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Autore: BabaYagaIsBack    24/04/2024    0 recensioni
Re Salomone: colto, magnanimo, bello, curioso, umano.
Alchimista.
In una fredda notte, in quella che ora chiameremmo Gerusalemme, stringe tra le braccia il corpo di Levi, come se fosse il tesoro più grande che potesse mai avere. Lo stringe e giura che non lascerà alla morte, il privilegio di portarsi via l'unico e vero amico che ha. Chiama a raccolta il coraggio e tutto ciò che ha imparato sulle leggi che governano quel mondo sporcato dal sangue ed una sorta di magia e, per la prima volta, riporta in vita un uomo. Il primo di sette. Il primo tra le chimere.
Muovendosi lungo la linea del tempo, Salomone diventa padrone di quell'arte, abbandona un corpo per infilarsi in un altro e restare vivo, in eterno. E continuare a proteggere le sue fedeli creature; finchè un giorno, una delle sue morti, sembra essere l'ultima. Le chimere restano sole in un mondo di ombre che dà loro la caccia e tutto quello che possono fare, è fingersi umani, ancora. Ma se Salomone non fosse realmente morto?
Genere: Avventura, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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"Musing through memories, losing my grip in the grey
Numbing the senses, I feel you slipping away
Fighting to hold on, clinging to just one more day
Love turns to ashes, with all that I wish I could say
I'd die to be where you are
I tried to be where you are
Every night, I dream you're still here
The ghost by my side, so perfectly clear
When I awake, you disappear
Back to the shadows, with all I hold dear
With all I hold dear"

Still here, Digital Daggers

 

E alla fine, Levi aveva ceduto - perché in qualche vita passata, per motivi più o meno futili, Salomone aveva davvero fatto ogni cosa necessaria per ottenere ciò che maggiormente aveva desiderato, fosse questo un capriccio o qualcosa di più importante. Noah aveva in qualche modo vinto sulle Chimere, forse sfruttando un potere di cui non riusciva davvero a rendersi conto, ma una voce, come un monito, lo aveva spinto a chiedere qualcosa ancora: una promessa. Con una decisione che tutto era fuorché sorretta da gambe stabili, aveva domandato a Levi di dare la propria parola - e conoscendolo, tra tutte le sue creature, lui sarebbe stato quello che meno si sarebbe tirato indietro. Dopotutto era rimasto al suo fianco fino a quel momento. Dalla notte dei tempi, nella morte, a quel giorno.

L'altro aveva storto il naso, tentato di farlo desistere, si era allontanato per non stringergli la mano. Stanco aveva chiesto ai fratelli di provare a loro volta a fargli cambiare idea e, quel punto, Noah aveva detto qualcosa che mai avrebbe creduto possibile.

«Siete parte di me, akh. Lo siete stati dal primo giorno in cui vi ho visti in quell'auditorium e prima ancora in sogni, stralci di ricordi che adesso so appartenermi. Non puoi chiedermi di vivere incompleto, ferito ed esposto ai rimorsi. Non puoi obbligarmi a dirvi addio per la seconda volta.»

Levi aveva guardato ancora il divano, i suoi fratelli. Forse capiva cosa Noah volesse dire. Anzi, l'Hagufah ne era certo. Lui sapeva, aveva conosciuto quella sensazione e probabilmente non se l'era mai dimenticata.
«Non hai nemmeno trent'anni...» aveva soffiato, lo sguardo sui propri pugni stretti lungo i fianchi.
Noah si era lasciato andare contro il muro, lo stesso che gli aveva mozzato il fiato e da cui aveva provato a fuggire.
Aveva davvero importanza? «In questa vita, akh. Ma li ho avuti decine di centinaia di volte.» Si erano guardati con la coda dell'occhio per alcuni istanti, in silenzio, fiacchi dopo quello che era successo: la confessione che gli aveva fatto quella mattina, l'attacco subìto, la perdita di Nikolaij e Colette, quella lunga ed estenuante discussione per convincere le Chimere ad andare a cercare i fratelli.
In tutta onestà, pensò, nemmeno avrebbe voluto arrivare a quell'età senza di loro. I sensi di colpa lo avrebbero logorato, sarebbero entrati dai solchi lasciati dalla loro assenza, si sarebbero fatti ruggine e lo avrebbero corroso lentamente.

O insieme, o nessuno, si disse.

Le Chimere avevano quindi accettato la sua decisione, forse riluttanti, forse confortate dal fatto che nonostante l'amnesia fosse pronto a seguirle e, infine, avevano giurato per l'ennesima volta prima di mettersi all'opera.

Alexandria aveva preparato per Zenas qualcosa di caldo e vi aveva sciolto dentro delle ɛvɛn che teneva nascoste nella tasca della felpa, poi aveva afferrato da un ripiano della sala una cartina dell'Europa così vecchia da essere diventata gialla. L'aveva aperta sul tavolino del salotto mentre Levi si procurava carta e penna.
Noah si era quindi inginocchiato vicino a loro in modo da assorbire ogni informazione, da capire e memorizzare. Voleva in qualche modo essere parte attiva di quel progetto pur sapendo di non poterlo essere veramente. L'Ars in fin dei conti non si era palesata nemmeno nel momento del bisogno, obbligandolo a fuggire, quindi era per loro privo di utilità. Cosa avrebbe potuto fare se una delle Chimere si fosse trovata nuovamente in pericolo? Non sarebbe nemmeno stato in grado di attaccare se ce ne fosse stata la necessità. L'alchimia il più delle volte sembrava rigettarlo, cedendo solo ogni tanto per distrazione: non bastava. Non sarebbe stato in alcun modo sufficiente. Noah si era convinto, soprattutto in quegli ultimi giorni, che Salomone doveva aver abusato del potere a tal punto da essersi tramutato in un alchimista al pari dei membri del Cultus: mediocre, goffo. Non era più il prescelto di quella magia, solo uno tra i tanti, forse ancor meno.

Per un paio d'ore era quindi rimasto zitto ad ascoltare quei tre. Il taccuino di Levi era girato di mano in mano riempiendosi di nomi e numeri imparati a memoria. Informatori, trafficanti di notizie e armi - perché per quanto sovraumane, le Chimere non avrebbero potuto affrontare a cuor leggero quel gruppo di pazzi; inoltre, una pistola avrebbe fatto comodo anche a lui visto che non aveva altri modi per aiutare a contrastare i nemici.
«Non sarà facile.» Aveva detto Alexandria subito dopo che Levi aveva reso tutti partecipi di quella decisione. Noah aveva corrugato le sopracciglia senza però guardarla. Vi era forse qualcosa di semplice in tutta quella storia? Sparare sarebbe stato il minore dei problemi, pensò. «Uccidere, intendo.» aveva subito aggiunto Z'èv con una tranquillità tale che per un momento era parso gli stesse parlando d'altro.
Lui aveva deglutito a fatica: «Ma è necessario.» aveva poi risposto con una certa urgenza, come se temesse che le Chimere potessero rivalutare la sua partecipazione se si fosse fatto vedere spaventato dall'idea. Ammazzare un essere vivente non era cosa da poco, non per un ragazzo come lui - come Noah, quantomeno, ma se si fosse trattato di Salomone? Con gli incisivi si era pizzicato il labbro in un moto di amaro rimpianto.

«Sì, ma tituberai, lo abbiamo fatto tutti almeno una volta.» Alex si era ravvivata i capelli spostandoli da un lato del volto.
«Non accadrà.» E finalmente l'aveva guardata, anche se per poco. Z'év aveva chinato la testa da un lato e stretto le labbra in una smorfia scettica: «Assicurati di essere vicino a me o a Levi quando accadrà. Eviteremo qualsiasi inconveniente.» Involontariamente lo sguardo dell'Hagufah era rimbalzato su Zenas, che subito si era assicurato di dargli una pacca sulla spalla e sorridere. «Potrei non essere abbastanza veloce. Per non parlare della mia coda. L'hai vista, è ingombrante, potrebbe ostacolarti.»
Noah aveva annuito, tornando a fissare la cartina. La base del Cultus, segnata con un cerchio d'inchiostro blu, si trovava in una zona tra Avignone e Grenoble - e mai si sarebbe aspettato che le Chimere scegliessero un punto così vicino al nemico per alloggiare - ma poi pensò che forse era vero che difficilmente ci si accorge di quello che si ha sotto il naso.

Definiti gli ultimi dettagli, Levi aveva congedato tutti con un "cerchiamo di rilassarci, per quanto possibile. Se avete ultimi desideri fattibili, o robe simili, cercate di assecondarli. Sapete come funziona." prima della cena, che a occhio e croce sarebbe stata preparata molto tardi. L'appetito doveva aver abbandonato lui, i fratelli e, di certo, Noah. Chi avrebbe mangiato sapendo che Niko e Colette potevano essere morti?

Akràv si era quindi alzato, aveva provato a sgranchirsi i muscoli e decretato che sarebbe andato in spiaggia. Un ultimo sguardo al mare e qualche riflessione in solitaria prima dello scontro. Non aveva invitato anima viva e nessuno si era proposto di andare con lui. Nell'essere resi partecipi di quella sua decisione, nonostante la forma fisica gli fosse avversa, l'Hagufah aveva scorto nello sguardo dei fratelli una rispettosa comprensione, come se fosse scontato, giusto così.
Nakhaš lo aveva accompagnato alla porta con il taccuino in mano, tra le dita opposte la sigaretta spenta. Aveva aggiunto, giusto prima di oltrepassare la soglia del salotto, che sarebbe uscito a chiamare tutti quei numeri per vedere chi avesse informazioni e chi, invece, qualche arma non registrata da portargli il mattino seguente, insieme a un'auto, viste le condizioni della Thema. Z'év, dal canto suo, si era prodigata a riporre tutto ciò che era rimasto in giro, cancellando le tracce del loro piano. Non sembrava intenzionata a fare nulla di più, così Noah rimase a fissarla per alcuni minuti cercando di interpretare il suo stato d'animo. Negli ultimi mesi erano state le Chimere a sostenerlo, a parlargli nei momenti in cui gli era sembrato di essere più demoralizzato - e adesso, vedendola vagare per il salotto senza un reale obiettivo, gli parve di dover ricambiare almeno con lei il favore.
«Non hai ultimi desideri?»
Z'év lo guardò da sopra la spalla abbozzando un sorriso: «Tu, invece?»
Sospirando lasciò cadere la testa da un lato: «Non sviare, akhòt.» L'ammonì in un fiato, un poco sovrappensiero.
«Da quando mi chiami così?»
Nell'accorgersi dell'errore sentì l'imbarazzo pizzicargli le guance come una zia a Natale. In effetti con lei, Zenas, Colette e Nikolaij non si era mai permesso, se non per distrazione, di usare quel termine; solo con Levi era diventato un'abitudine - perché lui, più di tutti, lo sentiva essere davvero un pezzo fondamentale della propria esistenza, un'estensione della persona che era stato, un fratello.
Si morse la lingua: «Non lo facevo prima
Alexandria rimise a posto la cartina nascondendola tra due libri dal dorso consumato. Fece spallucce senza però voltarsi veramente verso di lui: «Sì, ogni tanto. Diciamo che con altri ti capitava più spesso.» Non sembrava infastidita da quel ricordo, men che meno gli parve che vi stesse dando una qualche importanza. In un certo senso doveva essere un nomignolo, un aggettivo in cui nemmeno lei si era mai rispecchiata veramente.
Allungando le braccia dietro la schiena e piantando i palmi nel tappeto, Noah provò allora a immaginarsi in un altro corpo, in un'epoca lontana e circondato dalle Chimere per capire se sarebbe stato meno strano rivolgersi a lei come sorella - non ci riuscì. Tutto ciò che gli venne in mente fu il giorno in cui salvò Nikolaij, l'ennesima riprova che né il suo vecchio sé, né l'Ars, volevano avere a che fare con lui. Sospirò.
«In ogni caso non hai risposto alla mia domanda.»
Alex finalmente si girò verso di lui: «Un ultimo desiderio?» incrociando le braccia al petto alzò gli occhi al cielo e si pizzicò il labbro inferiore con i denti. La sua calma quasi lo annichiliva, eppure dopo aver convinto Levi ad andare a salvare la Quarta e la Settima Chimera si rese conto di essere meno teso anche lui. Non calmo come lei, ma nemmeno nervoso. Sì, forse stavano andando incontro alla morte, ma almeno lo avrebbero fatto insieme e per una giusta causa - doveva troppo a quelle creature. I debiti che Salomone aveva lasciato in sospeso con loro un po' gli appartenevano e, persino nolente, sapeva di doverli estinguere in qualche modo. Quello, per iniziare; e non poteva negare che la cosa lo rendesse quieto.
«Di fattibile, solo uno.» A quella risposta, in parte inaspettata, per poco non sussultò. Il cuore gli batté un po' più veloce nel petto e senza accorgersene sbatté più volte le ciglia.
Senza aggiungere altro, Z'év si avvicinò maliziosa allo stereo, il cellulare tra le mani a lanciare strane ombre sul suo viso spigoloso. La curiosità prese a mordere i polsi dell'Hagufah.
«Di che si tratta?» Le chiese in un soffio, sporgendosi leggermente nella sua direzione e sperando, forse, di riuscire a scorgere ciò che lei stava cercando su quel povero schermo.
La vide fermare le dita e sorridere. «Sai ballare?» gli chiese a bruciapelo, con una nota divertita nella voce.
«In che senso?» Le sopracciglia di Noah si incontrarono al centro della fronte.
«Balli da sala, i classici.»
Le sue labbra si schiusero involontariamente e per alcuni secondi non riuscì a risponderle, troppo confuso, e in quell'esitazione, lasciando il telefono vicino a una delle casse, Alexandria si mise a spingere il divano verso la libreria che vi stava dietro. Quando i loro sguardi si incrociarono tra una sua falcata e quella successiva, Z'év gli sorrise: «Allora, sei capace o no?» e spinse anche la poltrona a ridosso del caminetto.
Noah ebbe un fremito: «I-io... non lo so, non ho mai... di certo non in questa vita!»
La Chimera gli fece cenno di spostare il tavolino e il tappeto, e lui con un balzo fu subito ai suoi ordini. Nemmeno si pose il dubbio di ciò che stava facendo, piuttosto ammassò un pezzo accanto alla poltrona e l'altro lo arrotolò sul divano, lasciando che il pavimento riemergesse in tutta la sua usura. C'erano segni che potevano appartenere a tacchi, mobilia e chissà cos'altro, ma non ebbe tempo di soffermarcisi troppo.
«Non ci sono più gli uomini di una volta!» e inaspettatamente un angolo della bocca di Noah si alzò, tradendo il leggero smacco che il suo orgoglio parve subire.
«Sicuramente non quelli del vostro secolo, Contessa!» Dalle labbra di lei uscì un fischio stupito, le sopracciglia divennero due archi pallidi che le raggrinzirono la fronte mentre tornava verso lo stereo.
Touché, per una volta le aveva risposto a dovere, pensò l'Hagufah con un certo compiacimento.
Z'èv pigiò sullo schermo e, avanzando nuovamente verso di lui, allargò il sorriso: «Tu però dovresti essere più vecchio di loro, sai? Giusto qualche annetto!» Noah si leccò le labbra alzando lo sguardo e scuotendo la testa - eccola contrattaccare. Di tutte le doti che invidiava alle Chimere, la capacità di sostenere un botta e risposta di ogni genere e in qualsivoglia situazione era in cima alla lista - e il fatto che Alexandria non si facesse sfuggire nemmeno un'occasione per ricordarglielo era sia svilente che eccitante.

«Guido io, okay?» e nel momento in cui sentì la mano di lei stringere la sua una sorta di agitazione lo sopraffece. Si rese conto, forse un po' troppo tardi, di quanto fossero vicini e di quanto, ogni volta che lei decideva di ridurre i loro spazi personali, l'ansia di farle male sopraggiungesse senza preavviso. Una scarica fredda lungo la schiena, il preludio di una sincope. Con lo sguardo cercò quindi sul viso di lei tracce di dolore, ma ciò che scorse fu solo tanta stanchezza. La calma che le aveva invidiato non era altro che una maschera indossata per nascondere quanto fosse provata. Le labbra gli si schiusero un'altra volta, eppure non fece in tempo a chiederle nulla perché le prime note, leggere, si insinuarono nella stanza dal basso come nubi di fumo: Noah le immaginò aggrovigliarsi intorno alle loro caviglie, risalire gli stinchi e la curva delle ginocchia. Z'év allora mosse un passo, poi un altro sussurrando un tempo a cui lui cercò di prestare faticosamente attenzione. I suoi piedi sembravano non voler collaborare e il fatto che non riuscisse a staccare gli occhi dalle proprie scarpe per paura di pestare quelle di lei o di restare ingrovigliato nella musica lo tese tanto che Alex non riuscì a trattenere qualche battuta. Si stava muovendo come un tronco, ne era consapevole e si rimproverò, certo che lei lo stesse odiando. L'unico desiderio di quella poveretta si stava trasformando in un incubo a causa delle sue pessime capacità motorie e nemmeno sforzandosi avrebbe potuto cambiare la situazione - poi, alle sue spalle, una voce profonda gli diede il colpo di grazia, costringendolo a fermarsi con un groppo in gola.

«Oddio, i miei occhi!»

Noah si volse, imbarazzato. Non solo stava rovinando il ballo di Z'év, ma si stava anche rendendo ridicolo davanti a Levi, due cose che improvvisamente gli parvero di immensa gravità; poteva andare peggio di così? Forse sì, giusto se Zenas fosse magicamente ricomparso e avesse dimostrato che nonostante la stazza e le ferite fosse un ballerino migliore di lui.
«N-non ho mai ballato un-» si rese conto di non aver nemmeno riconosciuto la melodia. Anni di pianoforte completamente dimenticati. Grazie al cielo, Alexandria corse subito in suo aiuto, sogghignando: «Valzer. Questo è un valzer.»
«Esatto!» sentiva di avere le guance rosse e la gola secca - di certo doveva essere per loro uno spettacolo tragicomico, e se quello era il suo modo di ripagare le Chimere per il loro aiuto e supporto avrebbe fatto meglio a smettere sin da lì.

Nakhaš si staccò dalla spalla del muro scuotendo la testa. Ciuffi castani gli svolazzarono davanti sottolineando il suo dispiacere e la tensione che gli fiaccava il viso: «Non pretendo di vederti ballare un boogie, ma un valzer...» un passo dopo l'altro li raggiunse al centro della stanza e afferrandolo per il bacino provò a mostrargli la posizione da tenere, anche se a fatica. Non importava quanta pressione facesse sul suo corpo, questi si rifiutava di collaborare.
«Se è tanto facile fallo tu!» Lo imbeccò Noah all'ennesimo fallimentare tentativo dell'altro e, di rimando, sentì un colpo in mezzo alle scapole che lo costrinse a mettersi dritto.
«Ho ballato troppi valzer nella mia vita, ma grazie per la considerazione.» Nella mano, l'Hagufah sentì quella di Alexandria provare a scivolare via, ma in qualche modo riuscì a trattenerla e, senza demordere, continuò. Se Nakhaš lo aveva già fatto altre volte di certo sarebbe stato un compagno migliore per la sorella. Inoltre, trattandosi del suo ultimo desiderio, sarebbe stato giusto farglielo godere fino all'ultima battuta - ed era certo che anche lui avrebbe concordato. «Se sei tanto bravo mostrami come si fa! Ti cedo il mio posto» una fitta al centro del petto, come un battito troppo vicino allo sterno, lo sorprese costringendolo a spostare l'attenzione dalla Chimera al proprio corpo. Che diamine gli stava succedendo? Non gli era parso che Levi lo avesse colpito con tanto impeto.
La presa della Chimera sulla sua spalla aumentò, ma lui quasi non se ne accorse, troppo impegnato a dare un senso a quel malore. Forse, più che per il contraccolpo, quel fastidio doveva essere frutto della tensione che stava rilassando i muscoli, valutò.
«Ha chiesto a te, Noah.»
L'Hagufah deglutì. Non poteva distrarsi, altrimenti Levi avrebbe colto l'occasione per fuggire da quella situazione. «Eddai! Se è l'ultimo desiderio di Alex puoi fare un'eccezione, no? Io rischio di pestarle i piedi ogni due passi e ci servite tutti in perfetta forma, non possiamo ammettere infortuni.» Tendendo i lati della bocca tanto da far dolere le guance, Noah si volse verso di lei: «O sbaglio?» In quel modo avrebbe fatto la cosa giusta, pensò, e l'indomani, mentre si dirigevano al covo del Cultus, Alex non si sarebbe pentita di averlo chiesto a qualcun altro piuttosto che a lui. La vide dubitare, la sentì incerta e preoccupata. Si chiese se forse la titubanza del fratello l'avesse offesa, ma poi, come se qualcuno avesse schioccato le dita, lei annuì: «In onore dei vecchi tempi, no?» Fece una sorta di sorriso indecifrabile, quasi nemmeno a lei andasse veramente il cambio di cavaliere. Noah si sentì stringere lo stomaco e, intanto, Nakhaš alle sue spalle parve ponderare con troppa serietà quell'idea. C'era qualcosa che gli stava sfuggendo? Un sospiro rassegnato scivolò fuori dalla bocca della Prima Chimera sfiorandogli la base del collo. Un nuovo brivido lo percorse, diverso da quello provato poco prima, ma rimase saldo nella sua convinzione e, abbandonando Alexandria, corse allo stereo per fermare il brano e rimetterlo dall'inizio. Nel lasso di tempo che lui impiegò per compiere quelle semplici azioni, i due fratelli rimasero immobili l'uno di fronte all'altra, rigidi come se d'un tratto non sapessero più cosa fare. Tra loro aleggiava qualcosa di sbagliato, una muta rimostranza benché nessuno avesse realmente rifiutato quel ballo.
«P-pronti?» o forse se lo stava solo immaginando.

Alexandria fu la prima a ridurre la distanza tra sé e Levi. Avanzò di un unico passo, tanto deciso che fece davvero credere a Noah di starsi immaginando una tensione irreale. Che fosse quella gelosia che ogni tanto lo coglieva alla sprovvista? Era già successo in passato, soprattutto quando l'attenzione di Nakhaš si rivolgeva così dettagliatamente a una persona diversa da lui.
Le braccia di Z'év si alzarono lente, delicate. Una si fermò a mezz'aria in attesa, piegata appena, mentre l'altra lasciò che la mano invitasse quella del fratello a raccoglierla. Per il tempo di una deglutizione Levi restò immobile, lo sguardo basso sui propri piedi e le labbra strette in una linea dura. Sembrò cercare nella propria mente le istruzioni, i ricordi delle centinaia di volte in cui, in passato, aveva ballato un valzer - e Noah, nell'osservarlo, si portò una mano lì dove sentiva crescere il fastidio. Aveva già visto quell'espressione sul suo viso, aveva già avvertito quelle sensazioni prive di nome agitarsi in lui; infine, anche Nakhaš prese posizione. Il suo corpo si incastrò negli spazi che Alexandria gli aveva preparato senza che vi dovessero essere aggiustamenti del caso. Si ricongiunse a lei come se già conoscesse il peso del suo braccio, la delicatezza della sua mano filamentosa. L'Hagufah avvertì il mondo intorno a lui raccogliere il respiro, rallentare; poi le note del valzer ruppero l'attesa, delicate ed eteree come la prima volta, eppure letali. Le dita della Prima Chimera percorsero la schiena della sorella dalla base fino all'esatto centro, costringendola un po' più vicina. Tra loro poco più di una spanna.
Le labbra di Noah si schiusero in attesa, come se da un momento all'altro dovesse succedere qualcosa - forse una piroetta, oppure una di quelle scosse che lui conosceva bene. Seguì i loro movimenti dapprima con una certa curiosità, forse persino del divertimento, poi dopo il primo giro, lento, il fiato gli si accorciò e la mano con cui si teneva il petto pigiò con più forza sulla carne. Le unghie tentarono di penetrare il tessuto e qualcosa di sgradevole gli si mosse nello stomaco. Si scoprì al contempo stregato e nauseato da quella visione, dal modo in cui Z'év e Nakhaš si muovessero all'unisono, lontani da ogni cosa, persi nel tempo come i fantasmi di Anastasia. Più i loro corpi si scioglievano, ricordando, più lui si sentiva strano, agitato. Si morse la lingua quando d'un tratto lo sguardo di Levi incrociò quello di Alexandria, strappandole un sorriso che parve più come un sospiro mozzato - e d'un tratto, compiendo l'ennesima piroetta, dall'orlo della maglia di lui spuntò un bagliore cupo. Noah avvertì il dolore al petto aumentare, si dovette piegare un poco in avanti per trattenere il gemito che gli sfuggì dai denti e, quando i suoi occhi tornarono su Nakhaš, il tallero che aveva al collo lo ferì al centro del petto. La fitta fu tale che gli sembrò di venir pugnalato dall'argento con cui era fatto, una lama fredda e precisa oltre lo sterno - e dalle labbra, in un pensiero che esplose prima nella mente e poi scivolò come fumo sulla lingua, gli sfuggì un...

 


 

 

«Testa o croce?» lo sguardo di Levi apparve confuso. Le sue labbra appena schiuse a confermare il sospetto di Salomone.
«Scusa?»
Il Re volse la testa verso le proprie dita, lì dove il tallero ricevuto poche ore prima si muoveva giravoltando dall'indice al mignolo e viceversa: «Ti ho chiesto se punti sulla testa o sulla croce.» No, nemmeno stavolta sembrò capirlo. Ormai erano alcuni decenni che faticavano a ritrovare la loro consueta sinergia, quell'equilibrio perfetto che permetteva all'uno di precedere i pensieri dell'altro. Salomone si umettò le labbra, fermando la moneta. «Croce, potrai avere tutto ciò che vuoi. Te lo concederò senza fiatare» sibilò, ritornando al viso del fratello. Più che stanco l'avrebbe definito "provato", ma non comprendeva appieno quale fosse il motivo. «Testa,» iniziò, pensando a quanto amare fossero quelle parole: «potrai avere il prossimo ballo con lei e nulla più. Mai. Tornerai a casa con me e i tuoi fratelli e questa storia, questa tua...» si morse la lingua, incapace di pronunciare il seguito della frase. La sola idea di poterlo perdere, di essere a conoscenza che al mondo, per il suo Generale, esistesse qualcuno di più importante lo mandava in bestia. Strinse la moneta: «Più nulla.» ripeté lapidario.
Accanto a lui Levi fremette, impaziente e impaurito. Gli aveva concesso tutto sin dalla Notte dei Tempi, non gli aveva imposto nulla se non il tener fede al proprio giuramento, ma adesso basta. Quella sarebbe stata la sua ultima concessione.
«Ordunque?»
«Perché mi fai questo?» le narici di Nakhaš si erano allargate e le sue labbra si erano tese biecamente, rivelando quanto in quel momento provasse astio nei suoi confronti.
Il Sovrano tornò a giocare con il tallero: «Ti concedo vittoria in ambo i casi, non vedo cosa ci sia di male» lento, spostò la propria attenzione dalla moneta al centro della sala, incontrando l'origine di tutta quella storia. Lì, ferma in un angolo, il sorriso di circostanza in risposta a tutti quei boriosi nobili e borghesi e lo sguardo cupo di un condannato, cercava di camuffarsi con la tappezzeria. Quanto la odiava. Quanto avrebbe voluto che il loro incontro non avesse mai avuto luogo. Eppure, nonostante quei sentimenti, nonostante la logorante gelosia che provava per lei, sentiva una pena senza fine nei suoi confronti. Se solo Levi non si fosse invaghito di lei... «Allora?» quando si volse verso la Chimera la scoprì a fissarla, e amaramente si rese conto di non averla mai vista fissare qualcuno a quel modo. Lo stomaco gli si strinse fino a nausearlo. Come poteva desiderare un essere tanto effimero? Come poteva scegliere lei sopra alla propria famiglia, a lui? Li avrebbe abbandonati per qualcuno che sarebbe diventato polvere così velocemente...
Nakhaš si girò di spalle negandosi quella visione. Con una mano strinse il bordo del tavolo in legno, le nocche bianche: «Sai già la mia risposta.»
Il sorriso che gli tese le labbra Salomone lo sentì fastidioso, falso. Aveva davvero sperato che scegliesse un semplice ballo quando potevano attenderlo altri cento? Per un istante ancora esitò sulle pieghe ruggine dell'abito della Contessina Varàdi, sullo scollo interrotto dal misero giro di perle che lui stesso le aveva venduto, sulle sue guance imporporate dall'agitazione di sapersi alla gogna dei giudizi dell'alta società di Innsbruck e non solo. Di certo doveva star trattenendo la rabbia e le lacrime - e come biasimarla, visto il marito che si sarebbe presto trovata al seguito? Quel bastardo aveva visto più sottane di una sarta e persino quella sera non si era fatto alcuno scrupolo. Lo aveva sorpreso lui esattamente come l'aveva fatto lei. Chi dei due contasse il maggior numero di avvistamenti era un dubbio a cui Salomone decise di non dar risposta.
«Lanciala» sussurrò Levi a denti stretti mentre una lieve scossa attraversava il corpo del Re dal centro fino alle estremità. Per quanto amasse Nakhaš, non gli avrebbe concesso di scegliere qualcun altro, qualcuno così fragile, qualcuno diverso.
Il tallero allora volò e roteò su se stesso il tempo di un respiro; quando lo imprigionò tra il dorso di una mano e il palmo dell'altra Salomone già sapeva chi aveva vinto. E per quanto negli ultimi secoli avesse sempre confidato nel fato quella sera barò, conscio del fatto che suo fratello non avrebbe dubitato di quel risultato - di lui non lo aveva mai fatto, e di certo non avrebbe iniziato quella sera, sbagliando.

Il Sovrano finse di essere agitato, attese, poi rivelò a entrambi il verdetto.
Si umettò le labbra, lo stomaco stretto in una morsa nauseante: «Spero per te sia una brava danzatrice.» commentò cercando di risultare impassibile benché si sentisse felice e al contempo in errore, ignobile, egoista.
Come un brivido, la striscia di pelle tra il colletto della camicia e la tempia di Levi mutò. Un'onda di squame color carne si sollevò per poi sparire veloce oltre l'attaccatura dei capelli. Era ovvio che non fosse ciò che voleva. Era palese che se non fossero stati in un luogo gremito di gente avrebbe gridato e fatto di tutto per ottenere un'altra risposta da quella stupida moneta - invece dalle sue labbra uscì un secco "Non posso" prima d'ingollare in un sorso il vino rimasto nel calice.

Salomone sussultò. Che stava dicendo? Dopo avergli fatto passare le pene dell'Inferno in quell'ultima settimana rinunciava a lei così? No, quella risposta non gli piaceva. Celava troppo e questo, con Levi, non era un bene.
Rimettendo la moneta in tasca il Re lasciò che un'altra scossa riportasse le due facce alla normalità: «Rinunci?»
«Pensi che... la'azazel! (dannazione!)» La mascella gli si contrasse, i tendini del collo emersero minacciosi: «Mi fai assaggiare qualcosa che sai già non potrò avere, come una bestia incatenata ai piedi del banchetto del suo padrone! Mai...» la Chimera scosse la testa, procurandogli una fitta al fianco.
«O questo o nulla, akh
Tra loro s'insinuò un silenzio che parve dilatare il tempo, un'attesa infinita per il cuore del Re. Ad ogni secondo in cui il suo migliore amico stava zitto, soppesando quell'unica clemenza, lui si sentiva agonizzare. Più tempo passava, più i sensi di colpa sembravano volerlo ghermire per fargli cambiare idea, ma non avrebbe ceduto, non se in gioco c'era Levi. Così, senza attendere una qualche risposta da parte sua, Salomone si allontanò dall'angolo in cui si erano appartati. Aggrappandosi al tallero che ancora teneva in tasca si mosse lungo la sala a passo deciso incurante dei sibili che sentiva nelle orecchie. Avanzò tra gli ospiti, gli occhi fermi su Alexandria e nessun altro. Non si fece distrarre da alcun saluto o tentativo di chiacchiera da parte di chissà quale nobildonna o gentiluomo; il suo incidere non traballò nemmeno quando, con la coda dell'occhio, si accorse dell'ombra familiare che tentava di raggiungerlo. Peccato che arrivò alla vittima più velocemente di quanto la mano di Levi potesse agguantarlo e fermarlo.

La prima a notare la sua presenza fu Karina, la secondogenita dei Varàdi: «Lord Van Der Meer!» La risata della quindicenne suonò come un campanello di ceramica a ridosso dei timpani, una nota gioiosa in mezzo a tanto caos e, rispetto alla sorella maggiore, pareva starsi divertendo molto.
Salomone sorrise prima di inchinarsi alle due giovani e a loro madre poco dietro: «Quanta gioia mi reca il fatto che siate lieta di vedermi, Contessina.»
La piccola porse la propria mano per un saluto e come il bon ton le richiedeva si coprì la risata con il ventaglio: «Non dovrei? Siete il nostro salvatore, dopotutto!»
Anche Alexandria parve nascondere il sorriso. Era tesa non meno di quanto apparisse dall'altro capo del salone. Sotto la cipria, se si osservava attentamente, si riuscivano anche a intravedere i solchi delle occhiaie e, ancora una volta, Salomone si chiese cosa vi trovasse Levi di tanto bello in lei. Non aveva lineamenti aggraziati, i suoi occhi color muschio non vantavano una cornice di lunghe ciglia. Il suo seno non doveva essere più grande di una mela. «E' davvero un piacere vedervi, Lord Van Der Meer.» E con evidente esitazione gli diede la mano guantata.
«Già stufa delle pettegole di corte, mia cara? Mi duole informarvi che stasera avete gli occhi puntati addosso, miele per orsi.» I loro sguardi si incrociarono poco prima del baciamano. Lui lesse in quello di lei rassegnazione mista a riluttanza, lei una compassione che Salomone avrebbe voluto non provare nei suoi confronti e che, fu certo, non riuscì a nascondere.
La Contessina si divincolò dalla sua presa: «Chissà per quale dei miei tanti difetti, naturali o derivati.» Comprese con fin troppa facilità a cosa si riferisse. La odiava, sì, ma non veramente. In realtà solo da quando Nakhaš aveva confessato di voler restare a Innsbruck per lei. Per il resto Alexandria era solo una piccola martire, una donna che avrebbe dovuto vivere una vita diversa in un tempo diverso. Amava la lettura e ne parlava con trasporto, le piaceva giocare con le sorelle e correre scalza nei prati. Nei giorni di pioggia l'aveva vista fuggire da quell'edificio per rifugiarsi sotto le fronde degli alberi e inspirare il profumo della natura bagnata e più volte la madre l'aveva ripresa quando, con poco contegno, si era avvicinata ai cani-lupo del futuro marito per concedere loro una carezza.
La Contessa madre si schiarì la gola con un colpo di tosse, il viso leggermente arrossato per l'imbarazzo: «Santi numi, figlia mia! Difetti? Una futura Marchesa non ha difetti.» Probabilmente, nascosta dalla gonna della figlia, doveva aver tentato di pizzicarla per rimproverarla. «Sei una giovane colta, delicata, di sani principi e devota.» E in qualche modo, Salomone comprese quanto la donna credesse in quelle parole. Per quanto si sforzasse di adattarsi al nuovo rango e ambiente della figlia, amava ogni cosa di lei, sia quel suo essere ribelle, sia il suo animo puro. «Per non parlare dei tuoi talenti! Lord Van Der Meer, avete mai avuto il piacere di vederla danzare? E' radiosa, dovreste proprio invitarla al prossimo ballo!»
Ed ecco che, senza nemmeno dover faticare, la Contessa madre gli aveva servito su un piatto d'argento l'occasione perfetta per mettere in atto il suo piano. Il fato era nuovamente tornato a suo favore, pensò.
Benché si sentisse ancora soggiogato dalla stretta allo stomaco, Salomone allargò il sorriso. Volente o no.

«Che splendida idea, mia Signora» fu facile mimare entusiasmo, ormai era abituato a recitare, lo faceva da decine di vite; alle volte nemmeno riusciva a distinguere quali sue reazioni fossero reali e quali dettate dalla situazione. «Devo, ad ogni modo, rifiutare nonostante mi lusinghi sapere che riteniate la mia persona degna di tale onore.»
Un cipiglio deluso apparve sul viso della Contessa mettendone in evidenza le rughe: «Oh, come potrei non farlo? Siete per noi una persona di grande rispetto e valore. Per noi, per Alexandria,» poggiandole una mano sulla schiena provò a sospingerla nella direzione del Re, quasi invitandola a persuaderlo: «sarebbe un modo per onorare la vostra gentilezza.» Segretamente la ringraziò per tanta insistenza, per essere madre chioccia e donna di salotti borghesi. Desiderava così ardentemente che la figlia venisse coinvolta nella vita sociale della nobiltà che l'avrebbe spinta tra le braccia di chiunque pur di vederla al centro della pista da ballo, oggetto del desiderio per quel marchesotto tronfio che sarebbe diventato presto suo marito.
Salomone si girò, il palmo orientato verso l'alto mentre si rivolgeva alla figura rimasta immobile, furente, alle sue spalle: «Non sono che un ballerino da salotto, mie care, ma permettete che mio nipote» gli sorrise complice, fiero «accetti l'invito in vece mia.» Chissà se, se fossero stati soli, lo avrebbe afferrato per il bavero del frak e sbattuto al muro. Chissà se le sue nocche bianche avrebbero incontrato la durezza dello zigomo.

Un'attesa statica si insinuò tra i presenti. Nessuno osò fiatare per qualche istante, la Contessa non proprio piacevolmente sorpresa dalla proposta e la figlia maggiore intenta a far passare lo sguardo dall'uno all'altro senza capire, forse offesa. Di certo sentirsi rifiutare a quel modo doveva essere per lei fonte d'imbarazzo.
«Non credo che vostra signoria Alexandria voglia danzare con me, zio» sibilò Levi, chinando il capo in segno di scuse, rigido quanto una statua di marmo. Il sorriso di Salomone scemò appena. Il timore che ciò che stava facendo avrebbe potuto portare a ripercussioni più gravi di una semplice arrabbiatura gli pizzicò l'addome facendogli contrarre i muscoli.

Karina saltellò tra di loro, entusiasta e sfacciata come solo una fanciulla della sua età poteva essere: «Se mia sorella rifiuta, potete danzare con me, Levi. Potremmo fare invidia a gran parte delle debuttanti di questa stagione, insieme.»
Lentamente, la mano con cui stava indicando la Chimera perse energia, iniziando a calare verso il fianco. Perché non voleva ballare con lei? Credeva di scampare alla decisione presa dal tallero?
Gli angoli delle labbra di Nakhaš salirono. Non era un sorriso, ma il tentativo di non far trasparire il proprio disagio: «Dolce Karina-»
«Sarò invero lieta di danzare con il signor Levi, kis veréb (passerotto), non ti affannare.» Alexandria si mosse fino ad arrivare a un passo dalla Chimera e il cuore del Re perse un colpo: «Sempre se almeno a voi aggrada concedermi questo...» con un'occhiata fugace scrutò l'orchestra «valzer.» Gli porse la mano, ma non tremò nemmeno per un istante malgrado il suo portamento tradisse la tensione che l'aveva assalita. Non bastava la rabbia nel sapere che il suo futuro sposo fosse disperso da qualche parte con chissà quale delle sguattere, protetto dal silenzio dei genitori e dalla negazione della servitù, ora doveva anche sopportare il fatto che due uomini, per ragioni a lei sconosciute, non volessero ballare con lei.

Quanto dolore l'aspettava, pensò Salomone deglutendo a fatica. In un'altra vita, forse, non si sarebbe permesso di colpirla anche a quel modo.

Levi guardò le dita affusolate che lei gli stava porgendo, il candore del guanto che saliva oltre il gomito, poi si rivolse verso il proprio Signore, furibondo. Sapevano entrambi che se avesse afferrato quell'invito la loro scommessa sarebbe stata conclusa, un accordo sigillato e senza vie di fuga com'era stato deciso dalla moneta e dall'Ars. Rifiutare sarebbe però apparso crudele e, di certo, lui non si sarebbe mai perdonato di averle fatto del male gratuitamente.

Il primo accordo vibrò tra gli invitati, le gonne delle dame, le loro chiacchiere e i calici che in molti tenevano in mano. La mano della primogenita Varàdi tremò appena. La resa di lui, la debolezza del suo spirito di fronte a lei, arrivò giusto prima che dalle labbra schiuse di Alexandria potesse uscire una qualsiasi parola.
«Con permesso...» non si rivolse a nessuno nello specifico, ma parve comunque soffermarsi su Salomone più che sulle signore lì accanto, quasi volesse accertarsi di poter davvero procedere e di star così firmando la propria condanna.
Il Re li seguì con lo sguardo fino al centro della pista da ballo, il cuore in gola che gli fece credere di potersi strozzare in ogni momento e i palmi sudati. Li osservò mettersi l'uno davanti all'altra senza guardarsi veramente, in posizione. La Contessina persa sulle pieghe della camicia di lui, Levi oltre l'acconciatura di lei.

L'orchestra iniziò a suonare. Una nota dopo l'altra la sinfonia crebbe e i ballerini mossero i primi passi all'unisono come uno stormo che segue una traiettoria invisibile. Nakhaš afferrò Alexandria, prima la mano con cui l'aveva accompagnata, poi poco sopra la base della schiena avvicinandola a sé.

I polpastrelli di Salomone formicolarono, costringendolo a nasconderli. Avvertiva nitidamente il ritmo cardiaco della Chimera. Tra una ripresa dei violini e il susseguirsi dei tasti del pianoforte il cuore di Levi si fece più pesante e lui ascoltò quella sofferenza storcendo la bocca. Aveva mai provato qualcosa di simile all'idea di perderlo?
Osservò il proprio migliore amico condurre quella sciocca ragazzina con sicurezza, perso però in chissà quali pensieri, ancora restio a guardarla. Perché tanta riluttanza? Non era forse lei il motivo per cui avrebbe rinunciato alla vita eterna? Allora per quale stupida ragione non si stava imprimendo il suo viso nella mente? Era disposto a venir meno al suo giuramento per Alexandria, una semplice donna che si sarebbe persa nel tempo, non una regina né una principessa, men che meno un'alchimista. Nemmeno Colette era stata tanto sciocca quando Flamel era entrato nelle loro vite.

D'improvviso, a metà del secondo giro, la Contessina Varàdi alzò lo sguardo catturando sia Salomone sia Levi. Le sue labbra si mossero svelte, un sorriso dolce a tenderle mentre, impavida, lasciava che gli occhi mostruosi della Chimera affondassero nei suoi. Il Re s'irrigidì, ansioso provò a decifrare il suo labiale senza successo, troppo distante e troppo veloce. Ciò che comprese perfettamente fu il sussulto che il cuore di Levi ebbe. Lo avvertì come se gli appartenesse.
Dannazione!, pensò, cosa gli stava dicendo? Quali stupidaggini gli stava raccontando per portarglielo via?
Nakhaš si chinò accanto all'orecchio di lei con fare complice, terribilmente sensuale. Forse le rispose, oppure rise e basta; forse le concesse un sospiro. Di certo la strinse un po' più a sé per sollevarla in una piroetta a mezz'aria, innocente agli occhi di tutti tranne che ai suoi. Di cosa stavano ridendo? Quale segreto si stavano confessando? Che consistenza aveva il corpo di lei nelle sue mani?

Involontariamente Salomone avanzò di un passo nella vana speranza di udire qualcosa, ma un ospite gli si parò davanti impedendogli di andare oltre. Con lo sguardo tentò di ritrovare Levi e Alexandria in mezzo al marasma di ballerini. Li scorse in fondo alla sala, ancora stretti, troppo. Possibile che nessuno notasse come Nakhaš stesse provando a ridurre a ogni giro lo spazio tra loro? Se si concentrava a sufficienza Salomone poteva udire il fastidioso suono del cuore della sua Chimera ricolmo di gioia, sempre più vivo. Gli occhi gli pizzicarono e i denti digrignarono nella bocca; sentiva la lingua spingervi contro.
Un ondeggio alla volta, li vide avvicinarsi sempre più e quando la musica rallentò, iniziando a scemare, anche il palpitare di Levi si fece più lento e pesante.

Il suo regalo per quella vita stava giungendo al termine.

L'orchestra interruppe la performance, si alzò per prendere gli applausi dei ballerini, ma loro due rimasero fermi. I respiri grossi, le guance di lei più rosee e gli occhi meno cupi. Chissà se conosceva i sentimenti di lui. Chissà se li ricambiava con altrettanta smania. Chissà se avrebbe accettato un mostro al proprio fianco.

Le gambe del Re presero a muoversi, una falcata dopo l'altra si avvicinò a loro per allontanarli, per riprendersi Nakhaš e sparire per sempre nel mondo e nel tempo che li attendeva - ma prima ancora che potesse raggiungerli, il sorriso di Levi tornò a essere una linea dura sul suo viso. Gli occhi della Chimera si posarono su di lui come lame puntate alla gola. Salomone avanzò finché non ne sentì la punta a ridosso della pelle. Piuttosto che lasciarlo lì con lei, pensò, si sarebbe fatto sgozzare.
«Vostra madre non vi ha reso giustizia.» Sorrise, anche se era certo che Levi stesse incontrando sul suo viso un ghigno beffardo: «Non sono riuscito a staccare gli occhi da voi, Contessa.»
La confusione scese lentamente sul volto di lei. Restò a labbra schiuse per qualche istante, cercando di dare un senso alla tensione che certamente aveva sentito cadere attorno a sé. «Non adulatemi, Lord Van Der Meer. Vostro nipote ha saputo guidarmi con maestria. Persino la peggiore delle ballerine potrebbe sembrare portata con un cavaliere del suo calibro al proprio fianco.»
Sfortunatamente per lei, quella sarebbe stata la sua unica occasione.

Il Re chinò il capo: «Ho sentito dire che anche il Marchese è un portento, confido nel fatto che anche con lui saprete risplendere sulla pista da ballo.»

Un fremito fece tremare la mano di Levi. Salomone avvertì la furia, il desiderio di colpirlo e farlo tacere, ma Alexandria fu più svelta: «Hanno riferito anche a me delle sue doti. Mi spiace solo che stasera non si sia sentito sufficientemente in forma per partecipare alla festa. O quantomeno a questa.» deglutì, conscia che anche lui avrebbe compreso il suo riferimento, poi abbozzò un nuovo sorriso che doveva nascondere altro: amarezza, probabilmente. «Ora scusatemi, tutti quei volteggi mi hanno dato alla testa. Forse dell'aria fresca potrebbe aiutarmi.» Timidamente rivolse uno sguardo prima a lui e poi a Levi. Esitò. «Grazie per questo valzer, so che lo ricorderò con piacere.» Un dolore acuto aveva sorpreso Salomone. Chissà se tutto quel male, un giorno, Nakhaš l'avrebbe potuto dimenticare. Forse, con il passare del tempo, avrebbe compreso le sue ragioni e Alexandria, così come tante altre persone a cui avevano voluto bene, sarebbe sparita dalla sua mente. L'abito ruggine di lei smosse l'aria, il suo profumo di peonie e ciclamino lasciò come una traccia alle sue spalle, filo di Arianna per il cuore di Levi.

«Potevi risparmiartelo.» Un sibilo veloce, appuntito.
«A cosa ti riferisci?» Gli occhi di Salomone tornarono sulla Chimera, mentre quelli di quest'ultima rimasero impigliati nei merletti dell'abito della Contessina. Per quello che sembrò un tempo lunghissimo, Nakhaš non aggiunse altro, bramando con il cuore in gola di poterle correre dietro, di poterle confessare ciò che gli era stato proibito. Fu così facile leggerglielo in viso.
«A lei.»
Con noncuranza e tenendo le mani dietro la schiena, anche il Re la cercò tra gli invitati. La scorse giusto prima che un uomo dalle basette enormi si frapponesse tra loro e il resto delle persone lì presenti, cancellandola dalla vista così come le lancette degli orologi avrebbero fatto dalla vita. «La tua concessione è finita. Un ballo. E so per certo che se non fosse stata lei a congedarsi, tu non l'avresti allontanata.»
«Potrei ribellarmi a tutto questo, te ne rendi conto? Potrei semplicemente sparire dalla tua vita e tornare da lei.»
Il dolore aumentò, Salomone dovette afferrarsi lo stomaco: «Ed io potrei semplicemente schioccare le dita, akh. Tu non muoveresti un passo lontano dal mio fianco, mai più.» Una scossa gli fece pizzicare i polpastrelli, l'Ars a vibrare intimidatoria tra loro. Non aveva nemmeno una volta minacciato Levi a quel modo e si era ripromesso, negli anni, nei decenni, nei secoli, di non arrivare a tanto per nessun motivo - eppure eccolo a ritrattare i propri propositi per colpa di una donna qualsiasi. Aveva sempre permesso a Nakhaš di scegliere, di tenere volontariamente fede a un giuramento che non gli aveva neppure chiesto di fare - ma lui si era inginocchiato, quel giorno di tanto tempo prima, e aveva detto che mai lo avrebbe abbandonato.

Nell'oscurità dell'oblio più profondo, tu mi hai trovato. Mi hai porto la mano, Signore della vita e della morte. Il tuo sangue ha rimarginato le ferite che hanno piegato il mio corpo condannando l'anima che vi dimorava all'interno. Ove gli Déi tremavano, esitanti, tu sei sceso e mi hai raccolto, bestia senza valore ma con il vanto di possedere un luogo d'onore nel tuo cuore. Mi hai donato nuova linfa e differente esistenza, ordunque per colui che tanto ha osato, per l'uomo che ha conquistato i cieli più alti dell'infinito e le tenebre più fitte della fine del mondo salvando la mia sciocca anima mortale, giuro che mi farei trafiggere da altre migliaia di lame. Affronterei, senza più paura, i regni dell'oltretomba per trovare l'uscita e riprendere il posto al suo fianco, pronto a morire ancora e a rinascere senza fine.

Ciononostante, il suo essere tremava all'idea che la scia lasciata da Alexandria potesse sparire, impedendogli di ritrovarla.
La mascella di Levi si contrasse, i suoi occhi divennero ancor più inumani. Solo davanti ai nemici si era concesso quel lusso - e ora, a quanto pareva, il nemico era diventato l'uomo che per lui si era trasformato in un eretico.
«Puniscimi quanto vuoi, Salomone. Rendimi il tuo cane,» c'era resa oppure odio nella sua voce? Salomone non riuscì a capirlo, anzi, nemmeno volle saperlo: «fammi abbaiare al tuo volere, incatenami per diletto, per ricordarmi che non sono nulla più che una bestia da compagnia per te, ma chiedile perdono.»
Un sorriso confuso gli tese le labbra: «Perdono?» bastò uno sguardo per fargli capire a cosa si stesse riferendo e, forse, quello effettivamente glielo doveva. Sapeva già da sola a cosa fosse condannata, il fatto che lui le avesse ricordato quanto stretto fosse il cappio intorno al collo era stata una cattiveria gratuita.
Sospirò.
«Come credi, akh.» poi gonfiò il petto: «Ma appena avrò fatto ritorno ci congederemo da questa fanfara e torneremo dai tuoi fratelli.» Non attese una risposta, semplicemente si volse e provò davvero a seguire la traccia di profumo che Alexandria si era lasciata dietro, ora così dilatata e leggera nell'aria da poter mettere in difficoltà anche il miglior segugio.
Non si mise alcuna fretta, avanzando tra gli ospiti del Marchese come un fantasma. Forse qualcuno provò ancora una volta a fermarlo, a rivolgergli un saluto o un complimento, ma lui non fece altro che limitarsi a un sorriso a labbra strette per tutti. Ogni passo lo portava più vicino all'enorme vetrata da cui si accedeva alla balconata che dava sul giardino, e più lo spazio tra loro diminuiva più si rendeva conto di quanto amara fosse stata quella vittoria. Sì, Levi sarebbe rimasto con lui, ma a che prezzo? Il loro legame stava davvero diventando cenere e a giocare con la miccia era stato lui durante tutto quel tempo. Avrebbe dovuto fermarsi prima.

L'aria fresca della sera gli sfiorò le guance, riportandolo al presente. Le luci del salone si stagliavano, oblunghe, lungo la pietra della balconata fino al parapetto lungo cui coppie di amici o terzetti di dame imbellettate scambiavano chiacchiere di ogni sorta, ma tra di loro nemmeno l'ombra della Contessina Varàdi. Il suo abito non somigliava a nessuno di quelli delle donne in sala e, corrugando le sopracciglia, si chiese dove fosse finita. Aveva detto di andare a prendere una boccata d'aria, no? Quindi quella poteva essere la sua unica meta; inoltre l'aveva vista imboccare quella direzione.

Si volse da una parte e poi dall'altra, senza scorgere il suo viso tra quello dei presenti. Camminò ancora fino a raggiungere il limitare di quell'area e scrutò con crescente ansia il giardino. Non poteva certo essere sparita. Il suo sguardo cadde sulle siepi alte, basse, squadrate e rotonde, sulle piccole fontane che nell'ombra della sera si faceva fatica a distinguere e sentieri che a tratti sparivano dalla mappatura creata dal giardiniere - poi, come una visione, una sagoma spuntò lungo una di quelle linee di sassolini per sparire poco dopo dietro un muro di foglie. La riconobbe dal taglio gonfio dell'abito, dall'andamento sicuro e tranquillo. L'aveva vista passeggiare lì in mezzo con le sorelline e Levi così tante volte che ormai l'avrebbe distinta da chiunque; ma dove diamine stava andando? L'urgenza d'inseguirla, forse per un'inconscia paura che stesse fuggendo perché in quello scambio con Nakhaš lui le avesse promesso di salvarla dal suo destino, lo investì con una violenza tale che in un attimo fu alle scale. Nessuno lo avrebbe notato una volta che si fosse allontanato di qualche metro, nemmeno uno di quei borghesotti lo avrebbe visto inseguire la futura sposa, fermarla, chiederle spiegazioni. Quasi le corse dietro, in parte ricordando il punto in cui l'aveva vista, in parte immaginando quale strada potesse aver preso.

Se Levi avesse osato fare una cosa del genere, studiarsi un piano di fuga con lei, nemmeno riuscì a immaginare come avrebbe reagito.
Più il rumore delle chiacchiere e l'esibizione dell'orchestra si facevano lontane alle sue spalle, più le falcate di Salomone si allungarono. Aveva fretta, un'ansia che gli faceva battere il cuore a mille. Possibile che Alexandria Orsòlya Varàdi fosse disposta a mettere in ridicolo la propria famiglia fuggendo con un uomo che conosceva da sole due settimane? Possibile che Levi fosse stato capace di tanto? E quando aveva ideato quel piano?
Il Re svoltò per un vialetto che, per quel che gli sembrò di ricordare, doveva condurre alle gabbie dei cani-lupo del Marchese e, poco più in là, alle stalle. Il terrore che la Contessina stesse davvero tentando la fuga aumentò la nausea che sentiva agitargli lo stomaco.

«Arur! (Maledizione!)» digrignò, conscio che alla fine sarebbe arrivato a lei e delle scuse che doveva farle non vi sarebbe stata nemmeno l'ombra. Si passò una mano sul viso, odiandosi.
Arrivò alla fine del selciato e, senza nemmeno domandarsi che direzione quella mocciosa avesse preso, si girò a destra, bloccandosi.

Lei era lì, ferma, piegata su se stessa come se dovesse crollare da un momento all'altro. I raggi di luna a delinearne la sagoma tetramente. C'era qualcosa di insolitamente sbagliato nel modo in cui le sue spalle si alzavano e abbassavano velocemente. Non aveva corso, ne era certo, allora perché sembrava avere il fiato corto?
«C-Contessa?» Un groppo in gola gli impedì di deglutire, la consapevolezza di aver fatto un errore, a inseguirla, sempre più grande.
Alexandria si volse appena, il profilo sgraziato a rivelare della paura e, in lontananza, una macchia scura, goffa a mettere distanza tra sè e quel luogo. Salomone mosse un passo, poi i suoi occhi, come liberati da un incantesimo, caddero in basso, scoprendo una delle mani della ragazza chiazzata di quello che fu certo essere sangue.
«I-i-io...» singhiozzò senza piangere, bagnandosi le labbra: «io...» Cadde sulle proprie gambe come preannunciato, una macchia scura in espansione sul bustino dell'abito e il terrore sempre più evidente. In un attimo le fu accanto, le ginocchia batterono sul terreno duro e dei resti di ghiaia provarono a oltrepassare la stoffa dei pantaloni.
L'agitazione lo sopraffece, l'odio per lei si dissipò completamente. «Chi è stato?» le chiese d'istinto realizzando cosa fosse quella sagoma sfocata. Le tremava il labbro, gli occhi erano lucidi, ma ancora nessuna lacrima: «Alexandria, ditemi chi è stato?» gli importava, sì, ma sapeva anche che in quel momento non avrebbe fatto nulla per portarla in salvo o consegnare il suo attentatore alla giustizia. Vista la situazione, sarebbe stato lui l'unico a venir incriminato.
Un'ombra calò su di loro, il cuore gli si bloccò in gola. Aveva gli occhi fissi sulla Contessina, eppure capì subito di chi si trattasse.
Strinse le labbra in una linea dura e socchiuse le palpebre, sentendosi un mostro: «Dobbiamo andarcene.» Lei non disse nulla. Sembrava un infante tra le sue braccia, così cheta e innocua.
«No...» un brivido gli scese lungo la schiena facendo fremere anche lei.
«Levi...» ringhiò, inconsapevolmente stringendo la contessa a sé e macchiando la propria camicia con il sangue di lei: «Yaashiymu otanu im nishear (se restiamo ci daranno la colpa).»

«Non posso.»
Salomone strinse i denti. Stava scherzando? Intanto, a ridosso del suo petto, Alexandria non dava segni diversi dalla più annichilante calma. Sentiva il respiro faticarle oltre le labbra.
«Taqeshiyv li! Anakhenu khayavim lalekhett (ascoltami! Dobbiamo andarcene). Hu gvss (sta morendo).» Finalmente si volse a guardare il fratello. Le narici di Levi erano grandi, lo sguardo così inumano e febbrile da farlo rabbrividire come al cospetto delle porte dell'Inferno stesso. Non gli stava dando retta. La sua mente già lontana, persa in chissà quale angolo buio. «Akh!» lo chiamò.

«Allora vai.»
«C-come?» Un mugolio gli fece capire di star stringendo troppo forte la ragazza. «Cosa stai blaterando?»
«Vattene, Salomone!»
Le dita affondarono nel tessuto ruggine, crearono solchi nella carne soffice: «Non metterti a fare il capriccioso...» poi un colpo di tosse li fece sussultare entrambi e quando tornò a fissare Alexandria la trovò terribilmente pallida, in bocca una saliva densa e rossa. Presto sarebbe soffocata nel suo stesso sangue e lui si sarebbe per sempre ricordato il peso di quel corpo. Provò a lasciarla, ma le braccia non collaborarono. «Tu vieni con me, Levi.»
Un fiato poco distante dal suo orecchio, poche lettere confuse lo sfiorarono e una fitta al centro del petto lo tradì. Ancora una volta i suoi occhi incontrarono quelli della Contessina. La patina della morte aveva preso a calarle sullo sguardo trasformando il muschio delle sue iridi in melma. Che fine ingiusta a un'esistenza ingiusta, pensò; e in parte era colpa sua. Lui l'aveva offesa e lei era fuggita nell'oscurità di quel giardino incontrando... chi? Un malintenzionato? Un nemico del Marchese? Una delle sue amanti gelose? Non ne aveva la più pallida idea.

«Az tatsil otah (dunque salvala).»
Il cuore perse un colpo, le membra fremettero. Cos'aveva detto?
Stavolta, quando si rivolse a Levi, comprese che ciò che avrebbe fatto con Alexandria avrebbe decretato il loro destino. Ars o meno, suo fratello lo avrebbe lasciato - se non nel corpo, nello spirito.
«I-io... ho fatto un-»
«Ta'asseh et zeh ani aqeshiyv lekhal mah sheatah omer (fallo e ubbidirò a ogni cosa dirai).» Il viso di Nakhaš divenne una maschera di squame, le sue nocche si fecero bianche nello sforzo di trattenersi: «Eynekha ohev (Non l'amerò). Lo omer lekhe mashehu (Non le dirò nulla). Eheyeh hal'aani lo yakhol la'amod mulam la'azov ett hatsad shelekha leshaqul ett zeh (Le starò lontano e non oserò più lasciare il tuo fianco o pensare di farlo), hamelekhe sheli (mio re).»

Salomone si morse la lingua. L'ultima volta che aveva udito tanta fermezza nella voce di Levi era stato più di mille anni prima e, amaramente, sapeva che ciò che gli stava offrendo sarebbe stato un scambio alla pari, un giuramento che li avrebbe tenuti legati: la vita della persona che più amava per la sua.
 

   
 
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