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Autore: Nymeria90    29/03/2024    0 recensioni
Questa storia prosegue il filone narrattvo di "La fine è il mio inizio".
"Sono il prodotto del mio passato, Vega, il risultato di scelte giuste e di scelte sbagliate. Senza di esse non sarei la donna che sono ora: il comandante in grado di portare sulle spalle il sacco dei dolori del mondo. Senza quegli errori non sarei Shepard e, forse, la galassia sarebbe spacciata. Se tornassi indietro cento volte, Vega, per novantanove volte rifarei le stesse scelte.
-E la centesima?-
Sasha gli rivolse uno strano sorriso, a metà tra malizia e tristezza - La centesima sceglierei di essere felice.-"
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Comandante Shepard Donna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Cittadella 2218

Sasha Shepard sedeva alla finestra della sua stanza d’ospedale. Il suo ultimo ricordo della Cittadella era quello di una città devastata. I corpi, ridotti a osceni esperimenti dei Razziatori, ammassati nei condotti, le luci intermittenti, i detriti per le strade, gli edifici sventrati, l’odore nauseabondo di carne in decomposizione e sangue rappreso.
Era certa che non ci sarebbe mai stato modo di riparare a tale scempio ma, come tutte le cose che appartengono al mondo dei vivi, anche la Cittadella aveva trovato il modo di continuare ad esistere. Profondamente mutata, per sempre diversa, ripopolata e ricostruita: non era più la Cittadella devastata dai Razziatori e i loro servi, ma non era nemmeno più il crocevia dei mondi per cui Sasha aveva vissuto, combattuto ed infine dato la vita. Quella Cittadella era morta assieme a tutti i suoi abitanti.
Era la Cittadella del comandante Bailey e della dottoressa Michel, delle sbronze al Purgatory e dell’odore di sudore e polvere da sparo che impregnava l’Armax Arsenal. Era la Cittadella del Presidium con i suoi ciliegi fioriti, sotto cui consiglieri e ambasciatori passeggiavano con aria di importanza. Era la cittadella degli agglomerati dove potevi comprare rottami da un Quarian in pellegrinaggio o mangiarti un piatto di Ramen cucinato nel chiosco di un Volus in sovrappeso. Era la Cittadella del molo D-24 dove la Normandy andava a riposarsi, coi motori fumanti e la corazza graffiata, dopo essere sopravvissuta all’ennesima missione.
La furia dei Razziatori aveva spazzato via ogni cosa, i ciliegi e i consiglieri, il chiosco del Ramen e il Volus che lo cucinava. Chiunque fosse stato sulla Cittadella quando Cerberus l’aveva consegnata ai Razziatori era morto. Non era fuggito nessuno, non i consiglieri, non Bailey e i soldati dell’SSC, non la dottoressa Michel e i suoi pazienti, non i rifugiati ai moli e nemmeno i soldati in licenza che si svagavano al Purgatory.
Erano morti a milioni.
La Cittadella continuava ad esistere, ma per Shepard non era più niente, solo la copia sbiadita di un luogo che aveva amato.
Si guardò le mani, erano vecchie. Lei era vecchia.
Erano passati trentadue anni dall’attacco dei Razziatori alla loro galassia. Erano trentadue anni che la Cittadella veleggiava nel cielo di Londra. L’universo intero era cambiato e lei … lei non lo riconosceva più.
Quei trentadue anni li aveva passati in coma, in uno stato che i medici non avevano saputo spiegare. “Sospesa” era la parola che avevano usato per descrivere la condizione in cui era stata. Le parti di lei che Cerberus aveva ricostruito si erano disattivate con la morte dei Razziatori, ma non esisteva macchina che gli organici non fossero in grado di riparare e così il suo cuore era stato riavviato, i polmoni rimessi in funzione, fegato e reni sostituiti e migliorati. L’unico organo che si era rifiutato di rimettersi in moto era stato il cervello. Per trent’anni, mentre il corpo invecchiava e la vita scorreva, lei era rimasta lontana, sospesa tra il mondo dei vivi e quello dei morti.
In epoche antiche il suo corpo sarebbe collassato e la morte sarebbe giunta che i medici lo volessero o no. Ma aveva avuto la sfortuna di vivere in un’epoca di meraviglie scientifiche e se la galassia voleva tenere in vita una persona, allora quella persona sarebbe vissuta, che la natura lo volesse oppure no.
Era stata una scelta politica, perché lei era il comandante Shepard e l’universo doveva aggrapparsi alla certezza che ci sarebbe sempre stata finché la galassia non avesse più avuto bisogno di lei. E così persino la Morte si era fatta da parte di fronte al dogma del Bene Superiore.
E mentre i popoli ricostruivano i loro mondi e le loro vite, confortati dalla certezza che la salvatrice di tutti vegliasse ancora su di loro, lei si trascinava, immortale come un faraone mummificato nella sua piramide, finché non era diventata leggenda e quel corpo attaccato alle macchine era stato dimenticato. Un feticcio che nessuno aveva il coraggio di liberare.
Infine, quando tutti si erano dimenticati di lei, il comandante Shepard si era svegliato. Una giovane donna nel corpo di una vecchia, una guerriera in un mondo in pace, una sopravvissuta che non aveva vissuto.
Si era addormentata alla fine del mondo e si era risvegliata in una galassia che non riconosceva più.
Lei era leggenda e non c’era posto per lei in quell’universo che la venerava ma non la voleva.
I nuovi governanti della galassia non sapevano che farsene di Shepard e Shepard non sapeva che farsene di loro.
La galassia non era più la sua casa.
Quando avevano trovato il suo corpo, sepolto tra le macerie della Cittadella, animato da un flebile soffio di vita, i superstiti alla mietitura erano così spaventati e sperduti da essersi aggrappati a quel minuscolo frammento di vita come naufraghi ad una zattera.
Se il comandante Shepard era riuscito a sopravvivere alla fine dei tempi, allora anche il resto della galassia poteva farlo. Di questo si erano convinti.
E, lentamente, cocciutamente, la galassia aveva ricominciato a vivere e quando quella zattera, cui si erano disperatamente aggrappati, era arrivata a riva, aveva cessato ogni utilità.
Mentre la vita riprendeva il suo corso, il comandante Shepard, salvatrice dell’universo, languiva, abbandonata e dimenticata, in un letto d’ospedale, incapace di vivere, incapace di morire. Qualcuno avrebbe dovuto trovare il coraggio di staccarle la spina. C’erano stati grandi dibattiti, all’inizio, manifestazioni e campagne politiche. C’erano persone che reputavano mostruoso il suo destino e chiedevano che le venisse concessa la grazia dell’eterno riposo. Ma era solo facile retorica. Non c’era nessuno, in tutto l’universo, che voleva passare alla storia come la persona che avesse infine ucciso il comandante Shepard.
C’erano stati sempre meno dibattiti, gli aggiornamenti sulle sue condizioni da un giorno all’altro smisero di essere trasmessi, il suo nome smise di comparire nei notiziari e cominciò a popolare le lezioni di storia.
E, alla fine, smise di essere una persona e divenne un ricordo, una leggenda.
Udì un sussurro all’orecchio, come un’eco lontana …eterno, infinito, immortale … noi siamo questo.
Rabbrividì. Aveva chiesto l’immortalità, ma in un altro luogo, accanto ad un altro uomo. Aveva espresso il desiderio di invecchiare con lui … ed era stata beffata.
La porta della camera si aprì e un bell’uomo, coi capelli brizzolati e la divisa da ammiraglio, comparve sulla porta. Gli occhi scuri erano stanchi e il viso, ancora bello, mostrava i segni di una vita non sempre felice.
-Ciao, Kaidan. - lo salutò con quella sua nuova voce arrocchita che non riconosceva – Sei venuto a farmi fare la mia passeggiata? -
-Sai che non sei obbligata. -
Scrollò le spalle – Hai ragione, potrei rimanere ferma qui, ad accumulare un po’ di polvere, come tutte le cose vecchie e dimenticate.-
-Tu non sei dimenticata.-
-Ma sono vecchia.- tentò un sorriso.
Kaidan si guardò le mani nodose -Lo siamo tutti.-
Sasha represse un grido di frustrazione e tornò a guardare fuori dalla finestra. Invecchiare non era piacevole, ma per lei era stato rapido come un respiro. Uno sparo, un’esplosione, ricordi confusi di amici ritrovati, un bacio sulle rive di un lago montano e poi … poi si era svegliata ed era una vecchia inchiodata su un letto.
Kaidan non disse altro. Aveva imparato a conoscere i suoi cambi d’umore e sapeva quando era meglio tacere. Spinse la sedia a rotelle fuori dalla porta e poi nell’ascensore.
Avevano provato a darle delle gambe nuove. Avevano tentato tutte le tecniche passate e moderne, ma in verità non c’era nulla che non andasse nelle sue gambe o nella spina dorsale. Le lesioni erano state curate, i traumi riparati, non aveva malattie, eppure le sue gambe non si muovevano. Era imbullonata su quella sedia e non c’era nulla che l’avrebbe convinta ad alzarsi. L’avevano strappata alla morte, ma non potevano costringerla a vivere. Non c’era niente in quel nuovo mondo che valesse lo sforzo di alzarsi da quella sedia.
Perlomeno non fino a quel momento.
-Mi dispiace.- le disse Kaidan. Lo diceva sempre. Non c’era giorno che non si presentasse alla sua porta e non c’era giorno che non le dicesse quelle parole.
Le porte dell’ascensore si aprirono e Kaidan la spinse sulla terrazza, ad osservare un lago finto illuminato da un sole finto.
Odiava quel posto. Quel lago le era sconosciuto, quel cielo le era sconosciuto e tutte le persone che lo abitavano le erano sconosciute.
Kaidan era l’unica persona con cui Shepard interagisse. Le piaceva ripetersi che quell’isolamento forzato fosse una sua scelta, che fosse lei a decidere di essere sola. Ma in quella galassia, che le dedicava statue, le intitolava stazioni spaziali e costruiva musei in suo onore, non era rimasto più nessuno a cui importasse che lei fosse viva.
-Avevi promesso, Kaidan, che mi avresti lasciato morire. -
Non era giusto rinfacciarglielo, sapeva che ci aveva provato, ma una parte egoista e meschina di sé aveva sperato che lui facesse di tutto per onorare quel giuramento, anche l’impossibile. Dopotutto non era quello che aveva sempre fatto lei?
- Eravamo dall’altra parte della galassia, precipitati su un pianeta dimenticato. Ci abbiamo messo dieci anni per tornare. Credevamo fossi morta. Hackett ci disse che eri morta pochi giorni dopo averti ritrovata alla Cittadella. I potenziamenti che Cerberus ti aveva installato con il progetto Lazarus erano collassati e, in assenza di IA, nessuno era stato in grado di ripararli. Ci confidò, in assoluto segreto, che la storia della tua sopravvivenza era una montatura, costruita ad arte, per dare speranza alla galassia, per convincere le persone che si poteva sopravvivere anche alla fine del mondo che conoscevamo.  – la voce di Kaidan tradiva la rabbia e il dolore per quel tradimento, quell’orrida menzogna – Hackett era tutto quello che ci rimaneva. L’unica persona di cui potessimo fidarci. Avevamo perso IDA, Anderson, il Consiglio, persino l’Uomo Misterioso. Avevamo perso te. In chi potevamo credere se non in lui? -
Sasha si asciugò rapidamente la guancia con il dorso della mano.
Kaidan le aveva già raccontato quella storia, ma ogni volta che la sentiva il buco che aveva nel petto al posto del cuore diventava un po’ più grande.
Ma d’altronde non era stato proprio Hackett mentre lei agonizzava, sconfitta, accanto al corpo senza vita di Anderson, a chiederle un ultimo sforzo, un ultimo, impossibile, sacrificio?
Fai qualcosa Shepard. Fai qualcosa.
Non era stato forse lui, in gran segreto, a mandarla nel sistema Bahak, per poi lasciarla affrontare la corte marziale dopo che aveva dovuto scegliere tra lo sterminio di un’intera galassia e quello di un singolo sistema?
L’aveva usata. Aveva continuato ad usarla.
Che cos’era lei, la sua misera piccola vita, se non uno strumento al servizio della galassia?
Mi dispiace per te, Hackett, che ti sia capitata questa Shepard. In un altro universo, in un’altra vita, lui ti avrebbe reso le cose un po’ più facili. Io non sono mai stata così altruista. Non ho sacrificato tutto ciò che sono in nome di un bene superiore. Non me ne starò qui a marcire.
-Quando lo hai saputo, Kaidan? Quando hai saputo che ero ancora viva?-
-Hackett me lo ha confessato sul letto di morte. Credo che alla fine si sia pentito di quello che ti ha fatto. Ma non avevo idea di dove fossi. Sapevo solo che eri intrappolata da qualche parte in attesa che io tenessi fede alla mia promessa. Ti ho cercata Sasha. Ti ho cercata per liberarti, ma non sono mai stato abbastanza intelligente o influente per portare a compimento una missione come questa. Se avessi coinvolto il resto dell’equipaggio: Liara, Garrus, Miranda, Wrex … probabilmente saremmo riusciti a trovarti. Ma non ho potuto. Loro se ne erano fatti una ragione, erano andati avanti in qualche modo, capisci? Come avrei potuto spiegargli che ti stavo cercando solo per … solo per …– la voce di Kaidan si ruppe e lei cercò la sua mano. Lui la strinse subito, non appena sentì il tocco delle sue dita.
 - Era la mia missione, Shepard, la mia promessa, e io non sono riuscito a …-
-Shh … va tutto bene Kaidan. Va tutto bene.-
-Mi dispiace.- ripeté, come un disco rotto.
-Lo so.-
Lo attirò a sé, abbracciandolo e baciandogli la testa. Sapeva che era sincero, che se avesse potuto avrebbe mantenuto la sua promessa. Non era lui a dover essere biasimato.
Sasha ricordava il suo ritorno alla vita. Non era stato un semplice risvegliarsi, era stata rianimata. Ai medici che si erano occupati di lei erano stati dati degli ordini semplici, ma precisi: non lasciate che muoia.
Dopo trent’anni di coma si poteva credere che una persona avesse il diritto di morire, che, nonostante gli ordini, potesse sperare in un po’ di compassione. Invece, mentre lei si abbandonava tra le braccia familiari del suo più grande amore e accoglieva la morte come una vecchia amica, quegli sconosciuti in camice bianco l’avevano trascinata via, scaraventandola di nuovo nel mondo dei vivi.
Non aveva nemmeno tentato di chiedere loro perché. Non avrebbe sopportato una risposta banale ad un quesito tanto profondo.
Quando aveva smesso di maledirli, si era limitata a chiedere se Kaidan Alenko fosse ancora vivo e se potesse incontrarlo.
Non aveva più proferito parola finché lui non era arrivato a portarla via dalla base segreta in cui aveva trascorso gli ultimi trent’anni.
Ma il suo calvario certo non era finito. La sua mente era in bilico, oscillava tra il mondo dei vivi e quello dei morti. Ciò che aveva appreso durante i suoi trent’anni di stasi si confondeva con ciò che era stata nei suoi trent’anni di vita.
Aveva fatto ordine lentamente nella sua testa, suddividendo i ricordi della vita reale dai frammenti di memorie del suo soggiorno nell’anticamera tra la vita e la morte. Erano ricordi disordinati, pochi attimi, brevi immagini che le si svolgevano davanti come scene di un film: la Normandy SR1 posata come una falena sulla terra nera di Akuze, Thane Krios che osservava un mare dai colori del tramonto, Mordin Solus che raccoglieva conchiglie cantando un motivo stonato, una donna coi capelli rossi in piedi tra gli ulivi, Ashley Williams seduta davanti al fuoco e poi … poi c’erano i ricordi di lui. Sentiva il suo sapore sulle labbra, la voce roca, le guance ruvide, la presa salda delle sue mani, l’odore dei suoi capelli …
Kaidan si separò da lei e si sentì in colpa come una moglie fedifraga.
Era una sensazione ingiusta e ne era consapevole. Non c’era niente di sbagliato nei suoi sentimenti nei confronti di entrambi. In diversi momenti della sua vita quei due uomini erano stati il suo punto fermo nell’universo.
Li aveva amati, li amava e li avrebbe amati per sempre.
-Com’è stato dirlo agli altri? - domandò a Kaidan quando ritrovò la voce.
Il resto dell’equipaggio era stato ignaro della sua sopravvivenza fino a pochi mesi prima. Per quasi un anno, finché non si era ripresa psicologicamente e fisicamente, Kaidan era stata l’unica persona del suo passato a sapere che fosse ancora viva.
-Orribile. - ammise lui evitando il suo sguardo– È stato come riaprire una scatola piena di orrori. Il tempo trascorso sulla Normandy è stato il più bello della nostra vita, ma senza IDA e senza di te la Normandy era diventata come una casa vuota e piena di spettri. Quando eravamo dispersi le cose non andavano così male: ci aggrappavamo alla convinzione che una volta ritornati nel mondo conosciuto avremmo trovato il modo di aggiustare le cose. Ci dicevamo che IDA poteva essere riattivata e che tu …-sospirò -… non hanno mai saputo della promessa che mi hai strappato. Erano certi che tu saresti sopravvissuta, come hai sempre fatto. Io sapevo che erano speranze egoistiche, che tu saresti stara più felice se fossi morta, ma la convinzione che tutto potesse essere come prima era la sola cosa che ci teneva in vita. Così ho fatto finta di niente, fingendo di credere anch’io a quelle pie illusioni. – Kaidan si passò una mano tra i capelli grigi – Dieci anni sono lunghi, Shepard. E quando li passi ad inseguire un miraggio, scoprire che le tue certezze non erano altro che fantasie, ti riduce in mille pezzi. Quello che trovammo al nostro ritorno fu una galassia aliena. Tutto quello che conoscevamo era svanito. I nostri mondi erano irriconoscibili. Le persone che conoscevamo, quelle ancora vive, ci avevano seppellito, pianto e dimenticato. Per un po’ ci siamo aggrappati alla Normandy come i naufraghi si aggrappano al relitto di una nave. Ma non avevamo più uno scopo o una ragione di esistere. Eravamo un fenomeno da baraccone che vagava nello spazio. Così alla fine, l’uno dopo l’altro ce ne siamo andati, cercando di rifarci una vita. Io e Jack abbiamo aperto la nostra scuola per biotici, Tali è diventata l’ambasciatrice Quarian, Garrus è tornato su Palaven e Liara ha ricostruito la sua rete di spie rintanandosi nell’ombra. -
-E Jeff? -
La voce di Kaidan si fece aspra – È rimasto sulla Normandy a scorrazzare turisti che vogliono provare l’ebrezza di solcare i cieli sulla nave che ha salvato la galassia. -
Sasha aveva la bocca secca -Non avrei voluto questa fine per voi. -
-Sei sempre stata tu il nostro centro di gravità, comandante. Senza di te ci siamo dispersi …-
-…come foglie nel vento. Sì, ho già sentito questa frase. Me lo disse Jeff dopo la mia prima resurrezione. L’ho sempre detestata. -
Kaidan fece un sorrisetto – Se tu perdessi l’abitudine di morire e risorgere forse eviteresti di sentire sempre le stesse lagne. -
-Perché pensi sia così smaniosa di restare morta? Sono stufa delle lagne. -
Lui ridacchiò e le spostò una ciocca di capelli che le era caduta davanti agli occhi. Non fu abbastanza veloce e la cicca grigia dondolò per un attimo davanti agli occhi di Sasha, lasciandola amareggiata. Rimpiangeva i suoi splendidi capelli rossi.
-Verranno? - domandò a Kaidan con un filo di voce.
Lui la fissò inebetito, come se gli stesse chiedendo se l’acqua era bagnata – Che domande fai, Sasha? Certo che verranno. -
Gli porse una mano – Allora aiutami ad alzarmi, ammiraglio. Non andrò incontro al mio equipaggio seduta su una sedia, come un’inferma. Meritano un comandante che li guardi negli occhi. -
-Ma … le tue gambe … i medici dicono …-
-Le mie gambe funzionano benissimo. – Sasha si tirò su a fatica. Aveva recitato bene il ruolo dell’inferma, ma le sue gambe erano state leste a riprendersi, come la sua testa. Fingere di essere più impotente di quanto non fosse aveva tenuto gli scocciatori a distanza. L’universo non sapeva che farsene di una vecchia gloria decrepita e a lei andava benissimo così. – Fare la storpia mi ha risparmiato un sacco di scocciature. - spiegò ad un incredulo Kaidan – Nessuno vuole una vecchia in carrozzina alle proprie serate di gala o ai comizi politici. Non è glamour. -
Prese Alenko sottobraccio e lo sospinse verso gli ascensori – Andiamo, ammiraglio. Torniamo a casa. –
  
Kaidan era un po’ preoccupato. Non era stato del tutto sincero con Shepard: aveva richiamato i vecchi compagni alla Cittadella, aveva preso in prestito la Normandy e il suo pilota dalla compagnia turistica che l’aveva acquistata (d’altronde non potevano certo dire di no a un ammiraglio dell’Alleanza, eroe di guerra ed ex Spettro) e aveva preso una licenza che si sarebbe potuta benissimo trasformare in un prepensionamento. Tuttavia, non aveva detto a nessuno perché.
Ovviamente non ai suoi superiori, ma nemmeno a Jeff e al resto dell’equipaggio.
In verità nessuno di loro sapeva che Shepard fosse ancora viva.
Non aveva mai trovato il modo e, soprattutto, il coraggio di comunicare quella sconvolgente notizia al resto dell’equipaggio.
Quando il raggio della Cittadella li aveva colpiti, la Normandy era finita in un sistema ai margini della galassia, precipitata in un angolo sperduto di un pianeta sconosciuto.
Il lutto li aveva travolti con la stessa, devastante, potenza del raggio della Cittadella.
Avevano perso Anderson. Avevano perso IDA. Avevano perso il Comandante Shepard.
Per alcuni di loro quelle perdite erano state troppo.
Jeff era stato il primo a crollare. Senza la Normandy da pilotare, senza IDA al suo fianco, senza il comandante a sostenerlo, aveva perso ogni desiderio di vivere. Liara non aveva resistito molto di più. Rendersi conto che, questa volta, Shepard non poteva essere riportata in vita l’aveva mandata letteralmente al tappeto.
Kaidan sarebbe crollato con loro se non si fosse aggrappato alla certezza che, tra tutte quelle persone straordinarie, Sasha avesse scelto lui per un motivo ben preciso: era in grado di sopportare la sua morte. Era in grado di farsene una ragione.
Sasha Shepard era finalmente in pace e lui doveva prendersi cura delle cose più preziose che avesse al mondo: il suo equipaggio e la sua nave.
IDA non c’era più. Shepard non c’era più. Ma loro, l’equipaggio più coraggioso che la galassia avesse mai visto, erano ancora vivi.
Così si era rimboccato le maniche, aveva inghiottito le lacrime, e aveva costretto sé stesso e gli altri a mettersi al lavoro seguendo una scaletta ben precisa di priorità: scoprire dov’erano finiti, rimettere in sesto la nave e trovare un modo per tornare a casa.
Gli ci erano volute settimane per realizzare il primo punto e capire su che pianeta fossero precipitati: Zorya, nella frontiera di Ismar.
Non era un pianeta sconosciuto, ma un pianeta giardino di colonizzazione umana. Erano atterrati in un’area disabitata ma, una vola riparata una navetta, avevano raggiunto il più vicino centro abitato.
Il pianeta non era sfuggito ai Razziatori e la città era poco più di un cumulo di macerie fumanti. Non avevano trovato nessuno, né vivo né morto, e avevano dovuto arrangiarsi, come sempre. Tutti i sistemi di comunicazione del pianeta erano fuori uso, ma fortunatamente c’era cibo, acqua, carburante e risorse in abbondanza. In una base abbandonata dei Sole Blu avevano trovato tutto il necessario per riparare la Normandy. Tuttavia, la nave versava in condizioni critiche.
IDA non era stata solo l’IA della nave. Ne era stata l’anima. Era fusa con la Normandy come una mente umana con il corpo. Erano inscindibili e imprescindibili. Senza la sua mente la Normandy era come una persona in coma: apparentemente intatta, ma spezzata nel profondo.
L’equipaggio di Shepard era composto dalle menti più brillanti della galassia, eppure avevano dovuto lavorare giorno e notte, per settimane, per ripristinare la rete elettrica della nave. E le settimane erano diventati mesi prima che riuscissero a rimettere in funzione il supporto vitale, i radar, i computer di bordo ed infine lo straordinario nucleo motore.
Era stato Jeff a trovare la soluzione: avevano ricostruito il codice di Cerberus con cui IDA era stata vincolata quando era stata installata sulla Normandy. Avevano faticosamente e meticolosamente isolato ogni singolo software presente sulla nave, resettandolo e sostituendone le componenti, ricostruendo da zero le parti più compromesse dalla presenza dell’IA oppure eliminandole del tutto. Il sistema di comunicazione interno, attraverso il quale la voce sensuale di IDA raggiungeva ogni angolo della nave, era stato completamente smantellato. Non tentarono nemmeno di ripristinarlo. Avrebbero comunicato tramite le piccole radio nei caschi o nelle tute. Udire lo sfrigolio del comunicatore e non sentire la voce calma di IDA fare qualche battuta o intromettersi in una conversazione, sarebbe stato troppo doloroso da sopportare, specialmente per Jeff.
Il loro pilota viveva di stimolanti, birra scadente e software da programmare. Si era chiuso in un mutismo preoccupante, interrotto solo da qualche colorita imprecazione quando il lavoro era più complicato del previsto. In circostanze normali tutti si sarebbero fatti in quattro per cercare di sostenerlo, ma nessuno degli altri era messo meglio. Erano logorati dal lutto, dalla stanchezza e dall’impotenza. Erano smaniosi di tornare nella civiltà, ma anche terrorizzati da quello che avrebbero potuto trovarci. Segretamente tutti speravano di tornare a casa e scoprire che IDA poteva essere riattivata e il comandante di nuovo resuscitato.
Solo Kaidan conosceva l’amara verità: questa volta le loro perdite sarebbero state irreversibili.
Lo aveva promesso a Shepard.
Sasha Shepard aveva il diritto di riposare in pace e Kaidan sapeva che si era permessa quel lusso solo perché credeva che lui potesse prendersi cura della Normandy e del suo equipaggio anche senza di lei.
Si era tolta quel fardello dalle spalle e lo aveva passato a lui.
Finalmente capiva ciò che Shepard aveva fatto per loro in tutti quegli anni: era rimasta in piedi mentre il peso della galassia crollava sulle sue spalle.
Lei era stata Atlante ed ora toccava a lui sostituirla, almeno in parte.
Non si era gravato del peso di una galassia intera, quel peso non l’avrebbe mai sopportato, ma poteva sorreggere la Normandy, poteva sorreggere l’equipaggio. In fondo, dell’intero universo, erano sempre stati la sola cosa davvero importante.
Aveva trovato in Garrus e Javik due straordinari sostegni.
I Turian erano un popolo militare, conoscevano il dovere e la perdita meglio di qualsiasi altra specie della galassia. Il vittimismo e i sentimentalismi erano debolezze che quella specie dura e inflessibile non si era mai potuta concedere.
Garrus aveva pianto il suo comandante. Aveva pianto IDA. Aveva pianto il pianeta, il popolo e la famiglia di cui non conosceva il destino. Si era concesso un singolo giorno di lutto e poi, come un albero piegato dal vento di una tempesta ormai passata, si era rialzato. Un po’ curvo, forse, ma saldo.
Javik … lui era un autentico mistero. Kaidan si era convinto, in quei mesi passati a combattere i Razziatori insieme, che di quei compagni e di quella galassia, gli importasse ben poco. In lui non albergava altro che uno smisurato, inestinguibile, desiderio di vendetta. E come poteva essere diversamente? Era l’unico sopravvissuto di una specie estinta migliaia di anni prima. Aveva perduto ogni cosa tranne l’odio. Kaidan non credeva che avrebbe mai potuto provare affetto, o anche solo simpatia, per la Normandy e il suo equipaggio. Si sbagliava. Nel suo modo supponente, irritante e saccente, Javik aveva iniziato a guardarli come compagni e quando Shepard era morta, il dispiacere nei suoi occhi alieni era stato sorprendentemente profondo.
Javik, l’inaccessibile, arido Prothean, votato solo alla vendetta, si era affezionato all’equipaggio della Normandy e al suo comandante, tanto da considerare la sconfitta dei Razziatori come una misera consolazione se paragonata al dolore della perdita.
Lo scopo della sua esistenza si era consumato nelle fiamme rosse della Cittadella. Con i Razziatori finalmente distrutti, Javik aveva realizzato la sua vendetta e nulla, apparentemente, lo tratteneva in una galassia che gli era aliene. Ma invece di abbandonare la Normandy per cercare una morte solitaria, aveva deposto la sua corazza di fredda indifferenza e si era rimboccato le maniche, dimostrando a tutti che la vita non è solo uno scopo. Non è una missione da compiere o un obiettivo da raggiungere.
La vita è solo vita e il suo senso è nelle piccole cose. Nel sole che riscalda la pelle. Nel vento che s’insinua sotto gli abiti. Nel sapore di un frutto appena raccolto. Nel profumo della pioggia. Nella mano di un amico sulla spalla.
Non era stato facile, né immediato, né indolore, ma, infine, il suo esempio li aveva salvati, l’uno dopo l’altro.
La serena consapevolezza di Javik li aveva guidati, come i pellegrini verso un luogo sacro.
Quando finalmente la Normandy era stata in grado di volare, il suo equipaggio era lì, pronto a librarsi in volo insieme a lei.
Il viaggio era stato estenuante.
Dopo due anni, trascorsi a rimettere in sesto la nave, si erano illusi che il peggio fosse passato. Solo quando si erano imbattuti nei resti del portale galattico avevano capito che il viaggio di ritorno sarebbe stato un’autentica odissea.
E, come Ulisse, si erano smarriti, tra le infinite pieghe dell’universo. Una piccola scintilla di luce dispersa nell’oscurità. Innumerevoli volte erano stati sul punto di spegnersi, ma si erano fatti forza l’un l’altro, sostenendosi quando qualsiasi altro equipaggio si sarebbe saltato alla gola.
Otto anni, tanto era stato lungo il loro viaggio di ritorno: otto, lunghissimi anni.
L’arrivo sulla Terra era stato traumatico. Scoprire ciò che la galassia stava diventando lo era stato ancora di più. Non c’era nulla di terribile ad aspettarli. Nessuna desolazione, nessun’apocalisse, solo un universo diverso. La vita aveva proseguito il suo corso, anche senza di loro.
E quel santuario che avevano innalzato a quella vita che avevano scoperto di amare nel loro placido esilio, era crollato come un castello di sabbia investito dalla schiuma del mare. Con la civiltà avevano trovato anche i suoi fardelli: lutti, colpe, responsabilità.
Shepard non era risorta.
IDA non poteva essere riattivata.
La Normandy era una nave obsoleta e loro non erano più un equipaggio.
Senza Shepard non erano niente.
Ci siamo dispersi come foglie nel vento.
Ognuno era partito per la sua strada e tutti quegli anni passati a bordo della Normandy si erano trasformati nel ricordo di un’altra vita.
Erano rimasti in contatto, chi più chi meno. Kaidan aveva cercato di trattenere il filo sottile che ancora li legava, ma ogni anno che passava quel filo si assottigliava sempre di più. E poi … poi Hackett gli aveva svelato il suo terribile segreto.
Shepard era ancora viva, in coma, ma viva, intrappolata dall’egoismo di una galassia troppo vigliacca per privarsi del suo eroe più fulgido.
Più e più volte Kaidan si era trovato col datapad acceso, pronto ad aprire una comunicazione con Tali, Garrus o Liara, pronto a scaricare sulle loro spalle un po’ di quel terribile fardello, ma non era stato in grado di trovare le parole con cui cominciare quella conversazione. Cosa c’era da dire? Come poteva gravarli della terribile consapevolezza che la donna che avevano amato più di ogni altro giaceva incosciente su un letto d’ospedale, derubata del suo giusto riposo.
Si erano fatti una ragione della sua morte e non gli era parso giusto privarli di quel briciolo di serenità. Non se lo meritavano.
Così aveva mantenuto il segreto, arrovellandosi per trovare un modo di mantenere anche la sua promessa.
Altri anni erano trascorsi, inutili, mentre dava fondo a tutte le sue risorse per trovare il luogo in cui lei giaceva.
Forse, se avesse interpellato l’Ombra, sarebbe arrivato in tempo. Forse il suo desiderio di risparmiare a Liara il dolore della verità aveva permesso che Shepard soffrisse l’agonia di un’altra resurrezione.
Ma quel che era fatto non poteva essere disfatto.
Non aveva trovato Shepard in tempo. Quando finalmente aveva localizzato la base segreta in cui era rinchiusa, lei si era già risvegliata. Furibonda e disperata, in preda al delirio, eppure ancora abbastanza lucida da chiedere di lui.
Lo aveva maledetto e lui sapeva di meritare il suo biasimo. Gli aveva affidato la sua morte ed aveva fallito.
Col tempo Shepard lo aveva perdonato, ma Kaidan non poteva nascondere la vergogna per quel terribile fallimento.
-Smettila. – la voce di Shepard, imperiosa, lo fece sobbalzare. L’astroauto su cui viaggiavano aveva il pilota automatico e Kaidan aveva lasciato che la mente divagasse mentre fissava con occhi vuoti le luci della Cittadella che sfrecciavano fuori dal finestrino.
-Non sto facendo niente. -
-Ti stai colpevolizzando. –
Aveva la bocca secca – Non capisco di cosa tu stia parlando. –
-Quell’espressione, Kaidan, la conosco bene. Non hai idea di quante volte l’ho vista nello specchio. –
Kaidan le lanciò un’occhiata obliqua – Dunque dovresti anche sapere che non posso smettere di sentirmi in colpa. –
-Tu hai fatto del tuo meglio, Kaidan. A volte non è sufficiente. Dovremmo imparare a farcene una ragione. A volte si fallisce e basta. -
- A quelli come noi, Shepard, non è concesso il lusso di fallire. –
- Ma lo facciamo lo stesso. E forse, se non trasformassimo quei fallimenti nella nostra ossessione, non sarebbero nemmeno così insormontabili. –
Si concesse un mezzo sorriso sarcastico – Non mi sembravi così comprensiva quando mi maledicevi per non aver impedito la tua resurrezione. –
Lei ricambiò la smorfia – Adesso chi è quello che colpevolizza una vecchia? -
Rise – Smettila con questa storia della vecchia. Abbiamo poco più di sessant’anni, per gli standard di questa galassia siamo ancora dei ragazzini. -
-Lo standard di questa galassia è lasciare che poche persone si assumano la responsabilità di tenerla in vita, invecchiando prima del tempo, cosicché tutti gli altri possano crogiolarsi nell’illusione di essere eterni. –
L’astroauto si posò delicatamente nell’area parcheggio di uno dei tanti spazioporti della Cittadella. La Normandy sarebbe atterrata lì: non più nell’hangar D-24, quello era stato spazzato via, ma in uno dei tanti, anonimi, porti turistici. Come una nave qualunque.
-Sai …- mormorò Kaidan mentre le portiere si sollevavano - … anche a costo di invecchiare prima del tempo e fare i conti giornalmente con una brutta gastrite, non farei mai a cambio. -
-Non ti seguo. –
-Sto dicendo che, nonostante tutto, credo che ne sia valsa la pena e, se dovessi tornare indietro, sceglierei di nuovo questa vita, con tutti i suoi dolori. –
Il comandante non disse nulla. Scese dall’astroauto e si avviò verso i moli, con la schiena dritta e il passo deciso. Nessuno avrebbe mai potuto immaginare che fino a poche ore prima si faceva spingere su una sedia a rotelle.
Quando la raggiunse era appoggiata alla balaustra che dava sulle piattaforme d’attracco, intenta ad osservare il via vai di navi spaziali.
-Loro non sanno niente, non è così? –
Non dovette chiedere maggiore chiarezza. Sapeva bene a cosa si riferisse.
-Ho perso il sonno cercando le parole per spiegare tutto questo. Mi sono arrovellato così tanto che alla fine il giorno è arrivato e io non ho ancora idea di come spiegarlo. –
Shepard sospirò – Non saprei nemmeno io come farlo. Che cosa gli hai detto per convincerli a venire? -
-Solo che c’era un’ultima missione per la Normandy e il suo equipaggio. Ho detto loro che quando fossero arrivati avrebbero capito. -
-Capisco. Immagino che, dopotutto, erano le sole parole necess … oh! -
La Normandy era entrata nello spazioporto, così bella da far impallidire tutte le altre navi.
Shepard la fissava a bocca aperta, come un cieco che vede la luce per la prima volta.
Non poteva biasimarla. La Normandy SR-2 era ancora uno spettacolo mozzafiato.
Kaidan notò che molti si fermavano a guardarla, rapiti, mentre  attraccava con la delicatezza di una farfalla che si posa su uno stelo d’erba.
Non aspettò che i motori si spegnessero o qualcuno venisse loro incontro. Prese Shepard per mano e la condusse, quasi correndo, fin davanti al portellone.
Quando si aprì con un fruscio delicato come seta sulla pelle, sentì la mano di Shepard rilassarsi e le sue dita avvolgersi attorno alle sue.
-Dopo tutto questo tempo, Kaidan … siamo di nuovo a casa.-
Lui guardò prima la nave e poi il suo comandante. C’era una nuova luce negli occhi verdi di Sasha ed ora che il suo viso si era rasserenato non appariva per niente diversa dalla giovane donna che aveva comandato quella nave. Sasha Shepard era esattamente come l’aveva vista l’ultima volta a bordo della Normandy: fiera, invincibile e bellissima.
-Sì.- disse senza staccare gli occhi dal suo comandante –Questa è di nuovo la nostra casa.-

Liara T’Soni non sapeva cosa aspettarsi dall’improvvisa convocazione di Kaidan.
Non sentiva l’ammiraglio da … cinque o sei anni, forse di più. Non riusciva a ricordare l’ultima volta in cui si erano parlati, né perché avessero smesso di farlo. Non c’era un vero motivo, semplicemente non avevano più avuto nulla da dirsi.
Con gli altri era successa più o meno la stessa cosa. Tali era stata l’unica con cui avesse mantenuto qualche contatto e anche con lei le chiamate erano diventate sempre più rare e le occasioni di vedersi quasi inesistenti.
La cosa veramente triste era che soltanto dopo aver ricevuto la chiamata di Kaidan si era accorta di quanto fosse rimasta sola: non aveva nessuno da salutare, nessuno a cui dire che sarebbe partita, nessuno che la implorasse di rimanere.
C’era solo la sua base dell’Ombra, ma Glifo sarebbe stato in grado di gestirla in sua assenza e se non fosse più tornata … beh alla fine qualcuno si sarebbe accorto che qualcosa non andava e … scrollò le spalle: in verità non le interessava per niente.
Per un po’ essere l’Ombra l’aveva soddisfatta, di sicuro riempiva le sue giornate. Aveva anche iniziato una relazione con Feron. Aveva accarezzato l’idea di costruirsi una famiglia, magari su Thessia o su Ilium o persino su Tutchanka, adesso che era diventato un luogo di cultura e bellezza. Ma non erano stati che vaghi pensieri, sottili come veli di nebbia. Pian piano aveva lasciato che quei pallidi desideri svanissero, che il suo affetto per Feron appassisse e che ogni legame con i viventi si facesse sempre più flebile.
Quando Feron l’aveva lasciata a stento se ne era accorta. Un giorno si era svegliata e non l’aveva più trovato. Non aveva nemmeno fatto finta di cercarlo. Andava bene così.
Era diventata apatica e vuota, guidata solo dall’abitudine.
Sapeva di essere morta nel momento stesso in cui aveva capito che Shepard non sarebbe più tornata, che non ci sarebbero più state risate nella mensa della Normandy, nessun briefing in piena notte con Tali che sorseggiava cioccolata calda appollaiata sul bancone delle armi, nessuna partita a carte con James e Kaidan nell’osservatorio, nessuna discussione filosofica con Ida.
La Normandy e il suo equipaggio avevano cessato di esistere assieme al loro comandante. E lei era morta con loro.
Non l’aveva capito subito. Era stato un decadimento lento, un silenzioso avvizzimento.
Nonostante fosse un’Asari e per natura fosse destinata a vivere migliaia di anni, Liara era invecchiata.
Era stanca.
Stanca di quella galassia che non riconosceva. Stanca di rimuginare su un passato che non poteva più riavere. Stanca di piangere un’amica che non era riuscita a salvare.
Il messaggio di Kaidan, per quanto criptico, era stato come un lampo di luce in una notte polare.
Vi si era aggrappata con un ardore che non credeva più di possedere e si era sorpresa a fantasticare su missioni spaziali e nuovi pianeti da esplorare. In un attimo aveva dismesso i panni della vecchia e rivestito quelli della giovane Asari che era.
Risalire sulla Normandy era stato come ritornare nella propria casa d’infanzia. Sapeva che a bordo di quella nave avevano vissuto momenti terribili, eppure non riusciva a fare a meno di desiderare di poter tornare a quei giorni.
Dagli oblò della Normandy avevano visto un sistema esplodere, Thessia invasa dai Razziatori, la Terra e Palaven in fiamme, eppure nulla poteva scalfire l’adamantina certezza di aver passato proprio lì, tra quelle grigie paratie, i momenti più felici della sua intera esistenza.
Non importava quanto orribile potesse essere la galassia là fuori: quando eri a bordo della Normandy non esisteva problema insolubile o tragedia insormontabile. Quando eri a bordo della Normandy eri invincibile.
Non appena era salita a bordo aveva capito che non esisteva altro luogo per lei, in cui vivere e morire.
Rivedere Jeff seduto al suo solito posto, sentire i borbotti di Garrus che si affaccendava presso il cannone principale, ascoltare Tali canticchiare mentre trafficava con il motore, assistere ai quotidiani battibecchi tra Jack e Miranda mentre James tentava invano di mediare e Wrex sorseggiava un barile di birra Batarian con palese divertimento, l’aveva fatta tornare indietro nel tempo, quando la vita era così difficile e lei così felice.
Anche senza Shepard, anche senza Ida, la Normandy era il solo luogo nella galassia in cui si sentisse in pace.
Qualunque cosa fosse successa, promise a sé stessa che non l’avrebbe più lasciata.
L’acqua nel suo bicchiere oscillò, schizzandole la mano, mentre la nave usciva dalla velocità iperluce.
Pochi minuti dopo Jeff annunciava nell’interfono che la nave stava per attraccare alla Cittadella.
-Kaidan mi ha appena mandato un messaggio. - disse – Vuole che lo aspettiamo in mensa. -
Liara svuotò il suo bicchiere, si sistemò la giacca e uscì dalla sua cabina per andare in mensa. Li trovò già tutti radunati.
Tutti loro, nonostante gli obiettivi raggiunti, i titoli conquistati, i riconoscimenti ottenuti, non avevano altro posto al mondo che non fosse la Normandy. Che gli piacesse o no quella era la loro casa e la loro famiglia.
Nell’interno universo le sole persone cui importasse qualcosa di loro si trovavano lì, su quella nave: Garrus, Tali, Jeff, Wrex, Jack, Miranda e James, oltre a Kaidan, naturalmente,
La convocazione di Kaidan era stata concisa ma inequivocabile: Ci aspetta un ultimo viaggio a bordo della Normandy. Potrebbe essere un viaggio di sola andata. Per ora non riesco a dirvi altro. Vediamoci alla Cittadella tra una settimana esatta, lì capirete tutto e deciderete se partire con noi o continuare la vostra vita.
Per quel che la riguardava la decisione era già presa e sapeva che per gli altri, probabilmente, valeva lo stesso.
Nessuna di quelle persone aveva una vita all’infuri di quelle paratie. Chi ce l’aveva non era lì.
Jacob aveva la sua famiglia, Grunt la sua squadra, di Kasumi si era persa ogni traccia, Samantha e Steve si erano rifatti una vita.
Gli altri, Samara, Zaeed e Javik, erano morti, qualcuno prima, qualcuno dopo.
Il tintinnio di un bicchiere che rotolava per terra risuonò come uno sparo nel silenzio che li avvolgeva. Tutti si voltarono verso il rumore, ma era solo Tali che aveva fatto uno dei suoi disastri.
-Scusate. - bofonchiò goffamente mentre raccoglieva i cocci.
Garrus fece schioccare la mandibola – Non insegnano la delicatezza agli ambasciatori Quarian?-
-Sì, è la stessa scuola che insegna la simpatia ai generali Turian e a quanto pare fa schifo. -
James sogghignò – Eri un pollo trent’anni fa Vakarian e un pollo sei rimasto. -
-Uno che a se ne va in giro con quei tatuaggi e quei capelli dovrebbe avere la decenza di starsene zitto. Sembri un tacchino che ha abusato di steroidi. -
-Ah! - approvò Wrex, battendo un pugno sul tavolo – Ecco cosa mi ricordava! -
Continuarono a battibeccare, col sorriso sulle labbra, e Liara sentì le spalle rilassarsi e il groppo che le serrava la gola sciogliersi. Era come immergersi in una vasca d’acqua calda dopo una giornata sfiancante.
Tali l’affiancò passandole un braccio sottile attorno alla vita – Mi era mancato tutto questo. -
Sorrise, appoggiando la testa sulla spalla di Tali, sentendo la malinconia che l’aveva afflitta per tutti quegli anni evaporare.
Il sibilo dell’ascensore ebbe l’effetto di una sirena dall’arme. Si zittirono tutti e si voltarono per accogliere Kaidan.
Ma l’ammiraglio Alenko non era solo.
Con lui c’era una donna esile, non molto alta, con i capelli grigi raccolti in una crocchia. Il suo viso era scavato, come se fosse reduce da una lunga malattia, ma irradiava una serenità profonda, inattaccabile.
Gli occhi verdi, grandi e lucenti, brillavano di pura gioia.
Il tempo e la sofferenza avevano segnato il viso dai tratti delicati, ma la sua bellezza non era stata scalfita. Era ancora fiera e decisa. Era ancora Shepard.
-Cristo santo, Shepard! - esclamò Jack facendo un passo avanti, inebetita – Tu sei morta!-
-Mi sembra di avere un déjà-vu. - bofonchiò Jeff, interdetto.
-Non sei l’unico, credimi. – replicò Shepard e il suono della sua voce fece vacillare Liara.
Se Tali non fosse stata al suo fianco, a sorreggerla, probabilmente sarebbe crollata in ginocchio, come un fedele di fronte ad un’apparizione divina.
-La morte si ostina a ricacciarmi indietro. Sembra che non voglia saperne niente di me. -
Miranda incrociò le braccia al petto e la squadrò da capo a piedi – Chiunque sia stato non ha fatto un bel lavoro. Io ti avrei dato qualche anno in meno. -
Le labbra di Shepard s’incurvarono maligne – Mi spiace dirtelo, ma è sempre il tuo di lavoro. I segaossa dell’Alleanza hanno solo dato un’aggiustatina al buon vecchio corpo che mi hai dato tu, signorina Lawson.-
-Signora.- precisò Miranda – Non farti ingannare dal mio bell’aspetto. Gli anni e i mariti sono passati anche per me.-
-Poveri mariti. -
Calò uno strano silenzio, carico di tensione. Tutti fissavano Shepard chiedendosi quale inganno potesse esserci dietro. Lei non poteva essere viva, l’avevano … l’avevano cosa? Nessuno l’aveva vista morire, né avevano visto il suo corpo.
Avevano solo la parola di Hackett.
Liara fissò Kaidan che evitava di guardarli con aria colpevole e poi riportò lo sguardo su Shepard.
Gli occhi verdi del comandante incontrarono i suoi, vivi e vibranti come quelli di un gatto selvatico.
-Comandante Shepard …- mormorò, staccandosi da Tali e facendo un passo avanti – Sei … sei davvero tu? -
Una strana espressione si dipinse sul viso della donna, un misto di malinconia e fierezza -Potrei mai essere qualcosa di diverso? -
Liara non ebbe più alcun dubbio. Quella era una risposta da Shepard. Quelli erano gli occhi di Sasha.
Le buttò le braccia al collo, scoppiando in lacrime.
-Per la Dea, comandante … - il resto della frase si perse in un balbettio indistinto.
Le braccia di Shepard si strinsero intorno a lei, nel primo vero abbraccio che riceveva da … nemmeno sapeva quanto.
-Mi siete mancati così tanto. - sussurrò Shepard con voce tremante. Sembrava sorpresa da quell’affermazione, come se non l’avesse davvero realizzato fino a quel momento.
Fu come schiacciare il tasto play sul telecomando. Il tempo ricominciò a scorrere e le persone nella sala ripresero a vivere.
La prima ad arrivare fu Tali. Si avvinghiò a loro come una scimmietta, piccola e tremante, scossa da risate miste a singhiozzi.
La stazza di Wrex le fece vacillare quando lui le sollevò tutte tra le possenti braccia.
Sentì gli altri ridere e fare battute, ma quando i suoi occhi si posarono su Jeff si accorse che fissava Kaidan in cagnesco, come se l’ammiraglio fosse responsabile di qualche crimine atroce.
-Tu lo sapevi Alenko? Sapevi che Shepard era viva e non hai detto niente? -
-Jeff … - tentò Garrus, ma Shepard si sciolse dall’abbraccio e si affiancò a Kaidan.
-Gli ho chiesto io di non dire niente. - a Liara non sfuggì la sorpresa subito nascosta che affiorò sul viso di Kaidan – Come avrebbe potuto spiegare l’inspiegabile? Era meglio che lo vedeste con i vostri occhi, non gli avreste mai creduto altrimenti. -
-Trentadue anni, Shepard. Per trentadue anni abbiamo pensato che fossi morta. -
Jeff era quello che aveva accusato il passare del tempo peggio di tutti. La sua malattia ne aveva incurvato la schiena e la zoppia era diventata tanto invasiva da impedirgli di camminare per più di qualche metro. Le mani erano gonfie e deformi, ma quando sedeva in plancia era ancora il miglior pilota vivente.
Shepard si passò una mano sul viso – Sono rimasta in coma per trent’anni, Jeff e gli ultimi due li ho passati a rimettere insieme quello che restava della mia sanità mentale. Kaidan ha saputo che ero viva solo due anni fa.-
Si guardarono l’un l’altro, sbalorditi.
-Com’è possibile che non siamo mai stati informati? - domandò James – Hackett …-
- Hackett ha mentito. - intervenne Kaidan – Ci disse che la notizia della sopravvivenza di Shepard era solo propaganda, un meschino trucco per dare speranza alla galassia. Ma ad essere ingannati fummo noi. Hackett mi confessò tutto sul letto di morte. -
Liara si accigliò – L’ammiraglio è morto quasi dieci anni fa.-
Kaidan lanciò a Shepard un’occhiata colpevole – Tanto ci ho messo a trovarla. -
Liara sentì la rabbia montarle dentro -Perché non mi hai detto niente, con le mie risorse saremmo … - di fronte allo sguardo bruciante di Kaidan si zittì.
Non l’aveva coinvolta perché lei avrebbe fatto di tutto per riportare Shepard in vita, come in passato, ma Shepard non aveva mai fatto mistero di quanto quella resurrezione le fosse costata. Una resurrezione era un fardello terribile da portare, ma due …
-Non siamo qui per parlare di questo.- intervenne Shepard, decisa – Kaidan non ha fatto altro che rispettare la mia volontà. In tutti questi anni, da quando ha saputo che ero viva, lui mi ha protetto. Non c’è altro da dire.-
E con quell’affermazione il discorso era chiuso.
-E allora perché siamo qui, Shepard? – intervenne Jack, sulla difensiva – Perché, dopo tutto questo tempo, ci hai cercati?-
Il comandante andò a sedersi al tavolo della mensa. Sembrava molto stanca, ma anche … in pace. Liara non l’aveva mai vista così serena. Era come se avesse trovato le risposte a tutti i quesiti del mondo.
-Questo argomento va affrontato con un po’ di alcol. È rimasto ancora del buon Gin su questa nave?-
Quando i bicchieri furono pieni e tutti loro seduti, Shepard bevve un lungo sorso, schioccò le labbra e li guardò, uno ad uno, gli occhi verdi vibranti di eccitazione.
-Sono qui perché siete ciò che di più caro ho in questo universo. Siete la mia famiglia, la mia casa …- guardò Kaidan - … il mio amore. Siete le sole persone viventi che posso portare con me in questo mio ultimo viaggio. E voi, voi perché siete qui?-
Calò uno strano silenzio, fatto di occhiate furtive, bicchieri spostati e mani che non sapevano dove posarsi.
Alla fine, fu Garrus a trovare la voce – Siamo qui per il tuo stesso motivo, comandante. -
-Tu sei un generale, un eroe di guerra, uno stimato consigliere del governo di Palaven e so che hai rifiutato un posto nel nuovo Consiglio galattico. Mi stai dicendo che rinunceresti a tutto per …- Shepard allargò le braccia, includendo tutti loro e la Normandy - … questo?-
-Senza esitare. Questi ultimi trent’anni sono stati i più deprimenti e solitari della mia vita.- la voce di Garrus era ferma, ma l’azzurro dei suoi occhi era velato di lacrime – Questo è l’unico luogo in cui io sia mai stato felice e voi le uniche persone che abbia mai amato davvero.-
Tali si sporse a stringere la mano del Turian – Lo stesso vale per me, comandante. Rannoch è un luogo magico, amo la mia gente e sono orgogliosa di esserne l’ambasciatrice, ma è qui il mio posto e voi siete la mia famiglia. Voi siete il mio popolo. –
Uno dopo l’altro tutti si dissero d’accordo, anche Liara. Solo Wrex rimase silenzioso.
Shepard lo guardò di sottecchi – Wrex, tu hai una moglie, dei figli, un clan di cui essere orgoglioso … sei sicuro di voler affrontare questo viaggio con noi? Nessuno ti biasimerà se sceglierai Bakara e i Krogan invece di …-
Urdnot Wrex era diventato più grosso e più arcigno. Nuove cicatrici si erano aggiunte alle vecchie, da qualche parte in quei trent’anni aveva perso un occhio, era vecchio, ma non così vecchio da pensare ad un dignitoso ritiro prima della fine.
Come le Asari, i Krogan vivevano per migliaia di anni. Wrex ne aveva molti più di Liara, ma molti meno della maggior parte dei Krogan anziani. Tra tutti era sicuramente quello che aveva più da perdere.
 – Bakara ed io non siamo mai stati davvero una coppia. La nostra unione era solo politica: io il braccio e lei la mente. – si strinse nelle grosse spalle – Ero un guerriero, Shepard, una Krogan di guerra in un mondo in guerra. Ora siamo in pace e per quanto io ne sia felice, so anche che per me non c’è più posto. È da tanti anni ormai che al clan e ai Krogan io non servo più. Ho dei figli, certo, ma noi Krogan non siamo sentimentali come voi umani. Non sono più dei cuccioli, sanno badare a loro stessi. Hanno Bakara, hanno gli Urdont, per loro io sono solo un vecchio brontolone noioso. No, Shepard, non ci sono affetti per me tra i Krogan. Il mio clan è raccolto qui, su questa nave. E ovunque andrà io lo seguirò. Solo mi chiedo dove vuoi andare a parare.-
-Se raccontassi una storia assurda, ma così assurda da sembrare frutto di una mente stravolta, tu ci crederesti?
Wrex scoppiò in una risata tonante – Dopo tutto quelle che ti ho visto fare, Shepard, se tu affermassi con assoluta certezza che i Krogan sputano fuoco, ti crederei. -
Shepard sollevò le sopracciglia – Non lo fanno?-
Qualcuno sorrise, ma erano tutti troppo tesi per lasciarsi andare all’ironia. Era una faccenda maledettamente seria.
Il comandante bevve un altro sorso e sospirò.
-Pochi di voi sanno chi ero prima di essere Shepard. Ho fatto in modo che il mio passato venisse seppellito per bene.- gli occhi di Shepard incontrarono i suoi. Liara era la sola, assieme a Kaidan, a saperne qualcosa. Eppure quel qualcosa era molto poco, nonostante la sua abilità nello spionaggio. La storia di Shepard era stata occultata in maniera scrupolosa.
-Prima di essere il comandante Shepard non ero nessuno: solo un’orfana terrestre, figlia di una prostituta e di un soldato dell’alleanza abbattuto durante la guerra del primo contatto. Sono cresciuta in un bordello, mi sono fatta le ossa in una squallida banda. Detestavo gli alieni e tutto ciò che c’era oltre il cupo cielo sopra la mia testa.- si guardò le mani, forse vergognandosi di chi era stata.
-Credevo che il male venisse dallo spazio e quando mi sono resa conto che, invece, ci stavo annegando dentro era già troppo tardi.-
Raccontò loro di come era stata tradita da chi aveva creduto amico. Raccontò loro della sua prima morte.
La morte dell’orfana e la nascita del soldato.
Completamente sola in un universo in cui l’anonimato significava morte, Sasha si era rifugiata tra le braccia bramose dell’Alleanza.
Era diventata il soldato perfetto.
Smise di esserlo quando fallì la sua prima missione e fu allora che trovò, finalmente, il suo posto nell’universo. La squadra “33” l’accolse per ciò che era: un essere umano, capace di fallire e provare pietà. Un essere umano che meritava di essere salvato.
-La mia squadra.- mormorò Shepard con un filo di voce -La mia “33”. Loro erano tutto ciò che avevo sempre cercato, le persone migliori che avessi mai incontrato, i compagni più straordinari che avessi mai potuto immaginare. Mi accolsero come se mi conoscessero da sempre. Tra di loro c’era un giovane tenente, bello da togliere il respiro …- sorrise tra sé e sé, quasi con timidezza – Lui era l’incarnazione dell’eroe: leale, coraggioso, inarrestabile. Mi insegnò che quando sei sul campo di battaglia, quando tutta l’esistenza si riduce al tempo presente, il più grande conforto per un soldato non sono le armi o le corazze, ma gli amici. Noi non combattiamo per un’ideale, un pianeta o un popolo, ma per il compagno alla nostra destra e per il compagno alla nostra sinistra. Di tutte le lezioni che ho appreso nella mia vita, mai nessuna mi è apparsa più giusta di questa. Ho guardato mondi bruciare senza quasi battere ciglio, ma la perdita di un compagno …- le si spezzò la voce e dovette bere un altro sorso - … quello è un dolore che non va mai via.-
-Chi era quell’uomo, comandante?- domandò Jack con un filo di voce.
Shepard sollevò lo sguardo su di lei e, se non fosse stato assurdo, Liara avrebbe potuto giurare di aver visto un lampo di gelosia attraversarle gli occhi verdi.
-Si chiamava Alexander Andrej Shepard.-
Jack sussultò, come se qualcuno le avesse lanciato una secchiata d’acqua gelida in viso.
Nessun altro ebbe una simile reazione. Liara pensò solo che fosse strano che non avesse mai sentito parlare di lui. Dopotutto non era un nome che passasse inosservato.
Il comandante giocherellò con l’anello, che, da sempre, portava appeso al collo infilato nella catenina della piastrina di riconoscimento.
Continuò il suo racconto come voce sempre più lieve. Rivelò loro che lei e il suo Shepard si sarebbero dovuti sposare, lasciandosi l’Alleanza e la vita da soldato alle spalle. Ma il suo sciocco orgoglio si mise di traverso. Lei, l’orfana senza nome e senza famiglia, desiderava essere celebrata. Desiderava l’immortalità della fama.
Furono il suo cieco egoismo e la sua smisurata ambizione a condurre la “33” su Akuze, il pianeta che li avrebbe uccisi tutti. Tutti, tranne lei.
Quella fu la sua seconda morte. Fu la morte del soldato e la nascita dell’eroe.
Alexander, col suo ultimo respiro, le chiese di vivere al posto suo. E fu ciò che fece. Nel suo nome, nel nome di Shepard, divenne il comandante destinato a portare sulle spalle il sacco con tutti i dolori del mondo.
Tornò ad essere il soldato perfetto, l’N7 infallibile, il comandante irreprensibile. Poi arrivò la Normandy.
- Non mi sarei mai aspettata di trovare … beh di trovare voi. Voi mi avete ricordato che, in fondo, questa esistenza non è poi così male. Sulla Normandy la vita è tornata ad essere bella. –
- Eppure, non hai esitato. - bofonchiò James – Quando è arrivato il momento di rinunciare alla vita, di rinunciare a noi, sei corsa incontro alla morte senza battere ciglio. -
Shepard giocherellò col bicchiere – Ti sbagli. Nel mio ultimo istante di vita ho scelto … ho scelto la mia felicità a scapito di quella di molti altri nella galassia. Nel cuore della Cittadella ho trovato ciò che non potevo sacrificare in nome di un bene superiore: la mia mortalità. -
James la guardò confuso e lanciò un’occhiata agli altri che sembravano altrettanto smarriti – Non ti seguo, Lola.-
- A Londra, quando sono entrata nel raggio della Cittadella, dopo che l’Uomo Misterioso aveva ucciso Anderson e io avevo ucciso lui, dopo che aprii i bracci, fui portata in un altro luogo. Un luogo fuori dal tempo e dallo spazio, nel regno dell’Intelligenza. Aveva l’aspetto di un bimbo che sulla Terra non ero riuscita a salvare. Mi parlò delle sue origini, del suo scopo, del motivo per cui aveva creato i Razziatori: portare ordine nel caos, domare la galassia, renderla un luogo di pace. Come tutti anche lei, alla fine, aveva fallito. E lì, nel cuore del suo regno, sola e senza nessuno a proteggerla, tentò di portarmi dalla sua parte. Mi offrì tre scelte.- Shepard fissava un punto lontano, come se fosse ancora in quel luogo fuori dal tempo, chiamata a decidere le sorti di un universo intero.
Liara si sentì schiacciare al solo pensiero di una responsabilità tanto grande. Un altro, al posto di Shepard, sarebbe crollato.
- Sintesi, Controllo e Distruzione. L’intelligenza, ovviamente, voleva che scegliessi la Sintesi. Organici e sintetici si sarebbero fusi in un’unica entità. Creature perfette e immortali, finalmente in pace … finalmente sue schiave. – la voce di Shepard si fece di pietra - A quella scelta avrei preferito l’estinzione. -
-Sarebbe stato così terribile? - mormorò Jeff, parlando forse per la prima volta. Era stato insolitamente silenzioso … ma da quando Ida era morta lui era stato sempre silenzioso. La sua pungente ironia e il suo costante cicaleccio si erano spenti insieme all’Intelligenza Artificiale della Normandy. Con lei era morto anche lui.
- Avrei cambiato la natura della galassia per sempre, Jeff. Avrei imposto a tutti gli esseri viventi di questo mondo una mutazione irreversibile ed assolutamente arbitraria. -
-Chissà perché sono certo che alla fine la tua scelta sia stata irreversibile ed assolutamente arbitraria. -
Shepard inspirò a fondo – Sì, lo è stata. Se avessi scelto il Controllo avrei preso il posto dell’Intelligenza. I Razziatori avrebbero obbedito ai miei ordini. Avrei fermato la guerra senza sacrificare nessuno. Sarei diventata un Dio. - il tremito nella sua voce, così inusuale, tradiva un dolore insormontabile – Invece scelsi di distruggerli tutti: ogni forma di vita sintetica, ogni intelligenza artificiale, ogni macchina capace di calcolo o pensiero. Scelsi di riportare la galassia all’età della pietra. Scelsi la morte dei Razziatori, dei Geth, e di Ida. Scelsi di morire io stessa perché ero ormai più macchina che uomo. -
Quelle parole li sprofondarono in un silenzio attonito.
Liara boccheggiò: Shepard aveva scelto l’estinzione di tutti i sintetici. Aveva rinunciato alla possibilità di prendere il controllo dei Razziatori. Aveva gettato al vento milioni di anni di conoscenza. Aveva lasciato che la galassia sprofondasse in un medioevo tecnologico.
Jeff fu il primo a riscuotersi: era paonazzo – Tu … tu avresti potuto salvarla e invece … tu l’hai uccisa! -
Anche Tali scattò, alzandosi e gesticolando – Dopo tutto quello che avevi fatto per salvarli, Shepard, dopo i sacrifici che ci hai costretto a compiere, alla fine hai lasciato che i Geth morissero? Hai idea di cosa avremmo potuto fare con il loro aiuto? Milioni di persone sono morte perché le tecnologie che avrebbero potuto salvarle sono andate distrutte! -
Miranda scuoteva la testa – Potevi essere un Dio Shep.-
-Bella scelta di merda, comandante. - sibilò Jack.
Garrus, Kaidan e Wrex tacevano, le espressioni serie, gli occhi duri. Laddove tutti gli altri si mostravano sconvolti loro … loro capivano.
Il comandante picchiò il pugno sul tavolo e si alzò, le guance in fiamme, gli occhi dilatati, così terrificante che il silenzio calò immediato – Sì, avrei potuto salvare Ida. Avrei potuto salvare i Geth. Avrei potuto salvare la fottuta galassia per altre cento, mille volte. E ancora e ancora e ancora e ancora …- tremava, di rabbia e paura - … avrei potuto continuare a fare il mio dovere di eroe per sempre. Potevo essere eterna, infinita, immortale. Un essere fatto di puro pensiero, condannata all’eternità, separata dalla vita e dalla morte. Voi avreste vissuto le vostre vite, sareste invecchiati e morti ed io sarei rimasta, finché la follia non mi avesse consumata e anche allora non avrei avuto il permesso morire.– Shepard strinse le mani a pugno –C’ero io in quella cazzo di stazione ed è a me che quella maledetta cosa ha chiesto di scegliere. Non lo ha chiesto a te, Jeff e nemmeno a te Tali. Lo ha chiesto a me. Ed io ho scelto. Per una volta ho scelto ciò che era meglio per me. Non per voi. Non per la galassia. Non per il fottuto bene superiore. Solo per me. Ed io ho scelto la pace dell’eterno riposo. Credevo di essermelo meritato, cazzo. Ho dato a questa galassia tutto quello che avevo, ma la morte, quella almeno volevo tenermela per me. Naturalmente era una pia illusione. Al comandante Shepard sembra non sia concesso il lusso di morire in santa pace. –
Questa volta nessuno osò infrangere quel silenzio. Si guardarono l’un l’altro, mortificati. Erano sempre stati così dannatamente egoisti? Così concentrati sui propri problemi da non rendersi conto che anche Shepard, in fondo, era umana?
Sì, Liara credeva di sì.
Quando aveva rubato il suo corpo ai Collettori, consegnandolo a Cerberus perché la facesse risorgere, non si era minimamente preoccupata del trauma che avrebbe procurato a Shepard. Aveva dato per scontato che lei avrebbe potuto sopportarlo.
Non si era nemmeno chiesta se Shepard desiderasse tornare in vita: ovvio che sì. Doveva farlo, perché altrimenti come sarebbe sopravvissuta la galassia? Come sarebbero sopravvissuti tutti senza il comandante Shepard? Come sarebbe sopravvissuta lei, Liara T'Soni?
La colpa le serrò la gola come la mano di un gigante e si ritrovò in piedi, con le braccia intorno a Shepard.
La tenne stretta finché il comandante non superò la sorpresa e ricambiò, esitante, l’abbraccio dell’archeologa.
-Mi dispiace così tanto, Shepard. Mi dispiace che tu abbia dovuto affrontare tutto questo da sola. Nessuno ha il diritto di biasimarti. Non c’è nulla che valga un sacrificio così grande come quello che ti è stato chiesto, nemmeno la galassia intera.-
-Grazie, Liara.- mormorò contro la sua spalla.
Tali si lasciò cadere sulla sedia – Perdonami, Shepard. Siamo solo degli egoisti che ti accusano di esserlo stata a tua volta. Ma Liara ha ragione: nulla vale un tale sacrificio e credo che nessuno sarebbe disposto a compierlo, per niente e nessuno. Io non lo farei.-
Liara guardò Jeff, che si era rattrappito su se stesso, pallido e sconvolto – No …- lo sentì borbottare - … non lo farei nemmeno io.-
Shepard si separò da lei, stringendole il braccio con gratitudine – E se vi dicessi che qualcuno lo ha fatto?-
La fissarono come fosse ammattita.
-Ma cosa dici, Shep?-
Il comandante si passò un mano sul viso stanco – Se vi dicessi che in un universo parallelo al nostro esiste un comandante Shepard che ha scelto il Controllo?-
Il silenzio calò sulla stanza come una coltre di fumo. L’enormità di ciò che Shepard stava dicendo era così inconcepibile da essere quasi … quasi plausibile.
-Un universo parallelo al nostro …?- balbettò Liara.
Shepard la guardò con uno scintillio malizioso negli occhi verdi – Vorresti dirmi che non esistono studi e teorie in proposito, dottoressa T’Soni? Che i Prothean non hanno elaborato alcuna teoria? -
-Certo che esistono. Tutte le specie, presto o tardi, hanno sentito l’esigenza di teorizzare il multiverso ma…- Liara scrollò le spalle - … il confine tra scienza e fantascienza è molto labile quando si parla di questo. -
-Anche i Razziatori erano considerati mera fantascienza finché non sono arrivati a bussare alla nostra porta. -
Mai come in quel momento Liara sentì la mancanza di Ida.
-Piano piano …- intervenne James alzando le mani – Stiamo davvero parlando di multiverso? Quello dei vecchi Olofilm con i supereroi?-
-No, James, non stiamo parlando di questo. - sibilò Liara.
Shepard inarcò un sopracciglio – Ne sei sicura Liara? -
Cominciava a innervosirsi – Certo che ne sono sicura! Se anche esistessero piani di esistenza separati ma speculari al nostro, non c’è modo che questi si intersechino tra di loro. Sul piano teorico possiamo anche ammettere l’esistenza di realtà parallele, ma non potremo mai, in nessun modo, entrarne in contatto. -
Shepard annuì – Questo è vero. A meno che non esista qualcosa in grado di trascendere le dimensioni. –
Liara scosse il capo – Non esiste nulla del genere. -
-Invece sì.- intervenne Tali con un filo di voce – Il pensiero, la mente, l’intelligenza … i Geth erano in grado di viaggiare attraverso le dimensioni, più veloci della luce, indifferenti alle leggi della materia poiché essi non erano materia, loro erano solo …-
-Loro erano solo pensiero ... o calcolo se vogliamo essere più pratici e meno romantici. I Geth erano in grado di trascendere le dimensioni perché erano capaci di padroneggiare i principi quantistici che ne regolano il flusso. - annuì Shepard  - Ascoltate, so che sembrerà folle ed incomprensibile, ma dovete fidarvi di me. Mentre ero in coma mi sono ritrovata in un luogo fuori dal tempo, una specie di anticamera, un luogo di attesa, molto simile nel concetto al posto dove l'Intelligenza mi diede le sue tre scelte. Lì ho ritrovato molti vecchi amici. Ho vagato tra i mondi o, se volete essere meno romantici, tra i flussi di coscienza finché non ho trovato lui, il mio Alex, il mio Shepard. - si rigirò l’anello tra le dita – Lui era l’Alex delle mie memorie, il ragazzo tenace ed idealista che ho amato ed abbandonato, l’uomo che su Akuze morì per salvarmi. Ma era anche … altro. Era il comandante Shepard di un universo in cui, su Akuze, fui io a morire. Era il comandante Alexander Andrej Shepard che su Virmire salvò Ashley invece di Kaidan. Il comandante che decise di sacrificare il primo Consiglio invece di salvarlo. Il comandante che scelse il Controllo invece della Distruzione. -  alzò lo sguardo e lo fissò su Jack – Tu più di tutti, Jack, dovresti ricordarti di lui. È il comandante che ti ha amato e poi ti ha spezzato il cuore. -
Jack incrociò e le braccia al petto e sostenne lo sguardo - Stai delirando Shepard, io non … non …- la voce le si spezzò, per un attimo i suoi grandi occhi scuri parvero velarsi. Quando tornarono a fuoco l’arroganza lasciò il posto alla confusione e a qualcosa di spaventosamente simile al dolore - … io …- trasse un respiro tremulo e si tastò il collo come se cercasse qualcosa. Le sue dita si chiusero sul niente e Jack chiuse gli occhi- … che cos’è lui adesso? - sussurrò.
Il viso di Shepard si contrasse – Qualcosa di molto simile a un dio. Quando Alexander ha scelto il controllo ha ottenuto una conoscenza infinita, non solo del suo universo, ma di tutto ciò che esiste, su tutti i piani di realtà. Lui è …- scosse il capo alla ricerca di parole che forse non ancora state inventate - … lui è tutte le vite che ha vissuto, tutte le morti di cui è morto, tutti gli amori che ha avuto, tutti i dolori che ha sopportato. Lui è infinito. Ed è …- sorrise - … è fatto della stessa materia di cui sono fatti i sogni. –
Miranda si agitò, a disagio – Tu dici che è un dio, Shep. Ma una divinità non dovrebbe possedere emozioni umane, non dovrebbe avere memoria di una vita che gli è stata strappata. Se ciò che dici è reale, la condizione in cui si trova è …- il bel viso si contrasse in una smorfia di dolore - … è una maledizione. –
-Lo è, Miranda, lo è.- le labbra di Shepard tremarono – Per sfuggire alla tentazione di diventare un dio onnipotente, capace di piegare gli universi al suo volere, ha disattivato i Razziatori rescindendo ogni legame con la realtà terrena. Lui non è in grado di manipolare i destini degli universi. Non può distruggere né salvare, può solo osservare e viaggiare attraverso i mondi alla ricerca di un modo di riunirsi a chi ha amato. -
-E lo ha trovato quel modo? - domandò Jeff, alzando la testa, speranzoso.
- Io … io credo di sì. Mi ha detto … mi ha detto che durante il suo eterno vagare ha desiderato qualcosa per sé. E tra le sue infinite esistenze lui … lui si è ricordato di me. - un rossore inusuale le colorò le guance – Quel luogo indefinito tra la vita e la morte in cui sono rimasta per tutti questi anni, lo ha creato lui. Mi disse che ero stata io a riempirlo, tirandoci dentro le persone che avevo amato, ma in realtà credo che sia stata opera di entrambi. L’incontro tra le nostre realtà, seppur empirico, ha creato una sorta di singolarità, un polo di attrazione per coloro che abbiamo amato e perduto. - sospirò guardando i loro visi increduli – So che è follia, ma …-
-Io ti credo, Sasha. - disse Kaidan, deciso. – Voglio crederti. Voglio credere in un universo in cui Ash ha avuto una possibilità e voglio credere che esista un luogo in cui possiamo ritrovarci, noi tutti e coloro che abbiamo perduto. Ovunque tu voglia andare io ti seguirò. -
-In quel luogo, Shepard, lei c’era? – la voce di Joker era poco più che un bisbiglio, un desiderio sussurrato a denti stretti.
Shepard si alzò, fece il giro del tavolo e si inginocchiò davanti al pilota. Gli prese le mani deformi tra le sue – Ho visto Ida, Jeff. Lei è … è tutto quello che sognava di essere e molto di più. – la sua espressione era serena mentre si voltava a guardarli – I nostri amici sono là. Stanno aspettando la Normandy e il suo equipaggio. Alex mi ha tracciato una rotta. Sarà un viaggio di sola andata, verso l’ignoto. Moriremo e poi … poi saremo …-
-Saremo puro pensiero …- sussurrò Jeff, gli occhi che brillavano – Io e la Normandy siamo con te, comandante. -
-Wow …- Miranda sollevò le mani - … non stiamo correndo un po’ troppo, mi sembra una follia, io non sono sicura che …-
-Parla per te, cheerleader. – Jack si alzò e incrociò le braccia al petto con aria decisa – Io ci sto, comandante. Non importa cosa io diventi in questo universo, certi fantasmi ti seguono ovunque. Se esiste un luogo in cui non possono seguirmi credo proprio che sia quello che tu hai appena descritto. –
James annuì, pensieroso – Qui viviamo in pace, ma non abbiamo pace. Se c’è anche una sola possibilità di trovare un luogo in cui si possa scendere a patti con il passato e farcene una ragione, allora credo che valga la pena tentare di trovarlo, quale che sia il prezzo. -
Wrex si batté un pugno sul petto – Chissà, magari troveremo davvero un universo in cui i krogan sputano fuoco. E se anche scoprissimo che là fuori c’è solo l’oblio della morte, beh cosa c’è di meglio, per un vecchio krogan come me, che perdersi tra le stelle? -
-Non ti perderai, Wrex.- replicò Shepard con un sorriso sghembo - Promesso. Garrus … sei stato molto silenzioso … anche tu, come Miranda, pensi che io sia pazza? -
Gli occhi azzurri di Garrus scintillarono mentre il Turian faceva schioccare le mandibole – Certo che sei pazza Shepard, ma questo non mi impedirà di seguirti. Non c’è Shepard senza Vakarian, ricordi? -
Shepard sembrava sul punto di scoppiare in lacrime per l’emozione, ma si trattenne – Tali, Liara … -
Liara sentì la piccola mano di Tali afferrare la sua, la strinse forte, dandole il suo pieno appoggio.
-Credi che rinunceremmo a una tale avventura, comandante? - esclamò la Quarian con voce squillante.
-Credi che rinunceremmo a voi? - rincarò Liara abbracciando i compagni con lo sguardo – Siete la nostra famiglia. La Normandy è la nostra casa. -
Tali saltellò sul posto -C’era un vecchio olofilm che diceva … verso l’infinito …-
-E oltre. - concluse Miranda alzando gli occhi al cielo – Siete una banda di matti e finiremo tutti all’inferno. Ma fintanto che siamo insieme …- strizzò l’occhio a Jack - … allora anche l’inferno sarà divertente. -
Il viso di Shepard si aprì in un sorriso così raggiante da illuminare la stanza – Dunque che cosa stiamo aspettando? Mettiamo in moto questa bellezza e andiamo a scoprire cosa c’è là fuori.–

Là fuori c’era un buco nero. Era così grande da far tremare le vene nei polsi.
Era un luogo oscuro, fatto di nulla e incubi. Eppure, quando lo videro, nessuno dei coraggiosi eroi a bordo della Normandy esitò.
Erano sul bordo dell’abisso e quell’abisso li chiamava, attirandoli a sé come il canto di una sirena. Non avrebbero potuto rinunciare al salto nemmeno se l’avessero voluto.
Erano dove dovevano essere, dove il destino aveva voluto che fossero.
Erano tutti accalcati nella cabina di pilotaggio, come turisti su una ruota panoramica. Fissavano il buco nero che li avrebbe annientati e in esso vedevano ciò che Shepard aveva loro promesso: la pace dell’eterno riposo.
Non si lasciavano alle spalle niente e nessuno. Tutti coloro che li avrebbero mai pianti erano lì, spalla a spalla, compagni di infinite battaglie, custodi di terribili segreti, appigli di spaventose cadute.
-Siete pronti?- sussurrò il comandante Shepard, gli occhi verdi spalancati sull’oscurità.
-Con te, Shepard. - rispose Kaidan – Fino alla fine.-
Quelle parole furono ripetute, in sussurri simili a preghiere.
-Portaci a casa, Jeff.- comandò Shepard con voce decisa.
Lui chiuse gli occhi e azionò i comandi – Sì, comandante. –
 
  
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