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Autore: _Lightning_    15/04/2024    2 recensioni
Napoli, 1934.
Il commissario Ricciardi è alle prese con un delitto come tanti, almeno per lui che è abituato a vedere i fantasmi delle vittime con i propri occhi. Una rapina finita male, con dei dettagli che, però, non tornano. Non tornano né a lui né al dottor Bruno Modo, collega medico legale e amico in pubblico, ma segretamente unito a lui da sentimenti più profondi, in un'epoca in cui a dare troppo nell'occhio si rischia la vita.
Ricciardi, però, quasi si dimentica del tutto del caso e dei pericoli che corre quando alla sua porta, nel cuore della notte, bussa un evento inspiegabile. Uno di quelli di cui non può parlare a nessuno, nemmeno a Bruno, pena l'essere preso per folle, e che lo fa sentire sempre più lontano dalla vita e sempre più vicino alle schiere di fantasmi che la attorniano.
Cosa si nasconde nel sottosuolo di Napoli?
[Leggibile come originale // Giallo // Ricciardi/Modo // S2 Alternativa]
Genere: Mistero, Noir, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: Otherverse, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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- Questa storia fa parte della serie 'In quel di Napoli'
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XV. Gli incubi (erano solo segreti non detti) - Parte 1



 

          

          USCIRE DI CASA liberamente, quella mattina, dà a Ricciardi la stessa sensazione di essere un canarino a cui viene concessa la libertà di tornare in gabbia dopo aver passato troppe ore a svolazzare fuori da essa.

L’ombra delle sbarre se la sente comunque addosso, anche sotto il pallido sole che stenta a trapelare oltre il velo fumoso di nubi, immergendo il mondo in uno stinto grigio paglierino che ferisce gli occhi e sa di sabbia e scirocco. Potrà anche aver facoltà di condurre il caso come meglio crede, ma dovrà farlo sotto l’egida fasulla del Partito, che è pronto a serrargli i polsi non appena dovesse provare ad agitarli troppo. A lui e a Bruno.

Arriva in Questura in orario, viene squadrato con acredine dall’alto della modesta statura di Ponte, prima, e dagli occhi porcini di De Blasio, poi, e intuisce che la voce dei suoi presunti “agganci” s’è già sparsa per bocca di Garzo. Si chiude la porta del proprio ufficio alle spalle con sollievo.

«Buongiorno, commissario.»

Maione alza il capo dalla scrivania, assediata dagli incartamenti accumulatisi lì negli ultimi giorni di investigazione sul campo.

«Buongiorno, Maio’,» dice, più per forma che con intento.

È chiaro a entrambi che la giornata potrebbe soltanto migliorare, viste le premesse. Il brigadiere, però, distende inaspettatamente il viso ampio nel guardarlo.

«Vi vedo più riposato.»

Lo dice con soddisfazione, quasi fosse una vittoria sua. Ricciardi stira le labbra in un tenue sorriso:

«Un pasto caldo e una notte di sonno fanno miracoli.»

È vero. Quella notte, dopo aver cenato assieme a Bruno, scherzando e chiacchierando in una fragile dimensione di normalità che aveva quasi dimenticato, era scivolato nel sonno quasi nell’istante stesso in cui aveva sfiorato il cuscino con la testa, sordo anche alla voce che filtrava dabbasso nella sua stanza.

Vi era stata un’unica parentesi tetra, proprio sull’uscio, al momento di congedarsi con Bruno, quando lo aveva aggiornato in fretta su tutti gli sviluppi del caso. Incluso il fatto, finora inconfessabile, che Annina stesse cercando proprio lui, quella notte. Gliel’aveva detto in un sussurro quasi inudibile, incerto, colpevole, conscio del diverbio che ancora aleggiava tra loro e che, forse, quella rivelazione avrebbe aggravato.

Bruno, però, si era limitato a sospirare rattristato, a premergli un palmo gentile sulla guancia nel buio soffuso del pianerottolo e a mormorare un severo, inflessibile “non è colpa tua”. Ricciardi, logicamente, lo sapeva già, che era così; lo sapeva dall’istante in cui gliel’aveva confidato Cristiano. Ma sentirselo dire aveva scardinato un peso che nemmeno si era accorto di avvertire.

Ci vediamo domani sera,” gli aveva detto poi Bruno, con un sorriso sfacciato; e poi, al suo sguardo un poco stupito: “È venerdì, e la trattoria e il cicchetto al Gambrinus con me non te li scampi mica.” Ricciardi aveva riso sottovoce, a labbra chiuse, col cuore pieno di quella semplice promessa, che rendeva il domani un po’ meno temibile, pur con tutte le incognite che serbava.

Si era comunque svegliato prima dell’alba, ritrovando ad accoglierlo la voce di Annina soffocata sottoterra, ma non più col corpo e la mente appesi a un logorato filo di lana pronto a spezzarsi.

Adesso, non menziona a Maione il fatto di essersi ritrovato Bruno in casa: ha idea che veder vano il proprio tentativo di metterlo al sicuro lo inquieterebbe, e non vuole incupirgli ancor di più la giornata, né fargli esporre eventuali scappatoie che potrebbero venire in aiuto a Bruno e di cui è meglio non sappia niente.

Sfrega senza pensare il bordo del cerotto sullo zigomo: l’escoriazione ha preso a prudergli, quella mattina, segno che sta cicatrizzando. Maione segue il gesto, accigliandosi un poco. Di certo, ha notato che è stato medicato di nuovo e con cura. Ricciardi lascia ricadere la mano, con l’impressione di essersi tradito. Forse è proprio in quelle sue reticenze, che lascia trasparire più di quanto dovrebbe.

Ciononostante, si scopre imperturbato dalla possibilità che il brigadiere possa immaginarsi qualcosa su Bruno e lui, e non perché riponga cieco affidamento sul fatto che non avrebbe da giudicare in merito. In verità, non gli interessa: se pure ha intuito qualcosa e se pure lo ritenesse deprecabile, è comunque ancora lì ad affiancarlo professionalmente nell’indagine, e tanto gli basta.

Ricciardi sposta il peso da un piede all’altro, ancora esitante in mezzo all’ufficio. Non si è nemmeno tolto il soprabito, poiché non ha intenzione di rimanere più dello stretto necessario tra quelle pareti: il tempo di recuperare la pianta urbanistica di Napoli dal cassetto della scrivania. Bruno aveva ragione, nel dire che gli sarebbe più utile una planimetria idrica, ma non ha tempo per richiederla, né garanzia che vi siano mappati anche tutti i cunicoli che giacciono al di sotto della città. D’altronde, non ha dubbi sul dove cominciare la loro ricerca. Ma, prima, dovrà far saltare un poco i nervi al povero brigadiere.

«Forza, Maio’,» lo incita, mentre lui già si calca il berretto in testa, «andiamo a stanare ‘sto Munaciello.»

Lui sbuffa come un mantice e si leva in piedi in quella che sembra una dichiarazione di guerra.

«Con immenso piacere, commissa’.»

 


«Voi, se posso permettermi, non tenete cara la vita.»

È questa la sentenza di Maione, quando iniziano a inerpicarsi lungo Discesa Sanità e mangia la foglia su dove si stiano dirigendo.

«Forse è vero,» ammette Ricciardi, con noncuranza. «D’altra parte, siamo di strada e sarebbe sciocco non approfittarne. Delle voci, francamente, me ne infischio.»

Maione bofonchia qualcosa di molto poco convinto e sbuffa inerpicando i piedi sul basolato.

Nell’ora e mezza circa che ha passato a letto dopo essersi destato prima dell’alba, Ricciardi si è premurato di passare in rassegna ogni singola, minima informazione sul caso che gli sia capitata tra le mani, in quegli ultimi giorni di squinternata indagine col fiato della polizia segreta sul collo e la preoccupazione costante per se stesso e per Bruno.

Non è nuovo ad agire seguendo l’impulso del momento, ma non a quell’estremo; si rende conto di aver trascurato molti dettagli che avrebbero potuto portarlo sulla strada giusta sin dal principio.

Tra questi, due sono riemersi in modo prepotente. O meglio, uno è riemerso, mentre l’altro gli è divenuto palpabile nella sua assenza, talmente lampante da essere praticamente invisibile fino ad ora.

Il primo, è che Cristiano gli ha menzionato di sfuggita, nel suo torrente di colorita narrazione, uno dei luoghi frequentati da Esposito: ‘e Funtanelle. Maione, seppur con una meraviglia venata di malcelato timore e, era parso a Ricciardi, sommessa riverenza, vi ha dato senza esitare una collocazione geografica nel “Cimitero delle Fontanelle”, a pochi passi dal Rione Sanità, dove sono di fatto diretti ora. Non è stato molto loquace in merito, ma Ricciardi suppone che si farà un’idea del posto coi suoi occhi una volta lì.

Il secondo dettaglio, che dettaglio non può certo chiamare, è che Annina, una madre, deve pur averla avuta. Qualcuno che, forse, potrà indirizzarli sulle orme di un uomo che sembra annidarsi tra le pieghe ingannevoli a mezza via tra leggenda e realtà. E, se nei registri militari non ve n’è traccia, né di lei né di Annina, vuol dire che con tutta probabilità Esposito non vi era legato in matrimonio. Se non può escludere una presunta quanto bizzarra laicità dell’uomo, anche considerando che dubita abbia preso i voti monastici per pura devozione, non può nemmeno scartare l’ipotesi più logica.

Perciò, è con aspettativa a malapena sopita che bussa alla porta di Bambinella, accompagnato dal sospiro pesante di Maione.

L’uscio si schiude rapido.

«Brigadiere, commissario! Che piacere che mi fa–»

«Taglia corto, Bambine’,» la tronca Maione, con vigoroso segno di farsi indietro per lasciarli scendere nel basso, «e facciamo una cosa ampressa ampressa

Bambinella punta un pugno contro in fianco, stizzita, le falde dell’ampia e lunga casacca nera di foggia orientale che fremono a quel movimento.

«Facimmece a croce! Voi le buone maniere non sapete manco dove stanno di casa.»

«Maio’, un po’ di creanza, suvvia,» lo riprende sottovoce Ricciardi, scambiando un sorrisetto con lei e rimediandosi una stilettata d’occhi dal brigadiere. «Buongiorno, Bambinella.»

«Buongiorno, commissa’; almeno, a voi v’hanno educato. Entrate, entrate,» li incita poi, scendendo svelta le scalette con un ciabattare di pianelle, «ché qua la gente chiacchiera.»

Ricciardi non se lo fa ripetere, anche se delle chiacchiere non deve preoccuparsi più di tanto, al momento: il danno è ormai fatto. Maione, invece, gli sembra nervoso. Si risistema la fascia della divisa e la fondina al fianco, scrutandosi attorno con sospetto. In effetti, ha tutte le ragioni, da uomo sposato e con figli, a non volersi far vedere in compagnia di un femminiello; per quanto la loro appaia comunque chiaramente come una visita ufficiale e non di piacere.

Una volta scesi nel basso, sempre avvolto da una fragranza dolciastra di gelsomino, Maione si fa paradossalmente più disinvolto: si piazza seduto al tavolino della cucina, puntella un gomito sull’angolo e piazza il berretto di fronte a sé, su un centrino, in una sequenza di gesti fluida e priva d’esitazioni, come se vi fosse abituato. Solleva poi di scatto lo sguardo su di lui, come ricordandosi della sua presenza, e fa per alzarsi in piedi e cedergli il posto a sedere. Ricciardi alza pacato un palmo a fermarlo.

«Non m’aspettavo di rivedervi oggi,» asserisce Bambinella, poggiata allo schienale della sedia e adocchiando interrogativa il brigadiere.

Lui, di tutta risposta, sgrana gli occhi e la squadra in cagnesco. Ricciardi si vede fissare da lui per un istante, forse in cerca di supporto; cosa che non offrirà, perché gli sembra che il brigadiere e il loro informatore abbiano già una consolidata dinamica di coppia in cui non ha intenzione di mettere dito. In quel mentre, Bambinella si affretta a continuare, civettuola:

«Pensavo di vedervi già ieri, brigadie’, visto quando gradite la compagnia mia.»

Una vena fa capolino sulla tempia di Maione.

«Bambine’, sta’ attenta a te e a quella tua boccaccia.»

«Vabbuò, non vi scaldate,» replica serafica lei, scivolando a sedere sulla sedia di fronte a lui. «Se preferite, parliamo del caso, visto che m’è parso delicato assaje.»

«Delicato è delicato,» replica in fretta Maione, risistemandosi sulla seduta con un cigolio acuto, «quindi sarà meglio che tu abbia qualcosa, come spera il commissario, o qua stiamo solo perdendo tempo.»

Bambinella alza gli occhi al cielo, un braccio poggiato mollemente sullo schienale, e si risistema una corta ciocca mora dietro l’orecchio.

«Brigadie’, per cortesia! Agg’ perso pure cento lire pe’ vuje, tre clienti,» e alza tre dita ossute, «a forza di fatica’ per conto vostro.»

«E sarebbe pure ora, che faticassi un poco!»

Ricciardi tronca il bisticcio, per quanto entrambi i partecipanti sembrino calati di tutto punto nel proprio ruolo e, anzi, sembrino quasi godersi la parte.

«Bambinella,» dice soltanto, in tono fermo. «Il Munaciello.»

«Sì, scusate, è che il brigadiere mi distrae,» trilla lei, con uno svolazzo lascivo di ciglia nella sua direzione che causa una smorfia insofferente nell’uomo.

A quel punto, però, Bambinella si fa seria. Accavalla le gambe smilze e liscia le pieghe della sua veste damascata, avvolgendosi in uno scialle a coprire lo scollo, con palpabile sollievo di Maione.

«Mi chiedete d’o Munaciello, ma di Arturo Esposito immagino sappiate già tutto,» proferisce infine, con assoluta nonchalance.

Un altro cigolio segnala l’agitarsi irrequieto di Maione sulla sedia.

«Tutto e niente,» conferma Ricciardi, affatto stupito che sia risalita al loro uomo, ma nondimeno impressionato dalla sua celerità. «Ciò che ci manca è l’identità della madre di Annina, ma su questo saprai di certo ragguagliarci tu. O sbaglio?»

Bambinella strizza le labbra, oggi tinte di uno scuro vinaccia, così come il trucco che le illumina gli occhi a mo’ di cupa farfalla, che batte le ali assieme alle sue ciglia lunghe e bistrate.

«Vi direi che avete un gran fiuto, ma non ci vuol molto a capire che, con uno sciancato, è difficile che voglia andarci qualcuna fuori da un bordello.»

«Quindi, come supponevo, la madre di Annina era una donna di piacere?»

Bambinella annuisce lenta, per poi inclinare il capo.

«Lo è ancora, se è per questo.»

«È viva?»

Bambinella fa spallucce alla sua sorpresa.

«Mo’ tiene ‘o ‘mbrellino ‘e seta, però sì. Pare sia viva.»

Maione strabuzza gli occhi, serrando le dita tozze sul berretto in un moto di rabbia mista a stupore. Ricciardi stesso non può fare a meno di accigliarsi. La madre di Annina doveva essere morta di parto o in tenera età della bambina; almeno, così aveva logicamente ritenuto. In nessuna variabile aveva pensato che potesse essere ancora viva, soprattutto se era una prostituta e soprattutto se in un bordello.

Le case chiuse sono di norma preparate all’eventualità di una gravidanza accidentale: o scacciando la donna incinta, o premurandosi di interromperla o, in casi molto più rari, ospitando la madre fino al parto, dando poi in adozione il nascituro. In ogni caso, il fatto stesso che Annina fosse nata e poi rimasta sola col padre, seppur poi costretto ad affidarla all’Annunziata, corroborava l’ipotesi che la madre avesse lasciato il bordello, o che ne fosse indipendente, e che Esposito non l’avesse abbandonata a se stessa.

Sopprime un sobbalzo, arrivando all’unica altra conclusione logica: questo non escludeva il contrario.

«Ha partorito e ha poi abbandonato la figlia con Esposito?»

Credeva di aver parlato in tono normale, ma solo sulle ultime sillabe si rende conto che la voce gli è uscita in un sibilo contratto, quasi quanto i pugni di Maione sul tavolo. Bambinella abbassa lo sguardo e, con le unghie smaltate, stuzzica il merletto bucherellato del centrino.

«Così pare,» risponde, ogni traccia di brio e frivolezza sostituita da una sobria mestizia. «Conosco una sua “collega” dell’epoca. Ha detto solo che Gabriella, così si chiamava, se n’è andata dal bordello con lo zoppo, non s’è vista per un anno e poi è tornata, come se niente fosse. Non ha mai menzionato Annina.»

«Nella foto che abbiamo visto, da sola con suo padre, la piccirilla aveva quattro o cinque mesi al massimo,» dice Maione, sembrando assente. «Se l’ha abbandonata allora o poco prima, contando pure la gravidanza, un anno d’assenza coincide perfettamente.»

Ricciardi annuisce tra sé, serrando la mandibola in un ritmo forzato. Forse, il fatto di non aver preso in considerazione l’idea che la madre di Annina fosse viva non era un qualcosa dettato da mera logica, ma dal fatto che pensare quella bambina abbandonata persino da chi l’aveva messa al mondo fosse un pensiero troppo gravoso da sostenere. Si scopre a pensare, dandosi del meschino, poiché non conosce ancora tutte le circostanze, che avrebbe forse preferito saperla morta.

«Sai dov’è questa Gabriella, adesso?»

«Ah, lei s’è sposata,» prorompe con improvvisa stizza Bambinella. «S’è sposata con un magnarecotta, però, e mo’ sempre la zoccola fa, ma in casa sua e con chi dice lui. Se n’è ghiuta a Posillipo coi ricchi, m’hanno detto, ma non ho chiesto di più.»

A Ricciardi pare chiaro che Bambinella non sia affatto disposta a indagare ancora su quella storia, a meno di loro richiesta esplicita, e non può nemmeno darle torto. Non pensa nemmeno che glielo chiederà: c’è qualcosa, negli occhi di Bambinella, che lo spinge a non insistere. È una rabbia troppo acuta, la sua, per essere dettata unicamente dal disgusto per una persona sconosciuta, per quanto dalla morale sindacabile.

Incrocia per un battito di ciglia il suo sguardo, gli occhi quasi neri resi più caldi dalle ombre di trucco sfumato, e vi trova un brillio addolorato, più che irato. Non sa molto di Bambinella, ma immagina da sé che una madre, se mai per lei c’è stata, non avrebbe gradito la condotta di vita e le inclinazioni di un figlio degenerato agli occhi del mondo. Ci sono molti tipi di abbandono, ed è convinto che Bambinella li conosca tutti intimamente.

«Non abbiamo tempo o modo d’indagare fino a Posillipo, adesso,» dice allora, conciliante, «e, date le premesse, mi riservo di pensare che Gabriella non sia coinvolta negli ultimi eventi, né che sia informata su Esposito o su Annina. Quanto ai dettagli circa la vicenda tra lei e Annina, potrò sempre chiederli direttamente a Esposito.»

«Contate di trovarlo presto?»

L’espressione di Bambinella si distende, non però meno attenta.

«Il commissario ritiene che sia sensato cercarlo a ‘e Funtanelle. Tu ne sai qualcosa?»

Lei inarca le sopracciglia sottili in un moto interdetto, per poi annuire tra sé.

«No, ma se davvero sta là, capisco perché non ne so niente,» commenta soltanto. «Non è un luogo di cui si chiacchiera molto. Per rispetto, ché i morti poi non parlano più.»

Ricciardi, involontariamente, serra le mani sulle braccia in un moto affatto naturale, le dita che affondano nella stoffa del soprabito come morse. Sfiata in silenzio dal naso, sentendo quelle parole battergli sui timpani. Si astiene dal chiedere altro.

Dalle poche parole che ha spiccicato in merito Maione, quel luogo, il “Cimitero delle Fontanelle”, sembra immerso in un qualche velo mistico e diafano; uno dei tanti posati su Napoli, attraverso i quali si coglie tutto e niente, ma sempre in modo estremamente vivido. Così come fa spesso lui con i suoi fantasmi.

«Su Esposito non so dirvi molto di più,» lo distoglie Bambinella, storcendo un sorrisetto saputo, «però, m’hanno detto che tal Corrado Sannio...»

«Il portiere di casa Gigliolo? Quello che diceva d'aver visto Annina?»

Maione anticipa la sua domanda, chinandosi appena sul tavolo.

«Lui ovrero. Oltre che stare più lercio che sobrio da tre giorni e più, mo’ è passato pure a divertirsi qua intorno e a dar aria alla bocca.»

«Quindi?» la incalza Ricciardi. «Che avrebbe detto d’interessante?»

«Un sacco di cose, commissa’: pure che, la notte che hanno accoppato Gigliolo, lui non stava davvero di guardia, perché proprio Gigliolo l’aveva liberato per quella sera.»

Ricciardi si acciglia, un fiotto d’interesse che gli accende le sinapsi. Ricorda a malapena quel Sannio, uno dei domestici e dei primi interrogati di quel caso: un uomo del tutto anonimo che non aveva suscitato in lui una particolare impressione. Proprio il tipo di uomo di cui, in circostanza d’indagine più normali, non si sarebbe dimenticato facilmente; ché la tendenza a cercare il colpevole nell’insolito e non nel mondano si rivelava spesso errata.

«E lo va a dire in giro così, senza curarsi d’essere sentito?»

Bambinella strizza le labbra con sufficienza.

«Commissa’, chisto è l'urdemo lampione 'e Forerotta...»

«Non è una cima,» gli lancia sottovoce Maione, anticipando la sua perplessità.

«Forse, allora, conviene che facciamo un’altra chiacchierata con lui,» conclude Ricciardi. «Magari, gli passa la voglia di dir fesserie alla polizia.»

«Lo trovate al bar di Gaetano, sta a due passi da qua. Sennò, starà con una delle mie colleghe.»

«In tal caso, ci asterremo dall’importunarlo,» ribatte fermamente Maione, e l’occhiata che lancia a lui è un silenzioso invito a terminare lì quel giro per postriboli.

Ricciardi non risponde: a questo punto, sarebbe disposto ad andare a cercare indizi pure all’Inferno.

Si congedano da Bambinella e, mentre Maione schiva le sue moine e si fionda su per la scalette con un concitato “lassame, Bambine’”, Ricciardi si trattiene qualche istante di più per ringraziarla.

«Commissa’,» lo richiama lei, quando già ha un piede sul secondo scalino.

Lui fa cenno a Maione, già in cima e oltre la soglia, di aspettarlo fuori. Ridiscende i due gradini, in attesa. Bambinella veste un’espressione insolitamente tetra, accentuata dal trucco e dagli zigomi spigolosi. Come poco prima, sembra aver smesso per quei brevi momenti i suoi panni eclettici e chiassosi, lasciando spazio a una vena più raccolta e quieta.

«L’ha ammazzata suo padre, Annina. Vero?»

Lo chiede senza alcuna intonazione, né esternando il minimo tentennamento. Quasi fosse rassegnata a sentire una risposta che già si aspetta.

«Sospettiamo di sì,» risponde altrettanto laconico, senza alcuna voglia di addentrarsi nell’argomento.

Bambinella tace brevemente, ma sembra comunque un silenzio eterno, dilatato ai limiti del sopportabile. Poi, scuote la testa, gli occhi bassi e adombrati, senza aggiungere altro in merito.

«Il dottore vostro, invece, come sta?»

Accenna con un dito al cerotto sul suo volto: un’aggiunta vistosa, rispetto all’ultima volta che si sono visti. Ricciardi trattiene un fremito sorpreso, nonostante Bambinella abbia parlato sottovoce. Si lancia una fugace occhiata alle spalle, ma Maione è già uscito, accostando la porta dietro di sé.

Prova l’impulso insano, per un istante, di confidare tutto a Bambinella; dal ricatto di Falco, al litigio con Bruno, alla minaccia di perdere il suo ruolo. Gli sembra che potrebbe capire tutto, di quella faccenda così intricata; e allo stesso tempo non conoscerlo abbastanza da poterlo scrutare troppo a fondo.

«Sta bene, per ora,» risponde invece, altrettanto piano, «ma avevi ragione e quel debito di cui parlavi sono venuti a riscuoterlo, alla fine.»

Non c’è nemmeno bisogno di dire altro, in verità: sa che Bambinella può immaginarsi fin troppo bene che la situazione, sua e di Bruno, non è affatto rosea, né potrà mai esserlo. Sa che glielo legge negli occhi e di non poter nascondere la scintilla d’apprensione che vi brilla insistente da giorni.

Lei sospira a labbra compresse, stinte, scrutandolo con occhi acuti.

«Stateve accuort’, tutt’e due,» si limita a dire infine, per poi fare un cenno sbrigativo della mano verso la rampa. «Sciò, adesso, sciò, ché le guardie mi fanno scappare i clienti.»

Ricciardi abbozza un sorriso venato di tristezza e si affretta a uscire.

Raggiunge Maione che fissa prima lui, poi la porta con fare interrogativo; al contempo, sembra assorto in altro. Lui scrolla le spalle in risposta, incamminandosi poi per primo nella direzione del bar di Gaetano. Il brigadiere lo segue con un istante di ritardo.

«Vediamo se Sannio è già a gozzovigliare; poi, in ogni caso, andiamo dritti filati a queste Fontanelle. E non facciamo troppo scalpore: non voglio mettere in mezzo altri poveracci, per quanto dalla dubbia mora–»

Ricciardi s’interrompe di colpo nel girare il capo verso Maione, cogliendolo nell’atto di asciugarsi una vistosa lacrima sulla guancia, senza per questo scomporre un singolo muscolo del viso o rallentare il passo.

«Oh, Raffae’.» Ricciardi gli preme una mano sulla spalla, fermando entrambi in mezzo a un vico deserto. «Che ti prende?»

Maione non lo guarda, rivolto fisso davanti a sé. Si stropiccia gli occhi con pollice e indice, ritraendo i polpastrelli visibilmente umidi.

«Niente, commissa’. Scusate,» dice, con voce oscillante e schivando il suo sguardo. Tira un respiro umido, per poi gettarlo fuori con forza: «È solo che penso ad Annina e inizio a chiedermi se ci sia stata una persona, solo una, che a quella povera criatura abbia voluto almeno un poco di bene in vita sua.»

Ricciardi china appena il capo. A quelle parole, può solo tacere, accettandone il desolante vuoto che gli causano al centro del petto. Stringe la spalla di Maione attraverso la divisa.

«Possiamo almeno darle giustizia, Raffaele. So che non è molto, ma deve pur valere qualcosa. In qualche modo, lei lo saprà.»

Maione annuisce, di nuovo stoico; a un incoraggiamento che per lui suonerà vano, scialbo, ma che per Ricciardi ha il suono della voce di un fantasma che, finalmente, si quieta. Annina lo saprà. In questo, almeno, ci crede davvero.

«Lo spero, commissario.»

Riprende a camminare per primo, a falcate ampie e lente. Ricciardi lo segue, le mani affondate nelle tasche a celare le dita contratte.

Non gli dirà mai che Annina era venuta a cercare lui, quella notte. Un completo sconosciuto, nemmeno mai visto in volto, e che, però, le era sembrato molto più affidabile di chiunque altro l’avesse mai accudita. Al punto che la sua voce, ignorando qualsiasi legge non scritta di quel mondo evanescente in cui si trova immerso, l’aveva raggiunto fin da sottoterra, aggrappata all’ultimo refolo di speranza e fiducia che aveva ancora nel mondo.

Ricciardi, per l’ennesima volta da quando l’ha udita, prima, e da quando l’ha vista, poi, raccoglie quella fievole scintilla nell’alcova dei suoi palmi, a proteggerla dal vento che tenta di spegnerla.


 


Note dell'Autrice:
Cari Lettori,
rieccoci tornare in carreggiata sui binari dell'indagine!
So che, forse, vi stavate chiedendo appunto della madre di Annina, e spero che questo capitolo vi abbia dato almeno qualche risposta. Verrà tutto approfondito, non temete; e se un paio di passaggi vi sembrano "strani", è assolutamente voluto.
Corrado Sannio è una figura assolutamente secondaria e volutamente sfuggente, di fatto non appare né apparirà mai "a schermo", ma sentitevi liberi di dirmi se questa cosa funziona o meno. Nella mia testa, non è rilevante conoscerlo o presentarlo, però è anche chiaro che io so dove sta andando la storia e voi no :')
Ora, vi consiglio vivamente di non cercare cosa sia il Cimitero delle Fontanelle, se già non lo conoscete. In primis, perché vi rovinereste la sorpresa e poi perché mi sono presa svariate libertà in merito (se può Dan Brown, posso pure io ahahah).
Trovate la spiegazioni delle espressioni in napoletano a più di pagina ;)
Grazie per aver letto e a tutti coloro che continuano a seguire e commentare questa storia! ♥

-Light-

Note al testo:

- ampressa ampressa: di corsa, veloce
- Facimmece a croce!: cominciamo bene!
- tenere 'o 'mbrellino 'e seta: essere una prostituta d'alto borgo
- magnarecotta: pappone, mezzano
- se n'è ghiuta: se n'è andata
- l'urdemo lampione 'e Forerotta: lett. "l'ultimo lampione di Fuorigrotta". Questo lampione era targato "6666" che, nella smorfia napoletana, vuol dire "quattro volte scemo".

 

   
 
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