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Autore: Sayman    28/04/2024    0 recensioni
Salve mortali! Sono di nuovo io, Enoch! In questo secondo volume verrà narrata la mia fuga da un mondo che sta per collassare su se stesso. Esploreremo ulteriormente la mia mortalità e non mancheranno le curiosità sulla creazione che solo io posso rivelarvi! Non perdetevi questo nuovo capitolo della mia epica storia!
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Le cronache di Enoch'
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Capitolo 1
 

Approdo del Re, una magnifica città medievale che puzzava come un bisonte arcaniano dopo la stagione delle piogge, sul serio, faceva proprio schifo. Come dite? Dovrei descriverla meglio di cosi? Ok, ok, va bene! Mortali, non vi accontentate mai, soprattutto se siete fan del Trono di Spade, ufff!

Prima di cominciare a descrivere come si deve, io sono Enoch, il simpatico protagonista di queste cronache, benvenuti lettori ecc ecc...

Ora, Approdo, la città era approssimativamente di forma quadrata lunga diversi chilometri, ed era difesa da alte mura. Vi erano sette accessi alla città: Porta del Drago, Porta del Leone, Porta del Fango, Porta Vecchia, Porta degli Dèi, Porta del Re e Porta di Ferro. All'interno delle mura la città era dotata di diverse abitazioni, pergolati, granai, magazzini, taverne, bancarelle, locande per la notte, cimiteri e bordelli. Esisteva persino un mercato del pesce. Le strade erano larghe, costeggiate di piante e ramificate con stretti vincoli. Vicino alla Porta del Fango si trovavano tre trabucchi chiamati le Tre Puttane: una recente aggiunta alla difesa della città. Si, adoro questo nome^^.

La città si estendeva lungo la costa nord del Fiume delle Acque Nere, adagiandosi su tre alte colline dedicate ad Aegon (uno dei tanti, data la pletora di mortali platinati con questo nome ) e alle sue sorelle, Visenya e Rhaenys. La collina più elevata, sormontata dalla Fortezza Rossa, il castello reale ubicato nella parte sud-orientale della città, dominava il porto con la sua vista imponente. La Collina di Visenya, ad ovest, era coronata dalla maestosa struttura marmorea del Grande Tempio di Baelor e dalle sue sette torri di cristallo. La Collina di Rhaenys, a settentrione, ospitava invece le rovine della Fossa dei Draghi, le cui pesanti porte di bronzo erano state chiuse da circa un secolo e mezzo, con la morte dell'ultimo drago.

Nei bassifondi denominati Fondo delle Pulci, un labirinto di vicoli bui e strade strette, si accalcavano i più poveri della città. Senzatetto ricoprivano il selciato, mendicando per un tozzo di pane. La loro misera sussistenza consisteva in una zuppa scura, uno stufato di dubbia provenienza che si diceva, contenesse carne di ratto e forse anche resti umani. Da questa cloaca emanava un fetore nauseabondo che impregnava l'aria e se solo ne avessi posseduta una, anche la mia anima. Ma questa è un'altra storia che avrò modo di narrarvi in seguito. Sull'altro versante della Collina di Rhaenys, invece, vivevano i ceti abbienti.

Simbolo della città e del potere regale era il rinomato Trono di Spade. Forgiato con le mille lame dei lord che si piegarono ad Aegon durante la Guerra di Conquista, il Trono era il frutto del fuoco del suo drago, Balerion il Terrore Nero, che fuse le armi nella sedia più scomoda delle realtà.

Naturalmente, la città era la capitale dei Sette Regni di Westeros. Ma non mi dilungherò in descrizioni dettagliate, non sono certo Wikipedia o Google Planetos.

In questa città, oltre ai reali, ai cittadini comuni, ai mendicanti, le puttane e a tutte le altre categorie di umani, vivevano tre individui alquanto particolari:

La prima era una donna di mezza età di una bellezza radiosa, con lunghi capelli biondi e un sorriso caloroso che illuminava il suo volto. Indossava un elegante abito medievale blu che ne esaltava la figura slanciata e il suo collo era adornato da un ciondolo dello stesso colore. Era giunta da poco alla corte della bellissima e folle Regina Cersei Lannister, soprannominata Cecira da molti. La donna si era presentata come Lady Lena, una dama che aveva ripudiato il suo cognome originario a causa di un trauma infantile. La sua storia, unita al suo fascino e al suo carisma, l'aveva resa immediatamente popolare tra i cortigiani che non avevano dubitato della sua veridicità. La Regina stessa, ormai avvezza all'ubriachezza e persa nei suoi pensieri confusi, non si era curata di approfondire la sua provenienza, soprattutto dopo la partenza del suo gemello Jamie per il Nord, dove si era unito a colui che non sa nulla nella lotta contro gli zombie del Re della Notte. In realtà, Lena non era chi diceva di essere: era la sesta incarnazione del Signore del Tempo conosciuto come il Guardiano. Sì, proprio lei, la Tata che mi aveva lasciato a marcire in questo mondo desolato. Solo che a differenza della severa e seria Tata vittoriana, la bionda era gentile, solare e molto più giovane.

La seconda figura misteriosa era una nativa di questo pianeta, ma proveniente dal passato. Alicent Hightower, una regina di una bellezza senza tempo, si distingueva per i suoi capelli castani sempre ben raccolti e per l'abito nobiliare quasi sempre verde, colore che rappresentava il suo simbolo e quello della sua fazione. Questo era il suo aspetto originario, poiché ora indossava un semplice abito marrone da serva. Per cause sconosciute, la poveretta si era ritrovata catapultata nel futuro e da allora si era finta una serva per indagare sulla sua nuova realtà. Ben presto aveva imparato che la vita della servitù era tutt'altro che piacevole, soprattutto per una ragazza carina e graziosa come lei. I nobili avevano subito cercato di approfittarsi di lei, ma fortunatamente Lady Lena era intervenuta prontamente, prendendola sotto la sua protezione e assegnandole il ruolo di serva personale, o meglio, di protetta, visto che ufficialmente era al servizio di Qyburn.

Personalmente detestavo questo ex Maestro, Maestro dei Sussurri, Primo Cavaliere o qualsiasi altro titolo avesse, perché era legato alla terza figura misteriosa: me! Questo... essere mi aveva catturato e mi aveva sottoposto a degli esperimenti atroci. Vi sembra mai possibile? Il Maestro, infatti, era noto per la sua passione per gli esperimenti illegali sugli esseri umani, come dimostrava chiaramente La Montagna, il bestione che mi aveva steso al mio arrivo su questo mondo. L'uomo era rimasto affascinato dal mio sangue, o meglio, icore. L'icore è il sangue degli dei e sebbene nella mia vera forma non ho né sangue né altra sostanza fisica, all'epoca ero "mortale" e possedevo un corpo solido e fastidioso.

Lo stronzetto con il sacco addosso, il suo abbigliamento non si poteva che non descrivere così, mi aveva legato a un tavolo in una lurida e scura prigione/laboratorio, piena di cianfrusaglie scientifiche e polvere. C'erano contenitori con dentro organi umani e altre schifezze del genere. Una piccola finestrella era l'unica fonte di luce in quell'ambiente tetro, illuminando anche una graziosa ampolla di vetro contenente un liquido argentato e purissimo. La luce creava attorno ad essa un piccolo arcobaleno. Normalmente non avrei incluso immagini in questo testo, ma in questa storia farò qualche eccezione. 
 

 


Bellissimo vero? Quello che vedete è il mio sangue, il mio icore e anche ciò che mi teneva imprigionato. Non vi sto a dire il dolore che mi avevano procurato le punture, visto che per me il dolore era ancora una cosa nuova. Mi sarei vendicato, eccome se lo avrei fatto.

Vi starete chiedendo come mai non mi ero liberato subito, ma ragazzi, ero un "mortale" e non avevo dei poteri o se li avevo dovevo ancora capire come farli funzionare. Inoltre, per quanto dolorosi, quegli esperimenti mi avevano anche reso curioso di scoprire ed esplorare la mia nuova natura. Mi avevano fatto comprendere meglio ciò che ero diventato e in un certo senso, mi avevano rasserenato. Icore = divinità, quindi, per quanto debole come un neonato, ero ancora un ancestrale, il che era molto positivo. Sapevo di essermi spezzato e non di essere davvero caduto, ma dalle visioni che avevo avuto, molti miei frammenti vivevano una vita umana e non credo che con il sangue argentato avrebbero potuto condurre una vita normale. In secondo luogo, gli esperimenti e il dolore annebbiavano la mia mente impedendomi di pensare ai miei fratelli. Sapevo che Ouránios era tornata e poco prima di svenire dal pugno della Montagna, avevo intravisto la figura beffarda di Xάος, il mio fratello pazzo, il caos in persona. Lo avevo intrappolato, ma con la mia caduta...onestamente speravo davvero che si trattasse solo di un'allucinazione e non di lui realmente, ma già sapevo che io e la fortuna non andavamo d'accordo. Vi racconterei della lite che avevo avuto con una delle tante manifestazioni della fortuna, ma non è questo il momento.

Il primo giorno di prigionia feci una cosa che non avrei mai ritenuto possibile: pregai. Pregare è una cosa che fate voi mortali, ma io che sono il secondo essere più potente del creato, un dio sopra agli dei, non avevo bisogno di pregare, era un'idea ridicola. All'inizio pregai l'Arcangelo Michele, pur sapendo che mi avrebbe preso in giro da qui all'eternità. Io e lui siamo fratelli in tutto tranne che nel sangue, anche se non abbiamo del sangue, ma ci siamo capiti ed è l'unico Arcangelo con cui vado veramente d'accordo. Non sopporto nemmeno Metatron che è la mia manifestazione abramitica e sono beh, io, figuratevi gli altri Arcangeli. Michele però mi piaceva. Ovviamente Guccy e Gabbana non mi rispose, cosa che ipotizzai fin da subito, sarà stato occupato con qualche crisi o dai disastri generati dalla mia caduta. Quindi provai con tanti altri dei, esseri celestiali e via dicendo, ma niente! Nessuno mi rispondeva alle mie preghiere. Allora pregai "papà", ma il Primario, come sempre, se ne stava per i fatti suoi e non mi considerava nemmeno per errore. Stupido Dio, i Toscani fanno bene a bestemmiare, anche se quel Dio è mio padre, ma non lo è, rileggetevi le regole omniversali del capitolo 4 della prima storia in caso.

Mentre ero sul tavolino, da fuori sentii dei passerotti parlare e discutere su come fare il nido. Ovviamente io mi intromisi e chiamai uno di loro che subito venne da me passando attraverso la finestrella. Il piccoletto era curioso, non si capacitava del fatto che io, un umano, potessi parlare con lui. La verità però era che io non ero umano, ero il creatore degli uccelli e parlavo ogni lingua dell'omniverso, anche quella dei passerotti che non era poi così diversa da quella degli altri uccelli e animali, visto che la lingua animale era come l'esperanto, al massimo vi erano i dialetti. Sì, in infiniti universi questa regola era diversa e ogni animale aveva la propria lingua, ma dettagli su.

Ora, a voi che mangiate la carne, non vi allarmate. C'è un motivo se esistono le creature senzienti e non. Io posso parlare la lingua anche dei sassi, del vento e delle porte. Inoltre esiste una cosa chiamata catena alimentare. Magari cercate di non strafare e di non mangiare animali che non si dovrebbero mangiare.

Dopo aver discusso un po' con il gentile passero e avergli chiesto un piccolo favore, fui assalito dai morsi della fame. Qyburn, poco prima di uscire, mi aveva dato una schifosa zuppa che non mi aveva sfamato affatto. Avevo capito che il cibo, per quanto potesse attenuare un po' la fame, non era in grado di saziarmi. Desideravo qualcos'altro: lui, o meglio, quello che c'era dentro di lui, la sua anima. Un'anima bellissima, energetica e potente come una supernova. Tuttavia, non ero così infame da privare un umano della sua essenza, inoltre, un corpo umano senza coscienza rappresentava un pericolo, soprattutto con uno come lo stronzo che mi aveva rapito.

In quel momento entrò la mia infermiera, la gentile Alicent che mi guardò con il suo solito sguardo preoccupato. Sapevo che la sua tristezza derivava dal non poter più rivedere la sua famiglia, dalla situazione in cui si trovava e dal fatto che il suo mondo stava per andare a puttane a causa della mia caduta, ma di questo ne parleremo nel prossimo capitolo.

<< Alicent, potresti farmi un favore? >> le chiesi. Lei rimase stupita, dato che avevo usato il suo vero nome. << Sì, so chi sei davvero. Ora, vedi quella boccetta che contiene quel liquido argentato e bellissimo? Bevillo >>.

<< Cosa? >> chiese lei stupita. << Ho assistito agli esperimenti di Qyburn, so che quello è il tuo sangue >>.

<< Non è sangue, inoltre, te lo sto chiedendo come un favore >>.

Lei annuì tesa, ma decise di fidarsi e stappò la boccetta.

<< No! Non berlo tutto, prendine solo un pizzico! >> la bloccai appena in tempo.

<< Qyburn sta facendo bere intere fiale ai soldati della regina >> disse lei.

<< Qyburn è una scimmia che non sa cosa sta maneggiando. Quei soldati sono già praticamente morti. >> Se un mortale beve un po' di Icore si potenzia, ma se ne beve troppo il suo corpo non lo regge e diventa polvere di stelle. Ovviamente, ci sono mortali che possono reggere l'Icore meglio di altri, ma alla fine il risultato resta sempre lo stesso: muoiono e nei casi peggiori, si polverizzano.

La ragazza fece come le avevo detto e subito i suoi occhi brillarono di un'intensa luce argentea.

<< Ora ripeti con me: Gedvauundongonfami-Graph-Urgonpedonun-Kòsomos >> dissi io e lei lo ripeté. Subito i lacci che mi tenevano imprigionato si allentarono e le mie ferite guarirono. Volete la traduzione di quello che ha detto? Ok, "Guarisci e libera Kòsmos." Se invece vi state domandando di che lingua si tratti, è l'Enochiano, la lingua celeste che prende il mio nome. Una lingua antica e potente, ricordatemi di parlarvene in modo più approfondito nei prossimi capitoli.

Alicent rimase stupita nel vedere che cosa avevo fatto e non era l'unica.

<< Che dimostrazione di vero potere! >> disse il mio carceriere con un sorriso soddisfatto, sorriso che si tramutò in orrore quando vide un attizzatoio andare verso di lui. Gli trapassai la testa da parte a parte con il primo strumento di morte che avevo trovato. Lo avevo detto che mi sarei vendicato, no?

<< Ora Alicent, scappiamo via da qui >> le dissi porgendole la mia mano.

<< Prima dobbiamo andare da Lady Lena, le devo molto >> disse lei con uno sguardo implorante e io sbuffai, ma acconsentii. In fin dei conti, la ragazza era la mia unica compagnia sana di questi ultimi tempi.

Insieme ci precipitammo verso la stanza della bella lady.

 

   
 
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