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Autore: channy_the_loner    01/05/2024    0 recensioni
Si dice che la Costellazione Lira abbia ispirato la leggenda giapponese di Hikoboshi e Orihime, gli amanti costretti a vivere in eterno sulle sponde opposte del Fiume Celeste. È anche un riferimento allo strumento musicale di Orfeo, figlio della musa Calliope, il cui suono ha incantato ogni elemento della Natura.
Ma non è tutto: Lira contiene dei sistemi planetari – e questa storia s’incentra proprio qui. Racconta di un gruppo di ragazzi le cui vicende, a prima vista singole o di poca importanza, riescono a intersecarsi perfettamente tra loro, creando un arcipelago astrale visibile sotto il cielo estivo e facendoli assomigliare alle stelle. La causa scatenante di tutto è una festa che va contro le regole dell’istituto: sembra una scena di ribellione firmata dai soliti studenti conosciuti per finire sempre nei guai, e invece si rivela una galeotta occasione per dare una svolta alle vite di ognuno di loro.
Una paura infondata e un sorriso leggero; un segreto asfissiante e un’indifferenza rissosa; una lontananza imprevedibile e un silenzio incoerente; una bugia bianca e un’ombra nera; una malinconia bruciata e un cuore metallico.
E tanto, tanto altro.
Genere: Comico, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Marco, Portuguese D. Ace, Roronoa Zoro, Sabo, Tashiji, Z | Coppie: Franky/Nico Robin, Rufy/Nami, Sanji/Nami
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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Sleeve, Silence and Tears





Accovacciato a terra, prese a controllare se il proprio zaino contenesse tutto il materiale di cui avrebbe avuto bisogno durante quella che si prospettava essere una lunga e faticosa giornata. Ficcò la testa dentro la cartella e frugò tra i quaderni come una talpa intenta a scavare una buca: gli appunti c’erano, così come le matite e le penne di riserva; di lato troneggiava la sua fiera borraccia contenente acqua sempre fresca, mentre dalla parte opposta sbucava lo skateboard nero che non sapeva mai dove parcheggiare durante le lezioni. Ace esultò mentalmente, abbandonò il proprio armadietto e si avviò fischiettando verso la propria aula.
«Come mai così di buon umore?»
Riconobbe la persona che aveva parlato nell’immediato istante in cui udì la voce. Si voltò a salutare Sabo con un gran sorriso e gli disse: «Perché oggi, fratello, è il giorno della mia vittoria.»
Il biondo lo affiancò per camminare insieme a lui, dato che la loro destinazione era la stessa. «Hai vinto la schedina al banco delle scommesse?»
«No, no», rispose Ace. «Oggi prenderò il mio primo voto pieno.»
Sabo parve riflettere su quelle parole, alla ricerca del nesso logico che le univa; poi ricordò. «Aah, oggi c’è il test di fisica!», fece battendo un pugno sulla mano aperta. «E tu vorresti dirmi che hai studiato?»
«Certo», rispose il moro con un sorriso smagliante. «Ho studiato il modo per copiare tutte le risposte senza essere scoperto.»
«Ah, ecco, mi sembrava strano.»
Raggiunsero in fretta l’aula e presero posto l’uno accanto all’altro; Ace si adoperò subito per mettere in atto il suo piano, incurante degli sguardi curiosi dei suoi compagni di corso. «Hai presente quando si dice un asso nella manica?», chiese al biondo armeggiando con una manciata di bigliettini contenenti scritte microscopiche. «Mi basterà attaccarli all’avanbraccio con dello scotch. Il prof non se ne accorgerà mai.»
«Non per rovinare i tuoi piani per conquistare il mondo», fece Sabo ridacchiando, «ma non credi che si possa insospettire vedendoti con le braccia scoperte il ventisette novembre?»
Il moro staccò un pezzo di nastro adesivo con l’ausilio dei denti e posizionò il primo biglietto sul proprio polso sinistro. «Ma no, ti assicuro che Issho non mi vedrà neanche!»
«Se lo dici tu…»
«Inoltre», continuò Ace, «tu potresti passarmi qualche risposta visto che sei qui.»
«Non ci penso nemmeno.»
«E perché?»
Il biondo sfogliò alcune pagine del proprio manuale di fisica, intenzionato a ripetere gli ultimi concetti prima del suono della campanella. «Perché non mi voglio rovinare la media, mi sembra logico.»
Ace roteò gli occhi al cielo. Lo scimmiottò con una smorfia: «Logico, logico…»
«È tutto quello che so.»
«Ripeti sempre le stesse cose», lo canzonò l’altro. «Non fai altro che stare sui libri, sembri un matto. Anzi, lo sei.»
Sabo sospirò poggiando il mento su una mano, il gomito coperto da un maglione blu puntellato sulla superficie legnosa del banchetto. «Lo sai che i miei tengono molto alla mia formazione. È già tanto che mi abbiano permesso di frequentare un liceo pubblico per stare con te e Luffy, altrimenti mi avrebbero rinchiuso volentieri in un carcere per geni.» Guardò fuori dalla finestra e i suoi occhi catturarono il volo sbarazzino di un uccello diretto al proprio nido, costruito con della pagliuzza incastrata tra i rami di un albero ormai spoglio. «Ma anch’io considero lo studio una cosa importante. Voglio costruirmi un futuro solido.»
Ace incrociò le braccia al petto. «Potrai inseguire i tuoi sogni una volta uscito di qui», disse imbronciato e dondolandosi sulla sedia. «I tuoi ti hanno già iscritto al college, no? Quest’ultimo anno è la tua occasione per divertirti e goderti la vita senza alcun rimpianto. Perché non ci arrivi?»
«E chi ti dice che non mi stia già divertendo?», fece il biondo con un sorrisetto in volto. «Bighellonare con te e gli altri nei corridoi durante le lezioni mi fa sentire un vero ribelle.»
«Ma ti senti?! Solo un secchione come te potrebbe usare la parola bighellonare durante una chiacchierata con suo fratello», lo canzonò Ace trattenendo una risata.
L’altro non fece in tempo a rispondere che la campanella trillò nelle orecchie dell’intera popolazione studentesca, mettendo fine al breve intervallo per il cambio dell’ora e annunciando l’imminente inizio della verifica. Ace si strofinò le mani e nascose nel proprio zaino le prove del crimine appena compiuto, lasciando sul banco solo una Bic nera col tappo morsicato molteplici volte.
Tuttavia la soglia della porta della classe venne varcata da un individuo che affatto somigliava al docente che avrebbe dovuto presenziare durante quell’ora; la figura di quell’uomo era resa sgargiante grazie alla vivace camicia a fiori che sbucava allegramente da sotto una giacca più sobria. Ace lo riconobbe immediatamente e si chiese cosa ci facesse lì, in piedi accanto alla cattedra dell’aula. Come se gli avesse letto nel pensiero – o forse perché era la prassi per giustificare la propria presenza tra quelle mura – l’uomo, accompagnato dal silenzio generale che si era venuto a creare tra gli studenti, disse: «Il vostro docente di fisica è assente per malattia.»
Un urlo di esultanza si elevò in aria, ma fu un’azione sconsiderata e prematura.
«Tuttavia», continuò con un sorriso cordiale in volto, e le voci cessarono nuovamente di farsi udire, «io insegno la stessa materia. Il test di oggi si svolgerà come da programma.» Ignorò poi la somma delusione che si era sollevata tra gli alunni e distribuì i fogli a ciascun ragazzo. «Avete un’ora di tempo. Per qualsiasi dubbio potrete rivolgervi a me.»
Ace si sporse verso Sabo e sussurrò: «Che cazzo ci fa Fenice qua?»
«E lo chiedi a me?»
«E a chi dovrei chiederlo?! Questo non è mezzo cieco come Issho! Mia madre mi vuole tagliare i viveri!»
«Senti», fece il biondo scrivendo il proprio nome sul foglio, «non puoi scappare né correndo fuori dalla porta né tantomeno saltando giù dalla finestra. Tanto vale che provi a fare il compito.»
«Sabo, se prendo meno di B sono fottuto!»
«C’è qualche problema?»
Ace sentì il sangue nelle vene congelarsi; vide Sabo avere la medesima reazione, ma fu più furbo poiché incollò la faccia sulla verifica che aveva dinanzi a sé. Voltò lentamente il capo si trovò faccia a faccia con Marco, il quale lo fissava dall’alto con aria a metà tra il rimproverante e il curioso; aveva le braccia incrociate al petto e un ciuffo di capelli biondi che gli ricadeva ribelle sulla fronte, e in qualche modo Ace si sentì avvampare: gli faceva uno strano effetto essere osservato in quella maniera, da quegli occhi così piccoli da rendere impossibile scoprire il colore delle iridi.
Si ricordò improvvisamente di dover rispondere; deglutì. «No, professore.»
Il docente studiò la postazione dello studente con sospetto e sorrise con una vaga soddisfazione quando intravide qualcosa di severamente vietato. «Posso chiederti per quale motivo, allora, ti stavi agitando fino a un attimo fa?»
«Perché», temporeggiò – ma cosa gli stava succedendo? «non mi aspettavo che il professor Issho fosse malato. Solitamente è un vecchietto molto arzillo.»
«Capisco», rispose Marco. «E considerando i suoi problemi di vista hai creduto di passare inosservato con quei bigliettini.»
«Già… No, un attimo! Non ho dei bigliettini!», urlò scattando in piedi ma, così facendo, lo scotch che aveva utilizzato in precedenza si allentò; di conseguenza dai suoi vestiti larghi volarono via dei piccoli fogli di carta bianca.
L’insegnante allargò il sorriso, che quasi pareva una smorfia di puro divertimento. «Davvero?»
Sabo si sbatté una mano sulla fronte, dando mentalmente dell’idiota al fratello, mentre quest’ultimo continuava a osservare i biglietti danzare per aria poiché troppo leggeri per crollare sul pavimento a peso morto.
«Ragazzi», fece Marco rivolgendosi alla restante parte della classe, la quale stava osservando la scena con incredulità, «potete continuare a svolgere il vostro test. Con te, invece», disse tornando a guardare Ace, «vorrei fare due chiacchiere in privato. Ti aspetto in sala professori dopo le lezioni.»
Il motivo non seppe spiegarselo, ma quell’ordine, ad Ace, non dispiacque affatto.




***




Duecentoquarantasette, duecentoquarantotto, duecentoquarantanove, duecentocinquanta.
A contare sapeva contare, eppure Zoro aveva la vaga sensazione di star andando nella direzione sbagliata: ricordava che la sua meta si trovava vicino all’armadietto numero duecentouno ma, da quando aveva abbandonato la lezione di storia per tuffarsi nel corridoio, non aveva scorto quelle cifre neanche una volta – doveva sicuramente trattarsi di un deficiente che si era divertito a cambiare le targhette dei piccoli ripostigli in ferro, dato che quella strada la faceva tutti i giorni. E poi, quando erano stati appesi quei cartelloni colorati di azzurro e giallo? Era sicuro che la mattina prima non ci fossero, così come l’aula di inglese la ricordava accanto alle scale.
«Ma guarda chi si vede.»
Mantenendo le mani nelle tasche dei pantaloni felpati, il ragazzo arrestò la camminata svogliata e puntò gli occhi in quelli azzurri di Robin, che stava poggiata contro una parete spoglia a braccia conserte, il suo solito sorrisetto indecifrabile a coronarle il volto pulito.
«Hey», la salutò mantenendo un’espressione annoiata e a tratti imbronciata.
«Stai cercando qualcuno?»
Zoro fece spallucce. «Sto andando a pisciare.»
Lei ridacchiò coprendosi la bocca con le unghie smaltate di nero.
«Che cazzo ridi?»
«I bagni», gli disse senza smettere di divertirsi, «sono da tutt’altra parte.»
Il ragazzo si grattò la nuca guardandosi attorno – ora tutti i tasselli del puzzle sembravano essere tornati ai propri posti. Sentire la risata dell’amica lo faceva sentire in imbarazzo, sentimento che odiava profondamente, pertanto si affrettò a cambiare discorso: «Tu che stai facendo qua impalata?»
Il riso di Robin si placò, ma lei non smise d’esser allegra. «Sto indagando.»
Zoro storse la bocca – detestava quando lei si comportava in quella maniera così misteriosa. «Sinceramente non ci tengo a sapere su che cosa.»
«Invece credo che ti possa interessare.»
Alzò un sopracciglio. «Eh?»
Robin si mise un dito sulle labbra, facendogli cenno di non parlare; fu allora che il ragazzo si accostò a lei, silenzioso come un’ombra, per sbirciare con gli occhi e con le orecchie nella porta che stava lì accanto. “L’ufficio di Spandman?”, si domandò con curiosità e sospetto; la prima figura che riuscì a scorgere fu proprio quella del vicepreside – non fu complicato, dato che quell’uomo era solito urlare e dimenarsi come un ossesso a ogni problema –, per poi concentrarsi sulle due persone che, sedute sulle poltrone della stanza, davano le spalle alla porta: nonostante ciò, riuscì a riconoscere immediatamente Smoker e Hina.
«Credevo che foste i migliori in circolazione!», sbraitò Spandman. «Ecco perché vi ho lasciato campo libero!»
Con il capo leggermente chinato in avanti, a rispondergli fu la ragazza: «Hina e Smoker sono dispiaciuti, signore. Hina la prega di accettare le loro scuse.»
«Ma quali scuse e scuse! La vostra incapacità non servirà a riparare i danni!»
«Hina e Smoker ne sono perfettamente consapevoli.»
«E piantala di parlare in terza persona! Mi fai solo infuriare di più!»
Fu il turno del rappresentante d’istituto di parlare: «Lei ha ragione, vicepreside, noi siamo i migliori in circolazione. È per questo motivo che non ha necessità di scaldarsi in questo modo.»
Spandman fece crollare due pugni sulla scrivania, per poi lanciarsi col busto in avanti per fissarlo meglio negli occhi. «Certo che ne hai di fegato, ragazzo. Osi parlare in questa spregevole e arrogante maniera a un’autorità del mio calibro!» Tornò a sedersi compostamente, rosso in viso per essersi sgolato. «Ricordatemi come è nata questa faccenda.»
«Ci è giunta una voce di corridoio…»
«Voce di corridoio, voce di corridoio!», tornò a urlare. «Ogni volta che succede qualcosa in questo istituto è sempre colpa di una voce di corridoio! Non vi sembra assurdo?!»
Sia Zoro che Robin riuscirono a captare l’immenso nervosismo di Smoker che, chissà come, stava riuscendo a mantenere la calma e a non esplodere. «È per questo motivo che abbiamo indagato a lungo.»
Il vicepreside sospirò pesantemente. «È trascorso un mese dall’inizio di questa storia e voi due più i vostri aiutanti, o come si chiamano, non siete riusciti a dimostrarmi nulla.» Bevve un sorso di caffè dalla tazzina che stava lì di fianco, ma si scottò la lingua e imprecò: «Accidenti!» Alitò sui visi dei due studenti, immobili come statue di marmo, per poter rinfrescare la cavità orale. Poi si ricompose e disse: «Avete sollevato un polverone per niente. Non avete prove, non avete colpevoli, solo sospetti che non valgono il becco d’un quattrino. Ne siete consapevoli, almeno?»
«Sì, signore.»
«Bene», decretò Spandman trafficando con dei documenti sparsi per la scrivania. «La questione è ufficialmente archiviata. Non mi venite più a parlare né di feste segrete né tantomeno di trofei! Ho già spedito i più danneggiati da uno specialista che li rimetterà in sesto. Sono stato chiaro?!»
Non diede loro il tempo di rispondere ‘ché si alzò dalla propria poltrona e, a grandi falcate pesanti come passi di un elefante inferocito, uscì dall’ufficio per dirigersi verso un luogo ignoto; era così agitato che non si accorse di essere passato accanto ai due intrusi, i quali restarono attaccati al muro per continuare a sentire ciò che i membri del Comitato studentesco avevano da dirsi.
«Cazzo, ho finito i sigari.»
«Non vorrai mica fumare qui dentro?»
«Quello che mi fa imbestialire», disse Smoker a denti stretti, «è che sono costretto ad arrendermi così. Dammi pure del pazzo e del rompicoglioni, ma questa storia non mi va ancora giù.»
«Sei un pazzo e un rompicoglioni», fece la ragazza dai capelli rosa. «E lascia che Hina te lo dica, ti fidi troppo.»
Lui grugnì, tenendo incollate le braccia conserte al petto. «Tashigi può essere imbranata e certe volte svampita, ma prende molto sul serio quello che fa. Non credo che si sia inventata tutto. A che scopo, poi?»
«Magari ha sentito una cosa per un’altra.»
«Nah. Non sembra, ma è riflessiva. Oltretutto, Hina, ricorda quello che hai trovato.»
Zoro e Robin si guardarono reciprocamente, allarmati: erano sicuri di aver pulito tutto prima di abbandonare l’edificio scolastico la notte dell’illegalità, quindi a cosa si stavano riferendo quei due?
La fumatrice distese le labbra colorate di ciliegio in un sorriso ed estrasse dal taschino della propria giacca rossa un piccolo pendente con una perla color acquamarina. «Potrebbe appartenere a un intruso o all’addetta alla videosorveglianza licenziata l’anno scorso. Chissà?»
Smoker si alzò finalmente dalla poltroncina. «Non separartene mai. Potrebbe essere importante.»
«Allora non hai intenzione di mollare?»
Lui la fissò dall’alto. «Per quanto mi faccia incazzare, devo seguire gli ordini di quello stronzo di un vicepreside», disse distogliendo lo sguardo. «Ci sono tanti altri problemi in questa scuola ed è giusto che me ne occupi. Ma la mia mente non dimentica le cose tanto facilmente.»
Suonava molto come un avvertimento, ma sia Robin che Zoro si sentirono liberi di tirare un sospiro di sollievo. Camminarono velocemente per allontanarsi da quella zona, in modo da non farsi scoprire dal rappresentante degli studenti e, nel mentre, la corvina estrasse il cellulare dallo zaino a tracolla.
«A giudicare dalla tua faccia», fece il ragazzo, «sai a chi appartiene quell’orecchino.»
Robin mosse rapidamente i pollici sullo schermo del telefono e rispose: «Sì, è di Nami. Mi ha detto di averlo perso la sera della festa.»
«È sempre colpa di quella mocciosa.»
Lei non staccò gli occhi dallo smartphone. «Non ti crucciare. Basta avvertirla e quel gioiello diventerà un orfano. Peccato, è così bello.»
Zoro sbuffò sonoramente. «Voi donne siete superficiali.»
La ragazza ridacchiò, riponendo il proprio cellulare nella borsa. «Lasciamo perdere gli stereotipi che voi uomini ci avete affibiato. È un ottimo giorno per noi. Dobbiamo andare subito a dare la bella notizia agli altri.»
«Vacci tu», le disse lui. «Io devo ancora trovare il cesso.»
«Sinceramente non me l’aspettavo.»
Zoro trasalì. «Piantala, non mi sono perso! Volevo dire che…»
Robin rise ancora e si arrestò accanto al proprio armadietto. «Non intendevo questo», gli fece inserendo la combinazione e aprendo lo sportello. «La ragazza di Smoker è rimasta in silenzio. Non me lo sarei aspettato, dato il suo senso del dovere.»
A quel punto il ragazzo avrebbe potuto esprimersi in quattro modi: avrebbe potuto gioire, innanzitutto, nel sapere che finalmente avrebbe potuto lasciarsi alle spalle quella storia dell’orrore durata fin troppo; avrebbe potuto fare il vago e restare sulle sue, commentando che era sempre stato certo di passarla liscia; avrebbe potuto fare spallucce e andarsene, come era solito comportarsi, dato che la sua vescica gli stava implorando di raggiungere un orinatoio al più presto; avrebbe anche potuto mostrarsi appena preoccupato per le scoccianti intenzioni di Smoker, ricordando all’amica che il pericolo sarebbe rimasto sempre in agguato. E invece tutto ciò che riuscì a formulare fu: «La quattrocchi e quel tossicodipendente stanno insieme?»
Robin posò un libro su uno scaffale di ferro e ne recuperò un altro, che le sarebbe tornato utile per il corso avanzato di storia al quale si era iscritta con entusiasmo. «Potrebbe essere. Lei lo segue ovunque e gli obbedisce come un soldatino. E come hai potuto sentire poco fa, anche lui sembra preoccuparsi per lei.» Gli rivolse l’ennesimo dei suoi sorrisi enigmatici. «La cosa ti infastidisce?»
Infilò il mignolo della mano sinistra nell’orecchio per grattarselo, mentre si allontanava svogliatamente. «Ma che cazzo me ne frega.»




***




«Okay, ancora una volta e ci siamo.»
Avrebbe tanto voluto ripetere quelle nozioni ad alta voce, ma sapeva che avrebbe solamente disturbato gli altri studenti rinchiusi in quell’aula studio, l’unica in tutto l’istituto in cui la gente rispettava lo scopo al quale era stata adibita. Il silenzio era fatto di bisbigli e borbottii appena udibili, di fruscii di pagine voltate, dello sfregare delle matite consumate sui quaderni, dei sospiri tristemente rassegnati, dei rumori ovattati provenienti dal corridoio e delle chiacchiere sussurrate per non risultare come un trombone orchestrale in una spoglia galleria scavata in una vecchia montagna.
Il volume del Codice Penale pesava sul tavolo e nella mente, ma il suo scopo la costringeva a ricordare a memoria ogni singola parola riportata su quell’alto libro; davanti a sé non vi era l’ombra di appunti o post-it sgargianti: il suo studio era fatto di scritte nere e sottolineature della medesima colorazione.
«Ti disturbo?»
Tashigi alzò gli occhi e l’articolo numero centoottantatre sparì dalla sua vista, scoppiando come una bolla di sapone; la silhouette di Nami risultava essere più slanciata del solito grazie agli stivali col tacco che aveva deciso di indossare quella mattina, donandole un’aria adulta rispetto a quella da eterna adolescente sbarazzina che la caratterizzava solitamente.
«No, accomodati pure», le rispose indicando la sedia accanto alla propria.
La rossa si sistemò, estraendo dalla propria borsa un manuale di geometria analitica, un quaderno a quadretti e il necessario per poter scrivere. «Sembra complicato», le disse alludendo al libro della facoltà di giurisprudenza.
L’occhialuta annuì piano. «È per questo che lo studio con un anno d’anticipo.» Si sentì in dovere di dire altro per non lasciare che un velo di imbarazzo si stendesse su di loro. «Anche tu ti prepari per il test d’ammissione?»
Nami sorrise. «Già. Devo impegnarmi al massimo per riuscire a entrare.»
«Farai matematica quindi?»
«Economia, nello specifico.» Ridacchiò. «Mi piacciono i soldi.»
Quella confidenza tanto onesta e schietta fece stupire Tashigi, la quale si costrinse a soffocare un sorriso spontaneo.
Rimasero tranquille per un paio di minuti, fino a quando Nami non prese nuovamente la parola. «Volevo chiederti scusa da parte di Luffy», fece picchiettando una penna sulla carta. «L’altro giorno ti ha trattata molto male e, be’, neanch’io sono stata esattamente un angelo nei tuoi confronti.»
L’altra continuò la propria lettura. «Ormai è acqua passata.»
«Ma è giusto mettere le cose in chiaro», insistette la rossa, «altrimenti qui finiremo tutti con l’odiarci a vicenda. Io non voglio questo, e immagino neanche tu.»
Tashigi guardò gli occhi nocciolati della ragazza. “Diventa intima con qualcuno di loro e riferiscimi quello che combinano”, le aveva detto Smoker qualche settimana prima, ma lei non aveva avuto il coraggio di sforzarsi affinché il suo desiderio venisse esaudito; si sentiva una vigliacca nel pensare di dover agire in quella maniera e, essendo onesta con sé stessa, da quando aveva saputo che il vicepreside aveva gettato nel dimenticatoio la storia della festa di Halloween, non sapeva neanche più se quell’incarico avesse ancora validità o meno. Sarebbe stato meglio allontanarsi, tornare alle posizioni iniziali, quando lei passava le giornate tra le scartoffie del Comitato e i membri di quello strano e rumoroso gruppo la ignoravano come se avesse la peste.
Avere Nami di fianco, in quel momento, non contribuì affatto a trovare una soluzione al suo dilemma e alle sue preoccupazioni. «Già», riuscì a balbettare. «Neanch’io.»
«Bene», fece la rossa chiudendo di scatto il proprio libro. «Allora, per cominciare, vorrei spiegarti una cosa.»
Comprendendo che sarebbe stato un discorso lungo, Tashigi mise un segnalibro tra le pagine del manuale del Codice Penale e lo chiuse con delicatezza.
«Immagino tu abbia avuto modo di osservarci da quando le nostre strade si sono incrociate», iniziò Nami. «Avrai sicuramente notato che nessuno di noi ti ha trattata male né considerata diversa. Be’, a eccezione di Zoro, ma lui è un caso a parte. Fidati, si comporta male con chiunque. Non è cattivo, ha solo un carattere un po’ burbero.»
L’occhialuta aggrottò le sopracciglia, ma decise di non commentare.
La rossa continuò: «Usopp e Chopper saranno stati strani nei tuoi confronti, ma anche loro sono schivi di natura. Non credi di dover abbandonare i tuoi pregiudizi e ammettere che siamo brave persone?»
«Potrei farlo», le rispose, «ma hai visto anche tu cosa è successo con Vinsmoke. Una settimana di sospensione a causa dei suoi modi bruschi.»
«E tu ci credi pure?»
«Eh?»
«Dico, credi seriamente che Sanji abbia potuto fare una cosa del genere?», le domandò Nami, i pugni chiusi e la rabbia in volto. «Ma l’hai visto? Quell’idiota è frivolo, allegro e maledettamente gentile, non farebbe del male a una mosca!», urlò, incurante di attirare su di sé l’attenzione di tutti gli studenti presenti nell’aula. «Conosci i suoi fratelli, immagino.»
Tashigi annuì, senza lasciarsi intimorire dal cambiamento di tono.
«Sono degli stronzi, anzi, gli stronzi più stronzi mai esistiti. Non conosco nessuno peggiore di loro. Non so molto sull’argomento, ma a quanto pare tutta la famiglia Vinsmoke è fatta così. Ma Sanji è diverso», fece abbassando nuovamente la voce. «Detesta dover condividere con loro quel cognome proprio perché sa di essere capitato in una famiglia moralmente molto triste. Per questo motivo, ti pregherei di non rivolgerti più a lui chiamandolo per cognome. Lui è Sanji e basta, okay?»
Tashigi rimase in silenzio e Nami sospirò, abbassando lo sguardo. «Ha avuto un’accesa discussione con i suoi gemelli. Non ci ha visto più e ha colpito Niji. Il professor Borsalino se n’è accorto e per questo lo ha fatto convocare dal preside il giorno dopo. Quando abbiamo saputo della sua sospensione, io e gli altri abbiamo provato a parlargli. Sai cosa ci ha detto?» Dalla sua bocca uscì una risata amara e forzata. «Che ha litigato con un professore a causa di un voto basso immeritato. Lì per lì ci abbiamo creduto, ma poi Sabo ed Ace ci hanno raccontato la verità, dato che erano presenti anche loro al momento del litigio. Capisci ora?»
Tashigi si torturò le dita delle mani aggrovigliandole tra loro. «Vi ha mentito», constatò.
Nami annuì piano. «Già, e non è neanche la prima volta che lo fa. Lui è fatto così, non condivide i suoi problemi con gli amici perché non vuole pesare a nessuno. L’altra mattina, quando ci siamo scontrati, aveva la piega dall’altro lato della testa. Credo che volesse nascondere un occhio nero», aggiunse sottovoce, come se facesse fatica a visualizzare nella propria mente quello scenario fisicamente doloroso. Poi schiuse nuovamente le labbra lucide di gloss: «Solitamente né a me né ai miei compagni interessa il giudizio altrui.» Sospirò. «Ma siamo legati a te da un segreto. Cerchiamo di andare d’accordo.»
L’occhialuta rimase congelata sulla propria sedia, fissando il tavolo davanti a sé alla ricerca di qualcosa da dire – ma il silenzio fu la scelta migliore.




***




Con un rumoroso scatto veloce, il metro si richiuse come una lumaca rintanata nel proprio guscio.
«Quattro metri!»
A quell’esclamazione seguì lo scribacchiare di una matita su un block-notes, poi un pollice alzato a confermare di aver acquisito quell’informazione. «Poi?»
Il metro giallo venne aperto nuovamente e puntato in un’altra direzione. «In lunghezza siamo a undici metri e mezzo. Arrotonda a dodici.»
«Ricevuto.»
Luffy guardava la scena con gli occhi che gli brillavano, seduto a gambe penzoloni sul palco del teatro della scuola. «Siete una squadra mitica, voi due», disse tutto contento, un sorriso a trentadue denti a illuminargli il volto giovane.
Usopp si strofinò un dito indice sotto le narici. «Be’, sì, facciamo del nostro meglio», rispose con finta modestia e trattenendo a stento una risata ricca di soddisfazione.
Franky, invece, non parlò e continuò a prendere le misure di una parte del palcoscenico, mettendo di tanto in tanto dello scotch colorato a terra come punto di riferimento.
«Tutto bene, amico?»
L’azzurro sollevò finalmente lo sguardo verso i due compagni, i quali lo stavano guardando con aria incuriosita e vagamente preoccupata; notare i sentimenti altrui non era troppo nelle loro corde, eppure quella nuvola di malumore si sarebbe potuta scorgere da miglia e miglia di distanza. «Mh», rispose solo. «Nasone, segna la profondità. Due metri e sette.»
«E no!», fece il riccio abbandonando i propri appunti. «Prima sputi il rospo e poi riprendiamo la nostra attività.»
«Cos’è, vuoi litigare?», fece Franky avvicinandosi pericolosamente a lui.
Usopp deglutì e agitò le mani davanti al viso. «No, no, niente affatto.»
Anche Luffy intervenne, alzandosi da terra per avvicinarsi ai due. «Coraggio, amico, dicci cos’hai.»
Un tempo probabilmente Franky gli avrebbe mollato un pugno in pieno viso, fracassandogli il naso e facendolo volare via con l’impatto della botta – ma non era più il delinquente di allora. Per questo motivo si sciolse in una pozzanghera di lacrime, crollando in ginocchio e singhiozzando animatamente, nonostante tentasse di soffocare i lamenti nel grosso avambraccio tatuato. «Sono un buono a nulla!», piagnucolò ad alta voce, battendo le mani a terra per scaricare la tensione.
I due amici si guardarono a vicenda, sconvolti da quel repentino cambiamento d’umore. «Che cosa è successo?»
Franky ispirò rumorosamente per far rientrare una goccia di muco nella narice dalla quale aveva fatto capolino. «Quell’ingrato di Iceburg ha ragione! Dovrei smetterla di avercela con lui!»
Usopp gli posò una mano sulla spalla nel tentativo di farlo calmare. «Iceburg? Vuoi dire tuo fratello? Avete litigato?»
Il disperato annuì forte. «Non riesco ancora ad accettare il fatto che abbia lasciato Tom da solo», disse con più calma e scandendo bene le parole in maniera da farsi capire dagli altri due. «Io ero ancora un marmocchio e ho faticato molto per arrivare al suo livello. Sentivo il peso dell’officina sulle spalle, ma non volevo mollare. Amavo lavorare con Tom, amo farlo tutt’oggi.»
Luffy si accovacciò in modo da raggiungere l’altezza del compagno. Serio e composto, rimase ad ascoltare ciò che aveva da dire.
«Ho impiegato anni per diventare un bravo falegname», continuò. «Quando non ero ancora all’altezza, è stato Tom a fare i lavori più pesanti. Lui è un genio, è il carpentiere più bravo che sia mai esistito. Ma è anche vecchio. Quando Iceburg se n’è andato, è invecchiato tutto d’un colpo e io…» Non riuscì a completare la frase poiché i singhiozzi si fecero molto più forti. «Ma non posso arrabbiarmi con Iceburg per aver preferito il college all’officina. Lui è sempre stato bravo nello studio e ha sempre ambito a una carriera politica. Dovrei essere contento per lui, ma non riesco a togliermi dalla mente l’immagine di Tom che si accascia a terra. Me lo ricordo come se fosse successo ieri.»
Usopp dovette sforzarsi per trattenere le lacrime, mentre Luffy non fece una piega; semplicemente, gli mise una mano sulla spalla e gli disse: «Però ora sei bravo.»
Franky alzò la testa e lo guardò.
«Non puoi cancellare il passato, questo è vero», continuò. «Ma il futuro è tutto da scrivere. Ci sei tu con lui, e ora più che mai sei in grado di prendertene cura. E poi sono certo che Tom non abbia mai sofferto per la mancanza di tuo fratello. Anzi, sarà stato lui a incitarlo ad andarsene per seguire i suoi sogni.»
Il sorriso di quel vecchio carpentiere si fece largo nella mente di Franky, e ciò bastò a farlo commuovere di più. Accettò dei fazzoletti di carta da Usopp e consumò quasi l’intero pacchetto. Quello sfogo gli fece del bene perché, quando tornò a esser calmo, sentì nel proprio corpo una carica vitale che lo aiutò parecchio nel completare il lavoro iniziato trenta minuti prima; finì di analizzare l’intero perimetro del palcoscenico e confrontò i suoi progetti con quelli realizzati da Usopp, alla ricerca di un compromesso per iniziare la fase di creazione delle scenografie della rappresentazione teatrale natalizia.
Ma ben presto l’opera del corso di falegnameria, trasferitosi momentaneamente nel teatro dell’istituto, venne interrotto dallo scalpiccio di uno studente a loro conosciuto, il quale entrò nella sala con un’aria trafelata e scomposta.
«Ehilà, Chopper!», esclamò Luffy agitando la mano; anche Usopp, accanto a lui, si mostrò molto contento di vederlo.
Il ragazzo di bassa statura non ricambiò il saluto, bensì corse verso di loro con gli occhi fuori dalle orbite. Non diede loro il tempo di chiedergli come mai andasse tanto di fretta, che domandò a bruciapelo: «Sapete dov’è Trafalgar Law?»






Angoletto degli Easter Egg!!
1.    Un asso nella manica: perché Ace si chiama Ace fa riderissimo (che squallore...)
2.    Ti assicuro che Issho non mi vedrà neanche: un'altra delle mie battutone, potrei andare a Colorado.
3.    "Logico, logico...", "È tutto quello che so": PER OGNI DOMANDA COMPONI UN VERSOOO NON SIAMO SOLI IN QUESTO UNIVERSOOOO--
4.    Poggiata contro una parete spoglia a braccia conserte: si tratta di un richiamo al potere del Fleur.
5.    Come passi di un elefante inferocito: riferimento all'arma di quel burlone di Spandman.





Angoletto dell'Autrice!!
Eccomi di ritorno sul grande schermo! Questi mesi sono volati e non ho proprio avuto il tempo di aggiornare, nonostante avessi questo capitolo pronto da un bel po' di tempo... e, be'... tanti altri ;)
Dunque dunque dunque, che succede qui? Seconda interazione Ace-Marco, festa di Halloween finalmente archiviata, pace (fatta?) tra le ragazze e un pianto liberatorio del nostro grande e grosso e tenero Franky - e avete letto il nome finale? Eh sì, anche il chirurgo della morte è presente in questa long. Mica potevo arginare il mio infinito amore per lui in Anyway (che vi consiglio di passare a leggere, se volete farvi un bel piantino)! Lo ritroveremo più avanti... chissà che guaio combinerà! ... magari, dopo Capodanno ;)
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e, in generale, che stiate apprezzando l'intera storia nonostante sia solo all'inizio. Ringrazio tutte le personcine belle che l'hanno inserita tra le preferite, le ricordate e le seguite! Vi mando un abbraccio virtuale e vi sono tanto grata per il sostegno! <3
Prometto di aggiornare presto. Il prossimo capitolo è uno dei miei preferiti ;P

-Channy
  
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