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Autore: _Atlas_    31/03/2024    0 recensioni
1997.
Axel, Jake e Jenna vivono i loro vent’anni nella periferia di Mismar, ubriacandosi di concerti, risate e notti al sapore di Lucky Strikes. Ma la loro felicità è destinata a sgretolarsi il giorno in cui Jake viene trovato morto, spingendo gli altri nell’abisso di un’età adulta che non avrebbero mai voluto vivere.
Diciotto anni dopo, Axel è un affermato scrittore di graphic novel che fa ancora i conti col passato e con una storia di cui non riesce a scrivere la fine.
Ma come Dark Sirio ha bisogno del suo epilogo, così anche il passato richiede di essere risolto.
Genere: Generale, Hurt/Comfort, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Capitolo XXVI

 
 

 
 
 
 

Era ormai ora di cena quando finì di montare tutti i tavoli. Il design moderno e color legno stonava un po’ con il resto dell’ambiente, tranne che con le mensole che Darryl gli aveva fatto appendere qualche settimana prima. Sicuro, pensò, si era messo in testa di apportare qualche modifica per rendere il locale più appetibile, ma dubitava che dieci tavolini e un paio di mensole potessero bastare. E nemmeno una parete di murales, per quanto Lion e Mike potessero essere in gamba.
Si sprimacciò i vestiti, ricordandosi che Darryl era Darryl, e che come al solito doveva fare i compiti a casa per capire cosa gli frullasse in testa davvero.
In realtà, pensò poi, negli anni si era accorto di aver acquisito lui stesso quell’atteggiamento. Nel bene e nel male e con le dovute conseguenze quando poi doveva confrontarsi con le persone.
Alla fine spense le luci e si chiuse la porta alle spalle, rimandando il da farsi a un tempo imprecisato.
Al bancone del locale Jenna era indaffarata a servire dei clienti, ma incrociò il suo sguardo dalla vetrina e accennò a un saluto con la mano prima di decidersi a fare rientro a casa.
 
Da quando era rientrato a Mismar non era solo il riaffiorare dei ricordi a renderlo irrequieto e poco incline a dormire. Non che non lo fosse mai stato, ma il brusio e la vita frenetica della città che non si interrompevano neanche di notte si erano trasformate negli anni in una sorta di ninna nanna a cui alla fine si era abituato. Le sirene delle volanti, i camion, la musica dei locali messa a palla fino a notte inoltrata gli avevano sempre fatto compagnia durante le sue ore insonni, mentre adesso l’unico brusio a cui la sera si aggrappava era quello del frigo che a intervalli più o meno regolari dava segnali di vita. Una notte, nel dormiveglia, realizzò che quella era l’unica cosa rimasta tale e quale a quando era ragazzo, una sciocchezza che però sembrava nascondere un significato più profondo.
Mentre percorreva la strada di casa pensava a questo e al fatto che mai, neanche sotto tortura, avrebbe immaginato di ritrovarsi proprio lì dov’era con addosso diciotto anni in più. Si chiese poi che fine avesse fatto quello strano meccanismo di difesa che aveva messo in atto più o meno consapevolmente per non lasciarsi soffocare dalle emozioni. Da quando era tornato si era imposto di fare il duro, ma gli attacchi di panico erano ancora lì, così come l’insonnia e qualche briciolo di entusiasmo non ancora ben definito ma che emergeva in alcune occasioni.
In definitiva, le emozioni erano tutte lì e lui non era sicuro di come doverle affrontare, né se voleva realmente farlo.
Interruppe il flusso di pensieri solo per prendere le chiavi di casa, smanettando con la serratura della porta d’ingresso e registrando in ritardo uno lieve fruscio alle sue spalle.
«Amy ha accettato il mio invito» udì sussultando violentemente.
«Ma che cazzo!» imprecò «Lion!» esclamò riconoscendolo nella penombra, poggiato di schiena al muro quasi fosse lì per sorreggerlo.
«Che c’è? Ti sei spaventato?» gli chiese quello con aria divertita.
«Beh, sì!» ribadì seccato, raccogliendo le chiavi che aveva fatto cadere a terra.
«Scusa, credevo mi avessi visto.»
«No, non ti ho visto per niente!»
«Avresti dovuto controllare, o no?»
«Che cosa? Che un ragazzino mi facesse la posta davanti casa?»
«Avrei potuto essere un ladro, o magari un assassino…»
«Certo, e invece sei Lion, che è anche peggio.»
Il ragazzo ammutolì e incrociò le braccia sul petto, o almeno così parve ad Axel, che nella penombra ormai ci vedeva a metà.
«Non è molto carino quello che hai detto.»
Axel sbuffò. «Ti è tornata la parlantina, vedo.»
«Sono qui per avere un consiglio. Da uomo a uomo» proferì Lion, evidentemente con tutto il dramma di cui era capace.
«Un che?!»
«Non so cosa fare con Amy! Ho bisogno di aiuto, per favore!»
«Lion, non posso dirti io cosa devi fare, queste sono cose tue, io non…»
«Ovvio, sapevo che lo avresti detto. Senti me ne vado, tanto è inutile» sbottò alla fine il ragazzo, sbuffando e facendo per andarsene.
Axel rimase piantato sul posto, ancora frastornato ma un po’ dispiaciuto di aver reagito forse in maniera eccessiva. Attese qualche altro istante, poi lo richiamò.
«Aspetta» disse incerto ma sollevato nel vederlo fermarsi, quasi non aspettasse altro. «Dai, vieni dentro.»
«Guarda che non devi farmi un favore. Se ti do fastidio me ne vado» ripeté quello con tono sostenuto, ma tradendosi con un sorriso che cercò di nascondere in tutti i modi.
«Non mi dai fastidio. Ma cerca di non farmi morire di crepacuore la prossima volta.»
«Te l’ho già detto, tu ti prendi troppo sul serio.»
Non fecero in tempo a entrare che il telefono prese a vibrare nella tasca dei pantaloni col nome di Loraine che spiccava luminoso sul display. Axel lo ignorò e tornò a Lion, che naturalmente aveva già preso a curiosare per la stanza.
«Allora? Quando vi vedete?» gli chiese, sperando staccasse lo sguardo dalle foto che aveva lasciato sulla scrivania. Prima o poi avrebbe dovuto mettere via lo scatolone incriminato datogli da Darryl.
«Non lo so, forse domani pomeriggio.»
«Forse?»
«Sì, forse. Potrei cambiare idea all’ultimo secondo se non trovo una strategia entro stasera.»
Axel ridacchiò sotto ai baffi per poi ammutolirsi non appena realizzò di non essersela cavata poi tanto meglio quando aveva la sua età. E a pensarci nemmeno adesso, rifletté.
«E che strategia pensi possa funzionare, Riccardo Cuor di Leone?»
«Che ne so? Speravo me lo dicessi tu!»
Axel chiuse gli occhi, stropicciandosi un po’ le palpebre e ricordandosi che non ingurgitava niente da quel mattino, motivo per cui forse si sentiva un po’ spossato.
«Sei stanco? Guarda che me ne vado se non ne hai voglia.»
«Sì, sono stanco e no, non voglio che tu te ne vada» chiarì una volta per tutte. Realizzò con amarezza di non avere nulla di commestibile in casa, se non le patatine alla paprika che aveva offerto a Jenna un po’ troppo tempo prima e che di certo non poteva rifilare a Lion. Quindi si rimise addosso il giubbotto e diede a Lion il suo.
«Vestiti, andiamo.»
Il giovane lo guardò senza capire. «Dove?»
«A mangiare qualcosa.»
«Ma non eri stanco?»
«Ho cambiato idea.»
Trovarono posto da Andy, il che provocò ad Axel una scia di brividi lungo la schiena. Tuttavia, doveva scendere a patti col fatto che Mismar non era una metropoli e che era facile scontrarsi con luoghi che appartenevano al passato e che in qualche modo erano sopravvissuti per diciotto anni.
Mentre Lion addentava il suo cheeseburger non poté fare a meno di pensare a Jake, stupendosi nel non riconoscere in lui una così grande somiglianza come invece sosteneva Darryl, sebbene la parlantina a volte era la stessa. No, Lion sembrava camminare a passo molto incerto su una base che però era solida e tangibile. Jake, al contrario, gli aveva sempre dato l’idea di muoversi su una fune sottilissima e sul punto di spezzarsi da un momento all’altro.
«Lo so che non servono strategie» bofonchiò il ragazzo tra un boccone e l’altro.
«Concordo. Uno fa come può.»
«Tu come hai fatto con Jenna?»
Lion era un ragazzo in gamba, pensò Axel, ma in quanto a capacità di ficcare il naso nei fatti altrui aveva davvero un talento.
«È successo e basta» disse con un’alzata di spalle, non senza prima avergli lanciato un’occhiataccia. «Lei è sempre stata sicura di sé, sapeva quello che voleva.»
«Voleva te.»
Questa volta non rispose, concentrandosi invece sulle patatine fritte che gli avevano appena servito.
«Anche tu la volevi,» rifletté poi Lion «ma non ti sentivi all’altezza e così non ti sei mai fatto avanti. Vero?»
Axel deglutì a fatica, colpito da quell’analisi così lineare che però non riusciva evidentemente a fare anche con sé stesso. «Più o meno. Tu ti senti all’altezza?» chiese rimbalzando a lui la questione.
«Le ho chiesto di studiare insieme.»
«Allora è un punto di partenza.»
Lo vide ammutolire e finire in silenzio il suo panino. Axel lo imitò, pensando che forse non era la persona più adatta a dargli quel genere di consigli. Anche quando la relazione con Jenna era diventata più seria non era mai riuscito a sentirsi davvero all’altezza, vivendo all’ombra di Jake e dubitando costantemente del loro rapporto. Solo quando la situazione era precipitata si era infine reso conto di quale fosse la verità.
 
Quando uscirono dal locale erano quasi le undici e Axel decise di scortare Lion fino a casa, sebbene ciò volesse dire sorbirsi la sua parlantina almeno per un’altra mezz’ora.
«Come sei riuscito a diventare famoso?» gli chiese.
«Ti hanno mai detto che sei un impiccione?»
«Sì, un sacco di volte.»
«Buono a sapersi.»
«Quindi?»
Axel sbuffò infilandosi le mani in tasca quasi a peso morto.
«È successo e basta.»
«A te le cose “succedono e basta”?»
In effetti si accorse solo in quel momento di aver già usato quella risposta quella sera.
«No, di solito lo dico quando non voglio dare spiegazioni» ammise. Si pentì subito di aver usato quel tono, ma d’altra parte Lion andava a stuzzicare argomenti che ormai da tempo considerava tabù e non era semplice farglielo capire.
In ogni caso era davvero dispiaciuto di avergli risposto male, quindi si sforzò di dargli la risposta che cercava.
«Ho vinto un concorso al penultimo anno di accademia,» spiegò «la storia è piaciuta così tanto che decisero di fare più ristampe. Poi da cosa nasce cosa, ed eccomi qui.»
«A parlare di te stesso nella scuola dove hai studiato?»
«Così suona davvero male.»
«Allora è meglio dire che stai parlando di te stesso a un ragazzino impiccione?»
«Direi che è peggio.»
Lion sghignazzò e riuscì a rimanere in silenzio per oltre trenta secondi. Axel lo considerò un record.
«Non so se vorrei mai diventare famoso» confessò.
«È una cosa sopravvalutata. Piuttosto pensa se c’è qualcosa che vorresti fare.»
«È difficile capirlo. Vorrei che fosse facile come andare sullo skate.»
«Com’è nata la passione per lo skate?»
Lion si prese qualche secondo prima di rispondere, come se trovare la risposta a quella domanda così semplice fosse una questione di vitale importanza.
«È successo e basta» disse infine, e questa volta fu Axel ad ammutolire.
«Ho capito.»
Non se la sentì di aggiungere altro, un po’ perché forse non era il momento, un po’ perché senza accorgersene la mezz’ora era abbondantemente passata e la casa di Lion faceva capolino alla loro destra. Le finestre erano chiuse e si intravedeva solo una flebile luce oltre le persiane.
«Mamma starà già dormendo.»
«Allora fa’ piano» si raccomandò.
«Domani vieni al Lenox Blues?»
«È proprio necessario?» chiese con un accenno di sorriso.
«Non ci crede nessuno che te ne vuoi restare a casa. Comunque pensaci, così poi mi dici come ti sembra Amy.»
Axel sbuffò portando gli occhi al cielo e cercando di nascondere la curiosità che in fondo sapeva di provare.
«Buonanotte, impiccione» tagliò corto.
«Notte.»
 
Aspettò che scomparisse dietro la porta d’ingresso, dopodiché si incamminò verso il sottotetto con ritrovato buon umore. Una volta a casa il suo unico desiderio fu quello di buttarsi a letto esattamente com’era vestito, tuttavia si ricordò di quante chiamate – di Loraine - aveva ignorato nelle ultime due settimane, così si decise a prendere il telefono e a recuperare gli ultimi due messaggi audio che gli aveva mandato.
 
«Ciao Axel, è incredibile come fino a qualche mese fa il solo pensiero di volare a Mismar ti facesse inorridire e ora mi tocca chiamare il professor Layton per avere notizie sul prosieguo della tua esistenza. Ad ogni modo, vorrei farti notare che siamo ormai agli sgoccioli di questo convegno e che ormai è ora di pianificare gli impegni per quando farai ritorno a New York. Ho provato a chiamarti ma evidentemente nel buco nero non c’è molta linea. Fammi almeno la grazia di rispondere a questo messaggio. Passo e chiudo.»
Axel ascoltò il messaggio a più riprese, chiedendosi cosa mai avrebbe potuto o dovuto rispondere. Fu invaso da una sensazione spiacevole che associò alla stanchezza e allo stress che lo divorava ormai da anni, ignorando con risolutezza tutto ciò che quel messaggio aveva scatenato. Si impose la calma, così si limitò a inviare un cenno di ok a Lorraine per poi abbandonare il telefono tra i cuscini del divano.
Poi ci avrebbe pensato, ma non adesso.

 
 

________
 

 

NdA
Ciao!
Aggiornamento in notturna, visto che incredibilmente anche questo capitolo arriva puntuale :P
Dunque, questo capitolo non era del tutto programmato, o meglio, nella mia testa erano momenti brevi inseriti in un contesto ben più ampio. Solo che questi due si sono presi tutta la scena e io non me la sono sentita di mettermi in mezzo :P
Scherzi a parte, adoro scrivere di Lion e Axel. Qualche autrice che bazzica qui da tanto tempo probabilmente riconoscerà qualche riferimento sparso qua e là nel testo, dettagli e personaggi che porterò sempre nel cuore.
 
Io passo e chiudo come Lorraine e ne approfitto per farvi gli auguri per una buona Pasqua. Un abbraccio e come sempre grazie per il sostegno,
 
_Atlas_

   
 
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