CAPITOLO 11
SETE
Isola di
Santo Stefano
Agosto 1999
Era come un
sogno che
all’improvviso, del tutto imprevedibilmente, usciva dal mondo
dell’ineffabile e
si concretizzava in carne, sangue e ossa davanti ai suoi occhi.
Era lei.
Stefano
sentì un tuffo
al cuore che gli mozzò il fiato e per molto tempo rimase
immobile a fissarla,
quasi annaspando. Cercava di far coincidere il ricordo che aveva di lei
da
bambina con la ragazza che gli stava di fronte e lo guardava con gli
occhi
spalancati e l’inizio di un sorriso incredulo. Era sempre
stata piccola per la
sua età e anche adesso non era molto alta. Il fisico era
minuto, leggermente
arrotondato da curve morbide, i capelli castano dorato, gli occhi
nocciola, il
viso dai tratti da elfo, con le labbra dalla forma a cuore e il naso un
po’
all’insù con una piccola cicatrice frutto di una
caduta quando aveva due anni.
A lei quel dettaglio non era mai piaciuto. Stefano lo aveva sempre
amato,
quando erano bambini, perché gli sembrava una cosa soltanto
sua, che nessun
altro aveva. Non era molto diversa dalla ragazza che Stefano aveva
immaginato e
visto nei suoi sogni in tutti quegli anni di lontananza.
«Sei
tu» disse
finalmente Claudia, la voce arrochita dall’emozione. Il
sorriso sbocciò come se
non potesse più contenerlo e le illuminò il viso
con quella luce particolare
che aveva sempre avuto e che sembrava venirle da dentro. Lui la
ricambiò quasi
senza accorgersene, in automatico.
«Ciao»
mormorò.
Fece mezzo passo
avanti, pensando vagamente di abbracciarla, ma poi soffocò
l’impulso e si
trattenne, come già era accaduto con Enrico. Non era sicuro
di poterlo fare.
Claudia, però, se n’era accorta e dopo solo un
attimo di esitazione colmò la
distanza tra loro e lo strinse a sé. Stefano rimase
impietrito. Prese aria, poi
sollevò le braccia e mentre ricambiava la stretta
sentì che lei era reale, era
davvero lì con lui, così vicina che poteva
sentire il suo profumo. Una calda
sensazione di benessere lo invase. Chiuse gli occhi, le ciocche di
capelli di
lei che gli sfioravano il viso con dolcezza. Gli sembrava di essere
sospeso in
una bolla insieme a Claudia. Lei abbassò le braccia e si
tirò lentamente
indietro, lanciandogli un’occhiata imbarazzata ma felice.
Rimasero in silenzio
per un po’ a studiarsi a vicenda, curiosi.
«Quando
sei arrivato?»
chiese infine Claudia.
Stefano si
schiarì la
gola e cercò di rimettere in ordine le idee. «Poco
fa. Ho fatto tardi» spiegò,
restando sul vago. All’improvviso il piano che gli era venuto
in mente a Milano
e che lì per lì gli era sembrato molto
intelligente, farsi aspettare solo per
infastidire Edoardo, gli parve sciocco e infantile. Strinse le labbra
come per
trattenerlo giù, sebbene non avesse pensato davvero di
parlarne con Claudia.
Lei
annuì, un po’
incerta. «Cavoli, è assurdo… Da quanto
tempo non ci vediamo» esclamò di getto.
Strofinò la suola della scarpa per terra, come per scaricare
la tensione.
«Senti… Dove vai, adesso? Hai qualcosa da
fare?»
Stefano
esitò. Si
guardò intorno. Doveva cercare Enrico per parlare, glielo
aveva promesso. «Io…
dovrei vedere Enrico. Prima ci siamo incrociati, ma non abbiamo avuto
tempo
di…» Lasciò la frase in sospeso. Lei
sembrò comprendere e annuì. «Volevamo
parlare un po’.»
«Certo»
disse lei
subito. Ebbe un attimo di esitazione, poi riprese con entusiasmo.
«Che ne dici
se prima andassimo a tampasiari[1]
un po’? Solo io e te. Dai,
una mezz’oretta e torniamo. Lo troverai ancora qui.»
Stefano
sollevò le
sopracciglia. Prima che potesse decidere che cosa rispondere, sulla
porta della
cucina comparve Nino con un panino in mano. Li salutò con un
cenno.
«Ciao,
Claudia!»
Lei si
illuminò ancora
di più nel vederlo, come se fosse la risposta che non aveva
ancora ricevuto da
Stefano. «Ehi, Nino, ci presti la macchina? Facciamo un
giretto e te la
riportiamo. Mezz’ora al massimo» disse, impaziente.
La Ford rossa
polverosa
e ammaccata era ancora ferma dove l’aveva lasciata Nino,
sotto il sole che
batteva senza tregua. Lui aveva appena preso un grosso boccone e prima
di
riuscire a parlare ci mise un po’ di tempo. Claudia aspettava
continuando a
strofinare il piede sul vialetto. A Stefano faceva venire in mente un
uccellino
impaziente di prendere il volo. Finalmente Nino mandò
giù e fece uno dei suoi
sorrisi larghi e genuini.
«Certo.
Le chiavi sono
attaccate allo sportello.»
«Grazie!»
esclamò
Claudia, euforica.
Lanciò
uno sguardo
felice a Stefano, gli occhi che brillavano, e si avviò a
passo svelto verso la
macchina. Stefano alzò la mano per fare un cenno di saluto a
Nino e la seguì,
ma appena prima di aprire la portiera colse un movimento con la coda
dell’occhio,
sulla terrazza. Si voltò. Gli parve di vedere una figura
sulla portafinestra un
attimo prima che sparisse dietro le tende bianche e svolazzanti nella
brezza
bollente, sprofondando di nuovo nella penombra della casa. Si
accigliò ed ebbe
un attimo di incertezza. Poteva essere Enrico?
«Sali,
dai!»
La voce di
Claudia lo
riscosse. Era già al volante e si allungava per vedere cosa
stesse facendo lui.
Stefano sedette al posto del passeggero e chiuse lo sportello, ancora
pensieroso. Poi incrociò lo sguardo della ragazza e fu come
un colpo di spugna
che cancellava qualsiasi altra cosa. Era Claudia ed erano di nuovo
insieme. Era
meglio di qualsiasi cosa avesse mai sognato. Lei fece un sorriso enorme
mentre
metteva in moto e iniziava a fare manovra, agile e sicura.
«E
così volevi andare
via senza salutarmi» esclamò, con tono di finto
rimprovero.
Stefano
esitò. «Non
sapevo che fossi al baglio.»
Claudia guidava
veloce
e si stavano già allontanando dalla casa, che diventava
sempre più piccola alle
loro spalle. Stefano sentì che un peso gli scivolava via
dallo stomaco,
respirava meglio e non avvertiva più quel senso di nausea
che gli stringeva la
gola e gli faceva venire una mezza smorfia sul viso. Era stata
un’ottima idea
allontanarsi dal baglio. Stava per chiederle come mai si trovasse
lì, ma lei lo
prese in contropiede con un’altra domanda.
«Sempre
a Milano stai,
giusto?»
«Sì,
ma non abito più
con i miei zii. Divido casa con due amici
dell’università. Anche se
“casa” è
una parola grossa.» Claudia fece una risatina. «E
tu dove abiti?»
«A
Portosalvo. Anche io
sto con una mia amica, Rosa. Tu non l’hai mai incontrata, ci
siamo conosciute
dopo che…» Si interruppe di colpo, si morse il
labbro e per un attimo scese il
silenzio. Quando riprese a parlare aveva lo stesso tono tranquillo e
allegro di
prima. «In realtà più che
un’amica è una sorella. Studia per diventare
infermiera. Io al momento lavoro part-time in una libreria.»
Accennò un
sorriso. «Non te la puoi ricordare, ha aperto da qualche
anno, per i turisti.»
Fece una pausa mentre cambiava la marcia per affrontare una strada in
pendenza.
Il motore della Ford gemeva sommessamente e Stefano lanciò
uno sguardo
preoccupato al cruscotto, chiedendosi quante possibilità ci
fossero che li
lasciasse all’improvviso in mezzo alla strada. Claudia,
però, continuava a
guidare con sicurezza. «E vado
all’università. Faccio Storia
dell’arte.»
«A
Palermo?»
«Sì.
Non frequentante
sono, però. Prendere casa lì costava
troppo.» Stefano assentì, spostando lo
sguardo verso la campagna secca e ingiallita dal sole che sfilava
rapida fuori
dal finestrino completamente abbassato per far passare
l’aria. Ora
costeggiavano un campo di grano, le spighe alte e pronte per il
raccolto che
ondeggiavano pigre. Con un tuffo al cuore, gli parve di intuire dove lo
stesse
portando. Era uno di quei posti che non era mai riuscito a dimenticare
e non
sapeva decidere se fosse una cosa buona o no. Aprì appena la
bocca per dire
qualcosa, poi ci ripensò e tacque. Preferiva lasciar
decidere a lei. «Io invece
so già che cosa fai tu» continuò
Claudia con aria un po’ sorniona. «Lo sanno
tutti. Ottimi voti all’università, conquisterai il
mondo, eccetera.»
Lui
scoppiò a ridere,
scuotendo la testa. «Questo posto è davvero un
mortorio se io sono l’unica cosa
interessante di cui parlare. E comunque devo prima sopravvivere al
tirocinio
del terzo anno e poi potrò iniziare a pianificare la
conquista del mondo.»
Anche Claudia
ridacchiò. Aveva abbassato il finestrino e il vento le
scompigliava i capelli,
che le danzavano vivaci e dispettosi intorno alle guance.
Agitò una mano
impaziente per scostare una ciocca che le era finita sulla fronte,
quasi sugli
occhi, poi la rimise sul volante.
«Lo
sai che qui non
succede mai niente. Dove lo fai il tirocinio?»
«In
banca.»
«Mm…
In banca» ripeté
lei a bassa voce, quasi parlando tra sé e sé,
mentre ci pensava. Poi annuì.
«D’altronde eri fortissimo in matematica. Il
migliore di tutta la scuola. Gli
insegnanti volevano farti saltare un anno, ti ricordi?» Il
sorriso le si spense
piano sulle labbra e assunse un’espressione seria, quasi un
po’ solenne. «Ti ci
vedo.»
A Stefano quella
conversazione sembrava un déjà-vu.
Aveva parlato di quegli stessi
argomenti con Enrico poco prima e non doveva stupirlo, forse, che le
due
persone che lo avevano conosciuto meglio nella vita pensassero lo
stesso di
lui. Chissà che cosa si sarebbero detti, lui ed Enrico,
quando finalmente
fossero riusciti a parlare.
«Enrico
ha detto la
stessa cosa, quando ci siamo visti» mormorò di
getto, senza riflettere. Guardò
rapidamente verso Claudia, mentre un dubbio gli sorgeva nella mente:
lei sapeva
che Enrico era il suo fratellastro? Per un momento pensò di
chiederglielo e
basta. Non voleva mentirle o tacerle qualcosa, ma forse lanciare la
notizia
così, all’improvviso, sarebbe stato strano. Meglio
lasciare che venisse fuori
da sola. A un certo punto sarebbe successo per forza.
«Oh»
fu il commento di
Claudia. Non staccava gli occhi dalla strada e solo le sopracciglia un
po’
inarcate lasciavano intendere che qualcosa la turbava. «Non
torneremo tardi,
promesso. Così avrete tutto il tempo
di…» Esitò e la frase rimase in
sospeso, incompiuta.
Strinse con più forza le dita sul volante e si morse il
labbro inferiore. Una
lieve tensione si allungò tra loro per qualche istante.
«Non sei curioso di
sapere dove ti sto portando?» esclamò Claudia, con
voce più vivace. Stefano
ebbe la sensazione che volesse cambiare argomento con discrezione.
«Sarei
curioso se non
lo avessi già capito.» Si voltò appena
verso di lei e fece un sorriso
inclinato. «Ho riconosciuto la strada.»
Come se
l’avessero
evocata con le parole, la loro meta iniziò a emergere pian
piano, spiccando
sopra l’orizzonte. Stefano la osservò avvicinarsi
in silenzio, lacerato da un
groviglio di sentimenti contrastanti. Desiderava raggiungerla di corsa
e
restare lì per sempre, con Claudia, perché era
uno dei posti dove più era stato
felice in tutta la vita, e desiderava girarsi e scappare via, il
più lontano
possibile, perché faceva troppo male. Il fatto che Claudia
avesse pensato di
portarlo proprio lì lo riempiva di emozione.
Chissà che cosa stava provando
lei. La guardò e la sorprese a sorridere.
«Accidenti…
Volevo
lasciarti a bocca aperta» brontolò, ma si capiva
che era felice ugualmente.
Per un momento i
loro
sguardi si incrociarono, emozionati e carichi di aspettativa, poi
rimasero
entrambi in silenzio mentre Claudia parcheggiava la Ford in una
rientranza sul
ciglio della strada. Scesero e imboccarono un viottolo di campagna in
salita che
partiva accanto a un basso muretto scalcinato. Erano vicinissimi al
mare,
adesso. Mentre si inerpicavano tra i fiori di campo appassiti e
l’erba alta e
secca, affannati e accaldati, schivando buche e sassi, un venticello
caldo e
profumato di sale e di sole li accarezzava dolcemente, simile alla mano
morbida
e delicata di un’amante. Nessuno dei due disse una parola.
Stefano era preso
dai suoi pensieri e dal pensiero di lei e qualcosa gli diceva che per
Claudia
era lo stesso. Sembrava che avessero stabilito tacitamente che un
momento come
quello poteva esistere soltanto nel silenzio.
Giunsero sulla
cima
della scogliera e a Stefano parve di essere precipitato in uno dei suoi
sogni
misti a incubi che lo svegliavano di notte, di soprassalto, ansimante,
fradicio
di sudore e tormentato dal desiderio. Davanti a lui c’era la
torre saracena
della sua infanzia, dei giochi segreti, delle prove di coraggio, dei
racconti
di assalti e pirati, delle giornate d’estate trascorse in
bici con le altre due
parti di lui, Enrico e Claudia, che pedalavano al suo fianco o appena
dietro le
sue spalle: la pianta quadrata, la porta di legno marcio tenuta chiusa
per
miracolo dal vecchio lucchetto arrugginito, le pietre grigie sgretolate
che
giacevano nell’erba alta fino alle ginocchia, la ferita nella
parete mezza
franata, il tetto mezzo sfondato. Dietro la torre si intravedeva
l’ulivo
ritorto su cui si era arrampicato per l’ultima prova di
coraggio che aveva
fatto e a sinistra si stendeva il boschetto di ulivi, quieto e ombroso,
il
regno delle cicale che frinivano come impazzite. Stefano strinse i
pugni, travolto
da un’ondata di nostalgia così intensa che quasi
faticò a prendere aria.
«È
tutto uguale»
sussurrò, la voce turbata dall’emozione.
«Non è cambiato niente.»
In piedi accanto
a lui,
Claudia emise un respiro più forte del solito.
«Sì… e no.»
Era una risposta
curiosa. Stefano si voltò a guardarla e vide che sorrideva.
«È un miracolo che
non ci sia mai crollata addosso» aggiunse dopo un attimo di
silenzio, per
prendere tempo. Respirò profondamente, sentendo che
recuperava il controllo, e
ne fu sollevato. Quando ricominciò a parlare era di nuovo se
stesso. «Tua nonna
non aveva torto a proibirci di venire qui. Si arrabbiava tutti i
giorni… e noi
ci venivamo lo stesso» ammise, con un velo di senso di colpa
nella voce. Tacque
di nuovo, perché il pensiero di Amelia gli riempiva il
cuore, lasciandolo senza
fiato. Abbassò lo sguardo. «Mi è
dispiaciuto moltissimo quando ho saputo»
riprese, la voce bassa, ma ferma. Amelia era morta due anni prima e lui
lo
aveva saputo tramite sua zia e le sue vecchie amicizie
sull’isola. Era stata
una coltellata non meno profonda di quella che aveva provato alla morte
di sua
madre. «Avrei voluto fare qualcosa… chiamarti,
ma…»
Non
riuscì a finire la
frase e per un momento si disprezzò. Per quanto Claudia
sembrasse felice di
rivederlo, probabilmente il suo comportamento in quella circostanza
l’aveva
ferita. Anche se non si vedevano da anni, anche se lui aveva
un’altra vita lontano
da lì, Amelia era stata una delle colonne portanti della sua
infanzia e Claudia
forse si era aspettata qualcosa da lui, anche solo un patetico
telegramma.
Stefano, però, non ce l’aveva fatta. Era
l’unica occasione nella sua vita in
cui aveva pensato con assoluta convinzione di essere stato un codardo.
«Non
preoccuparti»
disse lei. Sembrava tranquilla. Stefano la fissò e si
accorse con stupore che
nei suoi occhi limpidi non c’era traccia di rancore, ma solo
una calma
malinconia. Claudia infilò le mani nelle tasche posteriori
della gonna di jeans
e cambiò posizione sulle gambe. «Voglio dire,
capisco perché non hai chiamato.»
Davvero? Stefano aggrottò la fronte. Neppure lui avrebbe
saputo spiegare perché
non avesse fatto nulla, anche se la tristezza gli aveva tolto il sonno
e la
fame per diversi giorni. Stava per chiederle cosa intendesse dire, ma
poi lei
continuò. «A me è dispiaciuto tanto per
tua madre. Mi trattava come una
figlia.» Stefano resse il suo sguardo per un po’,
poi annuì e tornò a guardare
verso la torre che si stagliava contro la luce del sole.
«Io… pensavo che ci
saremmo rivisti, al funerale… quando è
morta» aggiunse Claudia, il tono che si
faceva incerto. «Per questo non sono rimasta sorpresa quando
non hai chiamato
per la morte di mia nonna. Insomma, se non eri tornato per Maria,
allora… ho capito
che non saresti tornato mai. Che era finita.»
Le sue parole
caddero
come pietre nello stomaco di Stefano. Per qualche istante rimase in
silenzio ad
ascoltare il frinire impazzito delle cicale e lei aspettò,
immobile al suo
fianco, osservandolo con aria di gentile curiosità.
«Non
ha voluto» rispose
lui alla fine. Le parole gli parvero stranamente pesanti, impastate
nella sua
bocca. «Mia madre ha fatto promettere a sua sorella che non
sarei mai tornato
qui, per nessuna ragione. Nessuna. Anche quando si è
ammalata, ha continuato a
vietarglielo. Disse espressamente che lei… poteva benissimo
morire senza di me.
Mia zia non era d’accordo, ma ha rispettato il suo
desiderio.» Un sorriso amaro
e fugace apparve sulle sue labbra. «Mia madre è
sempre stata una persona che
sapeva imporsi, quando voleva.»
Tornò
il silenzio.
Claudia lo guardava, ma senza compassione, come lui aveva temuto. Aveva
negli
occhi l’espressione di chi sa cos’è la
perdita e sa che le parole e la
commiserazione non servono a nulla. Respirò profondamente,
gli afferrò la mano
all’improvviso e la strinse con dita fresche e forti. Stefano
sussultò, colto
di sorpresa, ma prima che potesse reagire in qualunque modo lei si era
già
staccata. Si allontanò e sedette sui gradini spezzati della
torre. Stefano
rimase paralizzato per un istante, poi la raggiunse a passi lenti e
sedette
accanto a lei.
«È
stata dura? Quando è
morta tua nonna, voglio dire.»
Claudia strinse
le
ginocchia al petto, circondandole con le braccia.
«Abbastanza, ma ero
preparata. A un certo punto ho capito che non poteva resistere ancora a
lungo.
Però ha continuato a lavorare fin quasi
all’ultimo, sai? Edoardo insisteva
perché si riposasse, le ha pagato le cure e le ha sempre
dato il suo stipendio
per intero fino all’ultimo centesimo, anche quando ormai lei
stava troppo male
per fare granché in casa. L’ho molto
apprezzato.» Stefano non fece commenti.
Sapeva che Amelia era sempre stata sacra per Edoardo. «Lei
però non ha voluto
fermarsi. Era fatta così.»
Stefano
chinò la testa,
sorridendo. «Ah, lo so. Ricordo benissimo come era
fatta.» Claudia non rispose
e, dopo aver aspettato per qualche secondo, lui sollevò gli
occhi, cercando
quelli di lei, e gli sembrò di leggervi quello che stava per
dire. Quel nocciola
aveva sempre avuto una strana qualità trasparente che lo
affascinava, come se
fosse possibile vedere attraverso il colore.
«Anche
io ricordo
benissimo il giorno in cui mi sono svegliata e tu non c’eri
più.»
La luce del sole
delineava in modo netto e preciso i contorni delle cose e mentre
reggeva lo
sguardo di Claudia lui si ritrovò a desiderare che tutto
potesse essere così,
chiaro, cristallino, senza ombre o spazi di incertezza, o almeno di
riuscire a
trasmetterle in silenzio quello che non riusciva a dire,
perché era troppo
difficile. Spostò lo sguardo verso il boschetto di ulivi.
«Enrico
come l’ha
presa?» indagò, con tono neutro.
Lei si
irrigidì e
Stefano intuì che quel nome, tirato fuori
all’improvviso, l’aveva colta alla
sprovvista. Claudia si schiarì la gola e cambiò
posizione. Allungò le gambe
tornite e abbronzate davanti a sé.
«Non
lo vidi per un
paio di giorni. Si chiuse nella sua stanza e non voleva vedere
né parlare con
nessuno. Non mangiava neanche, all’inizio. Amelia gli
preparava dei vassoi che
tornavano in cucina quasi intatti. Poi lei lo ha convinto a uscire.
Sapeva
sempre toccare le corde giuste per farlo uscire dal guscio, come diceva
lei.»
Stefano la sentì fare un piccolo sorriso. «Quando
si è deciso a uscire dalla
sua stanza, era diverso… più cupo, triste. Non lo
diceva apertamente, ma io
capivo che aspettava che tornassi, come i compagni di classe che si
trasferivano da qualche parte con la famiglia e poi tornavano per le
vacanze.
Ti mise da parte un regalo per Natale. Ti ricordi che Edoardo ogni
tanto gli
regalava qualcosa che era appartenuto a lui da bambino?»
Stefano
esitò, poi si
limitò a fare un cenno secco con il capo. Enrico gli aveva
mostrato tante volte
quei tesori con orgoglio, ma senza ostentazione. Li conservava in una
scatola
dentro l’armadio della sua stanza che tirava fuori e
maneggiava con cura.
Stefano osservava con curiosità quelle cose che venivano da
un tempo che gli
sembrava lontanissimo e gli aveva fatto un po’ male quando
aveva capito che
Enrico li avrebbe tenuti per sé, sebbene di solito
condividesse con lui tutto
quello che possedeva. Si era reso conto che erano speciali, ma non
aveva capito
quanto fino a che non aveva scoperto che Edoardo era anche suo padre.
Da allora
gli era capitato spesso di pensarci e di immaginare come sarebbe stato,
cosa
avrebbe provato se li avesse dati a lui. Quei piccoli oggetti vecchi e
malmessi
erano diventati uno dei tarli che più lo tormentavano.
«Scelse
una fionda e la
fece vedere solo a me» proseguì Claudia.
«Ma tu non tornasti, così la mise da
parte. Poi arrivò l’estate e a luglio ne scelse un
altro per il tuo compleanno,
un vecchio orologio da taschino. Era tutto ammaccato. Credo che
appartenesse al
padre o al nonno di Edoardo. E al Natale successivo una penna
stilografica. Ma
tu non tornavi. Dopo un po’ ha iniziato a capire e ha smesso
di aspettare.»
Stefano
sentì una
tristezza pesante come un grosso zaino da trekking che gli scivolava
sulle
spalle, gli si attaccava alla pelle, gli opprimeva il cuore e gli
tagliava il
petto. Chissà se Enrico aveva pensato di conservare per lui
i suoi tesori più
preziosi come l’ultimo e il più importante atto di
amicizia che potesse rivolgergli,
come ammenda per quello che gli aveva detto l’ultima volta
che si erano
parlati, nella cantina del baglio, o perché aveva iniziato a
intuire il vero
legame che li univa. Avrebbe voluto condividere questi pensieri con
Claudia ad
alta voce, perché era certo che lei avrebbe capito.
«Mi
dispiace. È mancato
molto anche a me.»
«Certo
che ti è
mancato» rispose lei con voce serena. Ci fu un istante di
silenzio, poi
aggiunse: «È tuo fratello.»
Per Stefano fu
un
calcio nello stomaco. Si girò di scatto verso di lei: lo
stava fissando con
aria di attesa, il corpo rigido. Tra gli occhi le era spuntata una ruga
sottile
che le veniva sempre quando era tesa e concentrata su qualcosa di
complicato,
ad esempio quando faceva i compiti di matematica, da bambina. Stefano
era a
corto di ossigeno e si sforzò di parlare, sebbene non avesse
la minima idea di
cosa dire.
«Lo
sai» mormorò con un
filo di voce. E per tutto il tempo da quando si erano ritrovati lui si
era
chiesto quale fosse il modo migliore per dirle una cosa così
enorme e
importante. Si sentì ridicolo.
«Da
anni.»
«Chi
te lo ha detto?»
«Amelia.»
Claudia fece
una piccola pausa, senza distogliere gli occhi da quelli di lui, come
se
temesse di perdere il contatto. «Aveva giurato a tua madre di
non parlarne mai,
soprattutto non con te, ma quando tu sei partito e lei è
morta… deve aver pensato…
che non avesse più tanta importanza. Un giorno mi ha
raccontato tutto. Era
passato più o meno un anno da quando eri andato via. Io
parlavo sempre di te,
la tormentavo con le mie domande. Non ne poteva
più.» Accennò un sorriso
nervoso e abbassò lo sguardo sulle sue scarpe da ginnastica
macchiate e
impolverate. «Mentre parlavamo, Enrico è entrato
nella stanza. Non ce ne siamo
accorte. Ha sentito tutto anche lui. Non è stato molto
sorpreso, però. Era come
se in qualche modo… se lo aspettasse.»
Stefano
unì le mani e
le strinse forte. Per un po’ non riuscì a dire
nulla e Claudia rispettò il suo
silenzio. Enrico sapeva. Sapeva tutto e forse lo odiava, eppure lo
aveva
guardato dritto negli occhi, poco prima, al baglio, e aveva accettato
di
parlare con lui. C’era ancora una speranza di rimettere
insieme i cocci o era
soltanto un’illusione? Che cosa doveva fare, adesso? Cosa
sarebbe successo tra
loro? Chiuse gli occhi, mentre gli risuonavano con forza nella testa le
parole
di sua madre quando gli aveva detto che sarebbe andato via,
l’ultima sera a
Santo Stefano.
Enrico…
quando saprà
tutto ti odierà anche lui.
«Non
è così che doveva
andare» disse all’improvviso, senza riflettere.
Claudia gli
lanciò
un’occhiata dubbiosa. «Che cosa?»
«Tutto
quanto. Dovevamo
stare insieme.»
«Vuoi
dire… noi tre?»
Stefano la
guardò
intensamente. «Sì. Noi tre e… io e
te.» Claudia si irrigidì visibilmente e
rimase in silenzio. Lui sapeva che avrebbe dovuto fermarsi, che stava
imboccando una direzione che non aveva previsto e su cui sentiva di non
avere
il controllo, ma non voleva. «In tutti questi anni non ho mai
smesso di
chiedermi come eri diventata e ora ho l’impressione che in
realtà non ci siamo
mai separati.»
Lei lo
fissò con aria
indecifrabile, poi si mosse, a disagio. «È solo
un’impressione, Stefano. Sono
passati tanti anni e sono successe tante cose…»
«Ci
racconteremo tutto.
Non siamo più costretti a separarci, non siamo
più bambini.»
Per la prima
volta da
quando aveva lasciato l’isola, undici anni prima,
pensò con decisione che sua
madre si fosse sbagliata quando gli aveva detto che non poteva restare
lì,
perché non avrebbe avuto mai niente. Forse c’era
ancora qualcosa per lui, sull’isola.
Forse poteva ritrovare Enrico e Claudia. Anche se il passato ormai era
perduto
e non era possibile tornare a quell’innocente spensieratezza,
forse avrebbero
potuto creare qualcosa di nuovo, di diverso. Meno perfetto, ma non meno
importante.
«Devo
dirti una cosa»
fece Claudia all’improvviso, rompendo le sue riflessioni. Lo
fissava con una
strana espressione, come se avesse in mano una bomba a orologeria che
non
vedeva l’ora di lanciare lontano, per liberarsene, ma al
tempo stesso temesse
di vederla esplodere. Per un attimo Stefano pensò che
volesse dirgli che non
aveva alcuna intenzione di recuperare il loro rapporto, che ormai era
passato
troppo tempo e lei era andata avanti. Lo stomaco gli
sprofondò sotto le scarpe.
Poi lei parlò di nuovo. «Sto con Enrico.»
Gli si
mozzò il fiato
per lo shock. Aprì la bocca, ma non riuscì a
emettere alcun suono. Si limitò a
fissarla. Aveva la sensazione che tutto gli girasse intorno molto
lentamente.
Passò un tempo indefinito, poi, quando la prima ondata di
sorpresa fu passata,
il primo pensiero coerente che il suo cervello riuscì a
balbettare fu che
avrebbe dovuto arrivarci da solo: l’aveva incontrata al
baglio e quale ragione
poteva avere di essere lì? Probabilmente doveva vedere
Enrico. E quando era
stato sul punto di chiederle cosa ci facesse al baglio, in macchina,
lei doveva
aver intuito la domanda che stava per arrivare e l’aveva
elusa senza dare
nell’occhio. Era stato così abbagliato da lei da
non rendersene conto.
Abbassò
gli occhi e
inspirò profondamente. Era una sorpresa, senza dubbio, ma in
fondo cosa c’era
di strano? Cosa aveva creduto? Che Enrico e Claudia avessero congelato
le loro
vite per aspettarlo, senza neanche sapere se sarebbe mai tornato? E
aspettare
che cosa, poi? Non si vedevano da secoli, erano cambiati, e loro due
avevano
continuato a crescere insieme, mentre lui imparava a vivere senza due
pezzi di
se stesso. Si costrinse a tirare fuori un sorriso e si
schiarì la voce.
«Da
quanto tempo?»
Claudia aveva la
fronte
contratta, divisa a metà tra l’ansia e la
curiosità di scoprire come avrebbe
reagito. «Cinque anni» rispose piano, quasi con
cautela, e Stefano avvertì uno
strattone allo stomaco.
«È
una cosa seria,
allora.»
«All’inizio
no… eravamo
ragazzini. Dopo che te ne sei andato, io e lui ci siamo avvicinati
sempre di
più. A un certo punto è stato quasi
inevitabile» spiegò lei, vagamente
accigliata.
«Sei
felice?» chiese
Stefano di botto. Si rese conto che gli sarebbe bastato soltanto
quello. Lei
parve sorpresa, poi alzò appena le spalle.
«Siamo
diversi, ma
stiamo bene insieme. Forse ci completiamo. Lui è uno
tranquillo, lo sai. Io…»
«No,
tu non sei mai
stata tranquilla» la interruppe Stefano con una risata
spontanea.
Anche Claudia
rise,
muovendo la testa, e il sole colpì i suoi capelli ramati,
accendendoli di
riflessi. Per un momento Stefano si incantò a osservarli.
«Per
niente! Ti ricordi
quella volta che io e te ci siamo messi a giocare a nascondino in casa
mentre
mia nonna lavava i pavimenti?»
«Cosa
assolutamente
proibita» aggiunse Stefano con tono eloquente.
Lei
annuì, senza
smettere di sorridere. «E per dei buoni motivi! Abbiamo
rovesciato il secchio
dell’acqua nella sala da pranzo, per colpa tua che mi correvi
dietro…»
«Eri tu
che mi
correvi dietro!»
«…
e la nonna è
inciampata nel secchio che rotolava per la stanza. Siamo scappati di
corsa,
mentre lei ci urlava dietro agitando le braccia»
continuò Claudia,
ridacchiando, due fossette profonde sulle guance che incorniciavano il
sorriso
aperto.
Stefano non
riusciva a
staccare gli occhi da lei, bevendo ogni singolo istante come un
assetato nel
deserto che trova una fonte d’acqua. «Qualcosa mi
dice che sei ancora una
peste, proprio come allora» disse con tono leggero, venato di
dolcezza.
Desiderava prolungare lo scherzo, restare lì, a ridere
insieme e a ricordare il
passato, per sempre.
Lei
annuì con esagerata
gravità. «Mi hai beccata» rispose,
divertita. Inclinò la testa verso di lui e
incrociò il suo sguardo e di colpo parve imbarazzata. Un
po’ dell’entusiasmo
scivolò via dal suo viso, mentre sollevava una mano per
infilarsi una ciocca di
capelli dietro l’orecchio. Stefano seguì il
movimento con lo sguardo,
osservando la pelle delicata del suo polso, e gli balenò
nella mente il
pensiero assurdo che avrebbe voluto baciarla.
«E sei
bella come lo
eri allora» mormorò, il fantasma
dell’ultima risata che ancora gli aleggiava
sulle labbra. Sapeva che non avrebbe dovuto dirlo, ma al tempo stesso
gli
sembrava così naturale, spontaneo. Qual era la parola che
aveva usato lei,
prima? Inevitabile.
Claudia
tornò seria
pian piano mentre si guardavano. Distolse lo sguardo, liberando quello
di lui,
e studiò le pieghe della gonna sulle ginocchia. Stefano
inspirò e si allontanò
appena da lei. Sentiva che il suo corpo lo spingeva verso quello di
Claudia,
come per ricongiungersi con il pezzo mancante che le aveva lasciato.
Gli sembrò
prudente mettere un po’ di spazio tra loro.
«Scusami»
disse, serio.
Quasi nello
stesso
momento, lei scosse precipitosamente la testa. Era arrossita.
«No, non fa
niente. È tutto un po’ streusu,[2]
vero?» Fece uscire una
risatina breve e nervosa, ma pesante.
Stefano
esitò. Seguì
con gli occhi il volo di un gabbiano che si abbassava girando intorno
alla cima
della torre, mentre lottava con se stesso per trovare le parole giuste.
«Io… ho
sempre sentito che prima o poi, in qualche modo, ci saremmo ritrovati.
E anche
se le cose sono diverse da… Anche se non mi
aspettavo…» Si interruppe, strinse
le labbra. «Sono felice» ammise alla fine, come
fosse una confessione
liberatoria. «Più felice adesso di quanto sia mai
stato negli ultimi undici
anni. Tu ed Enrico siete sempre stati tutto, per me. E ora…
ci sei tu e sei…
esattamente come ti immaginavo.»
Per qualche
secondo ci
fu silenzio, poi Claudia bisbigliò: «Anche tu sei
come ti ho sempre
immaginato.»
Stefano
sentì il
respiro di lei che gli sfiorava la guancia. Qualcosa lo spinse a
volgere gli
occhi verso di lei, come se un comando invisibile lo privasse della
forza di
volontà. Claudia lo fissava intensamente, lo sguardo carico
in ugual misura di
gioia, paura, aspettativa. Erano vicinissimi. Anche lei si era spostata
impercettibilmente verso di lui. Il tempo si fermò mentre si
guardavano negli
occhi, immobili, quasi senza respirare, nel silenzio e nella solitudine
di quel
posto che apparteneva soltanto a loro, di quel momento che era soltanto
loro.
Il viso di Claudia era sempre più vicino. Stefano riusciva a
distinguere i
tocchi di verde e oro che illuminavano il nocciola delle sue iridi e
non
riusciva a capire se era lei ad andare verso di lui o se era lui a
spostarsi
verso di lei o se si stavano muovendo insieme, senza rendersene conto.
Percepiva la realtà in modo strano, come se fosse
lontanissima da lui. Gli
sembrava di non essere più neanche lì, seduto sui
gradini di pietra della torre
saracena, ma allora dov’era? Fluttuava senza peso e
l’unica cosa che lo teneva
agganciato al mondo, che gli impediva di dissolversi e sparire, era lo
sguardo
di Claudia. I loro respiri si mescolavano. Stefano piegò la
testa, mise la mano
sul viso di lei, chiuse gli occhi, la baciò.
Dopo un istante
o forse
dopo un secolo, si staccarono appena, senza allontanarsi, il fiato
corto, le
guance arrossate, l’espressione turbata.
«Che
stiamo facendo?»
sussurrò Claudia con voce roca, come se avesse pianto.
Stefano sentiva
la
testa leggera e tutto gli girava intorno. La sensazione di andare alla
deriva,
di scivolare via, era sempre più intensa. Strinse le dita
sul viso di lei,
cercando un appiglio.
«Non
lo so. Forse… è
meglio se…»
Non aveva la
minima
idea di cosa sarebbe stato meglio, ma Claudia non lo lasciò
finire. «Sì» annuì,
una parola che era un soffio.
E poi si stavano
baciando di nuovo. Stefano non capì chi avesse preso
l’iniziativa. Non riusciva
a pensare o a ragionare. Riusciva solo a sentire il corpo di Claudia
che
fremeva, stretto contro il suo, le labbra di lei che divoravano le sue,
i
capelli di lei che gli finivano sul viso, negli occhi, dappertutto, il
suo
odore leggermente salato, il suo gemito nelle orecchie. Il tempo si
dilatò in
un momento infinito e ricominciò ad avere un senso solo
quando Claudia gli mise
all’improvviso le mani sul petto e lo spinse via.
«No,
basta. Basta»
ansimò, senza fiato.
Si guardarono,
stravolti. Lei aveva le guance arrossate, il respiro affannoso, le
labbra
gonfie, i capelli in disordine. Sul suo viso balenò un lampo
di qualcosa, forse
di panico, pensò confusamente Stefano. Prima che potesse
ragionare lucidamente
lei emise un verso soffocato e scattò in piedi, andando
verso il boschetto di
ulivi. Stefano si alzò e la seguì. Sotto gli
alberi era una bolla di ombra e di
fresco. Il sole penetrava soltanto a chiazze tra i rami frondosi.
Lì il frinire
delle cicale era così forte che quasi copriva il rumore del
mare, i loro
respiri corti e nervosi e lo scricchiolio delle foglie e dei rami
caduti sotto
i loro piedi. Sembrava un altro mondo. Stefano la afferrò
per un braccio e la
costrinse a girarsi, poi la tirò a sé con un
gesto brusco. Claudia lo lasciò
fare senza opporsi. La guardò: la sete che riempiva i suoi
occhi era il
riflesso della sua. La baciò di nuovo, mentre lei gli
afferrava il bordo della
t-shirt per sollevarla.
****
Era pomeriggio
inoltrato, ma il sole era ancora forte e luccicava imperterrito
attraverso le
fronde. L’afa sembrava salire direttamente dal terreno, senza
accennare a
diminuire. Sdraiato sulla schiena, Stefano fissava le macchie di luce
nel verde
degli alberi. Aveva un unico pensiero che gli martellava la mente.
Prendi sempre
quello
che non è tuo.
Gli sembrava di
poter
impazzire da un momento all’altro.
Non poteva
incontrare
Enrico, come gli aveva promesso. Non avrebbe potuto guardarlo negli
occhi. Non
dopo quello. Non dopo quel giorno, forse mai più in questa
vita. Lui ne sarebbe
rimasto molto deluso, lo sapeva. Lo conosceva troppo bene. A meno che
non fosse
totalmente cambiato, e non gli era sembrato così, non lo
avrebbe dato a vedere.
Avrebbe nascosto la ferita dentro di sé, nel profondo, ma
chi lo conosceva
davvero lo avrebbe capito. Stefano lo avrebbe capito. Gli era successo
un’infinità di volte, quando erano bambini:
Edoardo era spesso duro con Enrico
e lui si chiudeva in se stesso per ore, a volte per giorni, prima di
ritrovare
il sorriso.
Sdraiata accanto
a lui,
Claudia si mosse improvvisamente e si alzò con un movimento
nervoso.
«Dobbiamo
andare» disse
in tono secco, la voce roca. Cominciò a sistemarsi la gonna
di jeans,
spiegazzata e macchiata di terriccio, e ad abbottonarsi la camicetta
rossa. I
capelli le ricadevano ai lati del viso come una cortina, nascondendo la
sua
espressione.
Stefano si
tirò su a
sedere. Sì, dovevano andare via. Non c’era niente
da fare, niente da dire. Claudia
doveva tornare da Enrico ed era l’unica cosa che sembrava
avere un senso, in
quel momento. Tutto doveva rientrare nei ranghi, come prima di quel
pomeriggio
assurdo, come se lui non fosse mai tornato sull’isola. Non
era il suo posto.
Era giusto così. Si alzò, recuperò la
t-shirt che era finita sulle grosse
radici nodose di un albero lì accanto, la scosse per
renderla più presentabile
e se la infilò.
«Mi
accompagni al
porto, per favore?»
Claudia stava
lottando
con i bottoncini della camicia, le mani che le tremavano visibilmente.
Sollevò
la testa di scatto e gli piantò gli occhi addosso con una
domanda muta.
Appariva spaventata e Stefano la capiva, perché aveva un
po’ di paura anche
lui. E se avessero perso di nuovo il controllo? Non poteva succedere di
nuovo,
non doveva succedere di nuovo. Doveva andare via, subito. Stefano si
schiarì la
voce e si passò una mano tra i capelli in disordine,
sperando di darsi una
sistemata.
«Non
posso restare»
aggiunse. «Non posso vederlo. Non ce la faccio.»
Era un codardo,
come
sempre quando si trattava del passato, ma non poteva fare altrimenti.
Lei lo
fissò ancora per un po’, senza dire nulla,
mordendosi il labbro superiore con
aria indecisa. Per un attimo Stefano pensò che avrebbe
cercato di convincerlo a
incontrare comunque suo fratello, ma poi lei sembrò prendere
una decisione.
Inspirò e annuì.
Non scambiarono
neanche
una parola per tutto il viaggio in auto e quando Claudia si
fermò nel
parcheggio del porto lui si trattenne a stento dal tirare un respiro di
sollievo. La fuga era lì, a portata di mano, come sempre. La
sua migliore
amica, la sua eterna compagna. Il mare sembrava attenderlo, pronto a
mettersi
ancora una volta tra lui, l’isola e quell’errore
spaventoso che gli gelava il
sangue nelle vene. Eppure i ricordi dei momenti nel boschetto, stretto
a
Claudia, non smettevano di riempirgli la mente. Afferrò la
sua borsa, che
fortunatamente aveva lasciato nella macchina di Nino quando era
arrivato al
baglio. Poi si bloccò. Adesso cosa avrebbe mai potuto dirle?
«Non
è presto?» chiese
Claudia, battendolo sul tempo. Lo guardò. «Il tuo
traghetto è alle sette, no?»
«Cambio
il biglietto.
Prendo il primo che c’è.»
Lei lo
fissò in
silenzio per qualche secondo, poi tornò a guardare fuori dal
parabrezza. Aveva
gli occhi rossi e lucidi e il labbro inferiore le tremava. Le succedeva
sempre
quando stava per piangere, da bambina, ed era ancora così.
Stefano non ce
la
faceva più. Aprì la portiera bruscamente.
«Ciao, Claudia» disse in fretta,
allontanando con tutte le sue forze il pensiero che poteva essere
l’ultima
volta che la vedeva, e richiuse la portiera prima che lei potesse
rispondere.
Qualcosa gli diceva che non sarebbe arrivata nessuna risposta, neanche
se fosse
rimasto lì ad aspettare per sempre.
Riuscì
per un pelo a
prendere il primo traghetto in partenza. Fece tutto in fretta, a testa
bassa,
gli occhiali da sole ben calati sul viso, e solo quando si
ritrovò sul ponte
del traghetto che iniziava a muoversi lentamente si accorse che fino ad
allora
aveva trattenuto il fiato. Credeva che si sarebbe sentito meglio non
appena
avesse preso ad allontanarsi, ma un peso gli gravava lo stomaco. Aveva
la
nausea, si sentiva soffocare. La verità era che il mare non
era mai stato
davvero una barriera. Si portava tutto dentro, ogni volta.
Avrebbe
voluto girare
le spalle a Santo Stefano, a Claudia, Enrico, Edoardo, ma anche
stavolta, come
undici anni prima, ne fu incapace e rimase in piedi, le mani serrate
intorno al
parapetto di ferro arrugginito e scivoloso, a guardare
l’isola allontanarsi,
diventare sempre più piccola e sfocata, una sagoma incerta
nell’azzurro intenso
del cielo estivo. Infine sparì.