quelle cose l’altro giorno, non le penso davvero»
sapeva di essere in torto, era consapevole di essere stato ingiusto e di non
aspettarsi la mano che Derek continuava ad offrirgli; credeva realmente di
essere nei pasticci senza il suo intervenire, ma il mannaro non si tirava
indietro nemmeno davanti ai suoi tiri mancini.
«Le pensi eccome»
lo smentì il licantropo, le sopracciglia eloquenti, a sottintendere quanto
avesse ragione.
«Sì, beh, non
volevo essere così maligno» a volte si chiedeva se non fossero residui della
volpe oscura, ma era solo una scusa, un pretesto, lo era sempre stato; non
avere peli sulla lingua e un filtro a miticare i suoi pensieri erano la sua
forza e tallone d’Achille.
«Non importa» lo
liquidò la creatura della notte, inflessibile al battaglione a cui Stiles a
volte dava voce. «Conosco la tua lingua biforcuta».
«Non ti conviene
essere così accomodante, Sourwolf» lo mise sull’attenti la matricola, le labbra
che si disegnavano in un ghigno in procinto di addentrarsi in malefatte.
«Potrei approfittarne».
Derek ancora una
volta non si lasciò turbare, semplicemente tirò il lenzuolo sopra la testa di
Stiles a seppellirlo e quest’ultimo rilasciò una risata in una perfetta
combinazione tra l’offesa e il divertito.
Il figlio dello
sceriffo si liberò dopo una leggera lotta non molto impegnativa dalla parte del
mannaro, era evidente fosse una bazzecola per lui e Stiles ne stava traendo
ogni vantaggio nel suo essere in una posizione di svantaggio.
Quando il lenzuolo
di cotone cadde e lo studente di criminologia lo acchiappò tra le mani,
spingendolo verso il basso per liberarsi la vista, si soffermò meditativo sul
padrone di casa per qualche attimo, mentre Derek tratteneva un interrogativo
nello sguardo di giada. «Come mi sono comportato stanotte? Ho fatto nulla?».
«È un bene che io
possieda una vera serratura alla porta» affermò senza tergiversare, dando
subito una risposta che era evidente impensieriva il suo ospite. Si trovavano
in quella situazione proprio per le problematiche di Stiles, il resto era
contorno che gli permetteva di non soffocare. «E che tu non sappia dove tenga
le chiavi».
L’umano si chiuse
in un silenzio profondo, rinchiuso in dei pensieri che gli affollavano la mente
già bistrattata. «Sono davvero impegnativo».
Era scoraggiato e
triste, anche demoralizzato, Derek riusciva a capire il suo stato d’animo. «È
un enorme passo avanti, Stiles. Sono riuscito ad afferrarti subito».
Stiles avrebbe
preferito non fosse necessario, ma Derek era inquietantemente ottimista sotto
quel punto di vista e si domandava da quando era lui il catastrofista e il
mannaro l’ottimista.
«Ho una cosa per
te» disse invece Derek, lasciando di stucco lo studente del primo anno e
allontanandolo dalle sue macchinazioni cupe.
Il figlio dello
sceriffo lo vide ruotare verso il comodino e aprire il primo cassetto,
armeggiare un paio di secondi e voltarsi verso di lui, porgendogli una busta
bianca. «Per me?» ripeté in una domanda che risuonava come una eco,
l’incredulità dubbia che pizzicava le iridi ambrate e modificava i tratti
facciali.
Stiles la afferrò con indecisione,
confuso, guardando più Derek che l’oggetto che gli veniva passato tra le mani.
Rigirò l’incarto varie volte, in cerca di qualche scritta che gli dessero un
suggerimento, ma esso non c’era e attraverso la carta spessa e bianca non
intravedeva nulla, nemmeno nella controluce dei pochi raggi solari che
penetravano dalla finestra. La busta era aperta, ma era nuova ed immacolata.
Con tentennamento si approcciò a inserire
le dita e estrarre ciò che vi era conservato, sollecitato sia dalla propria
curiosità sia dall’aspettativa di Derek. Le falangi estrassero un rettandolo di
carta, il simbolo della Michigan State University sulla carta stampata: l’elmo degli spartani. «Derek»
un sorriso incredibile gli colorò il viso, uno pieno e spontaneo, esteso da
guancia e guancia. Fu annessa anche una risatina incredula e felice. Tra le
dita affusolate stringeva un biglietto per la partita di basket che si sarebbe
tenuta tre giorni dopo.
«Quattro» proferì soltanto Derek, un nuovo numero che
veniva sommato.
Stiles girò la testa verso di lui, il cuscino che si
plasmava sotto il suo peso, le iridi che brillavano e quel sorriso che perdurò,
affascinato e sorpreso. «Der, li conti davvero i miei sorrisi?».
«Fanno parte di te. Sei pieno di sfaccettature e anche
questa lo è» rivelò il lupo nero con autenticità, valido osservatore; non ci
vedeva nulla di strano.
«Credo siano molti di più» suppose certo lo studente
di criminologia, eppure la curva lieta sulle labbra non vacillò, rimase
stabile, intramontabile.
«Non quelli autentici» lo corresse la creatura della
notte, una mano che si posava a contatto con la mandibola, il pollice che
accarezzava uno dei nei più evidenti sul viso dell’umano, quello più vicino
alla bocca. «Mostri ghigni e smorfie malandrine, sono sempre deturpati da
qualcosa, ma questi sono realmente felici. Sono puri» sfiorò con il
polpastrello un angolo delle labbra, a sottolineare precisamente a quali si
riferisse. «Li reprimi e nascosti, ma adesso non puoi trattenerli».
Stiles era incantato, infatuato e il suo sorriso non
smorzava, rimaneva vivace sotto il tocco di Derek. «Sei troppo attento,
Sourwolf» non riusciva a quantificare il modo e il tempo in cui tutta quella
storia fosse diventata importante per il mannaro.
«È soltanto una partita di riscaldamento, puoi
contenerti» proferì Derek, a sforzare quanto detto.
«Non importa cosa sia, sono troppo eccitato» Cristo,
erano anni che non vedeva Derek nel suo elemento principale, non poteva credere
che sarebbe riuscito ad assistere ad una partita vera ed a non doversi
accontentare di sgattaiolare durante gli allenamenti della squadra.
«Sì, lo sento» gli fece ben notare, lievemente
annoiato dall’esagerazione.
Stiles lo spintonò e sbuffò sonoramente, ma era invaso
dalla contentezza, non riusciva e voleva dissiparla e Derek contò cinque,
sei, sette sapendosi rendere costantemente molesto anche nelle buone azioni
della sua inattesa gentilezza. Stiles abbracciò il biglietto come se fosse il
suo tesoro più prezioso e Derek rilasciò una mezza risata, divertita dal suo
essere ridicolo senza troppo sforzo. «Anch’io voglio vederti felice, Derek» lo
aveva voluto dal primo momento in cui accidentalmente l’aveva incontrato ed era
un desiderio che non aveva mai mollato la presa. Non credeva che quello stesso
pensiero fosse condiviso proprio con il fantomatico lupo cattivo.
«Devi applicarti di più» si burlò il capitano con
nessuna reticenza, il pollice che premeva ancora sul neo vicino alla bocca, in
una carezza solenne, eppure percepì dell’esitazione nelle sue parole.
Stiles afferrò il proprio prezioso cuscino che si
portava ovunque andasse e lo sbatté contro il viso di Derek, scaturendo della
disapprovazione da parte sua, anche se era perfettamente in grado di prevenire
e parare il colpo.
Nel risentimento reciproco fittizio, Stiles non ebbe
scampo e il suono delle sue risate riecheggiarono su tutte le pareti, su ogni
oggetto del mutaforma, assalto dopo assalto, rendendosi conto di non provare un
tale divertimento genuino da quando la volpe gliel’aveva sottratto. Sperava che
anche Derek stesse provando qualcosa di similare, anche soltanto piccoli
spazzi.
«L’abbiamo sentito ululare la scorsa notte» gli
comunicò Erica, seduta a mangiare un’insalata con lattuga, uova e carne appena
scottata, qualcosa che Stiles non avrebbe mai guardato in un menù.
Isaac annuì, un panino ripieno di polpette giganti
molte rossastre. «È stato abbastanza preoccupante».
Si erano ritrovati in una delle tavole calde che
rientrava nei locali che i suoi buoni pasto ricoprivano; Stiles li stava
provando tutti, in cerca di locali che potesse frequentare quotidianamente e
fornire una buona cucina, simili a quelli che Derek era in grado di scovare e
che Stiles si era appuntato, ma doveva spesso pagarli di tasca propria e il
portafoglio non apprezzava. In quell’occasione di ricerca, Erica si era unita a
lui, insieme ad Isaac e Boyd. Derek in quel momento era bloccato a lezione, in uno
dei suoi corsi extra fuori orario.
«Abbiamo cercato di raggiungervi» continuò Boyd,
provando l’ennesimo hamburger, doppio in quel pranzo. Stiles era invidioso del
loro stomaco di ferro, dubitava potessero avere delle intossicazioni o
ripercussioni di qualsiasi sorta. «Ma non vi abbiamo trovato, eravate già
andati via».
«Avevamo intasato il telefono di Derek di chiamate e
messaggi, soltanto più tardi ci ha rincuorato» Erica era pensierosa, affranta,
preoccupata, emise anche un sospiro stanco, Stiles non si era reso conto di
quanto la sua situazione si estendesse a terze persone.
«Stiamo bene» li tranquillizzò, anche se non sapeva su
quale aspetto dovesse farlo. «Lo avete già visto in forma da lupo completo?»
era davvero preoccupante che Derek avesse sentito il bisogno di ululare e
scaricare la sua frustrazione?
«Una volta» lo informò Isaac, i ricordi
che tornavano alla memoria. «Non si mostra granché. Come con l’ululare, è
accaduto soltanto un’altra volta».
Derek era sempre il solito sostenuto e
riservato. Non che pretendesse che andasse in giro per il campus ogni due
secondi nella sua forma completa, ma doveva essere difficile dover reprimere
quella parte di sé così invadente ed era evidente quanto fosse stato necessario
per lui doverla assumere per cercarlo nella notte di pioggia. «Mi ha detto che
l’ha ottenuta da un anno, ma non in che modo».
«Tipico» sbuffò evidentemente la
mutaforma, una nuova forchettata che imboccava e prendeva a masticare con
classe. «Ma nemmeno noi sappiamo precisamente come sia accaduto, non sono
neanche sicura se sia riuscito a capirlo lui. Una sera l’abbiamo sentito chiamarci
con un ululato nuovo e l’abbiamo trovato in quella forma. Un completo lupo
nero».
«Era abbastanza sconvolto quando è
riuscito a tornare in forma umana» rivelò Boyd, il pensiero che si incupiva a
tornare indietro con le memorie. Era fantascienza scuotere Derek, ma
addirittura incontrarlo sconvolto era fuori da ogni immaginario. «È riuscito a
padroneggiarla quasi subito».
«Stava soffrendo, però» lo delucidò lo
studente di veterinaria. Derek era entrato in possesso di un grande potere, ma
era stato scaturito da un impatto negativo che lo stava ferendo, lacerando.
Aveva visto bene il suo smarrimento nelle iridi boscose. «Era molto triste.
Aveva già cominciato a percepire qualcosa qualche ora prima».
Il ricciolino intercettò subito le iridi
scure del suo branco, il modo in cui lo stavano rimproverando silenziosamente,
ma rumorosamente, parlando troppo. Cercò di ricomporsi.
Derek aveva molti motivi per essere in una
costante nube di tristezza, ma ciò non l’aveva mai mutato, eppure doveva essere
qualcosa di enorme per aver innescato l’evoluzione che l’aveva toccato. Forse
era un altro indizio verso una strada che avrebbe dovuto intraprendere e la sua
natura soprannaturale gli stava fornendo ogni strumento per essere più forte,
per incitarlo in quella direzione. «E i suoi occhi? Avete visto anche quelli.
Lo seguite come se fosse un Alpha?».
«Derek non la vede in quel modo» proferì
Erica, ma era indignata ed anche annoiata dalla sua ottusità.
«Non ho chiesto come la pensi lui, ma cosa
pensate voi» aggiustò il tiro, focalizzandolo sul punto fondamentale, qualcosa
che aveva cominciato a capire perfino prima che Derek gli mostrasse le sue
bellissime iridi uniche e tormentate.
Esitarono tutti e tre per qualche secondo,
forse restii ad esprimersi in completa fiducia o forse bisognosi di dover
raccogliere le idee ed esternarle con le parole giuste. «Noi sentiamo il suo
potenziale» elargì l’afroamericano, la certezza nella sua voce. «Anche nella
pratica, riesce a farsi valere. A noi basta, a lui no».
«Sì, è un bravo Alpha anche con me» Stiles
non poteva affatto negarlo, l’aveva sentito serpeggiare dentro di sé e ne era
rimasto incantato.
Erica lo fissò attenta, i suoi occhi
nocciola luccicarono e si impressero il momento, a non lasciarselo sfuggire,
poi i suoi lineamenti si ammorbidirono. «Vorrei che se ne rendesse conto anche
lui».
Stiles era arrivato al campo di basket fin
troppo anticipatamente, gli spalti erano quasi vuoti e la squadra era nella
fase di riscaldamento. Aveva sorriso eccessivamente quando il codice a barre
del suo biglietto era stato scannerizzato dall’addetto all’entrata, emanando un
rumore positivo che accertava la validità ed autenticità di quel rettangolo di
cellulosa che Derek gli aveva regalato come se fosse un’inerzia, ma che per
Stiles rappresentava molto di più. L’aveva custodito gelosamente nella propria
camera nel dormitorio, all’interno di uno dei suoi libri di criminologia
preferiti, lontano da occhi indiscreti. Ma finalmente quel giorno era arrivato
e l’umano scalpitava, vedendo a poco a poco gli elementi del pubblico
raggiungerlo, occupare posto dopo posto.
«Sei fortunato» dichiarò Erica quando si
accomodò al suo fianco, il numero sul biglietto non era il suo corrispettivo,
ma a lei non sembrava importare, appariva sicura di non arrecare disturbo al
legittimo proprietario. «Derek non mi ha mai ceduto uno dei suoi biglietti».
Il figlio dello sceriffo la guardò
sbalordito ed anche un po’ incredulo. «E quale utilizzi?» anche se Erica amava
il suo strano branco, dubitava che potesse spendere del denaro per seguire le
partite di basket.
«Boyd ed Isaac fanno a turno, a seconda
della loro disponibilità. Sono soltanto due biglietti gratuiti a giocatore e
riescono sempre ad invitare qualcuno oltre a me» lo informò distrattamente,
ammiccando giocosamente.
Non erano i posti migliori e non erano
nemmeno i peggiori, era un settore stabilito verso la metà, a permettere ad
amici, famiglia ed interessi amorosi della squadra di assistere. «Anche Derek
invita qualcuno?».
«No, mai fatto» negò vistosamente la lupa
mannara, il capo che si scuoteva ad accompagnare la sua risposta. «A volte non
li ritira nemmeno».
Però in quell’occasione l’aveva fatto.
«Nemmeno Laura?».
«Per quanto le piacerebbe assistere, i
suoi impegni non coincidono mai e non può permettersi di passare da queste
parti così di frequente» Erica rilasciò un mezzo sospiro, era evidente che la
situazione non le piacesse particolarmente. «Hanno una specie di patto, se la
squadra riesce ad arrivare in finale, Laura si organizza di conseguenza per
essere ovunque verrà disputata; finora c’è sempre riuscita e acquista il
biglietto con il posto migliore. È piuttosto decisa su questo».
Stiles ridacchiò leggermente, era un
aspetto molto da Laura, sostenere e farsi sentire da suo fratello più che
poteva. «Quindi nemmeno Laura ne ha mai beneficiato».
«No, sei il primo» Erica fu distratta
dalla presentazione ed entrata in scena dei giocatori, il palazzetto che
cominciava ad animarsi, i vocii per le intonazioni delle due diverse squadre
che stavano scendendo in campo. «È proprio da Derek aspettare così tanto».
Stiles la fissò indecifrabile, la domanda
conseguenziale che rimbombava aspettare cosa? Ma non riuscì ad esternare
l’interrogativo ed i cori iniziarono, un spartani spartani
che riecheggiava ovunque e Derek che si piazzava nel suo ruolo da playmaker, i
gesti simbolici da capitano che indirizzava ai suoi compagni.
Il figlio della massima autorità di Beacon
Hills sorrise apertamente quando l’osservò occupare il suo posto sul parquet e
gli occhi di Derek individuarlo, accigliato come sua posa tipica. Stiles lo
salutò con un cenno della mano, la curva entusiasta sulla bocca che si
estendeva, la bolla che creò in cui gli unici abitanti erano soltanto loro due,
impossibilitati ad essere distratti dalla moltitudine di persone che copriva il
silenzio. Il lupo scosse impercettibilmente il capo rassegnato dalla personalità
di Stiles e abbozzò qualcosa che assomigliava spaventosamente ad un sorriso
misto a un grugnito, mentre la matricola saltellava sul posto elettrizzata.
Stiles invocò il suo nome per tutta la
durata della partita, urlando, incitandolo e acclamandolo, applaudendo
entusiasta ad ogni punto segnato e ottenendo nelle occasioni che riusciva a
ritagliarsi, tra una pausa o una sospensione, gli occhi di giada su di lui,
testimonianza di quanto il mannaro sapesse individuarlo ovunque si trovasse.
La partita si concluse a favore degli
spartani ‒ ovviamente ‒, gli spalti si svuotarono lentamente e le
squadre non erano più in campo, Stiles rimase al suo posto insieme ad Erica e
aspettarono non sapeva bene cosa, finché ad un certo punto lei non gli fece un
gesto che lo invitasse a seguirla, percorrendo i gradini e raggiungendo il
campo, da cui uscirono Boyd, Isaac e Derek, con un borsone ciascuno in mano,
già perfettamente lavati e cambiati. Più veloci della luce. «Sei stato
grandioso, Sourwolf» esultò Stiles, la frenesia dell’eccitazione che non dava
segnali di volersi placare, la dentatura completa che si mostrava splendente.
«Piano con le preferenze» lo additò Isaac,
fintamente risentito dall’accoglienza che l’umano riservava al playmaker.
«Siete stati bravi tutti» continuò il
figlio dello sceriffo, minimizzando l’accusa del mannaro e congratulandosi con
loro, rivolgendosi pienamente anche all’afroamericano, riservandogli un
arricciamento delle labbra complice. «Ma Derek è un vero fuoriclasse».
Isaac incassò il colpo ed annuì con il
capo, impossibilitato ad obbiettare. «Non è il nostro capitano per niente».
«Quello è perché ha l’attitudine da
leader, come un Alpha eccezionale» Stiles stava cominciando a pensarlo fin
troppo spesso, si rendeva conto di quanto fosse predisposto per quel ruolo, nel
modo in cui si comportava con il suo branco ufficioso e per quanto fosse
costantemente al suo fianco.
«È un bene che non si sia già montato la
testa» ammiccò spudoratamente la licantropa, il rossetto rosso che spiccava.
«Con tutti i vostri complimenti».
«Faremo tardi» informò Derek, ignorandoli
completamente e sordo alle felicitazioni dell’umano.
Stiles riportò l’attenzione su di lui,
inclinando il viso e squadrandolo per bene, a tentare di decifrare il suo
linguaggio criptico.
«È la prima partita della squadra, in
genere andiamo a festeggiare» completò per lui Boyd, abituato al vocabolario
limitato del capitano, illustrando le loro abitudini ad uno Stiles
completamente estraneo ai loro riti. «È tradizione».
«Oh, Sourwolf, sai anche festeggiare?
Divertirti?» il suo ghigno pericoloso mutò i lineamenti candidi e sporcò le
labbra carnose, il diletto che emanava da ogni poro.
Lo studente di letteratura roteò gli occhi
annoiato, pronto a ricevere l’ennesima stangata da parte della matricola. «Va a
mangiare, sono sicuro che nel correre qui tu non l’abbia fatto».
Il figlio dello sceriffo lo fissò a lungo,
sbalordito e incuriosito da una tale attenzione, gli ingranaggi nel suo
cervello che si mettevano in moto a tentare di far scattare qualcosa.
«Sì! Te l’ho tengo d’occhio io, Derek» si
unì Erica intrigata e contagiosamente divertita, aggrappandosi ad un braccio di
Stiles e tenendolo ben stretto, a sottolineare le sue intenzioni. «Potremmo
andare nel tuo locale preferito, Stiles, non ho cenato nemmeno io».
«Locale preferito?» indagò il lupo
completo, un sopracciglio che si inarcava lievemente.
«O sì» esclamò l’unica ragazza del gruppo,
il giubilo che cresceva ancora, strattonando l’umano. «Il Crescent Moon».
«Ma davvero?» lo sollecitò Derek, le iridi
di smeraldo puntate su quelle di caramello, l’interesse che si accendeva.
«Ho talento in queste cose» ma Stiles non
specificò esattamente in cosa consistesse.
«Sì, abbastanza» Derek invece sembrava
comprenderlo molto bene. «Ci vediamo più tardi».
«A più tardi» lo salutò Stiles, un sorriso
di incoraggiamento e lo sguardo che lo seguì finché non lo vide congedarsi.
Dovette ammettere a se stesso che Erica fu quasi costretta a trascinarlo di
peso dal metro quadrato su cui si era inchiodato.
Derek un paio di ore dopo gli inviò in
messaggio, in cui gli comunicava che si stava dirigendo verso l’appartamento.
«Hanno finito» disse alla lupa mannara che sorseggiava una cioccolata calda
alla menta.
Erica osservò l’orario sul display del
cellulare, la tazza che si svuotava di metà. «Ha fatto presto».
A Stiles risuonò sinistra quell’osservazione.
«Di solito torna più tardi?».
«Derek non ha uno schema» la lupa agitò
una mano in senso di diniego, a tranquillizzarlo, le unghie laccate di rosso
rubino. «Non è un tipo loquace, lo sai anche tu e ha un livello di
sopportazione minimo, agisce soltanto come si sente sul momento».
Stiles sapeva quanto la ragazza avesse
ragione, lei lo conosceva meglio di tutti, ma non riusciva a togliersi quella
pulce nell’orecchio che si era insidiata malignamente.
«Non angustiarti, Stiles» lo rassicurò,
percependo immediatamente il flusso delle sue emozioni. «Non dipende da te».
«Non puoi negare che ne sia influenzato»
era un fattore su cui non si poteva proprio sindacare, Stiles sapeva quanto
Derek fosse attento ai suoi bisogni, quanto procedesse con adagio. «È sempre
così vigile».
«Non limitare le sue azioni» lo riprese
Erica, sbrigliando la matassa d’ansia e oscura in cui si stava intrappolando.
«Derek fa soltanto quello che è meglio per lui».
Quando Stiles si presentò davanti la porta
del mannaro essa era già aperta, con il padrone di casa che attendeva dietro, a
facilitargli il passaggio nella sua solita mise e l’umano varcò l’uscio insieme
al borsone con il cambio abiti che preparava ogni giorno. Si gettò sul letto
quasi subito, il tempo di spogliarsi e indossare il pigiama; scivolò tra le
coperte come se non aspettasse altro.
«Ti sei divertito?» Derek lo seguì
successivamente, perdendo tempo a trafficare e sistemare qualcosa che non
rientrava nel campo visivo del figlio dello sceriffo.
Stiles lo occhieggiò appena nel momento in
cui il licantropo lo raggiunse, scuotendo le lenzuola e sistemandole meglio su
di loro. «Sì, tanto. Sei stato fantastico» soffocò uno sbadiglio sul cuscino,
il viso seminascosto sotto la coperta. «Mi era davvero mancato vederti
giocare».
«Sì, l’ho capito dal tuo tifo sfrenato»
alcune dita del mannaro si incastrarono tra i capelli castani, ad accarezzarli
e sistemarli con gentilezza.
Stiles si accoccolò meglio sotto il tocco
restauratore del lupo e ammiccò irriverente. «Vuoi ancora sostenere fosse
soltanto un riscaldamento?».
«Lo era, sei tu che esageri sempre» il
pollice scivolò e carezzò con leggerezza confortante una tempia.
Stiles si sarebbe potuto addormentare con
una facilità estrema. «Nemmeno tu ti sei risparmiato».
«Non fa parte di me» il suo tono era serio
e avvallava la tesi che si impegnasse in ogni cosa, a prescindere da quanto
fosse rilevante. «La prossima volta, chissà come reagirai ad una partita vera».
«La prossima volta?» gli fece eco, gli
occhi che si ingigantivano per lo stupore, il capo che si alzava di scatto per
guardarlo meglio ed accettarsi di aver udito perfettamente. «Ci sarà una
prossima volta?».
«Certo, perché non dovrebbe?» Derek lo
guardò criptico, indagatore, le iridi verdi che tentavano di decodificarlo.
«Puoi assistere a tutte le partite che vuoi».
«Tutte?» Stiles lo guardò con occhi
giganti, non riusciva a crederci.
«Tutte» confermò il licantropo senza
alcuno sforzo, veritiero. «Tutte quelle che si terranno qui. A meno che non
vuoi seguirmi anche in trasferta».
In trasferta, non l’aveva
realizzato, messo in conto che Derek non avrebbe giocato ogni partita dei vari
campionati alla Michigan
State University, ma che
molte si sarebbero tenute sparse per tutti gli Stati Uniti. «Lo farei, se
potessi permettermelo» Derek stava scherzando, non lo intendeva davvero, ma
Stiles lo avrebbe fatto, soprattutto se significava non essere sotto lo sguardo
vigile del mutaforma nelle notti tormentate. Poi l’umano lo fissò a lungo,
indeciso e frastornato, il tarlo che non smetteva di lasciare i suoi pensieri.
«Sei sicuro di non voler dare quei biglietti a qualcun altro?» Erica gli aveva
confidato di essere stato il primo a cui Derek aveva concesso quell’onore, che
nemmeno Laura, la sua preziosa sorella, ne aveva mai usufruito e Derek voleva
darli a lui, proprio a lui.
«Piuttosto sicuro» non c’erano
tentennamenti da parte del lupo mannaro, era serio ed irremovibile. «Non c’è
nessun altro a cui li consegnerei».
La matricola era lusingava, impressionata
ed una parte di lei stava saltellando per la contentezza. «In questo modo non
ti libererai mai di me, Der».
Le dita della creatura della notte si
inoltrarono e si poggiarono sull’attaccatura dei capelli, lì al centro della
fronte e Stiles si sentì liberato ed in pace. «Non ho mai detto di volerlo».
Le labbra dell’umano formarono una curva
piena e raggiante, mitigata da una leggera timidezza e nascose diagonalmente il
viso sul cuscino, pronto a godersi la sua notte di sonno lautamente guadagnata.
«Stai cercando un Alpha?» tuttavia Derek
non appariva di quell’avviso, la sua attenzione era già rivolta altrove.
Le pupille nere si dilatarono e il miele
delle iridi mitigò, Stiles si trovava in difficoltà. «Perché lo chiedi?».
«Ho avuto quest’impressione» Derek non
riusciva a dimenticare il modo in cui la matricola parlasse ed elogiasse un suo
essere un Alpha mancato.
«Ne ho già uno» credeva che il suo odore parlasse
per lui, che l’impronta fosse rimasta, anche se tra di loro si istaurassero
stati su stati.
«Sì, Scott» non era un segreto, non ne era
rimasto nemmeno stupito quando Malia lo confidò a Laura; un Vero Alpha. Il
messicano in qualche modo aveva sempre incarnato quel ruolo, anche quando era
un Beta inesperto, ma senza Stiles al suo fianco a spiegargli e sperimentare
con lui tutto quello che gli serviva per controllare se stesso, dubitava che
avrebbe ottenuto grandissimi risultati; anche se Laura era l’insegnante
migliore del mondo ed aveva fatto del suo meglio per venirgli incontro.
Tuttavia esisteva un grande problema alla
base, Stiles non si sentiva più in sintonia con il suo vecchio branco. Aveva
cominciato a vacillare dopo il Nogitsune, la conseguenziale morte di Allison;
le cose si erano aggravate con l’arrivo dei Dottori del Terrore e delle loro
chimere. Stiles stava cercando di metterlo al passo con tutto, di raccontargli
piccoli bocconi di lui, tutto quello che gli era accaduto dopo la sua partenza.
C’erano ancora degli aspetti che non gli
rilevava, il modo in cui il Nemeton si fosse attivato prima dell’arrivo del Darach, che cosa fosse accaduto dopo i Dottori del Terrore,
che cosa avesse scatenato i suoi episodi pericolosi di sonnambulismo, ma delle
chimere gli aveva raccontato eccome, di come fosse stato bersagliato in
particolare da una di loro, di come l’avesse inseguito in una strada senza
uscita con l’unico scopo di fargli del male, limitarsi apparentemente in teoria
a mangiargli le gambe per punire lo sceriffo Stilinski, ma Stiles era
spaventato, terrorizzato dall’accanimento che gli veniva gettato addosso, della
caccia spietata di cui era vittima, della concreta possibilità che la sua
carnefice non si limitasse a privarlo degli arti inferiori e gli strappasse
lembo dopo lembo di pelle, muscolo dopo muscolo, rinchiuso nella biblioteca
scolastica da cui non individuava il modo di scappare.
Si era difeso, aveva cercato di restare
intero e di rallentare la sua pedatrice, ma inevitabilmente nella disperazione
l’aveva uccisa per proteggere se stesso. I sensi di colpa non gli avevano dato
tregua, perché Stiles aveva l’anima più candida che avesse mai conosciuto,
anche se era stata macchiata e bersagliata con ogni tragedia possibile.
Quando Scott l’aveva scoperto, non glielo
aveva perdonato e l’aveva accusato. Stiles aveva sentito quanto il legame
fraterno e unico che li legava si stesse lacerando.
Anche nel momento della riappacificazione
avvenuta diverso tempo dopo, Stiles non aveva percepito che si fosse ricomposto
ed era lì, a tenere duro, ma il divario era divenuto troppo estremo e poi era
nato una sorta di risentimento che Stiles non avrebbe voluto provare, ma che
era lì e si ramificava; Derek non aveva ancora scoperto a cosa fosse dovuto.
Stiles si nascose tra le coperte, ma le
dita di Derek erano ancora su di lui e non avevano smesso di risollevarlo. «Non
so rispondere, non so cosa stia cercando, a parte me stesso».
Derek si inoltrò verso di lui, la testa
che si depositava sul cuscino prezioso del figlio dello sceriffo; erano
incredibilmente vicini, il respiro accarezzava la bocca e il calore corporeo
fluiva da uno all’altro. «Ehy, non ti sta inseguendo nessuno».
La matricola abbozzò un sorriso triste e
socchiuse appena le palpebre, a godersi la vicinanza e le premure che Derek
aveva per lei. «Tuttavia hai avuto l’impressione che ne stia cercando uno».
«Cosa ci sarebbe di male?» chiese il
licantropo interessato alla visione che Stiles aveva del loro mondo. «Nessun
branco resta immutabile per sempre. L’evoluzione, il cambiamento, fanno parte
dell’essere vivente e tu hai diritto di trovare un altro posto più congenito a
te, se è quello che vuoi. Hai anche il diritto di tornare indietro».
Stiles era visibilmente commosso e si
strinse istintivamente a lui, le due fronti che entravano in collisione e si
poggiavano l’una sull’altra, le falangi del mutaforma che accentuavano la presa
su di lui. «Saresti un grandioso Alpha, se solo te ne rendessi conto».
«Stiles» lo ammonì Derek, non volendo
tornare sulla discussione.
Stiles sorrise pigro contro di lui, il
naso che sfiorava il suo. «Ti avrei proposto la mia candidatura».
Derek depositò un bacio asciutto sulla
fronte, sul punto in cui partiva il setto nasale. «Dovresti proporla a qualcuno
di meritevole».
Stiles mugugnò di apprezzamento,
abbandonato completamente contro Derek, la barba morbida e curata che
accompagnava la carezza. «Tu lo sei, Der».
Derek tornò al suo posto, fronte contro
fronte, le iridi di smeraldo che si imprimevano ogni lineamento del ragazzo che
era pronto ad addormentarsi a contato con lui. «Non vincerai questa volta».
La bocca di Stiles si curvò ancora una
volta verso l’alto, le dita del lupo che si attorcigliavano morbidamente tra le
ciocche castane, le braccia del dio greco dei sogni che lo accoglieva
calorosamente. «Guardami mentre riuscirò a vincere».
Stiles era andato incontro a Derek subito
dopo che quest’ultimo aveva terminato l’ultima lezione del giorno, aspettava
davanti al College of Arts & Letters e non aveva individuato nessuna
faccia amica finché il licantropo non si era palesato. «Hai preso tutto?» gli
aveva chiesto il moro, l’evidenza di Stiles che possedeva soltanto la sua
fidata tracolla e nient’altro.
«No, devo passare dal dormitorio» non
aveva avuto il tempo materiale di preparare il borsone che utilizzava per
spostarsi nel monolocale del mutaforma.
«Fai strada» l’aveva incentivato lo
studente di letteratura, un unico segno del capo che indicava la direzione
corretta.
Stiles aveva abbozzato un sorriso e
l’aveva trascinato con sé.
«Mi hai mai trovato da queste parti?»
l’edificio caratteristico del Mayo Hall si parava ad ogni passo davanti
a loro, procedendo con adagio, nessuno dei due sembrava avere fretta.
«Poche volte» lo soddisfò Derek,
l’andatura al suo fianco che non cedeva di un centimetro. «Ti piace camminare».
Il che corrispondeva proprio al problema
principale, se Stiles fosse stato moderato e con un’area da ricoprire limitata,
Derek non avrebbe dovuto pescarlo da un fiume o da dovunque lo avesse scovato
in passato.
La matricola si fermò davanti l’ingresso
principale, alcune figure che vi uscirono e che squadrarono sia lui che Derek,
soffermandosi particolarmente sul lupo; Stiles non ne era stupito perciò
procedette verso il secondo piano, varcando la porta e trovando la stanza
occupata da Jiang intento a rilassarsi con la televisione accesa e un taccuino
su cui stava scarabocchiando senza troppa attenzione. «Ehy, Jiang» lo salutò
nell’immediato, dirigendosi verso la sua parte di armadio.
«Stiles» si limitò il compagno di stanza,
adocchiandolo appena.
Lo studente di criminologia afferrò la
borsa e cominciò a riempirla con i suoi oggetti personali, trafficando con la
biancheria, a trovare qualcosa che lo ispirasse da indossare il giorno dopo.
Percepì gli occhi orientali prementi del suo coinquilino su di lui, ma cercò di
non farsi distrarre; non era ancora mai capitato che Jiang lo beccasse in
flagrante a preparare i bagagli che testimoniavano nuovamente la sua assenza
per la notte nel dormitorio né gli aveva mai dato l’opportunità di chiedergli
dov’è che andasse. Era sicuro che ormai avesse le sue teorie, gli aveva già
chiesto in passato se si frequentasse con qualcuno ed era un’idea che
certamente non l’aveva abbandonato, dopo l’evidenza di essersi quasi
completamente trasferito per la notte altrove; sarebbe stato difficile fargli
credere che ciò che Stiles compieva era qualcosa di completamente innocente.
«Quello è Derek Hale? Il capitano della
squadra di basket?» lo studente di economia lo individuò con molto ritardo,
mettendolo a fuoco con difficoltà e registrando i lineamenti da comparare a
quelli di sua conoscenza, perché gli apparivano decisamente familiari.
Stiles fu risvegliato e bloccando le sue
movenze, girò il busto verso il licantropo, fermo sulla soglia della porta,
rispettando uno spazio non suo, gli occhi seri ed inflessibili. «Sourwolf,
dovresti presentarti».
Ma Derek non lo fece e Stiles rilasciò una
mezza risata divertita, prendendo una felpa verde e bianca e sistemandola
dentro il borsone, cercando un paio di jeans che non trovava e che la sua mente
gli ricordò fossero rimasti nell’appartamento di Derek, in cerca di un giro in
lavatrice. Avrebbe dovuto farne una molto presto. «Scusalo, Jiang. È stato
cresciuto dai lupi».
Il mannaro lo fissò in tralice, il
rimprovero ringhiante silenzioso. «Smuoviti, sei troppo lento».
Stiles rilasciò un risolino allietato, per
niente colpito dalla rudezza del capitano e con un unico gesto chiuse la
cerniera della borsa, issandola su una spalla. «E tu sei il solito impaziente e
fastidioso».
«Disse il logorroico iperattivo per
eccellenza» affermò con scherno la creatura della notte, apprestandosi a
scostarsi per far passare Stiles e chiudere la porta dietro di sé.
Jiang non riuscì a decifrare lo scambio
che avvenne e continuò lontano dalla sua portata d’orecchio, non capendo
affatto a cosa avesse assistito. Riuscì soltanto a metabolizzare che Derek
Hale, capitano della squadra di basket per il secondo anno consecutivo e
studente del terzo anno, si accompagnasse da una semplice matricola, seppur
tormentata e complicata.
Derek non aveva guardato l’orologio né gli
prestava mai particolare attenzione, gli allenamenti si erano protratti ben
oltre l’orario abituale e la sera era arrivata in fretta, ma quando risalì le
scale con il borsone pieno della biancheria da pulire e che attendevano
fremente un viaggio in lavatrice, trovò Stiles seduto accanto alla sua porta,
la schiena poggiata sul muro e la borsa da viaggio sulle gambe, a permettergli
di poggiare i gomiti per sorreggergli la testa. «Stiles».
Stiles lo individuò subito e lo salutò con
una mano, una curva lieta lievemente mortificata sulle labbra. «Scusa, devo
aver confuso gli orari».
Il lupo completo inserì la chiave apposita
nella serratura e la fece scattare due volte. «Da quanto stai aspettando?».
«Un’ora, circa» fu vago, alzandosi
immediatamente in piedi e grattandosi disordinatamente la testa.
«Potevi chiamarmi o mandarmi un messaggio»
Derek spintonò la porta e l’essere umano lo seguì a ruota, procedendo diretto e
sicuro verso l’ala dedicata alla camera da letto, poggiando il bagaglio su un
angolo della scrivania e adocchiando distrattamente il letto sistemato con
cura, in cui era custodito il suo prezioso cuscino, cuscino che Stiles aveva
lasciato lì fin dal primo giorno in cui aveva accettato l’invito di Derek di
trascorrere le notti con lui; non aveva alcun senso portarlo avanti ed indietro.
«Non era urgente, potevo aspettare»
rettificò il figlio dello sceriffo, dirigendosi verso il frigorifero e
prendendo una delle bottiglie di vetro in cui era contenuta acqua fresca,
riempiendo immediatamente uno dei bicchieri che aveva lavato quella stessa
mattina. Derek era un vero amante dell’ambiente, puliva e riciclava ogni cosa,
la plastica era un elemento che difficilmente si trovava in giro per il
monolocale, a meno che non vi era costrizione per mancanza di alternativa,
aspetto che lo indispettiva parecchio.
Derek lo fissò corrucciato, il mazzo di
chiavi poggiato momentaneamente al centro del tavolo. «Non devi aspettare
davanti la porta, ma trovare un’alternativa».
«Pensavo saresti tornato presto, ogni
volta prolungavo di cinque minuti. Non mi è pesato e alla fine sei arrivato»
Stiles si fece scivolare la faccenda addosso e si accomodò sul divano,
sbirciando prima attraverso la grande finestra e osservando gli altri studenti
che rincasavano o si apprestavano ad uscire per andare da qualche parte.
Derek sospirò, le difese di Stiles erano
sempre inespugnabili. «Hai mangiato?».
«No» era inutile mentire al lupo nero, non
ci avrebbe guadagnato nulla e Derek avrebbe comunque agitò di volontà propria.
Come volevasi dimostrare, il padrone di
casa si sistemò e subito dopo recuperò qualcosa dal frigo, prendendo una
padella per arrostire, versando una minuscola goccia di olio ‒ vero olio
d’oliva ‒ da cospargere con maestria per tutta la superficie ‒
aboliva il burro ovunque potesse ‒ e lasciare leggermente sfrigolare,
prima di poggiare con delicatezza due tagli pregiati di carne rossa: una era
una bistecca alta e con il grasso evidente, l’altra era più piccola e bassa,
dalla consistenza tenera e Stiles sapeva che era per lui, acquistata
appositamente soltanto il giorno prima. «Niente cottura al sangue».
«Lo so» gli fece ben presente Derek,
stando ben attendo a maneggiare tutto correttamente.
Il mannaro gli dava le spalle, occupato a
far sciogliere il grasso sulla superficie antiaderente. «Non riesco a
sopportarlo, il sangue» la matricola non aveva mai espresso chiaramente quale
tipo di disturbo gli scaturiva, perché fosse così fiscale a tal punto da farsi
chiudere lo stomaco. «Mi sembra di averne già fatto una scorpacciata senza
fine, lo sento sotto lingua» era metallico e dal retrogusto ferroso, quasi
arrugginito, sgorgava a cascate e non riusciva ad associare tutte le facce alle
persone a cui aveva sottratto la vita.
«Forse dovresti diventare vegetariano»
Derek era piuttosto attento a quello, se casualmente si occupava della sua cena
o uscivano insieme, sceglieva spesso un alimento o un posto in cui il menù
presentava una predominanza di scelta vegana o vegetariana. Stiles aveva
bisogno di ampia opportunità e non si risparmiava mai, anche se puntava sempre
sul piatto più economico. Le sue specifiche venivano scandite per bene e in
genere rispettate alla lettera, se vedeva qualcosa che non andava lo faceva
riportare indietro. Odiava gli sprechi o l’essere difficile, ma Stiles non
riusciva a soprassedere su certe cose.
«Sarebbe un’ottima idea, ma amo troppo la
carne» c’era un’infinità di cibarie sotto quella forma, che non mostravano il
sangue nemmeno per sbaglio e Stiles ne adorava il sapore, non era per niente
pronto a toglierli drasticamente dalla sua dieta.
«Sei più un tipo da carne bianca»
difficile non notarlo, a volte il mutaforma si era chiesto se anche quella
preferenza non fosse guidata dalla necessità del suo portafoglio limitato.
«Anche quella contiene sangue» Stiles
rabbrividì, non c’era una risoluzione per il suo problema che lo attanagliava.
«Sì, ma è severamente consigliata una
cottura prolungata» possibilità quasi nulla di ritrovarsi dei liquidi di rubino
sul piatto.
Stiles sbuffò, la vittoria dalla parte del
licantropo era evidente e l’osservò rigirare le due pietanze sulla padella
adatta, quella del lupo era quasi pronta, mentre quella destinata alla
matricola necessitava di una cura maggiore. «Hai una risposta per tutto».
Derek rallentò i suoi movimenti e lo
sbirciò con moderazione, trattenendo un sospiro che era visibile. «Studi
criminologia, Stiles. Incontri il sangue giornalmente e se proseguirai per
questa strada, sarà il tuo futuro».
«Questo non ha nessuna attinenza» lo
smentì pronto il figlio dello sceriffo, i lineamenti che si contraevano e le
iridi caramellate che si scurivano. «Non devo metterlo in bocca, non devo
ingoiarlo».
Derek non proseguì, abbassò la fiamma e si
limitò a prendere due piatti dal mobile apposito in cui li conservavano e
proseguì come se non fosse accaduto nulla.
La matricola impiegò qualche secondo per
calmarsi e altri per ragionare sul da farsi, con lentezza si sistemò vicino a
lui, prendendo l’occorrente per apparecchiare la tavola e alleviare quella
sensazione sbagliata che gli suggeriva quanto si approfittasse di Derek, anche
nelle piccole cose. «Non sei stato tu a fargli del male» lo intercettò Derek,
interrompendo il suo via vai da un punto all’altro. «Non sei stato tu a trarre
nutrimento da loro».
Stiles si paralizzò lì davanti al cassetto
delle posate, non erano molte ed avevano i manici di vari colori: gialli, blu e
verdi, per una persona sola erano anche troppe, ma per due erano abbastanza,
tuttavia per un numero superiore cominciavano ad arrancare. Stiles non aveva
mai capito se in quel monolocale Derek avesse mai invitato qualcuno oltre a
lui. «Sono state le mie mani, sono state le mie scelte».
Proprio le mani erano focali e quelle del
lupo completo andarono a circondare il viso di Stiles, a tenerlo fermo e
stretto. «Ne hai in qualche modo beneficiato?» gli domandò con conoscenza, le
iridi di smerando che lo guardavano con attenzione richiesta, affondando
completamente nelle sue. «Ci sono stati dei vantaggi per te?».
I grandi occhi di miele lo guardarono
scioccati, in completa apnea. Stiles non riusciva a far passare l’ossigeno
attraverso i polmoni e faticava a stare dietro all’urgenza del licantropo. «No,
solo dolore».
I pollici di Derek asciugarono quelle
lacrime che Stiles non si rendeva nemmeno conto di star versando, si bagnarono
e proseguivano in quella minuziosa accuratezza nei suoi riguardi. «Allora non
puoi aver preso nulla da loro» ma la volpe oscura sì, lei aveva preso ogni
cosa.
«Ma io lo sento» un singhiozzo gli scappò
dalla bocca che si andava ad inumidire e che diveniva più rossa sotto la sua
pelle diafana che si schiariva ancora di più. «Tutte quelle vite spezzate».
«Lo so che lo senti» la necessità di
dargli conforto e trasmettergli calore portò Derek a far congiungere le due
fronti, a respirare lo stesso ossigeno dalle rispettive labbra. «Ma non le hai
nemmeno sfiorate, non sei artefice delle azioni della volpe».
«È così che agisce una volpe, non si
sporca le mani» il Nogitsune era stato chiaro e meticoloso, nulla dei suoi
calcoli era stato sbagliato, era stato tutto perfetto.
«Nemmeno le tue lo sono» ribadì il lupo,
scandendo sillaba per sillaba, significato dopo significato.
«Lo sono, c’è troppo sangue. Anche quello
della chimera» ma si interruppe, non riuscì ad andare avanti ed ispirò con
violenza dal naso.
«Quello era necessario» gli fece ben
presente la creatura della notte, le dita che affondavano tra i capelli
castani.
«No» uggiolò con voce piccola, distrutta
ed affranta, non riusciva ad avere controllo su di sé. «Potevo trovare un altro
modo».
«Non c’era un altro modo» che cosa avrebbe
mai potuto fare? Era stato un incidente e Stiles aveva tentato soltanto di
rimanere vivo. «Non devi credere a ciò che ti ha detto Scott, lui non si è mai
trovato in queste situazioni. Qualcun altro ha sempre dovuto fare il lavoro
sporco al posto suo».
Stiles non riusciva a distogliere gli
occhi da lui, era totalmente calamitato e colpito dal mannaro, frastagliato
dalla voragine che lo divorava da dentro ed abbandonarsi a lui e farsi
risucchiare era l’atto più facile da cui farsi trasportare. Si ritrovò ad
accerchiarlo con un solo braccio, premuto sulla schiena.
Era accennato e non aveva il completo
coraggio di andare oltre, non sapeva se avesse quel lasciapassare e Derek
rispose in un solo modo, una mano che scivolava altrove svanendo, mentre il
pollice dell’altra perseverava a cancellare le scie acquatiche da un lato del
volto e le labbra che aderirono contro una delle tempie liberate, a schioccare
un bacio pulito e riparatore, confortante in ogni aspetto. «Ti serve soltanto
del tempo» proferì il lupo mannaro contro la sua epidermide, la barba morbida
che la solleticava. «Non posso prometterti che questa sensazione svanirà, ma
starai meglio».
Il corpo di Stiles tremò e la presa su
Derek si accentuò, sedotto e conquistato dal calore corporeo con cui lo
investiva, dalle vibrazioni positive che gli trasmetteva e che gli
accerchiavano il cuore. «Voglio stare meglio, Derek».
Derek
rispose con uno nuovo schiocco della bocca sul viso e Stiles commosso lo
abbracciò davvero, completamente.