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Autore: Nina Ninetta    12/04/2024    4 recensioni
Anita è una studentessa di 16 anni che vive un profondo disagio sociale e se ne sta fin troppo spesso per conto proprio. Completamente sola, all’inizio del terzo anno, si trasforma nella vittima perfetta di un gruppetto di bulli che la vessa con dispetti e insulti di ogni genere. Il peggiore fra tutti, secondo Anita, è Stefano: un ragazzo scaltro e intelligente che sa usare fin troppo bene le parole, cosa in cui anche lei è brava! Qualsiasi altra persona, al posto di Anita, si sarebbe lasciata avvilire da questa situazione, ma non lei, poiché non si sente affatto sola, c’è il suo migliore amico a darle man forte: ȾhunderWhite! Un ragazzo con cui chatta ormai da tempo e che ha conosciuto in rete, su un sito per giovani scrittori come lo sono loro! Sebbene vivano nella stessa città, Torino, non si sono mai incontrati di persona, fin quando ȾhunderWhite non sente il desiderio di vederla dal vivo...
Questa storia partecipava alla challenge “Gruppo di scrittura!” indetta da Severa Crouch sul forum “Writing Games - Ferisce più la penna” - aggiornamenti ogni 15 giorni.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Ȼapitolo Ðodici

 “Ϻare Ϻare Ϻare


 
 
Quando era piccola, suo nonno materno – il quale aveva origini meridionali – le aveva detto che se metteva una conchiglia vicino all’orecchio avrebbe potuto sentire il rumore del mare. Così, ogni volta che la domenica andava a pranzo dai nonni, la piccola Anita prendeva una vecchia conchiglia dal mobile in salotto e se la portava all’orecchio, chiudendo gli occhi e rannicchiandosi in un angolo. Non sentiva nulla, solo un fruscio che in verità era la conseguenza dell’oggetto chiuso intorno al timpano, ma lei diceva di sì.
«Si sente il mare, mamma!» Esclamava, mentre sua sorella la prendeva in giro poiché diceva che quella non era una vera conchiglia raccolta sulla spiaggia, ma un soprammobile di poco prezzo comprato in chissà quale mercato o negozio di paese.
Nel momento in cui le porte dell’ascensore si aprirono, lo sciabordio delle onde le fece tornare alla mente le domeniche trascorse ad ascoltare il rumore del mare da una conchiglia fasulla e dovette ammettere che sua sorella aveva ragione: il brusio che udiva allora non aveva niente a che fare con l’originale.
Fece un passo avanti, ma i sandali con il tacco sprofondarono nella sabbia e per poco non cadde in avanti come un sacco di patate. D’istinto si aggrappò a Mattia e questo la sorresse, consigliandole di togliersi le scarpe. Insieme si incamminarono lungo la spiaggia, i granelli di sabbia erano freddi e umidi, ed era così buio che il mare sembrava un abisso profondo e nero. Se ne poteva udire solo in sottofondo la musicalità cullante delle onde e intravederne la schiuma bianca. In compenso, il cielo era una distesa di puntini luccicanti.
Raggiunsero altri ragazzi, erano tre in tutto, due femmine – la #7 e la #6 – e un maschio. Quest’ultimo era il terzo classificato che le si era stretto in un goffo intreccio di braccia, mentre attendevano che il presidente dell’associazione annunciasse il verdetto finale. Si presentarono e Anita fu divertita dal fatto che ognuno di loro arrivasse da zone diverse dell’Italia. Si erano fermati sotto un ombrellone aperto, occupando un paio di lettini e una sdraio. Le due ragazze sembravano conoscersi già da tempo per quanto erano entrate in confidenza: si passavano la sigaretta, si davano consigli sui ragazzi, ci provavano con i presenti.
Anche in quell’occasione, Anita si sentì un pesce fuor d’acqua, come capitava a casa, a scuola. Lei era così diversa dalle altre. Innanzitutto, non le importava molto degli abiti, dei ragazzi, di fumare per darsi delle arie. Aveva deciso di seguire Mattia perché le aveva proposto di vedere il mare da vicino e adesso cosa si aspettava? Che le chiedesse di farsi un bagno?
«E tu?» Le chiese all’improvviso la #7, dall’accento palesemente romano. Anita cadde dalle nuvole, era intenta a fissare la schiuma bianca delle onde.
«Scu-scusa, non ho capito.»
Mattia e il #3 ridacchiarono mentre si passavano uno spinello (ma da dove lo avevano cacciato?).
«Tu l’hai mai fatto?» Continuò la #7.
Anita Lentini arrossì fino al midollo. Lei? Averlo fatto? Ma se non aveva mai neanche baciato un ragazzo in vita sua, figuriamoci se pensava a quelle cose!
«Dai Angela, lasciala stare! La stai mettendo in imbarazzo!» Mattia le posò una mano sul ginocchio coperto dal tessuto di chiffon dell’abito che aveva indossato per l’occasione. «Non ascoltarle, sono due ninfomani!»
Risero tutti, eccetto Anita.
«Ma lo sai che sei proprio caruccia» continuò la ragazza di Roma, allungandosi per toccarle i capelli. Quell’estate erano cresciuti molto, adesso sfioravano le scapole.
«Gra-grazie.»
«Vero? Non trovate anche voi che sia carina? Secondo me però non ti valorizzi.»
«Hai ragione, sai», questa volta intervenne anche l’altra ragazza del gruppo, la #6. Quest’ultima quasi non aveva accento nella voce e Anita ipotizzò fosse del centro nord. «Guarda che ai maschi piacciono quelle che si mettono in mostra!»
Anita teneva la testa china e le dita intrecciate in grembo. Dov’era l’uscita di emergenza?
«Invece a me piacciono le ragazze come lei» a parlare era stato di nuovo Mattia. «Acqua e sapone, semplici. Anche un po’ timide» aggiunse e sorrise con tanto di occhiolino quando Anita lo osservò di sottecchi. La stava prendendo in giro? Eppure, sembrava così sincero.
«Invece, la mia prima volta è stata a quattordici anni con una ragazza più grande di me» la voce del #3 tolse Anita dall’imbarazzo. Si chiamava Antonio Esposito e giocava in casa.
«Dai, racconta! Racconta!» Fece la #7.
«Era il primo anno di liceo, no?! Ed ero rimasto a scuola per un corso pomeridiano. Sono andato nella sala professori e c’era quella dell’università che da qualche giorno era venuta per il tirocinio e cose così.»
«Nooo, troppo figo!» La #6 si portò le mani a coppa sulla bocca. «E l’avete fatto in sala professori?»
«Non subito! Mica era il set di un porno!» risolini vari. «Abbiamo scambiato qualche battuta, ci siamo beccati un po’ nei giorni seguenti, lanciati frecciatine e sguardi durante le ore di lezione e infine…» Antonio fece una pausa, gli altri erano praticamente rapiti dalla sua storia. «Ci siamo visti negli spogliatoi della palestra e l’abbiamo fatto.»
«E com’è stato?»
«Bello, soprattutto perché lei era molto esperta e sapeva dove mettere le mani.»
«E la bocca» aggiunse la #7. Risate e ammiccamenti generali.
Anita si meravigliò soprattutto del fatto che quegli sconosciuti si stessero confidando segreti così intimi, parlando di argomenti tanto spigolosi, senza provare un briciolo di vergogna. Completamente presa da quelle considerazioni che quasi balzò sul posto per lo spavento quando udì la voce di Stefano Parisi che le diceva di andare. Sollevò il capo e se lo trovò alle spalle, nero in viso.
«Ah, tu sei l’altro ragazzo del liceo di Torino: l’unico ad aver presentato due concorrenti. Resti anche tu?» La #7 di Roma si spostò per fare spazio al nuovo arrivato, ammiccandogli con malizia.
«No, grazie. Andiamo» ripeté, rivolto alla compagna di classe che senza dire nulla si alzò in piedi, raccogliendo i sandali che aveva adagiato sulla sabbia. Mattia la fermò.
«Resta ancora un po’, ti accompagno io in camera.»
«Non si può, i professori ci cercano» intervenne Stefano, rivolgendosi al ragazzo toscano e allora anche questo si rivolse a lui con finto garbo.
«Non siamo a scuola.»
«Sì, dai, resta anche tu!» Ancora la #7 con insistenza. «Facciamo due chiacchiere, ci conosciamo meglio, ci divertiamo…»
«Se, ti piacerebbe…» rimbeccò Stefano.
«Allora te ne vai?» Mattia si alzò dalla sdraio, sfiorando il viso di Anita con i polpastrelli e parlandole a una spanna. La ragazza annuì, non riuscendo a comprendere bene i comportamenti di quello sconosciuto. Che fosse un tantino fuori di sé per lo spinello?
«(Mi piaci davvero)» le bisbigliò a un orecchio in modo che sentisse solo lei, gli altri poterono solo notare le gote della giovane accendersi, poi Mattia le sfiorò l’angolo della bocca con la sua, un tocco lieve, gentile, sussurrato. Nulla di più. Numero 3, 6 e 7 applaudirono, fischiando e ululando, mentre Anita si allontanava da Mattia che continuò a tenerle le dita della mano fin quando poté.
 
Elia Morales appena svoltato l’angolo li aveva visti: il brizzolato, dai bei capelli e la dentatura perfetta, teneva una mano sulla spalla di Giovanna, mentre con l’altra le indicava qualcosa che ovviamente, a causa del buio della notte, era impossibile da scorgere. Le guance si toccavano e lui dovette dire qualcosa di tremendamente ironico e spudorato poiché lei dapprima sghignazzò, poi si voltò a guardarlo negli occhi e lentamente, quasi impercettibilmente, le labbra stavano per toccarsi.
Anzi, si sarebbero sicuramente baciati se non fosse intervenuto Elia a irrompere come un razzo nel momento romantico. Giovanna si staccò dal professore di filosofia con un balzo di lato, colta in flagrante si acconciò i boccoli ramati e si tirò giù il tubino scuro, la cui gonna inspiegabilmente era arrivata sopra al ginocchio. Sperò che il decolté fosse a posto poiché non ebbe il coraggio di acconciarselo.
«E-Elia» balbettò, accennando un sorriso imbarazzato. «Tutto bene? Ci sono problemi?»
«Ma chi è? Uno dei tuoi alunni?» Fece il professore di Napoli, evidentemente infastidito dall’interruzione.
«No-no. Lui è il mio collega, Elia Morales. Insegna spagnolo nella mia stessa scuola. Elia, lui è Paolo, insegnante di filosofia a Napoli.»
I due si strinsero la mano, ma quando il più maturo tentò di tirare via la sua, Elia la trattenne qualche secondo di troppo.
«Professor Morales!» Neanche la voce di Giovanna era riuscita a fare breccia nella rabbia del giovane collega e per un attimo la donna temette che potesse fare qualcosa di sconsiderato, come tirare un pugno a Paolo. «Elia!» Tuonò con maggior decisione e finalmente la presa tra i due si spezzò.
Paolo si massaggiò la mano, chiaramente non gli era sfuggita la minaccia di aver invaso lo spazio vitale dello spagnolo.
«Avresti potuto dirmi che dovevi fare da balia al bimbetto, qua!» Esclamò e subito Elia lo afferrò per la collottola della giacca.
«Elia, per l’amor del cielo! Che stai facendo?» Giovanna Dell’Arco gli si aggrappò alle braccia e riuscì a tirarlo indietro, scusandosi, quasi con la schiena prostata in avanti, verso l’insegnante di filosofia che intanto si stava acconciando la giacca e teneva un ghigno stampato in faccia.
«E poi dite che siamo noi del sud che non sappiamo comportarci!» Così dicendo, Paolo aveva aperto la porta di emergenza che portava all’interno dell’albergo e vi era scomparso.
«Stai bene?» Chiese Elia Morales a Giovanna, la quale si voltò a guardarlo con una tale ira che se non fossero stati lontani mille chilometri da casa chissà cosa gli avrebbe urlato contro.
«Stai scherzando, vero? Perché non dovrei stare bene?»
«Scusa se mi sono preoccupato per te!»
«Tu sei ubriaco! Ma quanto hai bevuto? Si sente la puzza di alcol fino a qui!» Giovanna lo oltrepassò per tornare sul terrazzo della piscina, richiamare i due alunni e andare a dormire (anche se sospettava non avrebbe preso sonno tanto facilmente). Ma il collega spagnolo le si parò davanti.
«Io credevo che avremmo passato la serata insieme» la sua voce era un lamento. Giovanna lo fulminò con un’occhiataccia, onestamente non sapeva cosa dire. O meglio, lo sapeva, ma non voleva affrontare l’argomento lì, non in quel momento e con lui mezzo brillo. Riuscì a girargli intorno e uscire allo scoperto, oltre l’angolo, ma di nuovo lui la fermò afferrandole un polso.
«Ci saresti andata a letto con quello lì?» Quasi urlò.
«Shhh! Abbassa la voce, Elia! Santo cielo, sei strafatto!»
«Rispondimi: ci saresti andata a letto?»
«E pure che fosse non sono tenuta a darti alcuna risposta, poiché non sono fatti tuoi!» Giovanna si liberò dalla presa con un gesto violento. «Troviamo Parisi e Lentini e torniamocene in camera» aggiunse, scrutando l’ambiente intorno alla piscina e pregando in cuor suo di scovarli presto. Per due motivi: uno, il più importante, non voleva restare un secondo in più da sola con Elia; due, desiderava solo che la notte passasse velocemente e tornassero a casa, magari dimenticando quella scena pietosa.
«Perché con lui sì e con me no?» Elia le adagiò i polpastrelli sul mento, alzandole il viso verso il proprio. A quella domanda lei sgranò gli occhi, era fuori di sé. Si allontanò di nuovo e cominciò a cercare i suoi alunni chiamandoli per nome, ma niente. Di loro neanche l’ombra. Chiese in giro, ma nessuno sembrava averli visti.
«Perfetto!» Esclamò, cercando di non cedere alla disperazione. «Una cosa dovevi fare», ringhiò contro Elia Morales. «Una! E non sei stato capace di farla!»
«Mentre tu te la spassavi con capelli perfetti, vero?! Perché non ci hai pensato prima che quello ti toccasse ai tuoi cari, dolci e preziosi alunni!»
«Non ti permettere di insinuare certe cose, mi sono spiegata?!»
«Scusatemi…» a parlare era stata un’insegnante dall’accento toscano, vicino a lei c’era uno studente dai capelli chiari e il viso angelico. «Mattia mi ha detto che ha visto i vostri alunni giù, alla spiaggia. Sono stati tutti insieme per un po’, poi si sono allontanati da soli.»
«Grazie, grazie infinite!» Giovanna Dell’Arco si precipitò verso l’ascensore, seguita a ruota da Elia Morales. Mentre attendevano che le porte automatiche si aprissero, le gambe di lei non volevano saperne di stare ferme. Aveva una voglia matta di sigaretta e di urlare. Soprattutto di urlare!
«Giovanna…» cominciò lui.
«Zitto, Elia! Devi stare muto!»
 
Anita Lentini fece qualche metro alle spalle di Stefano, prima che lui virasse dal lato opposto dell’ascensore e continuasse la sua falcata.
«Ma dove vai?» Anita cercava di tenere il passo.
«Un addio straziante» commentò lui, accendendosi una sigaretta.
«Mi stavo divertendo.»
«Divertimento finito.» Quando fu certo che da dove si trovavano gli altri concorrenti non li avrebbero notati, Stefano si arrestò sotto un ombrellone in prima fila e si sedette alla punta di un lettino. Per l’occasione aveva indossato una giacca dal taglio classico sopra una camicia chiara, senza cravatta, e un jeans blu notte. I capelli gli conferivano sempre un’aria trasandata, ma con un po’ di attenzione si sarebbe notato che invece era tutto ricercato, curato. Anche i capelli spettinati erano frutto di preparazione. Nulla al caso per lui.
Rimasero qualche minuto in silenzio, con il ragazzo rivolto verso la riva a fumare la sua Marlboro, e lei che si era seduta sullo stesso lettino ma mezzo metro più in là, intenta a disegnare sulla sabbia cerchi concentrici con le dita dei piedi nudi.
«Ti ha mandato la Dell’Arco?» Domandò dopo un po’.
«No. Stasera siete impazziti tutti!» Stefano spense la cicca nella sabbia e si tenne la testa fra le mani.
«Tutto ok?»
«Che ti è venuto in mente di seguire quell’idiota fin quaggiù? L’ascensore ci ha messo una vita per tornare su e ridiscendere!»
«Volevo vedere il mare da vicino.»
«Il mare? Volevi vedere il mare?» Stefano scosse il capo. Quella ragazza era tutta strana, davvero! «Non hai mai visto il mare?»
«Certo che l’ho visto! Ma quest’anno non sono andata in vacanza e mi è mancato.»
«Ci credo! Hai passato un’estate chiusa in casa praticamente!» Non avrebbe voluto dirlo, non avrebbe voluto rivelarle che sapeva cosa avesse fatto nei mesi di vacanza, ma il danno era fatto. Per fortuna lei non replicò, né chiese come facesse a saperlo, poiché era consapevole che sua sorella Alessia ormai se la faceva con la combriccola di Stefano e Barbie. Anche lei conosceva benissimo come e dove Parisi aveva trascorso la bella stagione, i giorni in cui era andato in Liguria alla villa di famiglia, quelli di quando si era buscato una brutta influenza estiva ed era stato costretto a letto per una settimana circa.
«Allora, vai a vederlo questo mare!» Esclamò lui all’improvviso, stendendo un braccio dinnanzi a sé. Pareva sempre arrabbiato nei confronti della compagna di classe. «Hai detto che sei venuta quaggiù per il mare. Perfetto! È lì! Avvicinati! Toccalo! Bagnati i piedi! Hai fatto una scelta? Portala fino in fondo, cazzo!» Stefano si alzò e cominciò a liberarsi delle scarpe prima e dei calzini poi, mentre si faceva le pieghe al pantalone fino a metà polpaccio. Si liberò della giaccia e cominciò ad arrotolarsi le maniche della camicia, e quando ebbe finito sospirò tenendo le mani sui fianchi. Anita lo osservava allibita.
«Andiamo, vieni!» Le fece cenno con la testa di seguirlo. «Hai mai fatto un bagno a mare di notte?».



 
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