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Autore: BabaYagaIsBack    21/03/2024    0 recensioni
Re Salomone: colto, magnanimo, bello, curioso, umano.
Alchimista.
In una fredda notte, in quella che ora chiameremmo Gerusalemme, stringe tra le braccia il corpo di Levi, come se fosse il tesoro più grande che potesse mai avere. Lo stringe e giura che non lascerà alla morte, il privilegio di portarsi via l'unico e vero amico che ha. Chiama a raccolta il coraggio e tutto ciò che ha imparato sulle leggi che governano quel mondo sporcato dal sangue ed una sorta di magia e, per la prima volta, riporta in vita un uomo. Il primo di sette. Il primo tra le chimere.
Muovendosi lungo la linea del tempo, Salomone diventa padrone di quell'arte, abbandona un corpo per infilarsi in un altro e restare vivo, in eterno. E continuare a proteggere le sue fedeli creature; finchè un giorno, una delle sue morti, sembra essere l'ultima. Le chimere restano sole in un mondo di ombre che dà loro la caccia e tutto quello che possono fare, è fingersi umani, ancora. Ma se Salomone non fosse realmente morto?
Genere: Avventura, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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Lo stridio delle gomme sull'asfalto sembrò penetrare i timpani dell'Hagufah come uno spillo e, se non fosse stato troppo impegnato a mantenere il contegno necessario per evitare di uscire fuori strada, avrebbe stretto le palpebre e sperato di essere in un brutto sogno. Si sentiva paralizzato, un vuoto allo stomaco come quando negli incubi si cade da un precipizio - e nel suo caso, quel precipizio fu la consapevolezza che il Cultus non fosse solo una leggenda, men che meno il polveroso nemico nelle menti delle Chimere. Era reale e, soprattutto, i suoi membri erano sulle loro tracce, lì!
Osservando l'auto grigia oltre il parabrezza della Thema, il fiato corto e il cuore a mille nel petto, Noah non riuscì a fare nulla. Il piede ancora pigiato sul freno, le mani strette al volante e il motore silenzioso, forse spento, a rendere tutta la scena surreale. Cosa avrebbe dovuto fare adesso? Dove sarebbe dovuto correre?

Accanto a lui un tonfo sordo, plasticoso, lo colse alla sprovvista facendolo sussultare. Involontariamente si trovò a conficcare le unghie nella gomma del volante e forzare il collo per volgere lo sguardo su un'immagine che lo preoccupò più della presenza degli alchimisti.
Colette si stava rialzando dal tentativo di recuperare il cellulare caduto, i capelli scombinati e vere e proprie piume a coprirle come una maschera i lati degli occhi, ora completamente oscurati dalle iridi.  Sembrava una erinne pronta alla guerra, una dea mitologica travestita. Noah non aveva mai visto una sola delle Chimere in uno stato di mutazione tanto avanzato e ne ebbe timore. Più notava la furia montare in lei, più fu ovvia la piega che avrebbe preso la situazione di lì a poco. E vista la reazione di Zenas, ebbe la certezza di non essere il solo ad aver previsto il futuro peggiore.
«Akhòt, zeh lo hazem- (non è il moment-)»
Lei soffiò, o comunque emise un verso animalesco che zittì all'istante il fratello. Fu in quell'istante, soffermandosi sulle sue labbra, che l'Hagufah notò una striscia rosso cangiante sul mento della donna. Era una linea netta, viva, pulsante. Era la traccia lasciata dalla pallottola che avrebbe dovuto colpirlo - e che invece aveva quasi fatto saltare la mandibola di Colette.

«Az matay?(allora quando?)» aveva artigli lunghi e affilati la cui base, la zona più vicina alle cuticole, tendeva a un raccapricciante tono di nero. Sembravano sporchi, eppure il primo pensiero di Noah fu rivolto alle zampe di un enorme rapace; il secondo fu afferrarle la mano e trattenerla. Lo fece.
«Non ci pensare nemmeno» non aveva previsto tutto quel tremore nella propria voce. A malapena aveva creduto che aprendo bocca sarebbe uscito alcun suono.
Colette non lo guardò. La sua attenzione era rivolta verso la vettura davanti a loro.
Dal sedile posteriore, Zenas gli afferrò il braccio scollandoglielo in modo che lasciasse perdere la sorella: «Fai inversione, adon. Sbrigati!» e come un'eco Niko aggiunse "andiamo via, muoviti!" spaventato quasi quanto si sentiva Noah.
Sì, pensò, non doveva soffermarsi su di lei, non sarebbe stata tanto folle da buttarsi da un'auto in corsa se si fossero messi in moto, no? A guardarla, però, l'Hagufah non ebbe la certezza di poterla definire così ponderata.
Di fretta girò le chiavi nel quadro d'accensione. Di risposta solo un gorgoglio per nulla rassicurante. Forse non stava premendo abbastanza la frizione, si disse, ma non era sicuro vi fosse altro margine tra la leva del pedale e il fondo del cruscotto.
Colette sembrò puntare alla maniglia della portiera e il panico lo assalì alla stessa velocità con cui Nikolaij fece passare il braccio accanto al suo, premendo il tasto della sicura e sigillandoli dentro l'abitacolo. Lo sforzo per tenerlo bloccato evidente sulla sua mano paffuta. Noah colse quell'occasione al volo e, mentre la Chimera accanto a lui sembrava bestemmiare in tre lingue differenti, lui fece un nuovo tentativo. Stavolta il motore ruggì, come il suo cuore al pensiero di poter fuggire.

Gioia breve, ovviamente.

Prima ancora che qualcuno di loro potesse realizzarlo, un urto al posteriore costrinse la Thema a piroettare compiendo un movimento testa-coda che li fece sbattere l'uno contro l'altro e contro l'interno della carrozzeria.
La testa di Colette picchiò contro il torace dell'Hagufah procurandogli una scossa, poi colpì il vetro. Il mugolio della Chimera si confuse con lo strillo di Niko e il battito amplificato di decine di volte del cuore di Noah.

Glielo avevano detto. Lo aveva già visto a Vienna: il Cultus non si sarebbe fermato. Eppure una parte di lui, forse quella che ancora apparteneva solo a Noah Dietrich e non a Salomone, aveva creduto che la bolla in cui stavano vivendo non sarebbe mai scoppiata.

Stolto.

Quando l'auto smise di muoversi ed ebbe il coraggio di aprire gli occhi, l'Hagufah si accorse di come, d'improvviso, erano in trappola. Nessuna nuova via di fuga, solo la coscienza di essere fottuti e tanta, troppa paura.
Gli alchimisti alla guida della prima auto erano già scesi, sicuri si muovevano verso di loro alla luce del sole come se non vi fosse alcun pericolo di essere scoperti. Erano in due: un uomo brizzolato, con barba e baffi ben curati, e un ragazzo che avrebbe potuto essere suo figlio. Era stato lui a sparare, pensò Noah riconoscendo la mano nuda.
«E-e or-ora?» Non riuscì a deglutire. La gola così secca che ebbe paura la pelle potesse spaccarsi dall'interno.
Accanto a loro, meno distanti dai colleghi, altri due alchimisti fecero il loro ingresso in scena sbattendo le portiere. Il muso della Jeep provato dall'impatto quanto la tempia di uno dei suoi passeggeri - eppure tutti e due ancora abbastanza integri da potersi muovere.

Merda. Merdamerdamerda!

Fu per l'ennesima volta Colette ad agire. Senza proferire parola sganciò la cintura di sicurezza, emettendo l'insolito verso di poco prima, e con il gomito sfondò il finestrino. Insieme al rumore dei cocci e al sussulto di Nikolaij, a Noah parve di sentirle dire "Li ammazzo" e, d'istinto, gli venne d'afferrarla ancora. E se fosse stata lei quella a rimanerci secca? Poteva davvero concederle di andare da sola all'attacco? Poi il rumore della sicura che si sganciava accanto a loro lo fece trasalire.
«Anakhenu yekholim la'assot et zeh (possiamo farcela)» la voce profonda di Zenas lo colpì come un pugno e il desiderio di ordinare loro di non muoversi gli tese le corde vocali senza però uscire.  «Sheloshah neged areba (tre contro quattro)» lo sentì aggiungere, considerando davvero lo scontro. Lo guardò sgranando gli occhi, incapace di comprendere come da un piano di fuga fossero passati a quell'opzione.
«Tu sei ferito!» gli urlò, come se potesse in qualche modo fargli cambiare idea. Akràv di risposta serrò la mandibola, la pelle tesa sui muscoli contratti divenne quasi lucida. Stava mutando anche lui, chiarendo il fatto che non si sarebbe fermato nemmeno di fronte a quel dettaglio. «No, akh, non puoi davvero-» ma le sue rimostranze incontrarono solo l'aprirsi della portiera. In un attimo Zenas fu fuori. Incredulo, l'Hagufah spostò lo sguardo su Colette, mostruosamente bella ed esaltata. «Ti prego, Wòréb...» nemmeno la presa intorno al suo polso fu sufficiente. Lo strattonò tanto che Noah sentì la leva del cambio provare a infilzargli il torace, il viso a sfiorare la pelle calda del sedile. In un attimo anche lei fu fuori.

No, pensò. Non poteva permettere loro di rischiare la vita. Con un nodo in gola si volse verso la sua ultima speranza: Nikolaij. Era ancora fermo sul sedile, le sopracciglia corrugate e la tensione a fargli stringere i denti. Almeno lui non era sceso. Almeno lui...

«Adon, tu resta qui, okay?»
«Non vorrai...?» svelto si tirò su: «E' una follia, lo sai, vero?»
Niko scrollò le spalle: «Sono pochi e noi notevolmente più forti e preparati. Possiamo farcela finché tu resti al sicuro.» Un sorriso a labbra strette gli si appollaiò sul viso. Se doveva essere un modo per rassicurarlo, beh... stava davvero fallendo. Il cuore di Noah sembrò accelerare ancora e forse, se fosse stato da solo, altrove, avrebbe persino pianto.

 

Zenas prese un respiro profondo. Sapeva che con la gamba ancora dolorante avrebbe potuto far ben poco, ma era certo che Colette e Nikolaij sarebbero stati in grado di sopperire alle sue mancanze. L'unica cosa importante era proteggere il Re, a qualsiasi costo. Lo sapevano tutti e tre ed era sicuro che i fratelli avrebbero fatto tutto il necessario per permettere a Salomone di scappare. Certo, se Levi avesse risposto...
Uno degli alchimisti, il più vecchio, sorrise. Allargando le braccia si rivolse a tutti e nessuno in particolare. «Che onore. Che magnifico onore vedervi dal viv-» Fu Wòréb a interromperlo - o meglio, a sputare a terra in segno di evidente ribrezzo e disinteresse.
«Spero fosse sulla lista dei vostri ultimi desideri, allora.» Lo imbeccò, provocando agli adepti del Cultus un sussulto. Da dov'era, Zenas le vedeva solo spalle e schiena, ma non dubitava che stesse sorridendo loro in quel suo insolito modo macabro, da folle. Se qualcuno, tra loro, poteva spaventarli, quella era di certo Colette.
Anche Niko a quel punto scese dalla Thema.

Perfetto, pensò. Ora che erano tutti e tre schierati potevano iniziare le danze, e meno tempo ci avrebbero impiegato più chance di mettere al sicuro Noah avrebbero avuto. Il problema, a giudicare dalla situazione, era però iniziare. Colpire per primi era una scelta poco saggia, avrebbe infatti significato diventare preda, mentre loro dovevano restare predatori. Zenas allora si morse il labbro inferiore e strinse i pugni lungo i fianchi: «Quindi? Siete qui per guardarci e basta? Se ci lasciate i numeri vi mandiamo anche qualche selfie.» Uno degli alchimisti quasi si strozzò con una risata. Tutti si volsero verso di lui con evidente confusione e rimprovero nello sguardo. Il più vecchio mosse un passo in avanti, il suo secondo puntò la mano come se fosse una pistola - intorno alle dita qualcosa di liquido gli si muoveva come un animale. Doveva essere una qualche sorta di metallo, valutò la Chimera. I pochi progressi che quei dementi erano riusciti a fare negli anni erano sempre correlati a qualche lega metallica, alla roccia o all'acqua. Certo, per loro riuscire a compiere una trasmutazione di quel tipo doveva sicuramente essere stato un gran traguardo, ma a conti fatti nulla di particolarmente significativo.

«Simpatico, davvero...» l'alchimista sorrise. Aveva uno sguardo febbrile e una cicatrice che spuntava da sotto la giacca risalendo di qualche dita lungo il collo. Sembrava un graffio, una ferita che in passato aveva già visto addosso a qualche altro cadavere. Per un istante gli ricordò gli attacchi di Hamza, il modo in cui i suoi artigli lasciavano strisce lunghe e delicate, seppur letali. L'uomo compì un altro passo nella loro direzione e le spalle di Colette parvero fremere, distraendo Akràv dai propri pensieri. «Ma credo sappiate perché siamo qui.»
«"Cosa facciamo stasera, Magister?"» la vocina di Niko prese qualche nota troppo alta, canzonatoria: «"Quello che facciamo tutte le sere, miei seguaci! Cerchiamo di acciuffare le Chimere!"» aggiunse in tono più grave. Sembrava una sorta di citazione, ma nessuno a parte lui parve coglierla. Fu in quel momento, nella distrazione generale, che Colette agì. Zenas la vide scattare in avanti, come se stesse per attaccare. Il cuore gli si strinse nel petto tanto da fargli perdere cognizione di come respirare - eppure la sorella non si mosse veramente. Il suo fu solo un passo, eppure lo spavento di poter essere attaccati fece agire il più giovane tra gli alchimisti. Stringendo gli occhi fece fuoco, mirando a chissà quale punto in direzione di Wòréb. Lei schivò con fin troppa facilità e in un attimo gli fu addosso. Il colpo prese in pieno lo specchietto sul lato passeggeri mandandolo in frantumi. Con la coda dell'occhio Akràv vide Noah sussultare all'interno dell'abitacolo e aggrapparsi con forza al volante. Se solo fosse stato Salomone... pensò nell'istante prima di lanciarsi a sua volta verso i nemici. Se al posto dell'hagufah ci fosse stato il Re non avrebbe dovuto temere. Salomone sarebbe stato in grado, seppur meno delle sue creature, di difendersi, di trasformare quella pallottola in liquido innocuo prima che potesse colpire chiunque di loro. Salomone avrebbe aiutato mentre Noah... scosse la testa. Non era né il momento né il luogo per simili considerazioni. Noah era quello che era, ma un giorno, se fossero usciti vivi da lì, sarebbe tornato a essere molto di più.
Davanti a lui, intanto, Colette tentava di affondare gli artigli nella gola dell'alchimista, peccato che quel pidocchio sapesse combattere. Muoveva calci e pugni con sapienza e lei, che probabilmente non aveva più avuto alcuno scontro corpo a corpo da quasi trent'anni, non riusciva a trovare un punto in cui colpire.
Anche Niko si era lanciato all'attacco. Dal lato opposto, verso i due adepti che li avevano tamponati, si destreggiava con sicurezza evitando un attacco dopo l'altro. Il fatto di essere tanto piccolo e esile si sposava alla perfezione con la sua natura di ratto.

A lui, invece, era rimasto il vecchio. Occhi negli occhi avevano entrambi decretato chi fosse l'obiettivo. Zenas si fece sempre più vicino, i pugni pronti, la colonna vertebrale sul punto di diventare un pungiglione. Non gli stava correndo incontro, non ci sarebbe riuscito, ma provò comunque a muoversi il più velocemente possibile - peccato che l'altro stesse ponderando in egual misura le proprie mosse.
D'improvviso lo vide battere la scarpa a terra per tre volte e il terreno sotto i piedi iniziò a vibrare, l'asfalto si fece molle e le suole sembrarono appiccicarsi al catrame. Ogni passo divenne più difficile e i muscoli dovettero sforzarsi per permettergli di avanzare. La prima fitta allo stinco lo tradì. Per quanto le Chimere non percepissero il dolore come gli umani, un osso spezzato era comunque un danno serio - e le poche ɛvɛn che aveva ingerito in quei giorni non sembravano aver sortito il giusto effetto. Sì, la pelle si era rimarginata ed era rimasto solo un livido, la frattura aveva iniziato a calcificare, ma era ancora un punto dolente - e sforzarlo in quel modo non avrebbe giovato.

«Potreste seguirci risparmiandovi questa fatica» sentì urlare nella sua direzione. Rabbioso alzò lo sguardo sull'uomo. Possibile che li credesse tanto sciocchi o stanchi? Possibile che pensasse veramente che anche uno solo di loro fosse disposto a diventare una cavia? Non avevano alcuna empatia, questo era certo. Fece per rispondergli, ma come un'apparizione vide l'ombra di Colette spuntare alle spalle del suo nemico. Lo sguardo isterico, gli artigli grondanti sangue. Lo stomaco di Zenas si contorse, il sollievo pronto a sciogliere il nodo una volta che il terreno avesse smesso di ostacolarlo. Wòréb era davvero una pazza, una furia senza freni. Come avesse fatto a starle lontano per tutto quel tempo un dubbio a cui mai si sarebbe dato risposta.
La vide calare la mano sull'uomo, il sorriso immenso e terribile, la mutazione al suo massimo - poi più nulla. O meglio, solo le sue dita artigliate bloccate dentro una lastra scura e disomogenea, tanto densa da impedirle di sfilarle via.

I piedi di Akràv affondarono maggiormente, come se fossero finiti in mezzo a delle sabbie mobili. No, pensò. Non poteva permettere a quel farabutto di fregarlo così.
Grugnendo e stringendo i denti fino a farsi male, fece uscire dalla pelle la propria coda. Il brivido della carne lacerata e la sensazione viscosa del sangue a soffocare il dolore. In un attimo il pungiglione si conficcò in un punto solido, tirandolo lontano e permettendogli di sfuggire all'affondo.
Da qualche parte oltre il muro, gli insulti di Colette divennero un tutt'uno con i suoi.

«Resistere è inutile...» Estremamente affascinato, il vecchio sfiorò col polpastrello un artiglio ricurvo che spuntava alle sue spalle. Sembrò studiarlo, soppesarne l'affilatezza, poi, senza preavviso, diede un colpo secco verso l'alto e il suono di un osso rotto fece rabbrividire Zenas. Dalla bocca di Wòréb, invece, nemmeno un gemito.

Furente, Akràv cercò Nikolaij con lo sguardo e, d'improvviso, scorse un nuovo alchimista. Da dov'era spuntato? Perché era rimasto nascosto fino a quel momento? Ce n'erano altri?
Mordendosi la lingua, tentò di studiare un piano d'azione.
«E' arrivato il momento di accettare il nostro invito, il Magister non vede l'ora di-»
«Vedere altri adepti ridotti a cadaveri?» lo interruppe rimettendosi in piedi: «Quanti di voi sono rimasti? Immagino pochi.»
L'alchimista si allontanò dalle dita di Colette, muovendosi più vicino a lui e alla Thema. Per un momento il panico assalì la Chimera. Lo stava sì distraendo dalla sorella, ma non poteva permettersi di farlo avvicinare troppo all'Hagufah. L'altro piegò la testa da un lato, sorridendo con una sicurezza che a Zenas diede sui nervi: «A sufficienza da poterci occupare di voi, se è questo che ti preoccupa.»
Un mugolio poco distante, familiare, per poco non costrinse Akràv a voltarsi: Niko doveva essere stato colpito. Quanto fosse grave l'attacco subito restò un dubbio a cui si impose di non rispondere. Distrarsi, in un momento del genere, avrebbe potuto essere fatale. Che fare? Con Colette bloccata oltre al muro di asfalto e Niko, il meno preparato di loro, circondato da ben tre alchimisti la situazione stava d'improvviso prendendo la peggiore delle pieghe. Doveva pensare a un piano. Uno qualsiasi, solo funzionante.

«Guarda tutti voi, Chimaeram (chimera, latino)» L'uomo allargò le braccia un'altra volta, tronfio a tal punto che se fosse stato colpito probabilmente sarebbe scoppiato: «Non siete più le creature di una volta, avete bisogno di noi.» Un altro suono di ossa rotte fece storcere il naso di Zenas. Nikolaij doveva essere seriamente in difficoltà, ma come agire? Il terreno davanti a lui era ancora molle, la sua coda non sufficientemente lunga da poter colpire quello spocchioso alchimista. Perché diamine non c'era Levi lì con lui? Di certo non sarebbero arrivati a quel punto. «La scomparsa di Salomone vi ha provate, ma il Magister, lu-» un'ombra scura comparve alle spalle del vecchio, i suoi occhi sgranati come a percepire il pericolo; le labbra schiuse a metà della frase e poi... lento, un rivolo di sangue gli scivolò al lato del collo, passando come un ruscello sopra alla cicatrice.
Il suo corpo cadde prima in ginocchio con un tonfo sordo, poi di faccia sull'asfalto ancora morbido, emettendo un rumore simile a quello di una torta calpestata. Akràv impallidì. Quando alzò lo sguardo, Colette stava già per sputare una seconda volta.
«Quante» respirò affannosamente: «parole inutili.»
Una sensazione di totale sollievo investì Zenas e l'urgenza di correrle incontro e abbracciarla gli fece muovere un passo, poi un altro, ma all'ennesimo mugolio di Nikolaij dovette fermarsi.
Il fratellino era a terra, una chiazza rossa lungo il fianco, il fiato grosso e la paura nello sguardo. Fu come rivedere Niketas. Il volto di suo figlio si sovrappose a quello di Akhbar, il suo bisogno di protezione a cancellare ogni altra necessità. I piedi di Zenas cambiarono direzione, si mossero svelti per raggiungerlo il più in fretta possibile, poi un altro urlo soffocato lo colse a tradimento insieme all'ennesimo tonfo. Le suole delle scarpe raschiarono l'asfalto, il suo cuore balzò in gola. Che stava succedendo? Il suo sguardo baluginò da un fratello all'altro, scoprendo Wòréb a terra, prona, di fronte alla lastra che l'aveva imprigionata poco prima. Qualcuno doveva avercela scaraventata, ma chi? Quale alchimista aveva osato... Piegato sulla strada, con un sorriso soddisfatto sul viso, l'ultimo adepto comparso sembrò rispondere alla sua domanda. 
Una rabbia incontrollata gli montò nel petto e senza alcuna remora, ignorando qualunque cosa non fosse quel tipo, gli si fiondò contro. I loro sguardi si incrociarono, la consapevolezza della morte a oscurare il viso del suo bersaglio che, arrendevole, non tentò in alcun modo di sfuggirgli. Zenas lo vide stringere qualcosa, poi muovere la mano sull'asfalto come a mimare il movimento di un'onda. Un'altra vibrazione scosse il terreno giusto l'istante prima che riuscisse ad afferrare quell'inetto per il collo e picchiargli la testa contro il muso della Jeep. Le pulsazioni nella carotide dell'alchimista dettarono il ritmo dei colpi con cui la Chimera si accanì su di lui; ma il sangue sulla carrozzeria continuava a essere troppo poco, il corpo troppo caldo, il battito troppo vivo. Doveva ammazzarlo, prima lui e poi gli altri due, si ripeté. Doveva farlo per il bene dei suoi fratelli e dell'Hagufah, non aveva altre alternative.


Un fruscio poco distante fece scattare il pungiglione alle spalle di Zenas. Mosso dall'istinto lo scagliò contro una delle figure lì accanto, ma l'alchimista fu abbastanza veloce da evitarlo. Akràv non demorse e mollando la presa sul cadavere si gettò sui nemici rimasti, la gamba a intralciarlo con qualche fitta lieve e l'odore pungente della morte ad accompagnare i suoi movimenti. Colpì e colpì ancora senza però riuscire ad arrivare al bersaglio, troppo distante o forse troppo lento. Non riusciva a capire il motivo di tanta difficoltà finché, nella foga, non finì con l'incastrarsi nella lamiera di una delle portiere. Un'imprecazione soffocata gli scappò dalla gola.
Possibile che con Alexandria fosse riuscito a mettere al tappeto quattro di quei fanatici e ora, con Nikolaij e Colette, quei cinque stavano avendo la meglio?
L'adepto più vicino puntò il braccio, il palmo rivolto verso l'alto e una piccola quantità d'acqua a riflettere il sole del tramonto. Gli bastò arricciare il naso perché la pozzanghera si trasformasse in tanti piccoli spilli di ghiaccio che poi volarono nella sua direzione. Zenas tentò di schivarli alla bene e meglio. Quelli che colpirono la coda rimbalzarono sulla corazza saettando altrove, ma un paio riuscirono a trovare uno spiraglio nella carne. Non sentì dolore, quanto più un bruciore lieve, ma ciò non significava che potesse prendersela comoda. Con rinnovata furia si volse, puntò il piede sulla carrozzeria dell'auto e fece leva. Spinse più e più volte mentre la sensazione di fastidio aumentava e quando fu certo che il colpo successivo sarebbe stato ben più studiato, scardinò la portiera lanciandola addosso all'alchimista. Il contraccolpo sembrò quello di una campana e l'uomo ruzzolò lontano, scomposto. Se non lo aveva ammazzato sul colpo, pensò, doveva almeno avergli tolto la possibilità di muoversi fino al giorno in cui non avesse tirato le cuoia.
Con soddisfazione sorrise all'ultimo alchimista, impegnato a puntare le dita alla faccia di Niko come a volerlo minacciare con un "se ti muovi, lo ammazzo", peccato che la punta di paura nel suo sguardo ne tradì gli intenti. Sapevano bene entrambi che non avrebbe ucciso in quel modo una Chimera, erano troppo importanti per i fini ultimi del Cultus - e di certo quel verme non avrebbe rischiato di perdere una simile occasione. Zenas allora si pulì il sudore tra naso e bocca, barcollando appena. Era pronto ad attaccare ancora perché, a differenza del nemico, a lui non importava affatto di portare a casa un ostaggio vivo. Poteva farcela, considerò, dopotutto erano uno contro uno e nessun altro a mettersi in mez- 
Un dolore lancinante lo piegò in due. La mano corse da sola verso la spalla e quando la toccò sentì la viscosità del proprio sangue colare in mezzo alle dita. Cosa diamine era stato?

«Akh!» Il grido di Wòréb lo arpionò, costringendolo a voltarsi verso di lei esterrefatto. Era stato colpito, questo gli fu chiaro ancor prima di vedere l'orrore sul viso della sorella, ma da chi e come, erano tutt'altro discorso.
Quando Colette entrò nel suo campo visivo la scoprì imprigionata tra la lastra di asfalto del vecchio e quello che sembrava essere un guscio scuro, una corazza inamovibile. Il busto era parzialmente bloccato, dal polso sinistro fino al seno e su in direzione della spalla opposta non vi era per lei possibilità di fuga; con poca forza agitava le gambe in una vana speranza di spingersi fuori dall'involucro e il braccio destro se ne stava abbandonato lungo il fianco, le dita della mano gonfie e in posizioni che non lasciavano presagire nulla di buono - quella stupida doveva essersele rotte durante lo scontro precedente. Da dove si trovava, Wòréb lo guardava con occhi sgranati e pieni di lacrime, terrorizzata, forse più di lui. Un groppo in gola provò quindi a soffocarlo. Qualcosa di terribile li stava aspettando, ma cosa? Inoltre chi diavolo era rimasto in vita e in grado di fargli q-
«Vattene! Subito!» La voce della donna tirò l'uncino con cui l'aveva afferrato la prima volta, riportandolo ancora coi piedi per terra. Zenas la guardò, ferita e spaventata, ma non arresa: «Portalo via!» Le sentì aggiungere mentre le piume sul suo viso cadevano una dopo l'altra, esattamente come le lacrime. «Porta via Noah!»
Per un breve momento gli sembrò di non capire. Perché avrebbe dovuto farlo? Sarebbe bastato ancora poco e avrebbe ucciso anche l'ultimo alchimista, non c'era ragione per fuggire. Ma forse, a differenza sua, Colette sapeva qualcosa che a lui stava  sfuggendo - e quando il  terreno sotto di lui sembrò ricominciare a vibrare la consapevolezza che un altro gruppo di alchimisti stesse per arrivare lo fece scattare. 

Il Re!, pensò, doveva portare in salvo il Re  per evitare che la tragedia si ripetesse, ma... lei? Che ne sarebbe stato di sua sorella? Doveva liberarla, o quantomeno provarci. Dovevano tornare a casa insieme, fuggire e recuperare il tempo perso. Dovevano proteggere il loro Sovrano l'uno al fianco dell'altra così come avevano promesso, ma prima che potesse anche solo pensare di muovere un muscolo verso di lei, Colette capì - e lo anticipò. «No!» la voce parve graffiarle la gola, un verso fastidioso per tutti, soprattutto per lui. «Non io, akh!» Il suo sguardo gli si parò davanti come un macigno irrimovibile: «Nadareta nadar, Akràv (hai fatto un giuramento, Akràv). Lui
Alle sue spalle un rantolo, Nikolaij intento a ribellarsi, forse a colpire e uccidere. Potevano farcela, pensò, se solo lei... «Vai!»

Zenas scosse il capo: «Non puoi chiedermi-»
«Lo shoel otekha, akh (non te lo sto chiedendo, fratello).» Colette suonò imperiosa. I suoi ordini sempre più laceranti. Stava davvero dicendo di lasciarla indietro? E se fosse stato l'ennesimo cedimento della sua testa? Se se ne fosse pentita nell'istante esatto in cui lui avesse adempiuto al giuramento?
Un altro colpo fendette l'aria, la Chimera avvertì il sibilo sfioragli l'orecchio e superarlo. Erano lì, realizzò con una fitta nel centro del petto; erano vicini, troppo. Forse sua sorella aveva ragione. Forse non ci sarebbe stato scampo, non avrebbe avuto altra occasione per rimediare all'errore del passato, per salvare Salomone; così chiuse gli occhi, ricacciando indietro le lacrime. Non avrebbe voluto, ad essere onesto, perché una voce dentro di lui continuava a urlare che non poteva davvero finire in quel modo, che forse lottando e sfidando i limiti del suo corpo avrebbe potuto salvarli tutti, eppure un'altra parte di sé gli disse che non c'erano altre soluzioni. E nel dubbio, osare sarebbe equivalso a un rischio troppo grande.
Zenas si morse la lingua tanto da sanguinare. Doveva a sua sorella la felicità che le aveva tolto, non la morte, e nonostante questo mosse un passo indietro.
«Noah!» chiamò lei con tutta l'aria che aveva in corpo rivolgendosi a qualcuno di molto più potente, qualcuno che avrebbe davvero potuto piegare la volontà del fratello: «Ordinaglielo! Andate via!» Ma dall'abitacolo della Thema l'Hagufah non sembrò in grado di proferire parola. Anche per lui quello spettacolo doveva essere raccapricciante, inaccettabile, doloroso.
«Cole-» tentò di persuaderla mentre il tempo scivolava dalle loro mani come polvere, ma lei non lo ascoltò. Per l'ennesima volta si sporse digrignando i denti. «Vattene!» gracchiò, sempre più umana, sempre più fragile. Stava cedendo al destino, alla cattura, ma non al Cultus. Quello mai. Si sarebbe uccisa, così come avevano promesso, ma a vederla in quello stato, con una mano rotta e l'altra bloccata, Zenas si chiese quando
Un'altra vibrazione attentò al suo equilibrio e la gamba dolorante lo costrinse a fare ancora un passo indietro. Non c'era più tempo, pensò, e un verso gutturale e iracondo emerse dalle viscere del suo corpo ferendogli la gola. Aveva giurato: Salomone prima di tutto, anche di sé stessi - anche dei suoi fratelli. 
Colette tentò un sorriso, un abbozzo di approvazione. Le venne qualcosa più simile a un ghigno riluttante. Il pugno di Akràv colpì con violenza la Jeep ormai ridotta a uno scatafascio lasciando un solco: «Khakeh li geyhinom (aspettami all'inferno)» soffiò nella speranza che il vento le portasse quelle parole, che sapesse quanto bene le volesse, quanto quell'addio fosse lancinante. Costringendosi a procedere, ad agire come il soldato che era diventato, girò le spalle a Wòréb mentre le prime lacrime presero a scendergli lungo le guance, impigliandosi nella barba incolta così come la sua coda sembrò fare con la pelle. Le falcate si fecero sempre più lunghe e veloci, seppur mai realmente decise. Per il Re, si ripeté ogni volta che i piedi toccavano nuovamente terra. Con la coda dell'occhio scorse Niko poco lontano, intento ad azzannare con i suoi dentini da roditore il braccio del nemico, a schivare i pugni e le ginocchiate. Non si fermò ad aiutarlo, nemmeno gli venne in mente di farlo - appena l'auto fosse stata messa in moto li avrebbe raggiunti sgattaiolando via dallo scontro.

Zenas picchiò col palmo sul cofano, Noah all'interno della Thema sussultò, ridestandosi da quello che sicuramente avrebbe definito come un incubo. In un attimo gli fu seduto accanto.
«Accendi!» tuonò: «Muoviti!»
«M-» Sopraffatto, Akràv lo afferrò per il bavero della maglia, strattonandolo. Occhi negli occhi, vide il terrore oscurare lo sguardo dell'Hagufah e per un brevissimo istante si chiese se anche nel suo ci fosse tutta quella paura.
«Dobbiamo andare, ti prego.»
«L-lei...»
«Noah!» ancora uno strattone: «Noah... non abbiamo scelta.» Ma anche se l'avessero avuta, difficilmente avrebbe messo a repentaglio quel ragazzo. Lo scorse esitare, aprire bocca per poi richiuderla, deglutire. Tremante lo vide afferrare la chiave: «L-la salveremo, ve-vero?»
Il cuore della Chimera perse un colpo. C'era così tanta innocenza e speranza nella sua voce che gli sembrò di soffocare.
No, non l'avrebbero fatto. 
No, per Colette non c'era più alcuna speranza perché se non l'avessero uccisa gli alchimisti, avrebbe fatto lei tutto il lavoro. Sapeva come. Salomone e Levi stessi lo avevano spiegato a ognuno di loro.

La presa sulla maglia di Noah si affievolì, il palmo di Zenas trovò la base della sua nuca e spinse per avvicinare i loro visi: «Sì» soffiò, «noi ci riprenderemo Colette.» Fu una bugia così grande e una speranza già morta che temette l'Hagufah potesse rendersene conto, leggergli dentro, capire e decidere di fare qualcosa di stupido - poi il rumore del motore gli riempì le orecchie.

Avrebbe voluto dirsi sollevato. Si sentì ancora più vile, colpevole, infame...
Mollò la presa su Noah, lasciandolo fare il suo dovere.
Con un'abilità che fino a quel momento non era sembrato appartenergli, l'Hagufah compì una manovra veloce, rimettendo l'auto in direzione di casa. Il terreno sotto di loro vibrò, l'auto sembrò affondare. «Vai!» gli ordinò afferrandogli la coscia prima di voltarsi verso Nikolaij: «Akh! Temaher! (sbrigati!)» Questi scartò di lato, evitando un pugno. Agile scivolò accanto al nemico, gli passò dietro la schiena e si piegò in avanti per uno scatto. Come in fuga da un predatore, si lanciò verso l'auto, la salvezza, la tana tanto agognata.
L'auto iniziò a muoversi lenta, in modo da non perdere tempo ma permettere comunque a Niko di raggiungerli.
L'ennesimo scossone. Zenas si volse per guardare il fratello. Quanto ci stava mettendo?
Lo vide agitare le braccia, usarle per darsi la spinta. Alle sue spalle l'alchimista intento a fermare il sangue che gli colava dalle numerose ferite. Oltre, un'altra auto diretta verso di loro. Dovevano muoversi.

 

D'improvviso Nikolaij si coprì la testa con le mani e il lunotto della Thema scoppiò. Noah emise un grido, lo spavento gli fece pigiare di più sull'acceleratore.

Cazzo.
Cazzocazzocazzo! 
«Muoviti!» ma i piedi di Akhbar sembrarono smettere di collaborare, mettersi scoordinatamente l'uno davanti all'altro e-

In un attimo lo vide a terra.
No, non anche lui. 
Zenas fece per lanciarsi fuori dall'auto, il cuore in gola, la paura alle calcagna e la certezza di morire al seguito, ma l'ennesimo urlo di Colette, così alto da poterlo raggiungere, lo raggelò.

«Avor hamelekhe, akh! (per il Re!) Et khayeynu avuro! (le nostre vite per lui)»
I denti riaffondarono nella lingua. Il sapore del sangue ovunque: in bocca, lungo la gola, nello stomaco, sull'anima.

Digrignando i denti premette la mano sul ginocchio di Noah, lo costrinse a premere sull'acceleratore e a lasciarli indietro. Lo sentì provare a obiettare. Gli urlò contro. Lo scorse muovere il piede in direzione del freno. Lo bloccò mostrandogli i denti.

Per il Re, pianse tra i pensieri.
Colette e Niko per lui.

   
 
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