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Autore: Cathy Holland    02/04/2024    1 recensioni
Sicilia, 1988. Tre bambini, Stefano, Enrico e Claudia, giocano insieme nella campagna bruciata dal sole estivo. Sono amici per la pelle, ma non sanno che tra loro c'è un segreto che può dividerli per sempre.
Milano, 2015. Stefano ha cambiato vita completamente e crede di essere libero dal passato, fino a quando non riceve una telefonata che lo riporta indietro, dove tutto è iniziato. E se ciò che si è lasciato alle spalle distruggesse il suo presente?
[Un nuovo capitolo ogni martedì]
A causa di un problema tecnico, l'aggiornamento della storia è sospeso fino a martedì 21 maggio, poi riprenderà regolarmente.
Genere: Drammatico, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO 11
SETE

 

 
Isola di Santo Stefano
Agosto 1999
 

 

Era come un sogno che all’improvviso, del tutto imprevedibilmente, usciva dal mondo dell’ineffabile e si concretizzava in carne, sangue e ossa davanti ai suoi occhi.

Era lei.

Stefano sentì un tuffo al cuore che gli mozzò il fiato e per molto tempo rimase immobile a fissarla, quasi annaspando. Cercava di far coincidere il ricordo che aveva di lei da bambina con la ragazza che gli stava di fronte e lo guardava con gli occhi spalancati e l’inizio di un sorriso incredulo. Era sempre stata piccola per la sua età e anche adesso non era molto alta. Il fisico era minuto, leggermente arrotondato da curve morbide, i capelli castano dorato, gli occhi nocciola, il viso dai tratti da elfo, con le labbra dalla forma a cuore e il naso un po’ all’insù con una piccola cicatrice frutto di una caduta quando aveva due anni. A lei quel dettaglio non era mai piaciuto. Stefano lo aveva sempre amato, quando erano bambini, perché gli sembrava una cosa soltanto sua, che nessun altro aveva. Non era molto diversa dalla ragazza che Stefano aveva immaginato e visto nei suoi sogni in tutti quegli anni di lontananza.

«Sei tu» disse finalmente Claudia, la voce arrochita dall’emozione. Il sorriso sbocciò come se non potesse più contenerlo e le illuminò il viso con quella luce particolare che aveva sempre avuto e che sembrava venirle da dentro. Lui la ricambiò quasi senza accorgersene, in automatico.

«Ciao» mormorò.

Fece mezzo passo avanti, pensando vagamente di abbracciarla, ma poi soffocò l’impulso e si trattenne, come già era accaduto con Enrico. Non era sicuro di poterlo fare. Claudia, però, se n’era accorta e dopo solo un attimo di esitazione colmò la distanza tra loro e lo strinse a sé. Stefano rimase impietrito. Prese aria, poi sollevò le braccia e mentre ricambiava la stretta sentì che lei era reale, era davvero lì con lui, così vicina che poteva sentire il suo profumo. Una calda sensazione di benessere lo invase. Chiuse gli occhi, le ciocche di capelli di lei che gli sfioravano il viso con dolcezza. Gli sembrava di essere sospeso in una bolla insieme a Claudia. Lei abbassò le braccia e si tirò lentamente indietro, lanciandogli un’occhiata imbarazzata ma felice. Rimasero in silenzio per un po’ a studiarsi a vicenda, curiosi.

«Quando sei arrivato?» chiese infine Claudia.

Stefano si schiarì la gola e cercò di rimettere in ordine le idee. «Poco fa. Ho fatto tardi» spiegò, restando sul vago. All’improvviso il piano che gli era venuto in mente a Milano e che lì per lì gli era sembrato molto intelligente, farsi aspettare solo per infastidire Edoardo, gli parve sciocco e infantile. Strinse le labbra come per trattenerlo giù, sebbene non avesse pensato davvero di parlarne con Claudia.

Lei annuì, un po’ incerta. «Cavoli, è assurdo… Da quanto tempo non ci vediamo» esclamò di getto. Strofinò la suola della scarpa per terra, come per scaricare la tensione. «Senti… Dove vai, adesso? Hai qualcosa da fare?»

Stefano esitò. Si guardò intorno. Doveva cercare Enrico per parlare, glielo aveva promesso. «Io… dovrei vedere Enrico. Prima ci siamo incrociati, ma non abbiamo avuto tempo di…» Lasciò la frase in sospeso. Lei sembrò comprendere e annuì. «Volevamo parlare un po’.»

«Certo» disse lei subito. Ebbe un attimo di esitazione, poi riprese con entusiasmo. «Che ne dici se prima andassimo a tampasiari[1] un po’? Solo io e te. Dai, una mezz’oretta e torniamo. Lo troverai ancora qui.»

Stefano sollevò le sopracciglia. Prima che potesse decidere che cosa rispondere, sulla porta della cucina comparve Nino con un panino in mano. Li salutò con un cenno.

«Ciao, Claudia!»

Lei si illuminò ancora di più nel vederlo, come se fosse la risposta che non aveva ancora ricevuto da Stefano. «Ehi, Nino, ci presti la macchina? Facciamo un giretto e te la riportiamo. Mezz’ora al massimo» disse, impaziente.

La Ford rossa polverosa e ammaccata era ancora ferma dove l’aveva lasciata Nino, sotto il sole che batteva senza tregua. Lui aveva appena preso un grosso boccone e prima di riuscire a parlare ci mise un po’ di tempo. Claudia aspettava continuando a strofinare il piede sul vialetto. A Stefano faceva venire in mente un uccellino impaziente di prendere il volo. Finalmente Nino mandò giù e fece uno dei suoi sorrisi larghi e genuini.

«Certo. Le chiavi sono attaccate allo sportello.»

«Grazie!» esclamò Claudia, euforica.

Lanciò uno sguardo felice a Stefano, gli occhi che brillavano, e si avviò a passo svelto verso la macchina. Stefano alzò la mano per fare un cenno di saluto a Nino e la seguì, ma appena prima di aprire la portiera colse un movimento con la coda dell’occhio, sulla terrazza. Si voltò. Gli parve di vedere una figura sulla portafinestra un attimo prima che sparisse dietro le tende bianche e svolazzanti nella brezza bollente, sprofondando di nuovo nella penombra della casa. Si accigliò ed ebbe un attimo di incertezza. Poteva essere Enrico?

«Sali, dai!»

La voce di Claudia lo riscosse. Era già al volante e si allungava per vedere cosa stesse facendo lui. Stefano sedette al posto del passeggero e chiuse lo sportello, ancora pensieroso. Poi incrociò lo sguardo della ragazza e fu come un colpo di spugna che cancellava qualsiasi altra cosa. Era Claudia ed erano di nuovo insieme. Era meglio di qualsiasi cosa avesse mai sognato. Lei fece un sorriso enorme mentre metteva in moto e iniziava a fare manovra, agile e sicura.

«E così volevi andare via senza salutarmi» esclamò, con tono di finto rimprovero.

Stefano esitò. «Non sapevo che fossi al baglio.»

Claudia guidava veloce e si stavano già allontanando dalla casa, che diventava sempre più piccola alle loro spalle. Stefano sentì che un peso gli scivolava via dallo stomaco, respirava meglio e non avvertiva più quel senso di nausea che gli stringeva la gola e gli faceva venire una mezza smorfia sul viso. Era stata un’ottima idea allontanarsi dal baglio. Stava per chiederle come mai si trovasse lì, ma lei lo prese in contropiede con un’altra domanda.

«Sempre a Milano stai, giusto?»

«Sì, ma non abito più con i miei zii. Divido casa con due amici dell’università. Anche se “casa” è una parola grossa.» Claudia fece una risatina. «E tu dove abiti?»

«A Portosalvo. Anche io sto con una mia amica, Rosa. Tu non l’hai mai incontrata, ci siamo conosciute dopo che…» Si interruppe di colpo, si morse il labbro e per un attimo scese il silenzio. Quando riprese a parlare aveva lo stesso tono tranquillo e allegro di prima. «In realtà più che un’amica è una sorella. Studia per diventare infermiera. Io al momento lavoro part-time in una libreria.» Accennò un sorriso. «Non te la puoi ricordare, ha aperto da qualche anno, per i turisti.» Fece una pausa mentre cambiava la marcia per affrontare una strada in pendenza. Il motore della Ford gemeva sommessamente e Stefano lanciò uno sguardo preoccupato al cruscotto, chiedendosi quante possibilità ci fossero che li lasciasse all’improvviso in mezzo alla strada. Claudia, però, continuava a guidare con sicurezza. «E vado all’università. Faccio Storia dell’arte.»

«A Palermo?»

«Sì. Non frequentante sono, però. Prendere casa lì costava troppo.» Stefano assentì, spostando lo sguardo verso la campagna secca e ingiallita dal sole che sfilava rapida fuori dal finestrino completamente abbassato per far passare l’aria. Ora costeggiavano un campo di grano, le spighe alte e pronte per il raccolto che ondeggiavano pigre. Con un tuffo al cuore, gli parve di intuire dove lo stesse portando. Era uno di quei posti che non era mai riuscito a dimenticare e non sapeva decidere se fosse una cosa buona o no. Aprì appena la bocca per dire qualcosa, poi ci ripensò e tacque. Preferiva lasciar decidere a lei. «Io invece so già che cosa fai tu» continuò Claudia con aria un po’ sorniona. «Lo sanno tutti. Ottimi voti all’università, conquisterai il mondo, eccetera.»

Lui scoppiò a ridere, scuotendo la testa. «Questo posto è davvero un mortorio se io sono l’unica cosa interessante di cui parlare. E comunque devo prima sopravvivere al tirocinio del terzo anno e poi potrò iniziare a pianificare la conquista del mondo.»

Anche Claudia ridacchiò. Aveva abbassato il finestrino e il vento le scompigliava i capelli, che le danzavano vivaci e dispettosi intorno alle guance. Agitò una mano impaziente per scostare una ciocca che le era finita sulla fronte, quasi sugli occhi, poi la rimise sul volante.

«Lo sai che qui non succede mai niente. Dove lo fai il tirocinio?»

«In banca.»

«Mm… In banca» ripeté lei a bassa voce, quasi parlando tra sé e sé, mentre ci pensava. Poi annuì. «D’altronde eri fortissimo in matematica. Il migliore di tutta la scuola. Gli insegnanti volevano farti saltare un anno, ti ricordi?» Il sorriso le si spense piano sulle labbra e assunse un’espressione seria, quasi un po’ solenne. «Ti ci vedo.»

A Stefano quella conversazione sembrava un déjà-vu. Aveva parlato di quegli stessi argomenti con Enrico poco prima e non doveva stupirlo, forse, che le due persone che lo avevano conosciuto meglio nella vita pensassero lo stesso di lui. Chissà che cosa si sarebbero detti, lui ed Enrico, quando finalmente fossero riusciti a parlare.

«Enrico ha detto la stessa cosa, quando ci siamo visti» mormorò di getto, senza riflettere. Guardò rapidamente verso Claudia, mentre un dubbio gli sorgeva nella mente: lei sapeva che Enrico era il suo fratellastro? Per un momento pensò di chiederglielo e basta. Non voleva mentirle o tacerle qualcosa, ma forse lanciare la notizia così, all’improvviso, sarebbe stato strano. Meglio lasciare che venisse fuori da sola. A un certo punto sarebbe successo per forza.

«Oh» fu il commento di Claudia. Non staccava gli occhi dalla strada e solo le sopracciglia un po’ inarcate lasciavano intendere che qualcosa la turbava. «Non torneremo tardi, promesso. Così avrete tutto il tempo di…» Esitò e la frase rimase in sospeso, incompiuta. Strinse con più forza le dita sul volante e si morse il labbro inferiore. Una lieve tensione si allungò tra loro per qualche istante. «Non sei curioso di sapere dove ti sto portando?» esclamò Claudia, con voce più vivace. Stefano ebbe la sensazione che volesse cambiare argomento con discrezione.

«Sarei curioso se non lo avessi già capito.» Si voltò appena verso di lei e fece un sorriso inclinato. «Ho riconosciuto la strada.»

Come se l’avessero evocata con le parole, la loro meta iniziò a emergere pian piano, spiccando sopra l’orizzonte. Stefano la osservò avvicinarsi in silenzio, lacerato da un groviglio di sentimenti contrastanti. Desiderava raggiungerla di corsa e restare lì per sempre, con Claudia, perché era uno dei posti dove più era stato felice in tutta la vita, e desiderava girarsi e scappare via, il più lontano possibile, perché faceva troppo male. Il fatto che Claudia avesse pensato di portarlo proprio lì lo riempiva di emozione. Chissà che cosa stava provando lei. La guardò e la sorprese a sorridere.

«Accidenti… Volevo lasciarti a bocca aperta» brontolò, ma si capiva che era felice ugualmente.

Per un momento i loro sguardi si incrociarono, emozionati e carichi di aspettativa, poi rimasero entrambi in silenzio mentre Claudia parcheggiava la Ford in una rientranza sul ciglio della strada. Scesero e imboccarono un viottolo di campagna in salita che partiva accanto a un basso muretto scalcinato. Erano vicinissimi al mare, adesso. Mentre si inerpicavano tra i fiori di campo appassiti e l’erba alta e secca, affannati e accaldati, schivando buche e sassi, un venticello caldo e profumato di sale e di sole li accarezzava dolcemente, simile alla mano morbida e delicata di un’amante. Nessuno dei due disse una parola. Stefano era preso dai suoi pensieri e dal pensiero di lei e qualcosa gli diceva che per Claudia era lo stesso. Sembrava che avessero stabilito tacitamente che un momento come quello poteva esistere soltanto nel silenzio.

Giunsero sulla cima della scogliera e a Stefano parve di essere precipitato in uno dei suoi sogni misti a incubi che lo svegliavano di notte, di soprassalto, ansimante, fradicio di sudore e tormentato dal desiderio. Davanti a lui c’era la torre saracena della sua infanzia, dei giochi segreti, delle prove di coraggio, dei racconti di assalti e pirati, delle giornate d’estate trascorse in bici con le altre due parti di lui, Enrico e Claudia, che pedalavano al suo fianco o appena dietro le sue spalle: la pianta quadrata, la porta di legno marcio tenuta chiusa per miracolo dal vecchio lucchetto arrugginito, le pietre grigie sgretolate che giacevano nell’erba alta fino alle ginocchia, la ferita nella parete mezza franata, il tetto mezzo sfondato. Dietro la torre si intravedeva l’ulivo ritorto su cui si era arrampicato per l’ultima prova di coraggio che aveva fatto e a sinistra si stendeva il boschetto di ulivi, quieto e ombroso, il regno delle cicale che frinivano come impazzite. Stefano strinse i pugni, travolto da un’ondata di nostalgia così intensa che quasi faticò a prendere aria.

«È tutto uguale» sussurrò, la voce turbata dall’emozione. «Non è cambiato niente.»

In piedi accanto a lui, Claudia emise un respiro più forte del solito. «Sì… e no.»

Era una risposta curiosa. Stefano si voltò a guardarla e vide che sorrideva. «È un miracolo che non ci sia mai crollata addosso» aggiunse dopo un attimo di silenzio, per prendere tempo. Respirò profondamente, sentendo che recuperava il controllo, e ne fu sollevato. Quando ricominciò a parlare era di nuovo se stesso. «Tua nonna non aveva torto a proibirci di venire qui. Si arrabbiava tutti i giorni… e noi ci venivamo lo stesso» ammise, con un velo di senso di colpa nella voce. Tacque di nuovo, perché il pensiero di Amelia gli riempiva il cuore, lasciandolo senza fiato. Abbassò lo sguardo. «Mi è dispiaciuto moltissimo quando ho saputo» riprese, la voce bassa, ma ferma. Amelia era morta due anni prima e lui lo aveva saputo tramite sua zia e le sue vecchie amicizie sull’isola. Era stata una coltellata non meno profonda di quella che aveva provato alla morte di sua madre. «Avrei voluto fare qualcosa… chiamarti, ma…»

Non riuscì a finire la frase e per un momento si disprezzò. Per quanto Claudia sembrasse felice di rivederlo, probabilmente il suo comportamento in quella circostanza l’aveva ferita. Anche se non si vedevano da anni, anche se lui aveva un’altra vita lontano da lì, Amelia era stata una delle colonne portanti della sua infanzia e Claudia forse si era aspettata qualcosa da lui, anche solo un patetico telegramma. Stefano, però, non ce l’aveva fatta. Era l’unica occasione nella sua vita in cui aveva pensato con assoluta convinzione di essere stato un codardo.

«Non preoccuparti» disse lei. Sembrava tranquilla. Stefano la fissò e si accorse con stupore che nei suoi occhi limpidi non c’era traccia di rancore, ma solo una calma malinconia. Claudia infilò le mani nelle tasche posteriori della gonna di jeans e cambiò posizione sulle gambe. «Voglio dire, capisco perché non hai chiamato.» Davvero? Stefano aggrottò la fronte. Neppure lui avrebbe saputo spiegare perché non avesse fatto nulla, anche se la tristezza gli aveva tolto il sonno e la fame per diversi giorni. Stava per chiederle cosa intendesse dire, ma poi lei continuò. «A me è dispiaciuto tanto per tua madre. Mi trattava come una figlia.» Stefano resse il suo sguardo per un po’, poi annuì e tornò a guardare verso la torre che si stagliava contro la luce del sole. «Io… pensavo che ci saremmo rivisti, al funerale… quando è morta» aggiunse Claudia, il tono che si faceva incerto. «Per questo non sono rimasta sorpresa quando non hai chiamato per la morte di mia nonna. Insomma, se non eri tornato per Maria, allora… ho capito che non saresti tornato mai. Che era finita.»

Le sue parole caddero come pietre nello stomaco di Stefano. Per qualche istante rimase in silenzio ad ascoltare il frinire impazzito delle cicale e lei aspettò, immobile al suo fianco, osservandolo con aria di gentile curiosità.

«Non ha voluto» rispose lui alla fine. Le parole gli parvero stranamente pesanti, impastate nella sua bocca. «Mia madre ha fatto promettere a sua sorella che non sarei mai tornato qui, per nessuna ragione. Nessuna. Anche quando si è ammalata, ha continuato a vietarglielo. Disse espressamente che lei… poteva benissimo morire senza di me. Mia zia non era d’accordo, ma ha rispettato il suo desiderio.» Un sorriso amaro e fugace apparve sulle sue labbra. «Mia madre è sempre stata una persona che sapeva imporsi, quando voleva.»

Tornò il silenzio. Claudia lo guardava, ma senza compassione, come lui aveva temuto. Aveva negli occhi l’espressione di chi sa cos’è la perdita e sa che le parole e la commiserazione non servono a nulla. Respirò profondamente, gli afferrò la mano all’improvviso e la strinse con dita fresche e forti. Stefano sussultò, colto di sorpresa, ma prima che potesse reagire in qualunque modo lei si era già staccata. Si allontanò e sedette sui gradini spezzati della torre. Stefano rimase paralizzato per un istante, poi la raggiunse a passi lenti e sedette accanto a lei.

«È stata dura? Quando è morta tua nonna, voglio dire.»

Claudia strinse le ginocchia al petto, circondandole con le braccia. «Abbastanza, ma ero preparata. A un certo punto ho capito che non poteva resistere ancora a lungo. Però ha continuato a lavorare fin quasi all’ultimo, sai? Edoardo insisteva perché si riposasse, le ha pagato le cure e le ha sempre dato il suo stipendio per intero fino all’ultimo centesimo, anche quando ormai lei stava troppo male per fare granché in casa. L’ho molto apprezzato.» Stefano non fece commenti. Sapeva che Amelia era sempre stata sacra per Edoardo. «Lei però non ha voluto fermarsi. Era fatta così.»

Stefano chinò la testa, sorridendo. «Ah, lo so. Ricordo benissimo come era fatta.» Claudia non rispose e, dopo aver aspettato per qualche secondo, lui sollevò gli occhi, cercando quelli di lei, e gli sembrò di leggervi quello che stava per dire. Quel nocciola aveva sempre avuto una strana qualità trasparente che lo affascinava, come se fosse possibile vedere attraverso il colore.

«Anche io ricordo benissimo il giorno in cui mi sono svegliata e tu non c’eri più.»

La luce del sole delineava in modo netto e preciso i contorni delle cose e mentre reggeva lo sguardo di Claudia lui si ritrovò a desiderare che tutto potesse essere così, chiaro, cristallino, senza ombre o spazi di incertezza, o almeno di riuscire a trasmetterle in silenzio quello che non riusciva a dire, perché era troppo difficile. Spostò lo sguardo verso il boschetto di ulivi.

«Enrico come l’ha presa?» indagò, con tono neutro.

Lei si irrigidì e Stefano intuì che quel nome, tirato fuori all’improvviso, l’aveva colta alla sprovvista. Claudia si schiarì la gola e cambiò posizione. Allungò le gambe tornite e abbronzate davanti a sé.

«Non lo vidi per un paio di giorni. Si chiuse nella sua stanza e non voleva vedere né parlare con nessuno. Non mangiava neanche, all’inizio. Amelia gli preparava dei vassoi che tornavano in cucina quasi intatti. Poi lei lo ha convinto a uscire. Sapeva sempre toccare le corde giuste per farlo uscire dal guscio, come diceva lei.» Stefano la sentì fare un piccolo sorriso. «Quando si è deciso a uscire dalla sua stanza, era diverso… più cupo, triste. Non lo diceva apertamente, ma io capivo che aspettava che tornassi, come i compagni di classe che si trasferivano da qualche parte con la famiglia e poi tornavano per le vacanze. Ti mise da parte un regalo per Natale. Ti ricordi che Edoardo ogni tanto gli regalava qualcosa che era appartenuto a lui da bambino?»

Stefano esitò, poi si limitò a fare un cenno secco con il capo. Enrico gli aveva mostrato tante volte quei tesori con orgoglio, ma senza ostentazione. Li conservava in una scatola dentro l’armadio della sua stanza che tirava fuori e maneggiava con cura. Stefano osservava con curiosità quelle cose che venivano da un tempo che gli sembrava lontanissimo e gli aveva fatto un po’ male quando aveva capito che Enrico li avrebbe tenuti per sé, sebbene di solito condividesse con lui tutto quello che possedeva. Si era reso conto che erano speciali, ma non aveva capito quanto fino a che non aveva scoperto che Edoardo era anche suo padre. Da allora gli era capitato spesso di pensarci e di immaginare come sarebbe stato, cosa avrebbe provato se li avesse dati a lui. Quei piccoli oggetti vecchi e malmessi erano diventati uno dei tarli che più lo tormentavano.

«Scelse una fionda e la fece vedere solo a me» proseguì Claudia. «Ma tu non tornasti, così la mise da parte. Poi arrivò l’estate e a luglio ne scelse un altro per il tuo compleanno, un vecchio orologio da taschino. Era tutto ammaccato. Credo che appartenesse al padre o al nonno di Edoardo. E al Natale successivo una penna stilografica. Ma tu non tornavi. Dopo un po’ ha iniziato a capire e ha smesso di aspettare.»

Stefano sentì una tristezza pesante come un grosso zaino da trekking che gli scivolava sulle spalle, gli si attaccava alla pelle, gli opprimeva il cuore e gli tagliava il petto. Chissà se Enrico aveva pensato di conservare per lui i suoi tesori più preziosi come l’ultimo e il più importante atto di amicizia che potesse rivolgergli, come ammenda per quello che gli aveva detto l’ultima volta che si erano parlati, nella cantina del baglio, o perché aveva iniziato a intuire il vero legame che li univa. Avrebbe voluto condividere questi pensieri con Claudia ad alta voce, perché era certo che lei avrebbe capito.

«Mi dispiace. È mancato molto anche a me.»

«Certo che ti è mancato» rispose lei con voce serena. Ci fu un istante di silenzio, poi aggiunse: «È tuo fratello.»

Per Stefano fu un calcio nello stomaco. Si girò di scatto verso di lei: lo stava fissando con aria di attesa, il corpo rigido. Tra gli occhi le era spuntata una ruga sottile che le veniva sempre quando era tesa e concentrata su qualcosa di complicato, ad esempio quando faceva i compiti di matematica, da bambina. Stefano era a corto di ossigeno e si sforzò di parlare, sebbene non avesse la minima idea di cosa dire.

«Lo sai» mormorò con un filo di voce. E per tutto il tempo da quando si erano ritrovati lui si era chiesto quale fosse il modo migliore per dirle una cosa così enorme e importante. Si sentì ridicolo.

«Da anni.»

«Chi te lo ha detto?»

«Amelia.» Claudia fece una piccola pausa, senza distogliere gli occhi da quelli di lui, come se temesse di perdere il contatto. «Aveva giurato a tua madre di non parlarne mai, soprattutto non con te, ma quando tu sei partito e lei è morta… deve aver pensato… che non avesse più tanta importanza. Un giorno mi ha raccontato tutto. Era passato più o meno un anno da quando eri andato via. Io parlavo sempre di te, la tormentavo con le mie domande. Non ne poteva più.» Accennò un sorriso nervoso e abbassò lo sguardo sulle sue scarpe da ginnastica macchiate e impolverate. «Mentre parlavamo, Enrico è entrato nella stanza. Non ce ne siamo accorte. Ha sentito tutto anche lui. Non è stato molto sorpreso, però. Era come se in qualche modo… se lo aspettasse.»

Stefano unì le mani e le strinse forte. Per un po’ non riuscì a dire nulla e Claudia rispettò il suo silenzio. Enrico sapeva. Sapeva tutto e forse lo odiava, eppure lo aveva guardato dritto negli occhi, poco prima, al baglio, e aveva accettato di parlare con lui. C’era ancora una speranza di rimettere insieme i cocci o era soltanto un’illusione? Che cosa doveva fare, adesso? Cosa sarebbe successo tra loro? Chiuse gli occhi, mentre gli risuonavano con forza nella testa le parole di sua madre quando gli aveva detto che sarebbe andato via, l’ultima sera a Santo Stefano.

Enrico… quando saprà tutto ti odierà anche lui.

«Non è così che doveva andare» disse all’improvviso, senza riflettere.

Claudia gli lanciò un’occhiata dubbiosa. «Che cosa?»

«Tutto quanto. Dovevamo stare insieme.»

«Vuoi dire… noi tre?»

Stefano la guardò intensamente. «Sì. Noi tre e… io e te.» Claudia si irrigidì visibilmente e rimase in silenzio. Lui sapeva che avrebbe dovuto fermarsi, che stava imboccando una direzione che non aveva previsto e su cui sentiva di non avere il controllo, ma non voleva. «In tutti questi anni non ho mai smesso di chiedermi come eri diventata e ora ho l’impressione che in realtà non ci siamo mai separati.»

Lei lo fissò con aria indecifrabile, poi si mosse, a disagio. «È solo un’impressione, Stefano. Sono passati tanti anni e sono successe tante cose…»

«Ci racconteremo tutto. Non siamo più costretti a separarci, non siamo più bambini.»

Per la prima volta da quando aveva lasciato l’isola, undici anni prima, pensò con decisione che sua madre si fosse sbagliata quando gli aveva detto che non poteva restare lì, perché non avrebbe avuto mai niente. Forse c’era ancora qualcosa per lui, sull’isola. Forse poteva ritrovare Enrico e Claudia. Anche se il passato ormai era perduto e non era possibile tornare a quell’innocente spensieratezza, forse avrebbero potuto creare qualcosa di nuovo, di diverso. Meno perfetto, ma non meno importante.

«Devo dirti una cosa» fece Claudia all’improvviso, rompendo le sue riflessioni. Lo fissava con una strana espressione, come se avesse in mano una bomba a orologeria che non vedeva l’ora di lanciare lontano, per liberarsene, ma al tempo stesso temesse di vederla esplodere. Per un attimo Stefano pensò che volesse dirgli che non aveva alcuna intenzione di recuperare il loro rapporto, che ormai era passato troppo tempo e lei era andata avanti. Lo stomaco gli sprofondò sotto le scarpe. Poi lei parlò di nuovo. «Sto con Enrico.»

Gli si mozzò il fiato per lo shock. Aprì la bocca, ma non riuscì a emettere alcun suono. Si limitò a fissarla. Aveva la sensazione che tutto gli girasse intorno molto lentamente. Passò un tempo indefinito, poi, quando la prima ondata di sorpresa fu passata, il primo pensiero coerente che il suo cervello riuscì a balbettare fu che avrebbe dovuto arrivarci da solo: l’aveva incontrata al baglio e quale ragione poteva avere di essere lì? Probabilmente doveva vedere Enrico. E quando era stato sul punto di chiederle cosa ci facesse al baglio, in macchina, lei doveva aver intuito la domanda che stava per arrivare e l’aveva elusa senza dare nell’occhio. Era stato così abbagliato da lei da non rendersene conto.

Abbassò gli occhi e inspirò profondamente. Era una sorpresa, senza dubbio, ma in fondo cosa c’era di strano? Cosa aveva creduto? Che Enrico e Claudia avessero congelato le loro vite per aspettarlo, senza neanche sapere se sarebbe mai tornato? E aspettare che cosa, poi? Non si vedevano da secoli, erano cambiati, e loro due avevano continuato a crescere insieme, mentre lui imparava a vivere senza due pezzi di se stesso. Si costrinse a tirare fuori un sorriso e si schiarì la voce.

«Da quanto tempo?»

Claudia aveva la fronte contratta, divisa a metà tra l’ansia e la curiosità di scoprire come avrebbe reagito. «Cinque anni» rispose piano, quasi con cautela, e Stefano avvertì uno strattone allo stomaco.

«È una cosa seria, allora.»

«All’inizio no… eravamo ragazzini. Dopo che te ne sei andato, io e lui ci siamo avvicinati sempre di più. A un certo punto è stato quasi inevitabile» spiegò lei, vagamente accigliata.

«Sei felice?» chiese Stefano di botto. Si rese conto che gli sarebbe bastato soltanto quello. Lei parve sorpresa, poi alzò appena le spalle.

«Siamo diversi, ma stiamo bene insieme. Forse ci completiamo. Lui è uno tranquillo, lo sai. Io…»

«No, tu non sei mai stata tranquilla» la interruppe Stefano con una risata spontanea.

Anche Claudia rise, muovendo la testa, e il sole colpì i suoi capelli ramati, accendendoli di riflessi. Per un momento Stefano si incantò a osservarli.

«Per niente! Ti ricordi quella volta che io e te ci siamo messi a giocare a nascondino in casa mentre mia nonna lavava i pavimenti?»

«Cosa assolutamente proibita» aggiunse Stefano con tono eloquente.

Lei annuì, senza smettere di sorridere. «E per dei buoni motivi! Abbiamo rovesciato il secchio dell’acqua nella sala da pranzo, per colpa tua che mi correvi dietro…»

«Eri tu che mi correvi dietro!»

«… e la nonna è inciampata nel secchio che rotolava per la stanza. Siamo scappati di corsa, mentre lei ci urlava dietro agitando le braccia» continuò Claudia, ridacchiando, due fossette profonde sulle guance che incorniciavano il sorriso aperto.

Stefano non riusciva a staccare gli occhi da lei, bevendo ogni singolo istante come un assetato nel deserto che trova una fonte d’acqua. «Qualcosa mi dice che sei ancora una peste, proprio come allora» disse con tono leggero, venato di dolcezza. Desiderava prolungare lo scherzo, restare lì, a ridere insieme e a ricordare il passato, per sempre.

Lei annuì con esagerata gravità. «Mi hai beccata» rispose, divertita. Inclinò la testa verso di lui e incrociò il suo sguardo e di colpo parve imbarazzata. Un po’ dell’entusiasmo scivolò via dal suo viso, mentre sollevava una mano per infilarsi una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Stefano seguì il movimento con lo sguardo, osservando la pelle delicata del suo polso, e gli balenò nella mente il pensiero assurdo che avrebbe voluto baciarla.

«E sei bella come lo eri allora» mormorò, il fantasma dell’ultima risata che ancora gli aleggiava sulle labbra. Sapeva che non avrebbe dovuto dirlo, ma al tempo stesso gli sembrava così naturale, spontaneo. Qual era la parola che aveva usato lei, prima? Inevitabile.

Claudia tornò seria pian piano mentre si guardavano. Distolse lo sguardo, liberando quello di lui, e studiò le pieghe della gonna sulle ginocchia. Stefano inspirò e si allontanò appena da lei. Sentiva che il suo corpo lo spingeva verso quello di Claudia, come per ricongiungersi con il pezzo mancante che le aveva lasciato. Gli sembrò prudente mettere un po’ di spazio tra loro.

«Scusami» disse, serio.

Quasi nello stesso momento, lei scosse precipitosamente la testa. Era arrossita. «No, non fa niente. È tutto un po’ streusu,[2] vero?» Fece uscire una risatina breve e nervosa, ma pesante.

Stefano esitò. Seguì con gli occhi il volo di un gabbiano che si abbassava girando intorno alla cima della torre, mentre lottava con se stesso per trovare le parole giuste. «Io… ho sempre sentito che prima o poi, in qualche modo, ci saremmo ritrovati. E anche se le cose sono diverse da… Anche se non mi aspettavo…» Si interruppe, strinse le labbra. «Sono felice» ammise alla fine, come fosse una confessione liberatoria. «Più felice adesso di quanto sia mai stato negli ultimi undici anni. Tu ed Enrico siete sempre stati tutto, per me. E ora… ci sei tu e sei… esattamente come ti immaginavo.»

Per qualche secondo ci fu silenzio, poi Claudia bisbigliò: «Anche tu sei come ti ho sempre immaginato.»

Stefano sentì il respiro di lei che gli sfiorava la guancia. Qualcosa lo spinse a volgere gli occhi verso di lei, come se un comando invisibile lo privasse della forza di volontà. Claudia lo fissava intensamente, lo sguardo carico in ugual misura di gioia, paura, aspettativa. Erano vicinissimi. Anche lei si era spostata impercettibilmente verso di lui. Il tempo si fermò mentre si guardavano negli occhi, immobili, quasi senza respirare, nel silenzio e nella solitudine di quel posto che apparteneva soltanto a loro, di quel momento che era soltanto loro. Il viso di Claudia era sempre più vicino. Stefano riusciva a distinguere i tocchi di verde e oro che illuminavano il nocciola delle sue iridi e non riusciva a capire se era lei ad andare verso di lui o se era lui a spostarsi verso di lei o se si stavano muovendo insieme, senza rendersene conto. Percepiva la realtà in modo strano, come se fosse lontanissima da lui. Gli sembrava di non essere più neanche lì, seduto sui gradini di pietra della torre saracena, ma allora dov’era? Fluttuava senza peso e l’unica cosa che lo teneva agganciato al mondo, che gli impediva di dissolversi e sparire, era lo sguardo di Claudia. I loro respiri si mescolavano. Stefano piegò la testa, mise la mano sul viso di lei, chiuse gli occhi, la baciò.

Dopo un istante o forse dopo un secolo, si staccarono appena, senza allontanarsi, il fiato corto, le guance arrossate, l’espressione turbata.

«Che stiamo facendo?» sussurrò Claudia con voce roca, come se avesse pianto.

Stefano sentiva la testa leggera e tutto gli girava intorno. La sensazione di andare alla deriva, di scivolare via, era sempre più intensa. Strinse le dita sul viso di lei, cercando un appiglio.

«Non lo so. Forse… è meglio se…»

Non aveva la minima idea di cosa sarebbe stato meglio, ma Claudia non lo lasciò finire. «Sì» annuì, una parola che era un soffio.

E poi si stavano baciando di nuovo. Stefano non capì chi avesse preso l’iniziativa. Non riusciva a pensare o a ragionare. Riusciva solo a sentire il corpo di Claudia che fremeva, stretto contro il suo, le labbra di lei che divoravano le sue, i capelli di lei che gli finivano sul viso, negli occhi, dappertutto, il suo odore leggermente salato, il suo gemito nelle orecchie. Il tempo si dilatò in un momento infinito e ricominciò ad avere un senso solo quando Claudia gli mise all’improvviso le mani sul petto e lo spinse via.

«No, basta. Basta» ansimò, senza fiato.

Si guardarono, stravolti. Lei aveva le guance arrossate, il respiro affannoso, le labbra gonfie, i capelli in disordine. Sul suo viso balenò un lampo di qualcosa, forse di panico, pensò confusamente Stefano. Prima che potesse ragionare lucidamente lei emise un verso soffocato e scattò in piedi, andando verso il boschetto di ulivi. Stefano si alzò e la seguì. Sotto gli alberi era una bolla di ombra e di fresco. Il sole penetrava soltanto a chiazze tra i rami frondosi. Lì il frinire delle cicale era così forte che quasi copriva il rumore del mare, i loro respiri corti e nervosi e lo scricchiolio delle foglie e dei rami caduti sotto i loro piedi. Sembrava un altro mondo. Stefano la afferrò per un braccio e la costrinse a girarsi, poi la tirò a sé con un gesto brusco. Claudia lo lasciò fare senza opporsi. La guardò: la sete che riempiva i suoi occhi era il riflesso della sua. La baciò di nuovo, mentre lei gli afferrava il bordo della t-shirt per sollevarla.

 

 

****

 

 

Era pomeriggio inoltrato, ma il sole era ancora forte e luccicava imperterrito attraverso le fronde. L’afa sembrava salire direttamente dal terreno, senza accennare a diminuire. Sdraiato sulla schiena, Stefano fissava le macchie di luce nel verde degli alberi. Aveva un unico pensiero che gli martellava la mente.

Prendi sempre quello che non è tuo.

Gli sembrava di poter impazzire da un momento all’altro.

Non poteva incontrare Enrico, come gli aveva promesso. Non avrebbe potuto guardarlo negli occhi. Non dopo quello. Non dopo quel giorno, forse mai più in questa vita. Lui ne sarebbe rimasto molto deluso, lo sapeva. Lo conosceva troppo bene. A meno che non fosse totalmente cambiato, e non gli era sembrato così, non lo avrebbe dato a vedere. Avrebbe nascosto la ferita dentro di sé, nel profondo, ma chi lo conosceva davvero lo avrebbe capito. Stefano lo avrebbe capito. Gli era successo un’infinità di volte, quando erano bambini: Edoardo era spesso duro con Enrico e lui si chiudeva in se stesso per ore, a volte per giorni, prima di ritrovare il sorriso.

Sdraiata accanto a lui, Claudia si mosse improvvisamente e si alzò con un movimento nervoso.

«Dobbiamo andare» disse in tono secco, la voce roca. Cominciò a sistemarsi la gonna di jeans, spiegazzata e macchiata di terriccio, e ad abbottonarsi la camicetta rossa. I capelli le ricadevano ai lati del viso come una cortina, nascondendo la sua espressione.

Stefano si tirò su a sedere. Sì, dovevano andare via. Non c’era niente da fare, niente da dire. Claudia doveva tornare da Enrico ed era l’unica cosa che sembrava avere un senso, in quel momento. Tutto doveva rientrare nei ranghi, come prima di quel pomeriggio assurdo, come se lui non fosse mai tornato sull’isola. Non era il suo posto. Era giusto così. Si alzò, recuperò la t-shirt che era finita sulle grosse radici nodose di un albero lì accanto, la scosse per renderla più presentabile e se la infilò.

«Mi accompagni al porto, per favore?»

Claudia stava lottando con i bottoncini della camicia, le mani che le tremavano visibilmente. Sollevò la testa di scatto e gli piantò gli occhi addosso con una domanda muta. Appariva spaventata e Stefano la capiva, perché aveva un po’ di paura anche lui. E se avessero perso di nuovo il controllo? Non poteva succedere di nuovo, non doveva succedere di nuovo. Doveva andare via, subito. Stefano si schiarì la voce e si passò una mano tra i capelli in disordine, sperando di darsi una sistemata.

«Non posso restare» aggiunse. «Non posso vederlo. Non ce la faccio.»

Era un codardo, come sempre quando si trattava del passato, ma non poteva fare altrimenti. Lei lo fissò ancora per un po’, senza dire nulla, mordendosi il labbro superiore con aria indecisa. Per un attimo Stefano pensò che avrebbe cercato di convincerlo a incontrare comunque suo fratello, ma poi lei sembrò prendere una decisione. Inspirò e annuì.

Non scambiarono neanche una parola per tutto il viaggio in auto e quando Claudia si fermò nel parcheggio del porto lui si trattenne a stento dal tirare un respiro di sollievo. La fuga era lì, a portata di mano, come sempre. La sua migliore amica, la sua eterna compagna. Il mare sembrava attenderlo, pronto a mettersi ancora una volta tra lui, l’isola e quell’errore spaventoso che gli gelava il sangue nelle vene. Eppure i ricordi dei momenti nel boschetto, stretto a Claudia, non smettevano di riempirgli la mente. Afferrò la sua borsa, che fortunatamente aveva lasciato nella macchina di Nino quando era arrivato al baglio. Poi si bloccò. Adesso cosa avrebbe mai potuto dirle?

«Non è presto?» chiese Claudia, battendolo sul tempo. Lo guardò. «Il tuo traghetto è alle sette, no?»

«Cambio il biglietto. Prendo il primo che c’è.»

Lei lo fissò in silenzio per qualche secondo, poi tornò a guardare fuori dal parabrezza. Aveva gli occhi rossi e lucidi e il labbro inferiore le tremava. Le succedeva sempre quando stava per piangere, da bambina, ed era ancora così.

Stefano non ce la faceva più. Aprì la portiera bruscamente. «Ciao, Claudia» disse in fretta, allontanando con tutte le sue forze il pensiero che poteva essere l’ultima volta che la vedeva, e richiuse la portiera prima che lei potesse rispondere. Qualcosa gli diceva che non sarebbe arrivata nessuna risposta, neanche se fosse rimasto lì ad aspettare per sempre.

Riuscì per un pelo a prendere il primo traghetto in partenza. Fece tutto in fretta, a testa bassa, gli occhiali da sole ben calati sul viso, e solo quando si ritrovò sul ponte del traghetto che iniziava a muoversi lentamente si accorse che fino ad allora aveva trattenuto il fiato. Credeva che si sarebbe sentito meglio non appena avesse preso ad allontanarsi, ma un peso gli gravava lo stomaco. Aveva la nausea, si sentiva soffocare. La verità era che il mare non era mai stato davvero una barriera. Si portava tutto dentro, ogni volta.

Avrebbe voluto girare le spalle a Santo Stefano, a Claudia, Enrico, Edoardo, ma anche stavolta, come undici anni prima, ne fu incapace e rimase in piedi, le mani serrate intorno al parapetto di ferro arrugginito e scivoloso, a guardare l’isola allontanarsi, diventare sempre più piccola e sfocata, una sagoma incerta nell’azzurro intenso del cielo estivo. Infine sparì.

 










[1] Fare un giro.

[2] Strano.

   
 
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