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Autore: Rahel Frieden    20/04/2024    0 recensioni
Nel momento in cui suo padre la fa convocare per un incontro urgente, Aida Musaeva sa che il suo destino sta per compiersi, e la sua vita a Zvedza sta per finire. Non è bella come le se sorelle e sa di essere l'ultima scelta per le alleanze del principe, ma è pronta ad accettare il proprio fato...
- Prequel del romanzo Il custode di Kallestandt -
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Lauthar si staccò da lei, fece un passo per allontanarsi.
Aida abbassò la gonna e scese dalla scrivania su cui lui l’aveva fatta sedere.
Il suo comportamento non era adatto alla promessa sposa di uno dei conti del Bezirsten. Avrebbe dovuto smettere di vedere Lauthar, di farsi prendere, di accendere la luce sulla sua finestra per indicargli che poteva farle visita.
Avrebbe dovuto far rimuovere anche la pietra della luna dal proprio corpo, perché il suo futuro sposo avrebbe voluto degli eredi, ed era suo dovere darglieli. Poco importava che lei non li volesse. Una volta messo piede in Bezirsten, niente di quello che voleva lei sarebbe più importato.
Non è già così? si domandò.
“Il Bezirsten… è ben lontano” disse Lauthar. Si stava allacciando i calzoni. Si avvicinò al suo tavolo da toeletta e prese a sistemarsi i capelli.
Non sembrava che gli dispiacesse granché. 
Aida ingoiò bile. Sarebbe stato ingiusto chiedergli come mai sembrasse così spensierato, mentre affrontavano la sua imminente partenza?
Sapeva che Lauthar non la amava, e nemmeno lei amava lui, ma credeva che almeno si sarebbe dispiaciuto un po’, a quella notizia.
“Partirò alla fine dell’anno, in modo da poter arrivare nei primi giorni del prossimo.”
A malapena tre lune… Non era molto.
Era decisamente poco.
“Mi dispiace, Aida. Ma è il tuo dovere, sapevamo che sarebbe successo.” 
Le si avvicinò, la prese tra le braccia.
Era poco più alto di lei. Si guardarono negli occhi e Aida si chiese se davvero ci fosse un po’ di affetto nei suoi confronti, in quelli di lui.
Forse era lei che interpretava male; era ancora sconvolta per la notizia che le avevano dato, e riversava la propria frustrazione su Lauthar. Non era corretto.
“Sì, questo è vero” mormorò. Chinò lo sguardo. Lauthar le posò un bacio sulla fronte.
Aveva caldo. Lauthar era un amante focoso e anche se non era del tutto soddisfatta, avrebbe avuto voglia di fare un bagno e andare a dormire.
“Andrà tutto bene, Aida. Magari potrò far parte della guardia che ti accompagnerà in Bezirsten.”
Aida sbuffò, si divincolò dalla sua stretta e si avvicinò alla finestra.
“Per fare cosa? Infilarti nel mio letto mentre sono ospite dal mio futuro marito?”
“Pensi che il tuo futuro marito starà lontano dai letti delle altre solo perché sei lì?”
Questa volta non se l’era immaginato, Lauthar aveva parlato con acidità e risentimento.
“Se ha un po’ di onore, lo farà.”
“Spero che ce l’abbia” replicò lui. La raggiunse.
“Sta’ lontano dalla finestra. Non devono vederti.”
Lauthar fece un passo indietro.
“Se è un uomo sano e normale, finché non sarete sposati non ti potrai aspettare alcuna fedeltà da lui. E dopo, chissà? È giovane?”
Aida assottigliò gli occhi.
“È questo che pensi? Che nessun uomo sia in grado di mantenersi fedele alla propria sposa?”
Oh, spiriti e antenati, perché mai si infervorava per una sciocchezza simile? Non le importava cosa facesse il conte Konigsmann e anzi, più lontano stava da lei, meglio era.
“Non sto dicendo questo.” Lauthar assunse un tono più pacato.
Adesso, nella luce fioca che entrava dai lampioni del giardino fino alla sua stanza, le sembrava di vedere un’ombra di commozione dei suoi occhi.
Sospirò, si passò una mano sul volto.
“Perdonami. Sono molto nervosa. Sapevo che questo momento sarebbe arrivato, ma… Non lo rende più facile. Speravo di avere più tempo.”
Era stata una sciocca.
Gli sorrise e lui contraccambiò.
“Ma certo, lo capisco. Anche per me è difficile, Aida. Avrei sperato che accadesse mai, ma non possiamo fingere di non averlo saputo.”
Si allontanarono insieme dalla finestra, fino al bordo del letto di lei. 
Aida gli mise le braccia attorno al collo e lui la strinse a sé. Le baciò il collo, le carezzò i lunghi capelli fino alla base della schiena, e poi più giù.
“Godiamoci il tempo che abbiamo insieme, d’accordo?” le sussurrò all’orecchio.
Si piegò in avanti verso di lei e con quel movimento la costrinse a inclinarsi all’indietro, fino a lasciarsi cadere sul materasso. Le braccia forti di Lauthar attutirono il suo movimento.
Le fece scorrere le mani sui fianchi, fino all’orlo della gonna.
La sollevò, scoprendola di nuovo. Aida lo lasciò fare. 
Aveva ragione lui, non avevano così tanto tempo. Era meglio passare bene quelle tre lune dividendo il letto con un uomo che le piaceva, invece che piangere nell’attesa di un altro uomo che non conosceva e che non desiderava.
Lauthar si slacciò i calzoni. Aida abbassò lo sguardo sul suo corpo.
Era già pronto per lei, per farla sua un’altra volta quella notte.
Non che servisse a qualcosa.
“Non pensarci, Aida” le mormorò all’orecchio. La sua voce era roca, il fiato caldo contro la sua pelle. Premette il bacino contro il suo e si strusciò su di lei. “Pensa a quello che abbiamo adesso.”
Non riusciva a dormire.
L’aria che entrava dalla finestra portava il profumo del mare. 
Chiuse gli occhi, poggiò entrambe le mani sulle ginocchia accavallate, inspirò a fondo il profumo di Zevdza. 
Chissà che profumo avrebbe avuto il Bezirsten. Lì c’erano boschi, montagne, neve. Sarebbe stato un mondo diverso da scoprire. Magari le sarebbe piaciuto.
I capelli ancora umidi dopo il bagno le gocciolavano sulla schiena.
Lauthar se n’era andato parecchio tempo prima, lasciandole il tempo di sistemarsi e di dormire in vista della giornata che l’aspettava l’indomani, ma la sua mente non voleva saperne di collaborare.
Aprì gli occhi, si alzò, raggiunse la scrivania su cui aveva poggiato il ritratto del conte. Shanna Konigsmann.
Il suo futuro marito.
Si sedette sul bordo del letto con la tela tra le mani. 
Non puoi decidere quello che ti succede, passerotto, ma puoi decidere come reagire.
Non era quello che Yarmilla le ripeteva in continuazione, quando la sua mente prendeva strade da cui avrebbe fatto meglio a stare lontana?
Studiò il volto dell’uomo con cui avrebbe dovuto condividere il resto della vita.
Non era bello come Lauthar, ma era più carino del marito di Olga, anche se non quanto quello di Nadia. Se non altro, era molto più giovane di tutti e due.
Aveva gli occhi neri come le perle d’onice che commerciava suo padre, lunghi capelli biondi e il volto allungato e scarno.
La sua espressione sembrava gentile. Doveva esserlo. 
Si stese e poggiò la tela sul cuscino accanto al suo. Chiuse gli occhi. 
Lo sciabordio delle onde di sottofondo la rilassava.
Magari il suo incontro con Shanna sarebbe stato come quello dei suoi sogni di bambina, in cui suo marito l’avrebbe accolta con un sorriso, e le avrebbe dato doni bellissimi. Le avrebbe detto parole dolci, e le sue mani sarebbero state gentili.
Da bambina non sapeva che cosa sarebbe successo tra moglie e marito, ma ora che aveva un’idea molto più chiara e qualche esperienza a riguardo, sperava che almeno sarebbe stato delicato, attento a lei.
Sarebbe stato diverso dai mariti delle sue sorelle, ne era certo.
Le comparve davanti come una visione il volto allegro di Rozaliya, i suoi capelli biondi, gli occhi azzurri. Non assomigliava nemmeno alla sorella che aveva tanto amato, quando, il giorno dell’addio, l’aveva vista stesa sul tavolo freddo del demiurgo.
Gli occhi le si riempirono di lacrime, le si formò un nodo in gola.
Il diamante funebre di Rozaliya aveva la forma di un serebrino in volo, le ali spiegate. Si reggeva in equilibrio su zampette delicate, proprio come erano state le belle mani di sua sorella mentre era viva.
Cercò di soffocare i singhiozzi contro il cuscino, anche se nessuno se ne sarebbe accorto in ogni caso.
Aveva sperato, come una sciocca, che dirlo a Lauthar avrebbe cambiato qualcosa. Sapeva che non sarebbe successo, ma la speranza che aveva in petto era irrazionale.
Pianse fino a che non sentì le membra intorpidite e le palpebre che iniziavano a farsi pesanti. Quando alla fine calmò i singhiozzi, la sua mente era stanca.
Si arrese al sonno che la stava cogliendo, il rumore della risacca che la cullava.

 
   
 
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