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Autore: Orso Scrive    27/04/2024    1 recensioni
Durante la torrida estate del 2022, la Toscana è sconvolta da alcuni misteriosi e brutali omicidi. Omicidi che vedono, come vittime, tombaroli sorpresi a scavare all’interno di antiche sepolture etrusche.
Per questo motivo, il tenente Manfredi e il sottotenente Bresciani vengono inviati a San Gimignano, in provincia di Siena, nel cuore dell’antica Etruria, per indagare sugli strani avvenimenti.
Riusciranno Alberto e Aurora a fare luce su questo nuovo caso, che affonda le sue radici ai tempi della guerra tra Roma e gli Etruschi, e forse a tempi ancora più remoti?
Genere: Horror, Mistero, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'A&A - STRANE INDAGINI'
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14.

 

 

 

Dal fondo della tomba giungeva uno strepito spaventoso.

Il fracasso era insopportabile. Le urla del tombarolo echeggiarono per alcuni minuti. Sembravano le urla di un dannato che fosse finito all’Inferno e fosse stato condannato alla peggiore delle torture. Grida sempre più acute, simili a strilli di un maiale scannato. Seguì un gorgoglio liquido, accompagnato da un raccapricciante rumore di carne lacerata e membra strappate.

Poi più nulla.

Dal varco aperto nel soffitto, l’uomo abbigliato come un antico guerriero aveva seguito imperturbabile la scena che gli si era parata davanti agli occhi. Senza battere ciglio, continuò a guardare il mostro accanirsi contro il cadavere del profanatore, facendolo a brani.

Nonostante si sentisse sicuro, le sue dita tremarono e la sua mano si coprì di sudore, quando strinse l’elsa della spada. L’armatura che aveva indossato sopra la tunica rossa che gli scendeva fino a mezza coscia – un corpetto di bronzo scolpito in forma muscolare, schinieri del medesimo materiale e un elmo di tipo corinzio ornato da un pennacchio di piume variopinte – lo avrebbe sicuramente aiutato contro il mostro. Strinse più forte l’impugnatura dello scudo tondo, su cui era raffigurato il volto della Medusa.

Doveva essere coraggioso e il suo cuore non poteva permettersi di cedere.

Era stato scelto lui, per quel compito. I venerabili maestri della Loggia Occulta avevano valutato ogni guerriero, e lui era risultato essere il più degno.

Toccava a lui e a lui soltanto.

Era suo il compito. Spettava a lui non deludere la grande fiducia che gli veniva accordata.

Non avrebbe avuto paura.

«Charun!» gridò con voce stentorea. «Esci dalla tomba, mostro dell’oltretomba dei Tirreni! Io, Iobate, figlio della Loggia, erede degli Iperborei, così ti ordino!»

Un ringhio seguì in risposta a quelle parole. Nell’oscurità della tomba, due spaventosi e immensi occhi rossi brillarono sinistramente, guardando verso l’apertura nel soffitto.

«Vieni, mostro!» urlò ancora Iobate.

Una gelida e improvvisa corrente d’aria lo investì dal basso. Il guerriero cercò di resistere, premendo i piedi contro il terreno, ma presto dovette cedere. Come un fuscello imprigionato nel vento, fu scagliato all’indietro, e finì il suo volo contro il tronco della quercia a cui era ancora assicurata l’estremità dell’ormai inutilizzabile scala di corda.

Nel clangore del bronzo, Iobate si trovò steso a terra, con un filo di sangue che gli colava tra le labbra. Sotto di sé avvertì lo scudo. La mano destra si mosse attorno all’aria. Aveva perduto la spada.

«No, no», mormorò, guardandosi attorno nel tentativo di ritrovarla.

Il buio era assoluto. Non riusciva a scorgere alcunché. Un rumore strascicato attrasse la sua attenzione. Il mostro era uscito dalla tomba e avanzava verso di lui, con passo lento e irregolare.

«Tu volevi affrontare me?» risuonò una voce profonda e spaventosa, che sembrava provenire dalle viscere più oscure della terra.

Iobate, con uno sforzo, riuscì a mettersi seduto. Le sue pupille dilatate fissarono per un istante la figura nera e mostruosa che gli stava venendo incontro. Proprio ai piedi del mostro, un luccichio attrasse la sua attenzione.

La spada di Soranus.

«Nessuno può battermi», proseguì la voce. «Io sono la giustizia, io sono la vendetta! Io sono la morte!»

La falce ricurva, nella mano destra del demone, penzolava inerte verso terra. Iobate la guardò oscillare come un pendolo che segnasse l’ora della sua fine. Ma lui non era lì per essere ucciso. Lui era lì per uccidere. I maestri e i figli della Loggia Occulta avevano riposto la loro piena fiducia in lui.

Non li avrebbe delusi.

«Noi ti abbiamo evocato, noi ti rigetteremo nell’abisso oscuro da cui sei stato vomitato!» urlò Iobate. «Tornerai nell’abisso d’Averno, immonda creatura!»

Mentre il mostro si fermava per impugnare a due mani la falce e sollevarla per sferrare il colpo fatale, il guerriero scattò. Gli doleva la schiena dove aveva sbattuto, ed era certo di essersi incrinato una vertebra.

Non aveva alcuna importanza.

Sforzando le ginocchia, si gettò proprio ai piedi del demone e strinse l’elsa della spada. Con un movimento fluido, sollevò la mano, indirizzandola verso il ventre del demonio, rivestito da un’armatura nera come la morte.

La falce colpì la lama, deviandola verso sinistra. La spada squarciò l’aria, senza provocare danni. L’impatto fu tale che Iobate si trovò a rotolare sul fianco, verso il lato del tumulo.

Fu un vero miracolo se, questa volta, riuscì a mantenere salda la presa sulle sue armi. Questo non poté evitargli di avvertire una fitta lancinante attraverso tutto il corpo. Avrebbe voluto scivolare nell’oblio per smettere di sentire quel malessere. Ma era un lusso che non poteva permettersi. Doveva resistere, perché cedere avrebbe significato morire.

Peggio ancora, avrebbe significato perdere la spada.

Con uno sforzo sovrumano, riuscì a rimettersi in piedi. Tenendosi riparato dietro lo scudo, puntò la spada verso il mostro, che stava venendo verso di lui con la falce sollevata, pronta a colpire.

«Voi vorreste servirvi di me come di uno strumento?» domandò la voce infernale, carica di sarcasmo. Una risata di scherno seguì a quelle parole. «Sciocchi! Nessun’arma mortale è in grado di fermare me!»

Un’altra cupa risata risuonò nella notte, buia e profonda, immersa nell’oscurità quasi totale che precede di poco l’aurora, quello spartiacque velato e misterioso tra le tenebre e la luce.

Vincendo il terrore che gli stava facendo tremare i polsi, Iobate si gettò in avanti, sferrando un altro attacco. Si mantenne basso, per fare in maniera che lo scudo lo riparasse completamente. Il colpo di falce del mostro raggiunse proprio il volto della Medusa, aprendolo in due come se fosse stato colpito da una ferita profonda e insanabile.

Frammenti di legno e schegge di metallo ferirono la mano del guerriero, che per l’ennesima volta crollò al suolo. Cercò di tenere alta la lama, dritta verso il petto del mostro. Ma il demone, con un calcio, gliela strappò di mano.

«Ora ti ammaestrerò io, guerriero, su che cosa succeda a chi osa sfidarmi!» gridò il mostro, sollevando la sua falce.

Ansante, Iobate lo guardò senza lasciarsi cogliere dal terrore.

Essere ucciso faceva parte dei rischi che si era assunto quando aveva accettato quell’alto incarico, lo sapeva benissimo. Avrebbe potuto coprirsi di gloria imperitura, oppure incorrere in un annientamento totale. Il destino aveva stabilito che fosse quest’ultimo, il suo fato. Poté soltanto augurarsi che il mostro gli concedesse una fine rapida e non l’immane dolore che aveva costretto a patire al tombarolo, prima di ucciderlo.

Ma il mostro, prima di colpire, temporeggiò ancora. Se la situazione non fosse stata così assurda, Iobate avrebbe quasi pensato che si stesse facendo beffe di lui.

«Volevi battermi, sciocco guerriero! Nessuno c’è mai riuscito, mai dalla nascita del Tutto! Perché avresti dovuto farlo tu?» Il demone rise di nuovo. «Se tu e i tuoi simili siete stati tanto imprudenti da chiamarmi, ebbene vi renderete conto molto presto di come io sia un flagello inarrestabile!»

La lama lampeggiò sinistra, Iobate serrò gli occhi…

E il cielo, che da qualche minuto si era tinto di viola, venne illuminato dai primi raggi del sole nascente.

Dal momento che non accadeva più nulla e che tutto taceva – non fosse stato per gli uccelli che avevano già cominciato a cinguettare al riparo delle fronde – Iobate si decise a riaprire gli occhi per potersi guardare attorno.

Era solo.

Charun, il signore dell’oltretomba e della notte, era stato cacciato dal nuovo giorno.

 

 
   
 
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