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Autore: aubrunhair    07/05/2024    8 recensioni
Era venuto al mondo un maschio poi finalmente e il suo essere maschio lavava via gran parte dell’onta e sarebbe stato il futuro della famiglia. Il cognome bastava e avanzava a renderlo il degno erede dell’erede di Reinier De Jarjayes.
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Axel von Fersen, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes, Quasi tutti
Note: AU, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 14
Maria Antonietta aveva spesso strane idee improvvise. Un giorno la roulette, un altro il teatro, quello dopo la nomina di un qualche amico a ministro. Non sembrava avere una logica. L’importante era provare un breve momento di piacere. Quella sera era toccato alla passeggiata nei giardini.

Alle nove e mezza. In autunno.

- Va bene, Maestà!

- Che idea brillante, Maestà!

- Verremo con voi, Maestà!

E non era nemmeno stata una proposta della contessa. Che stranamente non si era fatta vedere da prima della cena. Ma lei aveva voglia di fare quattro passi e respirare un po’ d’aria fresca. La sua amica l’avrebbe raggiunta, chi lo sa.

- Vado a controllare il percorso.

- Grazie, madamigella Oscar. Posso sempre fidarmi di voi.

- Dovere.

Aveva già mandato a casa André. Che era tardi e non aveva più bisogno di lui lì. A palazzo, invece, qualcuno che reclamava probabilmente si era già addormentato.

E così adesso si dirigeva fuori, verso il bosco di Venere. Dove o non succedeva niente, o succedeva troppo. Sapeva che era in quel luogo appartato che Fersen e la regina si incontravano. Perché la sovrana con lei ne aveva parlato. Era un posto solitario, abitato da qualche statua senza braccia. Proprio per questo andava ispezionato.

Oscar si guardava intorno con circospezione. Come prevedibile, il percorso era vuoto e semibuio. Solo i versi di qualche uccello notturno, i passi di qualche animale tra i cespugli.

Proseguì comunque. Non poteva permettersi di lasciare un compito svolto a metà. E anche avesse potuto, non lo avrebbe fatto. Superò un piccolo ponte, sopra un ruscello che rifletteva i raggi di luna. Ancora nessuno. Soltanto il vento che soffiava sulla superficie dell’acqua.

Guardò alla propria sinistra. Il punto esatto in cui i due amanti si incontravano. Tra gli alberi, ben nascosti. Fino a quattro anni prima. Poi c’era stata la fuga, la guerra, una lettera. Fine. Niente di più. Per nessuna delle due. Solo che ora la lotta per l’indipendenza delle colonie stava volgendo al termine e di lui nessuna traccia.

Dove siete, Fersen? Avete un figlio.

Aveva smesso di pensarci in altri termini. Anche se un’ombra leggera, inevitabilmente, era rimasta. Che certe cose non si cancellano in un colpo. A maggior ragione se le conseguenze corrono ovunque per passare il tempo. Per Frans, invece, ci pensava eccome. Non foss’altro perché prima o poi avrebbe chiesto. E non voleva mentirgli.

D’un tratto udì un rumore. Come foglie secche schiacciate, o ramoscelli spezzati. Proveniva da destra, qualche metro più lontano. Nel sentiero che portava alla grande fontana.

Meglio controllare.



Era incredibilmente identica. Uguale a lei. Stessi capelli, stesso volto diafano, stessi occhi blu e grandi. I movimenti regali e delicati, il modo in cui teneva quella rosa tra le dita. Nessuno avrebbe potuto distinguerle. Soprattutto se non avesse parlato. Perché era la voce l’unica differenza tra le due. Ma qualcosa doveva dirla, o sarebbe stato troppo sospettoso. Non era un problema, però. Il cardinale De Rohan, testuali parole, era “un babbeo”. Non se ne sarebbe mi accorto.

Babbeo quando aveva creduto alla buona fede di quella donna con i capelli scuri. La nipote della defunta marchesa.

Babbeo quando l’aveva cominciata a ricoprire di livres.

Babbeo quando non aveva voluto dimostrazioni in cambio e quando le aveva chieste ma le risposte di Jeanne lo avevano convinto.

Perfino quando si era lasciato trasportare dall’emozione dello scambio epistolare segreto.

Ecco il motivo per cui non lo aveva mai incontrato in pubblico, la regina. Ed ecco perché lo voleva incontrare lì, nel bosco di Venere. Perché era, appunto, un segreto.

Purtroppo per lui, non aveva fatto niente per smentirle. Anzi. Ci era caduto con tutte le scarpe, per la seconda volta. Aveva creduto alla faccenda delle monete d’oro. E ora anche all’incontro con la regina.

Le si era prostrato ai piedi.

Che umiliazione per un uomo del suo rango, aveva pensato la contessa.

La fronte affondata nel terreno umidiccio, l’abito talare sporco di fango. Gli avrebbe chiesto di mantenere un briciolo di contegno, ma Nicolas De La Motte glielo aveva impedito. Bisognava lasciarlo fare.

Nicole Olivier. Una povera ragazza cieca di Parigi. La sorte l’aveva omaggiata con un incredibile regalo. Venire al mondo con il medesimo corpo della regina. Ma le aveva anche messo Jeanne accanto. E suo marito. E la contessa Di Polignac.

Nicole Olivier neanche sapeva di quella somiglianza. Come non era al corrente dell’inganno in cui era stata coinvolta.

- Eminenza, voi conoscete bene i miei sentimenti.

Era l’unica cosa che potesse dire. Non aveva avuto il permesso di aggiungere altro. E lei l’aveva ripetuta, all’infinito. Davanti a quell’uomo che non conosceva. Lo sentiva ai propri piedi, implorante. Non ne pensava niente, in fondo. Lei era stata pagata per essere ben vestita e pettinata. Per dire quella frase, reggere quella rosa. Nient’altro. E di quei soldi aveva un gran bisogno. Il gioco valeva la candela.

La contessa Di Polignac non aveva aperto bocca. Non poteva rischiare di farsi scoprire. Che se malauguratamente la storia fosse uscita…

Guardavano tutti e tre fra gli alberi la scena pietosa di un uomo di chiesa che scongiurava una finta sovrana per un po’ di attenzione.

- Io sono un vostro umile servitore, Maestà. Conserverò questa rosa per tutta la vita!

- Eminenza, voi conoscete bene i miei sentimenti.

- Ma certo, Maestà, li conosco. E voi mi state rendendo l’uomo più felice del mondo!

Jeanne aveva interrotto l’incontro. Che stava arrivando qualcuno e bisognava fuggire. Una scusa, già concordata tra loro spettatori. E il cardinale, il solito babbeo, si era esibito in un goffo inchino. Poi era scappato via, nel bosco. Era perfino ruzzolato a terra, inciampando nell’abito e nelle pietre. Sparito nel bosco, felice.

Contento lui…

Se non fosse stato che qualcuno davvero stava arrivando.

Nicole Olivier continuava a ripetere quelle parole. Ne sembrava ossessionata. Aveva smesso soltanto quando la situazione era cambiata.

Aveva sentito un gran rumore di passi e rami e foglie schiacciati. Poi il terreno le era mancato da sotto i piedi. Si era affidata alla presa decisa di Nicolas. Caricata sulle sue spalle, sentiva il freddo entrare nelle maniche a sbuffo dell’abito. Una gran concitazione, il cuore le batteva forte. Aveva paura. Così tanta che perfino non aveva sentito cosa si fossero detti chi la circondava.

All’improvviso erano finiti nell’acqua. Era gelata. Tremava tra le braccia di quell’uomo e non aveva risposte. Il buio in cui abitava da sempre si era fatto ancora più scuro e spaventoso. Pregava che tutto finisse il più presto possibile.

- Adesso andiamo alla carrozza.

Jeanne era tornata sui suoi passi. A nascondersi tra gli alberi fino al momento giusto. Avevano messo in conto quell’ipotesi. Anche se era il piano secondario. Ma lo avevano previsto. D’altronde, la contessa era lì per quello. Che cosa se ne facevano, altrimenti, di una zavorra in più?

- Madamigella Oscar, cosa ci fate qui a quest’ora? - domandò madame con voce oltraggiata.

Come se quel posto fosse di sua proprietà. E come se non fosse più strano che a tarda sera ci Si trovasse la migliore amica della regina e non il comandante delle Guardie Reali.

- Dovrei essere io a chiederlo a voi. Vi consiglio di tornare alla reggia. Sua Maestà vuole fare una passeggiata e chiedeva dove foste. - rispose l’altra.

Prestò attenzione a non avvicinarsi troppo a lei, come sempre. Notò un’ombra alle sue spalle, provò a muoversi ma la contessa la ostacolò.

- Torno subito dalla regina. In ogni caso, non credo di aver bisogno dei vostri consigli: so sempre di cos’ha bisogno la nostra sovrana. - La donna fece un paio di passi per superarla. La urtò leggermente, braccio contro braccio. - Quanto a voi, piuttosto, affidatevi a una donna con maggiore esperienza. Ve l’ho già detto: concentratevi su ciò che vi compete, non sugli affari altrui. Sono sicura che ne avete già abbastanza di pensieri vostri.

Si trattenne Oscar. Per l’ennesima volta. Ma pareva che gliele volesse togliere di bocca le parole che pensava. La incenerì con uno sguardo. Non avrebbe mai ceduto a quella provocazione, né alle mille altre. Pur davanti alla centesima insinuazione. Pareva divertirsi a insinuare il veleno attorno a lei. Come la settimana in cui aveva messo in giro voci su chi fosse il padre. E si era arrampicata su ogni specchio per sospettare del suo attendente.

No, si divertiva a farlo. È diverso.

La squadrò da capo a piedi mentre se ne andava.

Il giorno in cui la contessa se ne sarebbe andata era comunque troppo tardi.

Proseguì ancora, verso la vasca della fontana. La stessa in cui César e il cavallo di Maria Antonietta erano stati lasciati cadere per evitare il disastro.

C’era una figura scura, in piedi davanti al bordo. Non pareva in pericolo, ma si affrettò comunque. Era buio, la luce della luna non bastava a svelarne l’identità. Però le sembrava di conoscerla. I suoi capelli si muovevano nel vento, sciolti. Insieme ad essi, una specie si mantellina corta. O almeno così sembrava.

Si accorse che oltre la sua silhouette l’acqua era ancora increspata. L’aveva udito qualche minuto prima il rumore di qualcosa che ci finiva dentro.

La persona sconosciuta si voltò nella sua direzione. Sorrideva e spostava una ciocca scura dal viso.

Un consesso di menti affidabili.

- Madame Valois, mi è parso che qualcosa sia caduto nella fontana.

- Oh certo, mademoiselle. Stavo solo giocando con delle pietre.

- Non trovate sia tardi per questi passatempi? E poi fa freddo. Posso riaccompagnarvi alla reggia.

L’altra rifiutò con un gesto del capo.

Le sembrò di vedere un riflesso sotto la stoffa della mantellina, appoggiata sul braccio. Un riflesso argenteo. Diede un’occhiata più precisa mentre quella donna si scusava e la lasciava lì. Doveva avere un pugnale nascosto tra le pieghe.

Qualcosa continuava a non tornare.

Prima la contessa.

Poi il rumore nella fontana.

Infine Jeanne, con un’arma nascosta.

Oscar si decise a cambiare i piani ancora una volta. Non si fidava. Non poteva lasciare che la regina si aggirasse per luoghi frequentati da gente poco raccomandabile. Anche se una era una sua cara amica.

Proseguì nel giro di ricognizione. Perfino nelle zone non necessarie. Concluse tra sé e sé che se avesse incontrato ancora qualcuno, si sarebbe prodigata per rimandare al giorno dopo.

Non incontrò più nessuno in giro. Ma l’iniziativa la rendeva comunque perplessa.



Quasi tutte le candele erano ormai state spente a palazzo. Marie le aveva lasciato solo il doppiere all’ingresso. Il fuoco nei caminetti si stava lentamente consumando.

Salì le scale, ma arrivata sul mezzanino dovette fermarsi. Qualcosa vicino alla balaustra catturò la sua attenzione. Si accovacciò, senza avvicinare troppo il candelabro. Afferrò un pupazzo di stoffa. Era il coniglietto imbottito di cotone che le cameriere avevano cucito per il terzo compleanno di Frans. Se lo portava ovunque e ovunque lo lasciava. Doveva riportarglielo. Se si fosse svegliato senza, avrebbe cominciato a cercarlo in giro.

Il generale non tollerava il disordine. Anche un semplice animaletto di stoffa creava confusione. Se lo avesse trovato, abbandonato in un angolo, ci sarebbe stato un nuovo castigo. E l’ultimo era finito da pochi giorni. Oscar li ricordava ancora i rimproveri per aver lasciato qualcosa fuori posto da bambina. Era diventata scrupolosa a forza di essere sgridata. Così le sue sorelle. Una delle poche cose che avevano accomunato le loro diverse educazioni.

Si rialzò e girò l’angolo. Giunse in corridoio. La porta della stanza del bambino era la seconda sulla destra. Non lontana dalla sua. L’aprì piano, appoggiando il doppiere sul tavolino di fuori.

Scivolò dentro. Ancora una volta utile l’addestramento in accademia. Camminare di soppiatto per sorprendere il nemico. O non disturbare il proprio figlio per riportargli il pupazzo. O entrambe le cose, perché no.

Si avvicinò al letto. Il coniglietto di pezza venne adagiato sotto le coperte, tra il cuscino e braccio. Lo osservò dormire. Quel viso che ora, nella penombra, non le sembrava troppo somigliante alla sua famiglia. Si sentiva sempre un po’ strana quando notava qualcosa del padre in lui. Ma d’altronde, così doveva essere.

Frans non si accorse della carezza che gli diede lei. Si girò dall’altra parte. Portò con sé anche il pupazzo; nel sonno, non ricordava di non averlo con sé.

Oscar decise di uscire. Cominciava a percepirla la stanchezza di quella lunghissima giornata. Lasciò la stanza e richiuse l’uscio con delicatezza.

Dalla porta della sua camera vide un riflesso di candele accese. Un istante più tardi, uscì André con un vassoio sotto il braccio. Non la notò subito. Quando si avvicinò la salutò reggendole il doppiere.

- È andato tutto bene al bosco di Venere?

Lo aveva notato dalla sua espressione che doveva esserci qualcosa sotto.

- Ti spiegherò meglio domani. Qui invece?

L’altro scosse la testa, sarcastico. - Abbiamo sfiorato la tragedia.

Non era sicura di voler sapere perché. Né chi ne fossero i protagonisti. Benché a uno arrivasse da sola.

Si avviarono entrambi verso i suoi appartamenti.

- C’è stata una caccia all’uomo senza esclusione di colpi. Per poco non veniva coinvolto perfino tuo padre. Non so quanto ne sarebbe stato entusiasta… Comunque è rientrato a operazioni concluse.

- Non ti seguo.

- In effetti, più che caccia all’uomo era una caccia al coniglio. Frans ha perso il pupazzo, ci siamo messi a cercarlo tutti…

Lei lo interruppe. Era meglio svelare l’arcano. - Era sul balconcino interno, in un angolo. Gliel’ho riportato.

André la guardò stupito. Tutta la sera lo avevano cercato e quello se ne stava sotto il loro naso!

Venne da sorridere a Oscar. L’idea di un intero palazzo alla ricerca di un giocattolo di pezza le si figurava divertente. Ma più che altro insolita.

Per fortuna che mio padre non c’era, allora.

- Vorrà dire che domani avrò la conferma che era andato a fare una passeggiata da solo dal diretto interessato. - Commentò lui. Che c’era da dare sfogo alla fantasia per spiegare le cose al piccolo. L’amica annuì.

Ormai erano in camera. Le candele appoggiate sulla mensola del caminetto non illuminavano più granché. In compenso c’era il fuoco del camino, ravvivato da pochissimo. Sul comodino, l’acqua e un bicchiere nel caso avesse sete. La camicia da notte piegata sul bordo del letto. Ogni cosa al suo posto, come al solito.

- Ti ho preparato tutto per la notte. Hai bisogno d’altro?

Oscar scosse la testa. Non aveva bisogno di niente.

O forse sì. Di qualcosa aveva bisogno. E ci pensava da tanti di quei mesi ormai… Talmente tanti che era quasi grottesca la faccenda.

Era qualcosa che non riusciva a spiegarsi davvero. Che la distraeva a volte e diventava più acuta tornando a casa. Si accompagnava al timore di non essere in grado di definirlo. O meglio: di non avere il permesso di farlo. Perché lei, nonostante la piega degli ultimi anni, rimaneva un soldato. E i soldati non provano solitudine. I soldati si bastano da soli.

Dunque non ne faceva parola neanche con se stessa. Non menzionava mai nei propri soliloqui che il sentimento un tempo provato era stato sostituito. Taceva di quanto amata si sentisse da tre anni tramite l’immenso affetto che lui nutriva per suo figlio. Perché quel bambino era una parte di sé. Amare uno equivaleva ad amare l’altra.

Eppure… Cominciava a essere impegnativo. Non che si trattasse di “accontentarsi”. Ma di sicuro non era esclusivo. E voleva provarsi e provare, per una volta. Ad avere e condividere allo stesso tempo.

Uno solo al mondo poteva davvero darle ciò che cercava. Le stava davanti. Le chiedeva se avesse bisogno d’altro. Lo faceva da tutta la vita. Lo guardava, illuminato in parte dal fuoco del camino. Pensava a quante volte in quegli anni avesse provato a interpretare un gesto, un segnale da parte sua. Ma non le sapeva decifrare certe cose! Anche ci fossero state… Soprattutto se nascoste tra altre.

Abbassò lo sguardo al tavolino tra di loro. Imbarazzata da ciò che aveva osato dirsi.

André lo notò. Si accorse che era in difficoltà. Perché invece di congedarlo lo teneva lì. E ipotizzò che forse lo era perché lui rimaneva. Oscar doveva cambiarsi e non poteva di certo farlo in sua presenza. Che il permesso di andare e venire capitava che neanche gli servisse. Bastava bussare, o annunciare la partenza. E allora come mai adesso attendeva un suo cenno? Prolungava la permanenza in camera per compensare con le ore che si era trattenuta a Versailles?

Si diede dello sciocco. Che quel sentimento era proibito e sbagliato. Sempre lo era stato e sempre lo sarebbe stato. Non aveva senso. C’erano il rango, il ruolo, la famiglia, le regole della società. Tutto tra di loro. Per di più, Oscar era certo avesse la mente concentrata sulla vita militare e il cuore sul piccolo. Così come doveva essere. Bisognava tenerle per sé certe illusioni eterne.

Fu lui a superare l’impasse. Le augurò la buonanotte e in un attimo la porta si richiuse. Con rammarico di entrambi. Anche se non lo sapevano.



All’ora della colazione il palazzo era già a pieno regime. La servitù si prodigava a rendere la vita dei padroni più leggera. I signori ne traevano beneficio. Come ogni giorno.

Il generale ci teneva ad avere la famiglia insieme a tavola al mattino. Compreso il grande assente. Che sapevano essere sveglio, lo sentivano. Si aggirava mostrando a tutti il coniglietto redivivo. La voce dell’uomo tuonò nella sala da pranzo. Un minuto prima che il colpevole apparisse.

Frans Auguste.

Lo chiamava per nome completo. Soprattutto se doveva rimproverarlo. Era l’unico a farlo. E ne andava fiero. Che lo capisse fin da subito chi dettava le regole lì dentro. La colazione va consumata tutti insieme. Salvo rare eccezioni. E finché non si fosse fatto vedere, agli altri toccava aspettare. Non aveva molto tempo da perdere.

- Oscar, devi essere più rigida con il bambino.

Che poi, in verità, perfino lui si era ammorbidito nel tempo. Quando era sua figlia a tardare, andava a prenderla di peso e portarla a tavola. E non accettava scuse! Se avesse aperto bocca per protestare se ne sarebbe pentita! Ora invece si limitava a sgridare severamente. Magari un pugno sbattuto accanto alle posate.

Forse era davvero invecchiato. O forse era perché comunque a quella piccola peste si era affezionato. L’ingrigirsi dei capelli faceva questo effetto anche sul più duro dei generali. Lo rendeva un poco più malleabile. Solo un poco.

- Padre, vi posso assicurare che sono tante le regole che gli impongo.

- Non abbastanza. - Sentenziò l’uomo e studiò il modo in cui il tè gli veniva versato nella tazza. - Altrimenti sarebbe già qui.

Si intromise sua moglie. Pacifico avvocato difensore dei più piccoli in quella casa. Fin tanto che le fosse consentito. - Non sta facendo nulla che non farebbe un buon soldato. Voi non avete le vostre medaglie appuntate sulla giacca?

- Che domanda sciocca! Ovviamente, ne va del nostro onore di militari.

Rispose un po’ piccato, ma troppo concentrato a non scottarsi con la colazione.

- Frans le medaglie da esporre ancora non può averle, ma ha un pupazzo che ieri aveva perduto e questa mattina ha ritrovato.

Il generale alzò gli occhi al cielo. Marguerite tendenzialmente aveva ragione. Ma non lo avrebbe mai ammesso, figuriamoci.

Il bambino entrò nella sala da pranzo. Gli occhi puntati su di sé. Una cosa che lo intimoriva ovunque. Anche a casa propria. Forse ancora di più lì.

- Buongiorno, ti stavamo aspettando. – Esordì Oscar con il tono del rimprovero travestito da tutt’altro.

Frans si sedette accanto a lei. La sua sedia era diversa. Aveva un cuscino spesso per evitare che sparisse sotto al tavolo. Salutò i presenti con cortesia, ma si accorse che qualcosa non andava. Strinse tra le mani il coniglietto in attesa della colazione. Di tanto in tanto qualche calcetto all’aria per ingannare il tempo.

Un inizio giornata un po’ in salita. Per tutti. Anche per l’unico senza responsabilità. La sua fonte di gioia venne costretta a rimanere sulla sedia, ben nascosta. E glielo spiegò ancora, duro e severo, il generale che non poteva perdere tempo dietro le sue ridicolaggini. Non era sicuro di sapere cosa significasse quella parola. Ma non suonava come una lode.

A dispetto del padre, Oscar tentava approcci un poco meno marziali. Ugualmente diretti e decisi. Ma incutevano meno timore. Che lui non faceva (ancora) parte dei suoi uomini, non c’era bisogno di parlargli da ufficiale.

- Devi capire che ci sono altre persone intorno a te. Non è giusto farle attendere. Prima la colazione, poi il resto.

Frans annuì e si scusò. Di sua spontanea volontà: aveva capito l’errore. Poi gli servirono una tazza grande come la sua faccia e l’attenzione si focalizzò solo su quella.

Il pasto continuò più sereno, almeno fino all’ora in cui i signori non dovettero andare alla reggia. Si alzarono lasciando figlia e nipote al tavolo. Un saluto veloce, Versailles non accetta ritardi.

Lo incrociarono nel corridoio André. Appena rientrato dalla commissione che la nonna lo aveva mandato a fare tanto presto. In un breve inchino si spostò per lasciarli passare.

Quando entrò nella sala da pranzo si stranì. C’era un po’ troppo silenzio. Salutò gli ultimi rimasti, aiutando le cameriere a sparecchiare i posti lasciati vuoti.

L’assenza di parole contagiò anche lui. Lo chiese scuotendo il capo che cosa fosse successo. E Oscar glielo disse con un’espressione del viso di non preoccuparsi.

- Ho scoperto qualcosa che credo possa interessarti… - Se ne uscì André con un piatto ancora in mano.

L’altra lo guardò, il volto in parte coperto dalla tazza di tè. Gli fece cenno di proseguire.

- Quella donna, Jeanne Valois… pare che abbia detto la verità sul suo cognome.

- Uhm… Almeno in questo è stata sincera.

Non le diede modo di articolare il pensiero. C’era di più. - Non lo darei troppo per scontato.

- Ossia?

- Nessuno sa nulla del suo passato. Certo, ha abitato presso la marchesa De Brambéry, ma pare essere apparsa dal nulla nella sua abitazione. La chiamava zia, ma nessuno dei suoi conoscenti l’ha mai vista né sentita nominare prima di qualche anno fa. È strano, non trovi?

Oscar lo ascoltava attenta.

Non era così infrequente per i nobili aiutare qualcuno in difficoltà, per varie ragioni. Lei stessa con Rosalie. Suo padre con André. Si faceva. Ciò che non era inusuale, invece, era quanto ne stava conseguendo.

Esattamente come il loro incontro della sera prima. Inusuale.

- Sì. Lo trovo strano. E ho trovato strano anche incontrarla ieri sera vicino al bosco di Venere. Aveva un pugnale nascosto nella manica del vestito.

Glielo diceva senza guardarlo in faccia. Fingeva fosse normale amministrazione. Ma non lo era.

-Pensi che…

Lei scosse la testa. A che pro voler provare ad uccidere la regina? Peraltro, non poteva sapere che si sarebbe recata nei giardini.

Raccontò tutto. Tutto ciò che aveva visto e udito. Con chi aveva parlato. Cosa si erano dette le tre donne. E nelle risposte di lui la percepì una nota di preoccupazione. Si sorprese contenta di esserne il centro. André si preoccupava per lei e le faceva piacere.

Tossì appena. Si schiarì la voce e tornò al discorso.

- Non so fin dove vogliano spingersi, André. Qualsiasi cosa sia, bisogna guardarsi bene le spalle.

L’altro confermò convinto.

Quelle due donne erano da tenere sott’occhio singolarmente. Ma insieme erano ancora più pericolose.

Fu nel momento in cui finì l’ultimo biscotto che Frans tentò la fuga per andare a giocare. Aveva ancora le briciole sulle labbra.

Un braccio lo bloccò prima.

Pur avendo finito entrambi, Oscar non gli aveva dato il permesso di alzarsi. Ed era un’altra cosa da imparare. Rispettare i silenzi e gli assensi dei più grandi. Anche se quella mattina pareva intenzionato a voler agire di testa propria.

- Forse venire a Parigi con noi oggi non ti interessa, dopotutto.

Abbandonò la frase a metà. Ci pensarono gli altri due a raccoglierla. Con stupori uguali e contrari. Che al primo pareva una prospettiva inedita ed emozionante. Ma per il secondo era inedita e basta.

Lo lasciò andare solo quando la nonna venne a prenderlo per portarlo a cambiarsi. Il rango continuava a impedirle molte cose con lui. Anche se, di tanto in tanto, si prendeva libertà che riteneva le spettassero.

Quando si alzò, Oscar lo guardò negli occhi André. Comprese il suo dubbio. Sapeva di aver fatto un’improvvisata. E glielo spiegò che non c’era nulla da fare in città.

- Temo che se lo teniamo a palazzo oggi lo rade al suolo. - e lo invitò a prepararsi.

Qualcosa da fare la troveremo.
 
 
Note: grazie per aver letto fino a qui! Nell’anime la valuta di cui si parla sono i franchi, ma all’epoca della Francia prerivoluzionaria la moneta corrente era la livre (reintrodotta nel 1776 dopo la parentesi del luigi). Ho fatto anche una ricerca (un po’ veloce, lo ammetto) sui giocattoli dei bambini all’epoca e sì, gli animali di pezza li avevano (cuciti a mano, naturalmente).
   
 
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