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Autore: Afaneia    04/04/2024    1 recensioni
Link viene condannato ingiustamente per alto tradimento.
Impa e i Campioni escogitano l'unico, folle piano possibile per salvarlo.
Succedono cose.
La mattina del terzo giorno Zelda è stata confinata nei suoi appartamenti dalle guardie e a Link è stato ricordato senza mezzi termini che, rifiutando un ordine diretto del re, rischiava la corte marziale. Senza scomporsi, Link ha pranzato con calma, ha indossato la divisa della guardia reale, ha congedato il suo attendente e si è seduto nei suoi alloggi ad aspettare che venissero ad arrestarlo; ha scritto qualche lettera, nel frattempo, e ha annotato delle idee sulle mappe che campeggiano da mesi sul suo tavolo da lavoro. Quando i soldati mortificati si sono presentati con l’ordine d’arresto, ha chiesto solo la cortesia di non essere ammanettato, ha deposto la Spada sul tavolo e li ha seguiti senza opporre resistenza.
Revalink, ovviamente.
Genere: Angst, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Impa, Link, Nuovo Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Capitolo IX – Inverno
 
“Vicino a te, sono troppo felice per dormire.” L’ho potuto lasciare solo al mattino.
André Gide, I falsari.
 
Zelda raggiunge il borgo in un mattino gelido di pieno inverno in cui l’aria si condensa appena uscita dalle loro bocche; ad annunciare il suo arrivo è uno dei due soldati semplici posti di sentinella in direzione dello stallaggio, planando verso l’abitato per avvertirli. La principessa ha lasciato il grosso delle truppe che l’accompagnano dagli Yiga a valle, spiega: risale le colline solo con un manipolo di guardie, la sua consigliera Sheikah e il suo piccolo guardiano. Link si sforza di reprimere il familiare senso di colpa al pensiero di non essere con lei per proteggerla e di quanti pericoli la minacciano anche in questo momento: se potesse, sarebbe con lei per difenderla a costo della vita dai pericoli della valle. Se non c’è, è perché il re l’ha impedito.
Lui e Revali scendono loro incontro lungo la strada per accompagnarle verso il borgo. Zelda sembra riuscire a malapena a reggersi a cavallo: è pallida di stanchezza, con occhiaie pesanti sotto le palpebre come grandi segni di guerra violacei tracciati coi pollici: deve aver pregato per giorni nel tempio celato in fondo al canyon di Tanagar. È molto magra, più dell’ultima volta che si sono visti, in quel giorno, prima del processo, in cui è venuta a trovarlo per dirgli che forse sarebbe stato sufficiente che entrambi rifiutassero il matrimonio combinato per non farlo accadere: gli sembra passata una vita intera da quel giorno; eppure è stato poco più di due mesi fa. Indossa di nuovo i pesanti abiti bordati di pelliccia che Link ricorda di averle visto addosso durante la loro prima visita al Borgo, più di tre anni fa, quando sono venuti a chiedere a Revali di pilotare il colosso sacro, ma sembrano in qualche modo più larghi sul suo corpo estenuato dai digiuni e dalle continue sfiancanti veglie di preghiera. Link sente il cuore stringerglisi in petto a quella vista: non avrebbe voluto questo per lei. Ci sono stati momenti in cui avrebbe desiderato proteggerla da tutto, dalla Calamità, dai fallimenti, anche da suo padre, se possibile: ma nulla di tutto ciò è mai stato in suo potere: solo dai mostri e dai nemici, e ora neanche più da quelli. Impa cavalca qualche metro indietro, separandola di poco dai soldati: solleva un braccio per salutarli non appena li intravede. Link ricambia il saluto.
«Guarda un po’. Impa ti ha portato un regalo» commenta Revali a bassa voce. Link lo guarda senza capire: Revali si limita ad accennare col capo ai soldati che compongono la scorta. «Sbaglio o quello è il tuo cucciolo di attendente?»
Revali ha ragione: questo è senz’altro un regalo di Impa. C’è anche Lelek tra gli uomini che accompagnano la principessa. Il suo cuore ha un piccolo balzo di gioia: non pensava che l’avrebbe mai più rivisto.
Quando li raggiungono, Impa smonta agilmente da cavallo e aiuta Zelda a scendere: deve quasi sostenerla. I soldati si schierano tutti attorno a loro per proteggerle da eventuali attacchi: Lelek gli sorride raggiante al di sotto dell’elmo. Forse neanche lui pensava di rivederlo tanto presto.
Link s’inchina di fronte alla principessa, ma Zelda scuote la testa dolcemente. Ha gli occhi pieni di sollievo al vederlo. Si stacca da Impa per prendere le sue mani nelle proprie: persino la sua stretta è troppo esile e fiacca, più di quanto Link ricordi; le sue dita anchilosate sembrano chiudersi a malapena intorno alle sue.
«Ti hanno salvato» mormora. «Perdonami per non aver saputo fare niente per proteggerti.» Link vorrebbe interromperla, placare la sua angoscia; vorrebbe dirle che di quello che è successo lei non ha alcuna colpa e che è stata vittima della follia di suo padre e dei teologi tanto quanto lui, ma Zelda non gli lascia tempo di parlare, forse perché non vuole essere perdonata da lui perché ancora non ha perdonato se stessa. Si rivolge a Revali. «Dobbiamo tutto a te, Revali. Se non fosse stato per te…»
Revali reclina il capo sul petto. «Non c’è bisogno che mi ringraziate, Altezza. E poi, l’idea non è neppure stata mia: è stata Impa a proporlo. Il merito è suo.»
«Sei più modesto fuori dai campi di battaglia, Revali» commenta Impa sorridendo. «Avresti potuto dire di no, invece hai detto di sì: il merito non è affatto mio. E poi, dodici ore tra andata e ritorno… Mazli dice che è un record assoluto per i Rito.»
Questa volta Revali sorride. «Questo non lo nego. Avrei potuto fare di meglio se non avessi dovuto svegliare il mio capovillaggio, comunque. Non vede l’ora di rivedervi.»
«Allora è meglio non farlo aspettare» suggerisce Impa osservando Zelda con la coda dell’occhio. Cerca di non porre l’accento sulla sua stanchezza, ma Link, che è in grado ormai di valutare ogni suo pensiero al solo guardarla, come quando combattono, legge nei suoi occhi la sua preoccupazione. «E poi, non possiamo trattenerci a lungo. Al più tardi domani dobbiamo ripartire per raggiungere Urbosa.»
Link solleva Zelda prendendola per la vita per aiutarla a risalire in sella: tra le sue mani è esile come una bambina. La sua eccessiva magrezza lo preoccupa: spera di riuscire a chiederne a Impa, se riuscirà a separarla per un momento da lei. Impa avanza a piedi, al fianco di Revali, conducendo il cavallo di Zelda per le briglie. Link rimane volontariamente indietro per camminare al fianco di Lelek. Gli altri soldati si mantengono a distanza per lasciarli parlare, ma disponendosi attorno a loro trovano il tempo di mormorare: «Ben trovato, capitano. È bello rivedervi.» Link li ringrazia con gli occhi.
Lelek sembra avere da dirgli una tale quantità di cose da non poter aspettare.
«Vi ho portato degli altri abiti pesanti, capitano» si affretta a informarlo. «Quando siete partito non c’era spazio per tutto nei vostri bagagli, perciò… vi ho portato anche alcuni dei vostri libri di tattica militare. Lady Pruna inoltre mi ha chiesto di…»
«Lelek.» Lelek s’interrompe avvampando quando si accorge di aver parlato troppo. «Come stai?»
«Bene, capitano» risponde Lelek un po’ impacciato. «Ma avrei dovuto chiederlo io a voi. Sono stato tanto preoccupato per voi, sapete. Anche gli altri ragazzi.»
«Che cosa ti preoccupava esattamente?» chiede Link. La sua premura lo commuove oltre ogni immaginazione.
«Che non aveste tutto quello che vi occorre» risponde Lelek col tono di una cosa proprio ovvia che non vale neppure la pena stare a spiegare. «Perdonatemi, capitano… ma non siete mai stato troppo bravo a stirare. Senza offesa.»
«Cercherò di non prendermela» lo rassicura Link, che in questi mesi non è stato neppure mai sfiorato dal pensiero di un ferro da stiro. «Ma tu, piuttosto…. hai avuto problemi per avermi aiutato? Per la storia della firma, eccetera, sai.»
Lelek scuote la testa. «Pensavo che li avrei avuti, capitano, davvero… ma non mi hanno detto niente. Sono stato solo assegnato al servizio regolare, poiché non ero più al vostro. Non sono neppure stato interrogato.»
«Forse perché la tua testimonianza sul matrimonio è stata già abbastanza convincente» suggerisce Link sorridendo.
«A proposito di quella, capitano» inizia Lelek a bassa voce. I suoi occhi nervosi scrutano le spalle di Revali, come ad accertarsi che sia sufficientemente lontano da non poterlo sentire. «Avete avuto occasione di porgere le mie scuse al maestro Revali per aver detto… beh… lo sapete?»
A dire il vero, della questione delle scuse Link si era dimenticato, ma decide che una piccola bugia bianca non può fare troppo male in questa situazione. «Ah, non preoccuparti. Non ce l’ha con te. Piuttosto, Lelek, senti… riguardo quella volta a Hebra.»
«Tutto quello che volete, capitano» risponde Lelek, più per invitarlo a proseguire che perché ci sia bisogno di rassicurarlo.
In modo del tutto irrazionale, anche Link osserva la schiena di Revali per accertarsi della distanza tra di loro. «Tu per caso ricordi che io abbia chiamato Revali, quando ero ferito?»
Lelek lo fissa in silenzio per un momento. «Non vi ricordate neanche di questo, quindi?»
Link stringe le labbra e scuote la testa. Quindi Revali non stava esagerando come suo solito. «Puoi dirmi che cosa ho chiesto precisamente? Ho… bisogno di schiarirmi le idee.»
«Beh… non è che abbiate detto niente di che, in realtà.» Lelek sembra fare mente locale per un po’. «Credo sia stato dopo pochissimo che vi avevamo portato nella vostra tenda, dopo che il medico e la principessa Mipha avevano detto che non potevano fare altro e che potevamo solo stare a vedere cosa vi sarebbe successo. Ero rimasto solo con voi, perché il medico aveva suggerito di lasciarvi riposare, e voi d’un tratto avete aperto gli occhi e mi avete cercato. Beh, almeno ho pensato che cercaste me» specifica un po’ impacciato. «Eravate molto confuso, non sapevate dove vi trovaste. Ho cercato di rassicurarvi e di dirvi che eravamo entrambi al sicuro, ma avevate la febbre alta, per via dell’infezione, perciò non so quanto capiste. Mi avete fatto davvero spaventare, sapete, forse più che mentre aspettavamo i soccorsi. È stato allora che avete chiesto: Dov’è Revali?»
«Ho chiesto così, quindi» mormora Link, più per confermarlo a se stesso che come domanda. Lelek annuisce.
«Esatto. Me lo ricordo perché ho pensato che credeste di essere ancora sul campo di battaglia. Vi avevo ripetuto talmente tante volte che Revali era andato a chiamare la principessa Mipha e che lei sarebbe arrivata presto a salvarvi, che credevo che lo chiedeste per quello. Ho provato a rassicurarvi ancora, a ridirvi che eravamo al sicuro, ma voi mi avete preso la mano e avete chiesto se Revali era salvo. Allora ho pensato che per voi fosse importante, ho chiamato un altro compagno perché vi tenesse compagnia e sono corso a cercarlo. Tutto qui, capitano» conclude, quasi rammaricato di non potergli dire di più.
Per la verità il suo racconto è preciso e puntuale come una cronaca di guerra, a distanza di due anni da quel giorno: Link si prende qualche secondo per rifletterci un po’. «Non ti sei fatto nessuna idea del perché lo cercassi? Voglio dire, non ti è sembrato strano?»
«In realtà, capitano, non ci ho pensato molto» ammette Lelek quasi con imbarazzo, come se si trattasse di una sciocca mancanza da parte sua. «Ho solo pensato che potesse servire a farvi star tranquillo. Il medico aveva detto che non bisognava farvi agitare, e voi continuavate a cercarvi intorno senza trovarlo.»
Link annuisce pensierosamente. «E a lui non è sembrato strano, invece? Te lo ricordi?»
«Oh, a lui sì» risponde Lelek senza neppure pensarci. «Devo essergli sembrato un po’ trafelato, perché avevo paura di non trovarlo. Per fortuna non è stato difficile. All’inizio non ha capito subito chi ero, ma poi è stato gentile. Cioè, gentile rispetto al suo solito, ed è venuto subito con me.»
«Capisco» mormora Link. Non ha il coraggio di fare altre domande al riguardo, ma Lelek, per fortuna, continua a raccontare senza più bisogno d’essere interrogato.
«Era molto composto, sapete, come al solito, ma sembrava preoccupato. È rimasto con voi per un po’, considerando che i Rito erano in subbuglio perché era morto uno dei loro capitani, finché non vi siete riaddormentato, poi se n’è andato. Ha detto di farlo chiamare se foste peggiorato di nuovo, però.»
«E tu l’hai mandato a chiamare?»
«Oh, no. Quella notte avete cominciato a stabilizzarvi» risponde Lelek. «Ma è tornato comunque poco prima dell’alba, di questo sono sicuro. Ha chiesto se non avevo ancora riposato, dopo la battaglia, e io ho spiegato che dovevo badare a voi.» Lo dice come se fosse una cosa talmente ovvia, naturale, che non avesse neppure chiuso gli occhi dopo quell’interminabile battaglia, che Link si sente il cuore stretto d’angoscia a pensare alla sua fedeltà e alla sua devozione: ha la sensazione che anche se salvasse l’intera Hyrule, non potrebbe mai eguagliare il suo coraggio e la abnegazione. «Non mi ha neanche lasciato rispondere. Ha detto: Ragazzo, puzzi come un cavallo. Vai a lavarti e chiudi gli occhi un paio d’ore. Ti faccio chiamare se ce n’è bisogno.»
«Ha detto così?» protesta Link scandalizzato.
«Oh, non intendeva offendermi, capitano» si affretta a tranquillizzarlo Lelek. «Era proprio la verità, in effetti. Non avevo fatto in tempo neppure a lavarmi come si deve, ed ero stato per un bel po’ immerso in… beh, non aveva tutti i torti, in ogni caso.»
«Quindi mi hai lasciato solo con lui?»
«Non per tanto» dice Lelek in tono compunto, come se l’aver osato lavarsi e cambiarsi dopo minuti trascorsi con le mani nel suo sangue e nelle sue feci fosse una terribile colpa da parte sua. «Sono andato solo a lavarmi e a cambiarmi. Poi mi sono appisolato, è vero, ma la mia branda era nella vostra tenda, perciò sono comunque stato lì per tutto il tempo. Mi alzavo ogni ora per controllarvi, in ogni caso, come aveva ordinato il medico.»
«E Revali è stato lì per tutto il tempo?»
«Per qualche ora, direi. Era sempre lì quando mi svegliavo. È andato via quando è entrata la consigliera Impa a visitarvi. Non è mai rimasto quando c’erano lei o gli altri Campioni, anche i giorni successivi, ma c’è stato comunque più di loro, nel complesso. Questo è sicuro.»
Link assente distrattamente. Il racconto di Lelek torna perfettamente col carattere di Revali. «E per l’altra questione, invece?»
Lelek afferra al volo che cosa gli sta chiedendo, risparmiandogli l’umiliazione di dover esplicitare ad alta voce quale sia l’altra questione. «Quella è stata il terzo giorno, quando il medico ha detto che potevo provare a darvi cibi liquidi. È venuto a trovarvi mentre provavo a farvi sorbire un po’ di brodo di pesce. Non è mica facile imboccare qualcuno di incosciente, sapete?» Link fa del suo meglio per assumere un’espressione contrita che gli sembra sia quella che ci si aspetta da lui in questo frangente, anche se è più interessato a scoprire che cosa sia successo esattamente quel giorno con quel benedetto brodo. «Non credo fosse intenzionato a fermarsi molto, all’inizio, ma quando mi ha visto alle prese con voi ha detto: Non sei neanche capace di imboccare il tuo capitano? Lascia fare a me, o finirai per soffocarlo. Ma non vi stavo affatto soffocando, capitano, questo posso giurarvelo.»
«Sono alquanto sicuro che se c’è qualcuno che ha rischiato di soffocarmi quel giorno, non fossi tu» lo rassicura Link.
Lelek sembra apprezzare molto le sue parole. «Grazie, capitano, davvero. È che non eravate facile in quei giorni. Comunque, è stato gentile, a modo suo. Mi ha dato tempo per andare a mangiare e per andare in bagno, quantomeno. Ma non l’ho mai fatto rimanere quando voi dovevate fare i vostri bisogni, perché so che non avreste voluto» specifica. Link avrebbe preferito dimenticare di aver avuto bisogno del suo aiuto anche per espletare quelle specifiche funzioni corporee in quei giorni, ma il suo scrupoloso attendente, a quanto pare, non ha dimenticato neppure i particolari più umilianti e concreti della sua degenza. «L’ho sempre fatto uscire dalla tenda. Ma voi davvero non vi ricordate niente?»
«Niente» conferma Link scuotendo il capo. «Grazie, Lelek, davvero. Sei stato prezioso come sempre.»
«C’è qualcosa di particolare per cui avete bisogno di saperlo?» chiede Lelek con cautela. Non è nella posizione di fargli domande, ovviamente, ma Link sente che neppure volendo potrebbe mentirgli o minimizzare la portata di quelle domande, non foss’altro che per tutto il rispetto e la gratitudine che gli deve. Rallenta volutamente il passo per restare indietro rispetto al gruppo, e Lelek si adegua ai suoi movimenti quasi d’istinto, guardandolo con preoccupazione.
«Non è nulla di grave, Lelek, davvero. È solo che le cose con Revali stanno diventando un po’… inaspettate.»
«Non vi sta trattando male, vero, capitano?»
Il concetto di trattare male, quando si vive con qualcuno come Revali, deve necessariamente tingersi di varie sfumature; ma Link decide che la risposta più adeguata a questa domanda è no. Prova un imbarazzo indicibile, perché mai prima d’ora ha parlato di qualcosa del genere con qualcuno, tranne Kagan che però gli sembra non contare, e meno che mai avrebbe pensato di parlarne con un suo subordinato; ma Lelek non è più il suo attendente, adesso, e Link sente di dovergli la verità.
«È che credo che ci stiamo innamorando» dice tutto d’un fiato.
Lelek lo osserva pazientemente come se si attendesse da lui una rivelazione. A un certo punto, però, sembra comprendere che la rivelazione era quella.
«Ah!» dice soltanto, e Link l’osserva esterrefatto perché non gli sembra affatto questa la risposta da dare a una notizia del genere. Lelek si sente in dovere di specificare. «Un po’ me l’aspettavo, capitano. Se posso dirlo.»
Link, al contrario, si aspettava così poco questa risposta che si ferma bruscamente sulla strada, là dove si trova, ed esclama a mezza voce: «Che cosa?»
«Beh» risponde Lelek. «Non vedo molti altri motivi per cui doveste farmi tutte queste domande. E non vedevo neppure alcun motivo per cui il maestro Revali dovesse star sveglio di notte a imboccarvi, a dire il vero. Mi era sempre sembrato un po’ strano. Anche quando è venuto a cercarmi quella notte, per la faccenda del certificato…»
«E… e non hai mai detto niente?» protesta Link. Sa di essere irragionevole e sciocco a dir così, ma la sorpresa è tale che non può non rovesciarla su di lui.
«Ma, capitano» obietta Lelek. «Sarebbe stato molto insubordinato e irrispettoso da parte mia far illazioni sulla vostra vita privata, non pensate?»
Link deve riconoscere a malincuore che Lelek si sta dimostrando molto più ragionevole e razionale di lui in questa circostanza. Riprende a camminare lentamente osservando Revali dalla prudente distanza che li separa.
«È la prima volta che lo dico ad alta voce.»
«Grazie di averlo detto a me, capitano» mormora Lelek. «Lo considero un grande onore da parte vostra. Davvero.»
«Te l’ho detto» risponde Link passandogli un braccio intorno alle spalle. «Non sono più il tuo capitano, adesso. Ora puoi dirmi quello che vuoi.»
Lelek sembra dover racimolare un bel po’ di coraggio per dirgli quello che deve. «Allora, se posso, capitano, vorrei dirvi che sono molto contento per voi. Penso che vi meritiate un po’ di felicità dopo quello che vi hanno fatto.»
La semplicità della visione di Lelek gli stringe un nodo alla gola doloroso come un cappio. Link non dice altro. Si accontenta di camminare al suo fianco nell’aria gelida.
 
Data la stagione ormai alta, era troppo freddo per organizzare un banchetto per ricevere la principessa Zelda. Kagan ha deciso perciò di riceverla semplicemente in casa sua, nel calore del suo focolare; il che, visto il pallore di Zelda, forse è stato comunque meglio. L’accoglie con semplicità offrendole tè caldo e dolci, e la fa accomodare vicino al fuoco perché si scaldi: Kagan osserva il suo pallore con preoccupazione senza dire niente.
Per la prima parte dell’incontro, Zelda si limita a ringraziare il capovillaggio di aver aiutato Link e di averlo accolto prestandosi al loro gioco: Kagan annuisce gravemente.
«Sarei un bugiardo se dicessi di averlo fatto per voi o per la Corona, principessa» risponde. «Non posso accettare un ringraziamento che non merito. Il guerriero che più di tutti difende la mia gente è venuto a chiedermi di salvare qualcuno a cui teneva, e io ho soltanto detto di sì. Ammetto di non aver pensato affatto ai rapporti con la Corona, in quel momento. Se Revali mi avesse chiesto di amputarmi un’ala, l’avrei fatto senza pensare, perché mi fido del suo giudizio come del mio.»
Link non ha mai sentito Kagan parlare così di Revali: tutti i suoi commenti su di lui sono sempre stati improntati a una leggera ironia. Ma, dopotutto, c’è il Revali altezzoso e pomposo, del tutto incapace di comunicare o di manifestare i suoi sentimenti, che è cresciuto con lui, e c’è l’orgoglio dei Rito e il Campione dell’aria, che Kagan stima incondizionatamente per il suo valore e per il suo coraggio; e forse è quasi una coincidenza che entrambi coincidano con la stessa persona.
Zelda accoglie le sue parole chinando gli occhi. «È anche per questo che siamo venute qui oggi, capo Kagan. Il ritorno della Calamità si sta avvicinando sempre di più, e sappiamo che i vostri rapporti con la Corona hanno rischiato di incrinarsi dopo questo evento… ma mai come in questo momento è stato importante mettere da parte le nostre divergenze. Pensate che potrete ancora sostenerci nella guerra che verrà?»
«Noi faremo quello che bisogna fare per difendere le nostre terre e Hyrule come abbiamo promesso tempo fa» risponde Kagan con calma. «La minaccia ci riguarda tutti. Resta da vedere se vostro padre farà lo stesso.»
«Avete la mia parola che lo farà» risponde Zelda a bassa voce. «Revali, è anche per te che siamo venute oggi. Sei ancora disposto a pilotare Vah Medoh?»
Revali è in piedi alle spalle di Kagan, colle ali incrociate in petto, marziale e impassibile come al solito. Reclina il capo per un momento mentre riflette sulla risposta da dare.
«Io devo difendere la mia gente» risponde infine. «E per difenderla farò tutto quello che è necessario e darò anche la mia vita, se serve. Ma fin dal primo momento la strategia dei colossi sacri prevedeva di dare supporto a Link nella sua lotta contro la Calamità. Se non sbaglio, ora che è stato congedato manca un tassello piuttosto importante in questo piano.»
Impa sfiora il dorso della mano di Zelda per chiederle il permesso di parlare in sua vece da questo momento in poi: Zelda tace quasi con gratitudine. Ha a malapena forze per parlare.
«Non dubitavo che avresti sollevato questo argomento, Revali. È soprattutto per questo che era importante che venissimo qui oggi. Ci sono novità riguardo al processo.»
Link s’accorge d’essersi proteso impercettibilmente in avanti a queste parole: nel biglietto di Mazli non c’era alcun riferimento a novità di nessun genere. Se è cambiato qualcosa, dunque, dev’essere accaduto di recente, oppure non essere ufficiale. Gli occhi di Impa cercano i suoi.
«Link, non voglio influenzare la tua decisione, perciò cercherò di dirtelo nel modo più neutro possibile. I generali stanno rivedendo il processo. Tu non sei condannabile in alcun modo, ma se le accuse fossero semplicemente lasciate cadere, sarebbe come dire che la Corona ha commesso un errore, e il re non intende lasciarlo accadere per non compromettere la sua autorità. Quello che è disposto a fare per ripristinarti al tuo posto e al tuo grado è concederti la grazia.»
La sua prima sensazione è di sollievo, come se qualcosa fosse finito, finalmente, e fosse tornata la pace; ma dura solo l’istante necessario alla sua mente per elaborare tutti i significati di quella parola. Non ha alcun senso: non riesce a capire. Per poter ricevere la grazia, deve essere colpevole: ma hanno fatto tutto questo proprio per dimostrare che lui non era colpevole di niente. Sente Revali irrigidirsi al suo fianco e sollevare il capo di scatto.
Per sua fortuna, Kagan trova le parole molto più rapidamente di lui.
«Da quando in qua la Corona ha il potere di graziare gli innocenti?» La sua voce s’è fatta appena più fredda rispetto a prima.
Zelda riprende la parola. La sua voce è esile come fumo. «Non ce l’ha, capo Kagan, ovviamente. Ma la situazione è questa, e non sarebbe stato corretto da parte nostra tenerla nascosta a Link. Se in questo momento volesse tornare, il modo ci sarebbe. Mio padre concederebbe la grazia e tutto si risolverebbe.»
«Graziato e vivo, ma colpevole, quindi» dice Revali ad alta voce. «È veramente questo che offre il re?»
«Sì. È questo» risponde Impa con calma. «L’alternativa è proseguire il congedo forzato a tempo indeterminato, perché il re ha messo in chiaro che non intende permettergli di tornare ad altre condizioni che queste. Mi dispiace, Link, ma dovevamo darti la possibilità di scegliere. Non potevamo semplicemente tenertelo nascosto, indipendentemente da ciò che pensiamo noi. La scelta è tua.»
«È giusto, consigliera» riprende Kagan. «Ma vorrei chiarire anche qualcos’altro.» Si rivolge direttamente verso di lui. «Link, col matrimonio sei entrato a far parte del mio popolo a tutti gli effetti. Sei libero di scegliere tutto quello che desideri, ma voglio che tu sia consapevole che qualunque cosa accada, finché vivrai sarai protetto dalle nostre leggi. La legge della Corona qui non ha alcun potere, poiché tu non hai commesso alcun reato. Noi Rito ti sosterremo sempre e ti proteggeremo anche qualora il re dovesse accampare diritti su di te. Ti prego di tenerlo a mente.»
«Grazie, Kagan» mormora Link; ma non lo sta davvero ascoltando, in realtà. Sta guardando Zelda. Lei ha accettato umiliazioni e rinunce molto più grandi della sua, quotidiane, irripetibili, da parte dei teologi, dei nobili, di suo padre stesso; eppure non ha ceduto mai, non è scappata mai, anche quando avrebbe potuto farlo. Ha cercato sempre nuovi modi di servire Hyrule, per supplire proprio là dove i suoi poteri non sono in grado di agire; e ora è venuta a proporgli la salvezza. I suoi occhi sono divenuti enormi nel suo volto smagrito, le sue labbra sono più esangui di quanto Link le abbia viste mai, eppure trova egualmente, dentro di sé, forza a sufficienza da sorridergli. Vorrebbe chiederle che cosa vuole che faccia: vorrebbe una risposta dalla sua saggezza, dal suo dolore profondo e costante, inconfessabile, che solo lui ha visto nelle preghiere infinite dei sacrari isolati, deserti; se lei gli chiedesse di tornare per difendere Hyrule, forse, lo farebbe; ma sa che lei non glielo chiederebbe mai e che la sua domanda sarebbe sterile come grano nel mare. Per me è diverso, gli direbbe lei, non è lo stesso, e questa sarebbe tutta la sua risposta. Invece è proprio lo stesso per entrambi, condannati come sono dal peso eterno di una leggenda che s’insegue e si ripete, infinitamente; ma Zelda è stata cresciuta senza esser mai in grado di vederlo: non è stata che mortificata, continuamente, per ogni suo fallimento, per non riuscire a essere quello che altri volevano che fosse, senza vedersi mai riconosciuto mai alcunché per i suoi sforzi titanici, implacabili; e dunque non è in grado di vedere altra vita che questa. Anche per lui è stato così, fino a poco tempo fa; ma paradossalmente è stato proprio il re a liberarlo dalla sua eterna schiavitù alla profezia e alla leggenda. Se glielo avesse chiesto un mese fa, due mesi fa, prima della prigione e del patibolo, avrebbe detto di sì a tutto, pur di poter tornare a combattere per Hyrule; ma è diverso, ora. E poi, c’è Revali, adesso. La scelta non riguarda più solo lui; e dello sguardo di Revali che gli brucia sulla nuca Link è consapevole come di queste sue mani. Se accettasse la proposta del re, si umilierebbe, certo; ma Revali sarebbe libero da ogni dovere nei suoi confronti. Potrebbe tornare alla sua vita, senza di lui; resterebbero legalmente sposati, ma quantomeno Revali non sarebbe costretto a prendersi cura di lui. Kagan ha ragione, Revali ha ragione: il re non ha alcun potere di concedere la grazia a un innocente; ma dir di no e rifiutare dal piedistallo della sua innocenza non è più così semplice.
Si rivolge a Impa. «Posso rispondervi domani?»
Impa sorride appena. «Vorrei poterti dare ancora più tempo» risponde. «Vorrei che fosse in mio potere. Ma sì, hai fino a domani, Link. Fino alla nostra partenza.»
 
Non ne parlano tra loro fino a sera. Kagan e sua moglie hanno preparato per Impa e Zelda due semplici amache nella stanza dei loro bambini: subito dopo cena, fa sapere loro, Zelda è crollata a dormire, estenuata dal viaggio e dalle preghiere. I soldati di scorta sono stati alloggiati nella caserma di guardia: avrebbero voluto montare la guardia intorno alla casa, ma, per via del freddo, Kagan si è offerto di sostituirli con quattro arcieri Rito, della qual cosa gli infreddoliti soldati Hylia sono stati assai grati. Prima di tornare a casa, Link insiste per andare a controllare che non abbiano bisogno di niente. Revali lo accompagna senza protestare, ma non scambia una parola coi soldati: si limita a salutare Lelek con un cenno del capo, quasi a far segno di averlo riconosciuto.
«Sei proprio affezionato al tuo cucciolo di attendente» commenta soltanto sulla strada di casa.
«Sei geloso anche di lui?» ribatte Link, ma senza troppa acredine. Non fa che ripensare a quello che gli ha raccontato Lelek e alle parole di Impa e getta lì quella provocazione macchinalmente, quasi senza pensare.
Ma anche Revali dev’essere un po’ turbato dagli avvenimenti della giornata, perché la sua sola risposta, questa volta, è: «No, di lui no.» In un altro momento, Link si sarebbe preso la briga di fargli notare che le sue parole implicano che di qualcun altro invece lo sia; ma la giornata di oggi è stata troppo gravida di eventi, e lui è troppo stanco. Ci sarà tempo alla prossima scenata di gelosia per farglielo notare; ma Revali prosegue inaspettatamente. «A dire il vero, lo trovo quasi simpatico. Ti vuol bene davvero. Piangeva, quella notte, sai? Quando sono andato a cercarlo nei tuoi appartamenti.»
Link ricorda il modo in cui si è congedato da Lelek in quella che pensava sarebbe stata l’ultima notte della sua vita, in carcere: ricorda il modo in cui le sue mani tremavano mentre lo supplicava di accettare la sua offerta e di scappare. «Sì… mi vuole bene davvero.»
Questa notte è freddo davvero. I pannelli che hanno montato alle finestre, giorni fa, contribuiscono a trattenere un po’ il calore, ma non la isolano del tutto dagli spifferi: Link si accovaccia davanti al braciere centrale per attizzare le braci assopite nella cenere. Non ha molta voglia di andare a dormire: la scorsa notte si è svegliato un paio di volte per il freddo. E poi, c’è la questione della grazia.
«Forse dovremmo parlarne» dice pensierosamente.
«Uhm?» Revali getta nel braciere un paio di tozzi rami secchi per far prendere vita al fuoco. «Temo che tu sia giunto a sopravvalutarmi troppo nel corso di questo matrimonio, Link. Non ho ancora sviluppato la capacità di leggere nella tua mente, sebbene sia sicuro che ci sia relativamente poco da leggere.»
È raro che la sua ironia non riesca a strappargli neppure un sorriso. «Lo sai di cosa parlo. Della grazia.»
Revali l’osserva in silenzio per un tempo molto più lungo di quello che Link si era aspettato. Quando alza lo sguardo su di lui, si sorprende di trovare i suoi occhi quasi privi di espressione. «Non capisco, Link. Davvero. Di cosa dobbiamo parlare?»
«Se io accettassi la grazia, tu saresti di nuovo libero.»
L’espressione di Revali si fa più dura d’improvviso. Gira attorno al braciere per andare ad appoggiarsi al tavolo coperto di mappe, senza guardarlo, e Link lo segue con lo sguardo senza capire.
«Quindi ci stai pensando.»
Link non si aspettava che la sua voce suonasse così fredda. Non riesce a capire.
«Revali, ascolta… tu ti sei addossato un peso che non ti spettava e che non eri tenuto a portare. Se io accettassi la grazia, tu potresti tornare alla tua vita…»
«È strano, Link.» Le sue parole hanno un accento inusitato, quasi doloroso, di cui Link non riesce a comprendere l’origine; eppure provengono dalla sua gola. Allora perché? «So di non essere stato il miglior padrone di casa né il migliore dei mariti. Non ho mai preteso di esserlo, e sicuramente certe cose avrebbero potuto esser diverse. Non importa. Ma ho fatto qualcosa in questi mesi, qualsiasi cosa, che ti ha fatto pensare anche solo per un momento che tu qui non fossi gradito e che questa non fosse anche casa tua?»
Link apre la bocca per rispondere molto prima che la sua mente abbia formulato una risposta per questa domanda; e poi, non trovando una risposta o meglio non trovando quella che si aspettava, la richiude. Revali ha condiviso con lui tutto quello che possedeva e, quando non è stato in grado di condividerlo, glielo ha donato senza chiedere indietro niente: questa è la prima volta che realizza pienamente la portata enorme di quello che Revali ha fatto per lui e quanto tutta la sua gratitudine non potrà mai sanare il debito che ha nei suoi confronti; e di tutto ciò non si è quasi mai neppure veramente accorto perché Revali non ha mai fatto nulla perché se ne accorgesse. 
Revali si volta per cercare la risposta nei suoi occhi visto che non la sente pronunciare dalla sua bocca; ma forse anche lì non trova altro che sgomento. Forse è proprio il suo sgomento a farlo arrabbiare più di tutto il resto.
«Dunque è così» dice. La sua voce vibra di qualcosa molto simile a dolore. «Eppure m’ero fatto l’idea che tu fossi diverso. Vuoi proprio dargliela vinta, quindi. Fargli vedere che possono farti tutto quello che vogliono, e che tu tornerai comunque sempre, non importa quanto grande sia l’umiliazione? Sei così infelice qui che sei disposto a professarti colpevole pur di tornare dal re a scodinzolare come un cane, a dire ai generali che in fin dei conti avevano ragione, che avevano diritto di ordinarti tutto quello che volevano…»
Tutto questo è profondamente ingiusto. Link si alza in piedi perché gli sembra d’aver bisogno anche del suo corpo per contrastare questa valanga di accuse ed esclama: «Non ho mai detto questo!»
«Allora perché sei disposto ad accettare la grazia come se tu avessi tradito?»
«Perché volevo servire Hyrule, e perché…»
«La mia gente non è Hyrule, quindi?» ribatte Revali causticamente. «Non puoi servirla ugualmente anche qui, combattere qui?»
Ma Link non intende rispondere alla retorica di questa domanda, non può permettere di lasciarsene traviare, distrarre: si sforza di continuare a rispondere a voce bassa, calma, perché non vuole che quella discussione diventi un litigio e una polemica fine a se stessa come al solito, e risponde: «Perché non riesco a perdonarmi d’averti portato via la tua libertà e non so come farò mai a ripagare questo debito.»
Revali rimane in silenzio molto a lungo. Il riflesso della luce trema nella liquidità dei suoi occhi.
«Non ti ho mai chiesto di ripagarmi.»
«Lo so» risponde Link a bassa voce. «Proprio per questo non sarò mai in grado di farlo. Tu vuoi che io resti?» Revali non risponde, prova a distogliere lo sguardo dal suo, allora Link parla ancora, insegue i suoi occhi nella stanza. «Chiedimi di restare.»
Revali sorride di un sorriso amaro. «No, Link. Non è così semplice. Non sarò responsabile delle tue decisioni o delle tue sciocchezze. Se vuoi restare, se vuoi andare, se vuoi alzare le braccia e dire che in fin dei conti è stata tutta colpa tua, tutto purché ti restituiscano la tua vita di prima, è un problema solo tuo. Non ho mai avuto molta stima della tua intelligenza, comunque, anche se per un attimo ho creduto…»
«Chiedimi di restare» ripete Link. «Altrimenti perché tutto questo?»
«Non farmi questo, Link» risponde Revali dopo un tempo lunghissimo. «Non ti chiederò di restare. Tu hai una volontà libera come la mia; e io non ho mai dovuto chieder niente a nessuno.»
Con l’orgoglio di questo dannato Rito, pensa Link chinando il capo sul petto, non c’è verso di vincere. Rimane immobile mentre Revali gli passa accanto in un frusciare di piume per lasciare la casa: non ha idea di dove voglia andare né perché. Ma proprio quando sta per uscire, alle sue spalli, Revali si ferma un momento e riprende: «Ma non ti ho mai chiesto neppure di andartene. Questo è tutto quello che posso dire.»
Quando Link si volta, Revali è già uscito.
Vincere no, forse; ma pareggiare sì, a quanto pare.
 
Si sveglia d’improvviso con la sensazione d’essersi appena addormentato nella notte densa e infinita, al buio, quando Revali esclama dall’altra stanza con voce soffocata: «Kagan! Che cosa…»
È all’erta nel buio prima ancora d’esser proprio certo d’esser sveglio del tutto, con la mano sull’elsa della spada e le orecchie tese nel buio, consapevole nell’oscurità che Revali dev’esser tornato a casa, in un qualche momento della notte a lui non ben precisato dopo la loro discussione, e che Kagan dev’essere entrato in casa loro; il che, a sua volta, non può significare niente di buono.
«Sht! Vuoi svegliare tutto il borgo?» protesta Kagan piano. Link lo intravede appena nel chiarore delle braci, nell’altra stanza, e dalle sue parole si sente immediatamente tranquillizzato: se non vuole svegliare nessuno, significa che il borgo non è sotto attacco. È evidente che anche Revali deve giungere alla sua stessa conclusione, perché dalla sorpresa la sua voce si fa carica di sdegno.
«Allora si può sapere cosa c’è di tanto urgente da…»
«Oh, come se non lo sapessi già che voi due non dormite insieme!» replica Kagan. Revali ammutolisce. «Non sono mica cretino. Dovete venire con me. La principessa e la consigliera devono partire subito. Mia moglie le sta aiutando a prepararsi.»
Link si divincola dalle coperte e dall’amaca e si veste alla cieca nel buio, infilandosi addosso strati su strati senza un ordine preciso. «C’è qualche pericolo?» chiede mentre indossa gli stivali allacciandoli sotto il ginocchio.
«Vedi, Revali? Almeno uno di voi due è presente a se stesso» commenta Kagan a voce alta a sufficienza perché lo senta tutto il borgo, checché abbia detto un istante fa. «È arrivata una sentinella dai passi montani. Dice che ha iniziato a nevicare copiosamente. Tra poche ore il passo sarà completamente ostruito dalla neve, perciò è essenziale che Zelda raggiunga subito la sua squadra. Ho già mandato staffette ad avvertire i suoi uomini di tenersi pronti. Ho pensato che avreste voluto salutarle. Link… mi dispiace che tu non abbia avuto più tempo per scegliere, ma se vuoi accettare quella grazia, questo potrebbe essere il momento opportuno.»
Revali non dice altro mentre si veste a sua volta. Quando escono nella notte, grandi fiocchi di neve come batuffoli di cotone solcano l’aria fino a sfiorarli: per il momento ancora si posano al suolo sciogliendosi in piccole chiazze di umidità, ma presto inizieranno ad attecchire; Link si copre il volto col cappuccio del mantello. Seguono Kagan fino a casa sua, che è illuminata come una fiaccola nel villaggio immerso nel buio: i soldati della scorta sono già pronti a partire, frastornati e semicongelati nell’aria del borgo. Discostandosi di qualche passo da Revali, Link sfiora il braccio di Lelek per attirare la sua attenzione. Revali osserva i suoi movimenti freddamente e distoglie lo sguardo con ostentazione.
«Capitano» mormora Lelek per tutta risposta. Sta tremando dal freddo. «Siete sicuro di riuscire a sopravvivere a questo inverno, sì?»
«Me la caverò» promette Link seriamente. «Lelek, ascolta… ti ricordi quello scudo blu di cui ti ho parlato, vero?»
«Certo, capitano. Lo scudo di vostro padre.»
«È molto più resistente di quelli d’ordinanza. Ascolta, Lelek, quando verrà la Calamità, promettimi che lo userai per difenderti. So già che sei coraggioso, ma vorrei saperti protetto. Lo farai?»
C’è una certa solennità nel tono di Lelek, tale che per un istante smette quasi di tremare, quando risponde: «Capitano, non posso…»
«Prometti, Lelek» insiste Link. «Che proteggerai Zelda, se potrai, ma che soprattutto starai attento. Lo prometti?»
«Promesso» mormora Lelek. «Ma starete attento anche voi, allora. Lo promettete?»
«Farò del mio meglio» risponde Link, che della sua vita non s’è curato mai troppo, nelle battaglie passate, e non vuol fare promesse che non può mantenere. Lo abbraccia con difficoltà al di sopra dell’armatura, dei mantelli, delle armi e dello scudo: l’acciaio dell’elmo è gelato e appannato dal freddo, ma Link vi posa la fronte e lo guarda negli occhi. «Tu sei mio fratello per tutta la vita, Lelek. Te lo ricordi?»
«Me lo ricordo» risponde Lelek a bassa voce. «E mi accorgo anche che non avete promesso, capitano. Per favore, per favore, state attento.»
Non c’è tempo di dirsi altro. Tara scorta fuori di casa Zelda sostenendola per le braccia: la principessa è pallida in volto come se avesse la febbre. Prima di lasciarla, senza alcun rispetto per il suo rango regale né per la sua discendenza diretta dalla divinità, Tara la avvolge stretta in uno scialle come una lattante e le infila piume nei capelli, subissandola di raccomandazioni. «È in lana Rito, Altezza. Non toglietela per nessun motivo finché non avrete passato le montagne. Vi terrà un po’ più calda. Le nostre piume isolano un po’ dall’umidità… si disperde molto calore dalla testa, sapete. Non toglietevele finché non sarete dalle Gerudo.» Zelda è commossa dalle sue tenerezze tanto da non riuscir quasi a parlare, forse perché in vita sua non ne ha ricevute quasi mai. L’abbraccia solamente mordendosi le labbra per non piangere.
Le scortano fino ai loro cavalli, che sono rimasti all’ingresso del Borgo, custoditi dalle sentinelle di guardia. Kagan si profonde in raccomandazioni per tutta la strada, inutili, visto che due sentinelle Rito le scorteranno fino al valico e non torneranno indietro finché non si saranno accertate che si siano ricongiunte alla squadra; ma forse lo tranquillizza ugualmente sentire di avere la situazione sotto controllo. Dà loro vino caldo in otri foderati che dovrebbero mantenere la temperatura per almeno un paio d’ore, poi prende le mani di Zelda per salutarla. «Spero di rivedervi in tempi più sereni, Altezza» le dice stringendola appena. «Abbiate cura di voi. Ci servirà tutta la vostra forza nei giorni che verranno.»
Revali si limita a inchinarsi brevemente in segno di saluto, ma non dice niente. È ancora arrabbiato per la questione della grazia: si discosta insieme a Kagan di qualche passo per lasciar modo a Link di salutarle.
Link non ha idea di quando le rivedrà. Solleva Zelda per issarla in sella: lei si appoggia con le mani alle sue spalle. È quasi priva di peso.
«Perdonatemi» dice Link a bassa voce: non sa neppure se stia parlando solo con Zelda o con entrambe, o con se stesso. «Non posso…»
«Lo so già, Link» lo interrompe Zelda. Nella sua voce c’è una grande dolcezza. «Ma cerca di capire… non potevamo decidere noi per te. Dovevamo lasciarti scegliere.»
Zelda non s’è mai aspettata che accettasse di tornare, dunque. Link posa la mano sul suo fianco, all’altezza della cintura: proprio come si aspettava, sotto strati di lana e di pellicce sente il bordo duro della tavoletta Sheikah. «La tenete sempre con voi questa, vero?»
«Sempre» ripete Zelda.
Link le prende il volto tra le mani perché non distolga gli occhi dai suoi nemmeno un istante. Zelda si fida di lui a tal punto che non fa nulla per scostarsi. «Quando verrà la Calamità, voi e Impa raggiungete l’accampamento Rito sulle montagne di Hebra a qualunque costo, ovunque vi troviate. Io e Revali vi troveremo lì. Non posso accettare la grazia, ma farò comunque di tutto per proteggere voi e Hyrule. Non lasciatela mai, neppure quando dormite. Me lo promettete?»
«Non sei tenuto a farlo, Link» dice Zelda a bassa voce. «Nessuno di noi lo merita. Io e mio padre meno che mai.»
«Non l’ho mai fatto per vostro padre» ribadisce Link. «L’ho sempre fatto per Hyrule, come voi. Vostro padre può essere cieco, ma non appena la situazione lo permetterà, scappate sulle montagne con la tavoletta e aspettatemi lì. Io verrò a cercarvi e vi troverò. Promettetemelo.»
Zelda gli accarezza i capelli un’ultima volta, sorridendo appena colle labbra bianche. «Lo prometto.»
Quando si scosta dal cavallo di Zelda, Impa lo abbraccia in fretta per un solo istante e mormora in un soffio contro il suo orecchio: «Hai fatto la scelta giusta. Non dovevi tornare a nessun costo»; poi sale a cavallo agilmente senza neppure dargli il tempo di rispondere e fa cenno alle guardie che sono pronte a partire. Lelek si volta un’ultima volta a rivolgere loro un cenno di saluto mentre la loro piccola spedizione si avvia controvento verso le montagne, sotto la neve che cade sempre più fitta.
  Link rimane con Kagan e Revali a osservarle allontanarsi finché la prima curva le sottrae alla loro vista; ma neppure quando non le vedono più accennano a rientrare al borgo. Rimangono lì per un po’.
«Potete andare a dormire» commenta infine Kagan, ma senza accennare a distogliere lo sguardo dalla strada. È preoccupato, Link glielo legge negli occhi: ha paura che non facciano in tempo a passare il valico prima che sia bloccato dalla neve. «Io resterò sveglio ancora qualche ora per aspettare che le sentinelle tornino ad avvisare che hanno scavallato il passo, ma non ha senso che restiamo tutti…»
«Da quant’è che lo sai?» chiede Revali improvvisamente. La sua domanda è talmente imprevista e slegata dal contesto che Link stenta a capire di cosa parli, e lo stesso, a quanto pare, Kagan.
«Che cosa?»
«Che non dormiamo insieme.»
«Per amore del cielo, Revali… era piuttosto implicito nel concetto di finto matrimonio, sai?» Kagan si volta e si avvia lungo la strada del borgo senza neppure guardarlo. «E comunque… me l’hai appena confermato tu. Devi migliorare a riconoscere i bluff, amico mio. Ti facevo più svelto.»
Revali lo segue furibondo. Link non ricorda di aver mai visto nessuno zittire Revali in modo così brutale. Non riesce a non pensare a Impa e Zelda che arrancano a cavallo nella neve, ma la sua stima per Kagan è appena cresciuta in modo vertiginoso.
 
Continua a nevicare per tutto il giorno: anche in casa la temperatura si abbassa radicalmente. Andare al Volodromo, oggi, è impossibile e troppo pericoloso: rimangono in casa. Revali lavora in silenzio ai suoi archi o alle sue frecce o a qualsiasi cosa stia facendo; Link sfoglia i libri che gli ha portato Lelek con mani gelate per quanto sia vicino al fuoco. Non sono tornati a dormire, dopo la brusca sveglia nella notte, malgrado Kagan abbia detto che li farà avvertire appena avrà novità: Link è troppo preoccupato per Zelda. Non riuscirebbe a dormire.
«Non hai accettato la grazia, quindi» commenta Revali a un certo punto, senza alzare gli occhi dal suo lavoro. Ha l’aria di starci pensando da un po’.
Il fatto che voglia parlarne, per i suoi standard, è quasi sorprendente; ma Link non è disposto a essere l’unico a sbilanciarsi in questo strano matrimonio. Leva lo sguardo su di lui per un istante.
«Evidentemente» risponde.
Revali esita come se volesse aggiungere qualcosa, ma poi non dice nient’altro; sorride a malapena. Riprendono a lavorare in silenzio.
Kagan viene di persona nel primo pomeriggio ad annunciare che i soldati che hanno accompagnato Impa e Zelda sono tornati: è andato tutto bene, a quanto pare, e sono riuscite a scavallare il valico montano con i soldati prima che venisse ostruito dalla neve. Link sente il petto gonfiarglisi di sollievo, forse scioccamente, perché la debolezza di Zelda, estenuata dalle preghiere e dai sacrifici, non è destinata a scomparire semplicemente perché hanno oltrepassato un valico montano; ma anch’essa fa parte di quelle cose sulle quali non può esercitare alcun controllo. Tutto quello che può fare è ciò che ha fatto toccando la tavoletta Sheikah che le pendeva dal fianco mentre la issava in sella: assicurarle che la difenderà sempre. Questo è ciò cui si è ridotto tutto il suo potere.
«Ti sei scomodato apposta per venircelo a dire?» replica Revali per tutta risposta. «Da quando è compito del capovillaggio venire a dare queste informazioni?»
«A dire il vero, ero venuto anche a portarvi un paio di coperte e uno scaldaletto in più» risponde Kagan sollevando un involto annodato con cura. Dalle sue provocazioni sembra più divertito che offeso. «Non è che, per caso, sei ancora arrabbiato con me per la questione che so che non dormite insieme?»
«E tu non è che, per caso, non hai proprio intenzione di pensare al tuo letto piuttosto che al mio, vero?» ribatte Revali.
«Non ci penserei proprio al tuo letto, se tu non lo rendessi un argomento così divertente.» Kagan si stringe nelle spalle prima di rivolgersi a Link per porgergli le coperte. Link si affretta ad alzarsi per prenderle dalle sue mani. «Io e mia moglie abbiamo pensato che potessi averne bisogno, Link. Questa notte la neve gelerà, e per te sarà davvero molto freddo. Cerca di stare coperto, siamo intesi?»
 È un gesto così semplice eppure gentile, disinteressato, che Link non sa neppure come rispondere: guarda le coperte senza quasi saper che dire. «Grazie, Kagan. Voi non ne avrete bisogno?»
Kagan agita una mano come a voler minimizzare quel gesto. «Ah, non preoccuparti. Per il nostro matrimonio ci hanno regalato talmente tanta biancheria per la casa che non siamo mai neppure riusciti a utilizzarla tutta, e i bambini sono già infagottati come bachi nel bozzolo. Tu soffrirai il freddo molto più di noi, perciò preferiamo che le abbia tu.»
«Lascia perdere, Link» dice freddamente Revali. «Kagan si sta solo divertendo a insinuare che io non ti tenga sufficientemente al caldo con un raffinato doppiosenso. Non merita i tuoi ringraziamenti.»
Link si sente avvampare d’improvviso, ma Kagan scoppia a ridere di una risata schietta e risponde: «Giusto, giusto. Dimentico sempre che il mondo gira intorno a te, Revali. Link, ti garantisco che né io né Tara abbiamo un così cattivo gusto, qualunque cosa Revali ti abbia detto di noi. Cerca di stare al caldo, va bene?»
 
Kagan non esagerava. La nevicata s’intensifica nel corso del pomeriggio, il vento ulula nella valle accumulando sui tetti spessi strati di neve che inizia a congelare non appena il sole si abbassa dietro le cime dei monti: neppure accanto al fuoco Link smette di tremare. Non ricorda d’aver mai provato freddo così: Revali lo osserva con preoccupazione. Non ironizza più neppure sulle coperte portate da Kagan. Va un po’ meglio subito dopo cena, quando lo stufato bollente lo scalda un po’; ma la temperatura continua a calare. Link indossa tutti gli abiti che possiede finché gli è possibile accumularli gli uni sugli altri; Revali attizza il fuoco continuamente, senza dir nulla, con aria quasi colpevole e impotente; non ha colpa di nulla, ma è vero che su questo non può esercitare alcun potere. Tira fuori vecchie coperte da angoli oscuri della casa e infila scaldaletto pieni di braci tra strati e strati di coperte nell’amaca.
«Vai a dormire» suggerisce infine, sul tardi, forse stanco di vederlo tremare incessantemente senza poter fare nulla per aiutarlo: «Forse ti aiuterà a scaldarti.»
Link non ci crede molto, ma è troppo stanco dalla notte trascorsa in bianco, e troppo infreddolito, per discutere. S’infila a letto sfilandosi solo pochi strati di abiti per non avvertir troppo lo sbalzo termico domattina, quando uscirà dal nido di coperte; ma neppure lì riesce a smettere di tremare. Si appisola a tratti di un sonno irregolare da cui continua a svegliarsi ogni pochi minuti, tremando a tal punto che sente dolergli tutte le giunture; il freddo ha penetrato le sue ossa; si sente pieno di nausea.
D’un tratto si sollevano le coperte, l’amaca s’inclina: Link si desta del tutto trattenendo il respiro nel buio. Revali scivola nell’amaca al suo fianco, circondandolo con le ali, piano, e mormora: «Solo per stanotte. Per non farti morire assiderato. Siamo intesi?»
Link rimane immobile nel grande calore accogliente del suo petto.
«Non devi farlo per forza» risponde a bassa voce.
«Lo so» dice Revali. «Va tutto bene. Non ci pensare. Dormi, ora.»
Link si lascia sprofondare nel sonno senza più tremare, sforzandosi di non porsi domande delle quali non conosce la risposta.
 
La mattina dopo, al risveglio, Link non apre gli occhi subito. Rimane disteso immobile nella semioscurità delle sue palpebre chiuse, sforzandosi di trattenere al loro interno la sensazione confusa della grande pace che prova: Revali è ancora disteso al suo fianco. Link non ha neppure il coraggio di aprire gli occhi, di verificare se dorma ancora oppure no: ha paura che, se si accorgesse che lui è sveglio, se ne andrebbe. Non sa perché ne abbia paura.
Alla fine è la sua rigidità, insieme forse alla diversa qualità del suo respiro, a informare Revali che è sveglio. Quando parla, la sua voce è ancora impastata di sonno.
«Che c’è?»
«Mi stai schiacciando una gamba» inventa Link senza guardarlo, perché non ha il coraggio di dire quello che pensa; forse neppure lo sa.
Revali si sposta lentamente riequilibrando i loro corpi nell’incavo dell’amaca. «Va meglio?»
«Uhm» risponde Link in tono vagamente affermativo.
«Bene. Hai ancora freddo?»
«Un po’» mente Link, aspettandosi di sentirsi in colpa per quella bugia; ma il senso di colpa, stranamente, non arriva.
«Dormi, allora. La neve è ancora alta. Dobbiamo restare in casa anche oggi.»
Revali non accenna a togliere quell’ala dal suo petto. Link rimane sveglio per un po’ a soppesarne il peso lieve nella sua mente, poi decide che, tutto sommato, Revali ha ragione: se non possono uscire, tanto vale rimettersi a dormire.
Era da tanto tempo che non dormiva fino a tardi. È molto più dolce di quanto ricordava.
   
 
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