Anime & Manga > Saint Seiya
Segui la storia  |       
Autore: Francine    23/04/2024    1 recensioni
Milo Papadopoulos, rampante chef, re dei social network e host di innumerevoli programmi sulla cucina, ha indetto un concorso per trovare un dolce che incarni la vera essenza di S. Valentino. E un bel giorno nella sua casella di posta elettronica trova la candidatura del Cafè Verse-Eau, elegante locale di Parigi, a Montmartre, a due passi dal Sacro Cuore e dal Carousel des Abbesses.
Peccato che Étienne Arnoul, il giovane proprietario del Cafè, non solo non badi molto alla promozione sui social, affidandosi al traffico di turisti che affollano Montmartre, ma non abbia neppure candidato il proprio locale alla singolare tenzone...
Genere: Commedia, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Crack Pairing | Personaggi: Aquarius Camus, Cancer DeathMask, Capricorn Shura, Pisces Aphrodite, Scorpion Milo
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
18.


 

«Che cazzo ci fai qui?»

«Con che faccia mi chiami amore

«Chi ti ha detto che ero qui?»

 

Queste ed altre domande simili si andavano affastellando nella mente di Rodrigo mentre fissava Aiolia sulla soglia di un monolocale nel cuore di Pigalle. Domande legittime e sensate da porre ad un desaparecido che ritorna, come se niente fosse, dopo essersi lasciato alle spalle null’altro che macerie e detriti.

Ma Rodrigo taceva. Qualcosa si era inceppato lungo il tragitto tra il cervello e la lingua; e lo fissava a bocca aperta ed occhi smarginati, come se davanti a sé avesse un alieno appena sbarcato da Plutone – o da un paio di sistemi solari più in là – per fare rifornimento di carburante a buon mercato. O chiedere la strada per il Quadrante Gamma. 

Aiolia sorrideva di rimando, beandosi dell’effetto che aveva avuto sul suo – ex – amante. 

«Non sai quanto mi sei mancato…», disse, con un sospiro profondo, la voce bassa e lo sguardo carico di promesse d’amore.

«Cosa vuoi?»

 

Secco, gelido e implacabile, Rodrigo aveva alzato un muro tra sé e il suo ex fidanzato. Perché quello che aveva davanti a sé, no, non era il suo Aiolia. Non era il ricordo - abbellito ed infiocchettato all’occorrenza - dell’uomo che lo aveva fatto convertire all’altra parrocchia, lo aveva fatto sentire amato, e poi gli aveva spezzato il cuore senza fermarsi a pensare alle conseguenze. L’uomo che gli stava davanti aveva tutti i contorni di un estraneo, di qualcuno in cui si può incappare per caso in metropolitana, nello studio del dentista o in fila alle casse del supermercato.

E la Domanda, quella con dignità di maiuscola, che premeva, disperata, per affiorare sulle labbra di Rodrigo, era una sola.

«Chi sei tu?»

 

Possibile che nell’ultimo anno avesse amato e rimpianto un’idea platonica?

Possibile che avesse rincorso il fantasma dell’Aiolia che lui aveva voluto vedere, anche quando il diretto interessato aveva mandato in frantumi quell’illusione con una pallonata ben piazzata?

Possibile che quell’Aiolia – il fidanzato innamorato, premuroso, appassionato e un’altra mezza chilata di aggettivi strapositivi – non fosse mai esistito, se non nella mente di Rodrigo?

The beauty is in the eye of the Beholder, sussurrò la voce sorniona di Marco, tornata a farsi sentire; e Rodrigo riuscì a percepire l’aroma delle sue sigarette, in un modo così preciso da risultare doloroso.

 

«Possiamo parlare?», chiese - supplicò - l’estraneo con le fattezze di Aiolia.

«No», rispose Rodrigo. «Non c’è niente da dire.»

«Non è vero!», protestò Aiolia, facendosi avanti e serrando le dita attorno al legno della porta. Per non farsela sbattere in faccia. «Io… io devo parlarti.»

«Io no», ripeté Rodrigo. E fece per chiudergli, una volta per tutte, la porta in faccia. Dita o non dita.

«Rodrigo, ascoltami!»

«Sta’ zitto!» 

Rodrigo si fece avanti, la maniglia stretta nel pugno e l’espressione dura.

«Hai avuto tempo, per parlare. Tutto il tempo del mondo», sibilò. «Adesso è tardi, non credi?»

«Agapi mou», insistette Aiolia, spingendo contro la porta. «Dammi solo un minuto.»

Un soffio di fiato, un attimo ancora!, canticchiò la voce sguaiata di Marco, e Rodrigo se lo immaginò intento a insaponarsi la barba, allo specchio, di domenica mattina, la radio accesa e il lavandino colmo di acqua calda.

E Rodrigo seppe con assoluta certezza che, se non l’avesse fatto entrare, Aiolia si sarebbe seduto sullo zerbino, spalle alla porta, e avrebbe dato fiato alle trombe lì, su quel pianerottolo, in barba ad ogni pudore ed ogni decenza. E fanculo quello che avrebbero pensato i vicini.

Così Rodrigo sospirò, si fece da parte e lo fece passare. Chiuse la porta.

«Mezzora. Non un» secondo di più, ma anche quella frase rimase a metà strada tra il cervello e la bocca di Rodrigo. Aiolia lo aveva abbracciato, attirandolo a sé e affondando il viso contro la sua nuca, le mani che vagavano sul suo petto come se quel contatto gli fosse necessario

«Quanto mi sei mancato…», gli sussurrò all’orecchio, a fior di pelle, mentre il suo profumo invadeva i sensi di Rodrigo per andare a piantarsi dritto dritto nel cervello, senza chiedere permesso.

Com’è strana la vita. Per quanto tempo aveva sognato quell’abbraccio, quel calore, quel respiro, quel profumo accarezzargli la pelle e l’anima, rincorrendone il ricordo che andava sbiadendo giorno dopo giorno?

E adesso che finalmente – finalmente?! – quell’abbraccio, quel calore, quel respiro e quel profumo lo stavano avvolgendo, ancora una volta, cosa ne ricavava Rodrigo?

Non sollievo, non soddisfazione, non il cuore spaccato in due come una mela dalla più pura felicità, ma una sorta di oppressione. Come se le maglie di una rete di filo spinato si fossero chiuse – serrate – attorno al suo corpo.

Questo era Aiolia: un fuoco indomabile che non chiedeva permesso e bruciava con lo stesso splendore del Sole. E Rodrigo aveva visto le proprie ali di cera sciogliersi senza pietà già una volta, per voler ripetere l’esperimento. Con un gesto brusco si liberò da quella presa di sottomissione, e fissò Aiolia in cagnesco.

«Perdonami», e se Aiolia si stesse riferendo alla propria irruenza o all’averlo piantato in asso per correre da Quella Là, non era chiaro.

«Hai mezzora di tempo per dire quello che devi dire», gli ricordò, serrando i pugni e mettendo la giusta distanza tra di loro. Prese lo smartphone e fece partire il timer. «Spicciati. Il tempo vola.»

«Sul serio?»

«Sul serio.»

 

Aiolia sorrise.

Le mani in tasca e l’aria divertita, disse: «Sapevo che non mi avresti accolto a braccia aperte. Ho calpestato il tuo orgoglio, dopo tutto…».

Ti ci sei pulito il culo, pensò Rodrigo; ma tacque. Dare corda ad Aiolia era quello che lui voleva. E sarebbe stato molto, molto pericoloso, perché Aiolia era un maestro nel rigirare le frittate, specialmente quand’era lui, Aiolia, ad avere torto marcio.

«Ho commesso un terribile sbaglio», ammise Aiolia, lo sguardo spaurito cui ricorreva quando voleva farsi perdonare l’ennesima cazzata.

E te ne accorgi dopo un anno?!, pensò Rodrigo, in una delle tante – perverse – rotatorie a senso unico del suo cervello.

E poi, nonostante tutte le buone intenzioni, non resistette oltre e lo disse: «E te ne accorgi dopo un anno?!».

Aiolia si strinse nelle spalle.

«Sono mortificato», disse. Come se fosse quella la formula magica che gli avrebbe concesso di tornare dal suo angelo del focolare. Focolare che Aiolia stesso aveva mandato in rovina prendendo la porta di casa e chiudendosela alle spalle, ma erano dettagli. Quisquilie. Piccoli incidenti di percorso.

«Lo so che adesso sei furioso», proseguì Aiolia, come se quella fosse una bagattella tra due sposini; una lite tanto futile quanto esagerata; una di quelle in cui ci si accapiglia per il cartone del latte rimesso in frigo rigorosamente vuoto o per i calzini abbandonati ovunque, tranne che nel cesto della biancheria.

«No, ti sbagli», lo corresse Rodrigo. «Io non sono furioso.»

 

Ed era la pura verità. 

Un dolore smarginato e abbacinante lo aveva avvolto non appena aveva sentito la porta chiudersi e l’ascensore scendere al piano terra, per l’ultima volta. Si era seduto sul pavimento, spalle al muro, e gli era sembrato di morire. Un attacco di panico in piena regola. Ma poi, quel dolore era passato. Tutto passa. E, un bel giorno, Rodrigo si era svegliato in preda ad una furia cieca e rancorosa, che aveva bruciato ogni ricordo – bello o brutto che fosse –, facendo piazza pulita del passato. Per rinascere. Per non morire avvelenato. E quando anche la rabbia s’era spenta, le ultime braci dissolte nel vento, era stata la volta di una cocente delusione.  Quali parole erano state vere? Quali, menzogne? Aveva creduto a tutto quello che Aiolia gli aveva detto; e lui, in quella storia sgangherata, ci aveva messo l’anima. Sul serio. Dal primo istante. E quando la giostra si era fermata e le luci si erano spente, Rodrigo si era accorto di quanto tempo avesse sprecato rincorrendo un sogno, un’illusione, una chimera.

 

«Sì, che sei furioso», ribatté Aiolia. Piccato, forse. Le cose non stavano procedendo come lui le aveva pianificate? «Devi esserlo. Con un carattere come il tuo…»

Ah, adesso è pure colpa mia?

«Se avessimo avuto questa conversazione un anno fa, non ti avrei fatto entrare. Anzi. Avrei chiamato la polizia. Perché sì, un anno fa ero furioso. Ma oggi, no. Oggi non mi interessa. È una storia vecchia, Aiolia.»

E quando quel nome rotolò tra lingua e labbra, Rodrigo sentì che un tappo saltare via, e tutto quel dolore ruscellare fuori. Lo stava abbandonando. Una volta per tutte.

«Mi hai perdonato?» Aiolia era raggiante. Come se avesse vinto il primo premio alla Lotteria di Capodanno.

«No.» Rodrigo si portò le mani sui fianchi. «Non ti ho perdonato. Sono andato avanti con la mia vita.» Come hai fatto tu con la tua, aggiunse, tra sé e sé.

Aiolia annuì. Confuso. No, le cose non stavano andando come le aveva preventivate, e questo lo lasciava spiazzato; ma Aiolia era sempre stato molto, molto bravo ad improvvisare. Forse anche troppo.

«Ruy…»

«Non chiamarmi Ruy!»

«D’accordo.» Aiolia alzò le mani. «Rodrigo, io non so da che parte cominciare…»

«La lista è lunga. E il tempo vola», disse, indicandogli il telefono.

Il viso di Aiolia si illuminò.

Sì, quel pazzo credeva che fosse tutta una questione di teatro, le paturnie di una mogliettina illividita che tiene il punto per far capire al proprio maritino che, no, non ci si comporta così, non si lascia l’asse del wc alzato, e io non sono mica la tua serva, e guarda che torno da mia madre; ma, sotto sotto, lei non vede l’ora che quella schermaglia finisca, lui le chieda scusa, e abbassino la luce, e facciano pace sotto le lenzuola. Fino alla prossima volta.

Così Aiolia prese un bel respiro, rilasciò l’aria e si preparò all’affondo finale.

«Ho commesso uno sbaglio. Un terribile, deprecabile, imperdonabile sbaglio

Pausa. «Non so perché sia successo. O meglio. Lo so. Le cose non andavano più bene tra noi…»

E ti pareva che non fosse colpa mia!, pensò Rodrigo. Mai e poi mai Aiolia si sarebbe assunto le proprie responsabilità. Lui non agiva, ma si limitava a reagire a ciò che facevano gli altri.

«Non che fosse colpa tua.» Come siamo magnanimi, pensò Rodrigo. «Ero io, io, IO, a non sapere cosa volessi. Quale direzione avrebbe dovuto prendere la mia vita.»

Mia. Non nostra. Mia.

«E poi è arrivata lei.»

Rodrigo, le mani sui fianchi, ascoltava ogni parola, intonazione, pausa.

Era sempre colpa di qualcun altro. Perché era palese che Quella Là gli avesse dato una padellata in testa o lo avesse irretito con chissà quale filtro magico, fattura, incantesimo. Povero, povero Aiolia. Era per questo che Leaphya non aveva neppure diritto ad essere chiamata per nome? Perché Aiolia, coscientemente o meno, stava ammettendo, in soldoni, di aver piantato baracca e burattini per un soffio di vento, un capriccio momentaneo.

 

E io mi sono consumato per uno così…

Era la mera constatazione dei fatti. Aiolia era una fiamma che ardeva per il puro gusto di brillare, alta e svettante, non per il lento e raffinato piacere di consumarsi assieme alla legna sottostante.

«Ho vacillato. Lo so. Lo so. Non avrei dovuto farlo. Mai e poi mai. E lo so. Ti ho spezzato il cuore. Ho calpestato il tuo orgoglio. Ed è questo, che mi fa male.»

Il mio orgoglio?, si chiese Rodrigo, sbattendo le palpebre.

«Leaphya sa che sei qui?»

E l’elefante in salotto si materializzò tra di loro.

«No», disse Aiolia, dopo qualche minuto, stornando lo sguardo sulla moquette. «Non sa che sono qui», senza specificare se con qui intendesse Parigi, oppure l’appartamento nel cuore di Pigalle.

«Come sarebbe a dire?» Rodrigo scosse la testa, incredulo. Da ex fidanzato ad amante. Fantastico! «Ma ti ha dato di volta il cervello?»

«Sono a Parigi per lavoro», specificò Aiolia. Senza chiarire quali fossero i suoi rapporti attuali con Leaphya. A Rodrigo quella ragazza fece una pena immensa, perché, come lui, anche lei era stata attratta dalla fiamma. Sperò solo che lei avesse avuto maggior giudizio, e si fosse liberata di Aiolia prima che fosse troppo tardi.

«Permettimi una domanda. Una sola.» Aiolia si fece attento, attentissimo. Annuì e Rodrigo continuò: «Come diamine hai fatto a trovarmi?».

 

Era quella, la domanda regina che Rodrigo aspettava di porre dal primo momento. Non i «Come hai potuto?!» o i «Non ti aspetterai che sia così semplice, vero?! Che tu schiocchi le dita e io torni da te, come un cagnolino, eh?!», che Aiolia aveva messo a bilancio nella sua personalissima ricostruzione degli eventi, no; nossignore. Il tarlo che girava e rigirava nella mente di Rodrigo era un più razionale e ragionevole «Come diamine hai fatto a trovarmi?»; perché lui era sicurissimo di: a) aver bloccato Aiolia in ogni modo possibile e immaginabile; e b) di aver detto solo e soltanto ad Aiolos della trasferta parigina per chiedere a quel santo di raccogliere la posta.

Quindi, chi era la talpa che lo aveva venduto al nemico?

Aiolia sorrise, un lampo bianchissimo venato di rimpianto.

«Ti ho visto su Instagram. Nelle stories di Milo Papadopoulos. Sai che gli ho mandato il curriculum e quello stronzo non mi ha mai risposto?» Altro sospiro. «Ti avrei riconosciuto in ogni modo. Pure sfocato. Eri ad un tavolo, lo sguardo sperduto e una tazza di caffè in mano.»

La foto scattata da Coco!

Aiolia prese lo smartphone, scartabellò per qualche istante e gli mostrò uno screenshot. La sua espressione da pirla al tavolo del Verse-Eau

«Quando ti ho visto, è stato come ricevere una pugnalata al cuore», confessò. «E, giorno dopo giorno, sentivo l’esigenza fisica di rivederti. Cristo santo, sarei morto se non ti avessi parlato un’altra volta!»

«Io intendevo sapere come hai fatto a scovare questo indirizzo», precisò Rodrigo, indicando il pavimento ai suoi piedi, e l’aria di chi già sa quale risposta stia per ricevere ma che, comunque, la vuole sentire lo stesso. Tanto per togliersi ogni dubbio.

«Ho rintracciato il tuo smartphone

 

Sganciò la bomba senza starci troppo a pensare. Rodrigo lo aveva colto con le mani nel barattolo della marmellata, tanto valeva ammettere e passare alla prossima mossa.

«Tu cosa?!», ringhiò Rodrigo.

Aiolia sospirò. Stava forse perdendo la pazienza?

«Lo so», disse, le mani aperte a mo’ di scudo. «Ho sbagliato, lo so.»

«Puoi dirlo forte!» Rodrigo era incredulo. Ma gli aveva dato di volta il cervello? «Cristo santo, ma lo sai che potrei denunciarti? Questo è stalking, Aiolia! Stalking. Lo capisci?»

«E tu lo capisci che non mi hai dato altra scelta?!»

«Pure? Adesso è pure colpa mia?»

«Mi hai tagliato fuori dalla tua vita!»

«Oh, scusami tanto!», lo rimbeccò Rodrigo. «Ma vorrei ricordarti che sei stato tu a prendere la porta di casa e ad andartene da Leaphya. Tu, Aiolia. Non io. TU!»

Aiolia alzò nuovamente le mani.

«Sì, è vero. Hai ragione.»

«Quindi che cazzo pretendi da me?!»

 

Rodrigo era a tanto così dall’afferrarlo per il collo e scaraventarlo giù per le scale, senza troppe cerimonie; anzi, avrebbe anche aggiunto un paio di pedate, per buona misura.

«Voglio solo parlare con te», ripeté Aiolia. Come un disco rotto. Come se il battere ossessivamente sullo stesso tasto avesse potuto farlo capitolare.

Rodrigo controllò l’orologio.

«Hai avuto la tua mezzora.» Mancava una manciata di secondi, ma era stato sin troppo generoso. Si diresse alla porta, pronto a spalancarla e a liberarsi di Aiolia una volta per tutte. Con le buone o con le cattive. «Adesso, togli il disturbo.»

«Chou chou…», le dita di Aiolia erano scattate attorno al suo polso. «Io ho bisogno di te…»

«Io, no.» Si liberò di Aiolia con un gesto secco. Poi gli intimò: «Prendi quella porta e vattene.». Pausa. «Non me ne frega un cazzo se ti sei pentito, se ti resta un mese di vita e vuoi la scopata d’addio, se Leaphya», e scandì bene quel nome, «ti ha sbattuto fuori di casa. Non. Me. Ne. Frega. Un. Cazzo. Intesi, Aiolia? Tu adessi prendi quella porta e…».

«C’è un altro?»

 

Rodrigo sbatté le palpebre un paio di volte. Esterrefatto.

«Mio fratello è il protagonista assoluto della sua esistenza», gli aveva confidato Aiolos quasi un anno prima, all’uscita dal cinema. Rodrigo neppure ricordava che pellicola fossero andati a vedere. Non doveva essere stato un capolavoro. E adesso, nove mesi dopo, si trovava a dargli ragione. E a chiedersi come potessero essere venuti su due fratelli tanto diversi dagli stessi genitori.

Sì, Aiolia viveva la propria vita come se fosse l’indiscusso eroe di una serie televisiva dozzinale. Per la sua mente – per il suo smisurato amor proprio – non era possibile concepire il fatto che Rodrigo non volesse più saperne di lui. Doveva per forza esserci un ostacolo di mezzo. Un’altra persona. Qualcuno che Aiolia era pronto a fare a pezzi con le proprie mani pur di riavere quanto gli spettava per diritto divino. Rodrigo. E se, in un altro momento, Rodrigo si sarebbe sentito lusingato da questa forma accecante e possessiva di amore, adesso ne era inorridito. Anzi, un simile cipiglio da parte di Aiolia aveva sortito l’effetto opposto, spingendolo a voler porre quanta più distanza possibile tra di loro.

 

«No», disse. «Non c’è un altro.»

«Davvero?», domandò Aiolia. Come se, per qualche corto circuito logico, gli dovesse quella precisazione.

«Davvero», ripeté Rodrigo, stornando il pensiero da Tiennot. Aiolia non doveva sapere di lui. Non gli si doveva avvicinare. Altrimenti avrebbe reso la vita di Tiennot un inferno.

Aiolia sospirò. Come se un enorme sacco di mattoni fosse scivolato via dalle sue spalle. «Grazie a Dio…», disse. Sollevato. 

«No, tu non hai capito…»

«No, amore. Tu non hai capito», lo interruppe Aiolia. «Ru… Rodrigo. Ho commesso un errore imperdonabile. Ma, alla fine, ho capito di amarti. Io ti ho sempre amato.»

Anche mentre ti sbattevi Leaphya, immagino, pensò Rodrigo.

«E credimi. Non passa giorno, non passa ora, senza che io… Non so che darei per averti accanto…» 

Ullallà, adesso scomodiamo anche Alan Sorrenti?, chiosò la voce di Marco. Più affilata del solito. 

«E lo so che non ti fidi. Lo so. E non è facile perdonare quello che ti ho fatto. Ma io ti amo, Rodrigo Diaz Pidal. Ti amo, e ho tutte le intenzioni di riconquistarti. Fosse l’ultima cosa che faccio. Quindi, sì. Grazie a Dio non c’è un altro. Perché significa che ho una possibilità. Anche se adesso tu non la vedi, io so che c’è. E per il momento mi basta.»

 

E prima che Rodrigo tentasse, disperatamente, di spiegargli che no, non c’era nessuna relazione stabile nella sua vita al momento e che no, non sarebbe tornato assieme a lui neppure se fosse stato l’ultimo essere umano rimasto sulla Terra, Aiolia gli prese il viso tra le mani a coppa e se lo avvicinò.

«Sono pronto a rivoltare l’Inferno come un calzino, per te. E anche se dovessi metterci una vita intera, riuscirò a riconquistarti. Te lo prometto.» Sfiorò la punta del naso di Rodrigo con la propria. «Chiudi bene la porta. Intesi?»

E così dicendo si allontanò, aprì la porta e scivolò fuori dalla stanza, lasciando Rodrigo boccheggiante. Fece scattare la serratura con mani tremanti, si sedette sul pavimento, schiena alla porta e cuore in tumulto.

Respirò piano, a fondo, per stroncare sul nascere i prodromi di un attacco di panico. Aiolia non avrebbe distrutto la sua vita un’altra volta. Nossignore. Non gliel’avrebbe permesso. Perché non sarebbe stato giusto.

E, riempiendosi i polmoni fin quasi a farli scoppiare, Rodrigo si concentrò sulle cose da fare. La lista era bella lunga.

Doveva andarsene, come prima cosa.

Doveva andarsene domani mattina stessa.

E cambiare cellulare.

E fare anche un salto al primo commissariato di strada. 

Tanto per stare tranquilli.

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Saint Seiya / Vai alla pagina dell'autore: Francine