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Autore: crazyfred    08/05/2024    2 recensioni
La storia della Forestale e della Polizia di San Candido e dei personaggi che ruotano intorno al lago incastonato tra le montagne riparte dalla fine della quarta stagione: Albert Kroess è stato da poco arrestato, Deva è stata dissolta, Vincenzo è appena tornato con Eva e Francesco, dopo la morte di sua moglie, è ancora in bilico con Emma. Dimenticate quello che avete visto in tv, qui la quinta stagione è tutta a modo mio!
Genere: Commedia, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Commissario Nappi, Emma, Francesco
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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8. POI SIAMO FINITI DENTRO IL VORTICE, FELICI

 
 
“Vuoi che ti accompagni?” “Non ti preoccupare, è meglio se questa cosa la faccio da sola”
Francesco aveva seguito Emma con la sua auto fino al garni in centro dove alloggiava con Giorgio. Erano scesi in tempo perché potesse tornare indietro a portargli la macchina, ma non sarebbe tornata a Milano insieme a lui: era una mossa avventata, razionalmente lo sapeva anche lei, ma il suo cuore, dopo mesi di pene e di distanza, non ce la faceva proprio a lasciare andare Francesco proprio quando che si erano ritrovati. A Milano, certo, ci sarebbe dovuta tornare, ma con calma, e con un piano ben elaborato perché quella cosa che era appena nata tra loro potesse funzionare al meglio.
Entrò nella piccola hall dell'alberghetto mentre il telefono le vibrava in tasca. “Giorgio, sei in camera?” “No, sono qui” alle sue spalle, il giovane usciva dalla sala lettura, dove aveva portato già le valigie in attesa del ritorno della collega “stavo iniziando a temere di dover farmi accompagnare a prendere l'auto al lago...dai, cambiati, vai a prendere le tue cose che partiamo subito!” “Aehm...veramente io resto qua” disse Emma, tendendogli le chiavi dell'auto che avevano noleggiato. “Come resti qua. E io a quelli dell'università che dico?” “Dì...dì che voglio fare alcuni rilevamenti ulteriori, e di non preoccuparsi che è tutto a mie spese” inventò, così come aveva pianificato per strada. “E il project assessment?” “Sarà sulla scrivania del direttore di dipartimento lunedì, come previsto” rispose prontamente, vedendo il ragazzo investito dall'ansia di dover riportare la notizia in ateneo “è solo un weekend, Giorgio, è tutto sotto controllo” “Forse per te...e si può sapere che rilevamenti vuoi fare che non abbiamo già fatto?”
Ecco, questo era il dettaglio che aveva dimenticato di considerare quando aveva messo in piedi quella piccola grande bugia bianca “Non è niente di che, ma mi voglio togliere un dubbio e capire quanto margine ho per seguire tutti i filoni di ricerca contemporaneamente” “E non puoi farlo da Milano? O c'è altro?” “Un novellino non dovrebbe mettere in discussione una ricercatrice con maggiore esperienza...” lo rimproverò bonariamente, ma non aveva tutti i torti ad essere sospettoso: fino al giorno prima era sicura e determinata a voler andare in Valtellina e ora aveva bisogno di capire. Chiunque avrebbe intuito che la telefonata con il forestale e la levataccia di quella mattina avevano a che fare con quel cambio di programma. “Va beh...”
Giorgio radunò le sue cose e si avviò verso l'uscita; mentre Emma aspettava l'ascensore per salire in camera, il ragazzo tornò sui suoi passi. “Posso salutare il comandante Neri o devo fare finta che non sia nel parcheggio ad aspettarti?” domandò, sagace, lasciando Emma sbalordita e imbarazzata “Ci vediamo a Milano”
In effetti, sbirciando dall'ingresso, vide Francesco fuori dall'auto, appoggiato al suo fuoristrada con le gambe incrociate mentre parlava al telefono. Non ci riusciva proprio a fare quello che gli si chiedeva, nemmeno con lei e nemmeno ora; non era per vergogna, ma dover spiegare che voleva restare per lui non era facile né la poneva in una bella luce di fronte ai colleghi e all'ateneo se si fosse saputo.

“Comandante Neri!” “Ciao Giorgio! Buon viaggio e a presto!” Il forestale salutò l'etologo collega di Emma in maniera affabile forse per la prima volta da quando lo aveva conosciuto. “Non so se ci rivedremo” ammise il ragazzo, ma Francesco non poteva mostrare quanto questa eventualità lo avrebbe reso felice, liquidandolo con pochi convenevoli di circostanza; del resto, in quel momento la sua priorità era assicurarsi di poter trascorrere con Emma quei pochi giorni a disposizione prima che fosse costretta dal suo lavoro a tornare a Milano. Chiamò in caserma, informando che avrebbe preso un paio di giorni di permesso: dal tono di voce di Martino, Valeria non aveva ancora smaltito la rabbia dalla loro ultima discussione e non aveva gradito questa sorpresa improvvisa, a differenza del resto della ciurma che considerava le assenze dell'Ispettore Capo come festa grande; ecco perché, oltre ad annunciare la sua assenza, aveva lasciato a Martino istruzioni che sarebbero bastate per una settimana invece che pochi giorni.
Quando Emma lasciò l'albergo, Francesco le corse incontro per aiutarla con i bagagli: non era molto carica, entrambi condividevano una certa frugalità, ma l'impostazione militare imponeva all'uomo la sollecitudine per certe attenzioni e certi dettagli che, in fin, dei conti, ad Emma non dispiacevano, soprattutto da lui.
“Non hai resistito proprio a pavoneggiarti con Giorgio” disse, affidandogli il borsone “non capisco cosa ti abbia fatto di male, è dal primo giorno...” “A parte che non mi ero neanche accorto di lui, ero al telefono” ci provava con tutte le sue forze a dissimulare al meglio che poteva, aveva un orgoglio da mantenere, ma era anche perfettamente consapevole che Emma non ci sarebbe mai cascata “ma poi perché dovrei vergognarmi di essere il tuo...oddio non so come dire” “Basta che togli l'articolo...” sussurrò Emma al suo orecchio, appoggiando le mani sul suo torace “sei semplicemente mio” Quelle tre lettere, semplicissime all'apparenza, infiammarono l'uomo come i falò del Sacro Cuore che incendiavano di disegni i crinali delle montagne nella notte della festa. La tirò a sé con uno sguardo seduttore, baciandola lievemente senza nemmeno darle il tempo di adattarsi a quella novità – non che le servisse, ma era un lato di Francesco che non conosceva “Lo so e mi fa impazzire questa cosa”
Emma era abituata all'uomo che viveva costantemente con il freno a mano tirato, che contava fino ad un milione e poi ricominciava anche da capo pur di sopprimere le proprie emozioni: era convinta che ci fosse, da qualche parte in lui, un Francesco più sciolto, più disponibile a lasciarsi andare, ma non era sicura che sarebbe mai venuto fuori e vederlo così ora, oltre a piacerle da morire, la meravigliava immensamente. Con un sorrisetto compiaciuto, consapevole che quel cambiamento fosse anche un po' merito suo, che aveva qualcosa in lui che aveva avuto paura di perderla, tornò a prendersi quelle labbra che per mesi aveva sperato potessero posarsi sulle sue con la libertà e la leggerezza con cui lo facevano adesso.
“Cosa facciamo ora?” domandò, staccandosi di malavoglia, quando un gruppo di ragazzine li fischiò passando in bici davanti al parcheggio. Se c'era una cosa che Emma non si sarebbe mai aspettata, era di dare spettacolo in pubblico. Il forestale le sgridò con una frase in tedesco di cui Emma non capì che poche parole, ma il tono non lasciava dubbi sul significato. “Comunque possiamo fare quello che vuoi...ho preso qualche giorno dal lavoro. Intanto andiamo a casa”
Francesco posò il borsone e il trolley di Emma nel bagagliaio, mentre Emma portò con sé, nell'abitacolo, la valigetta con il computer. “Dici sul serio?” gli domandò, stupita. “Cosa?” “Che hai preso dei giorni di ferie” “Sì, perché? Ne avevo diversi arretrati e poi si tratta solo di un paio di giorni...” “No, niente...è solo che...non è da te avere altre priorità oltre al lavoro” “Sei tu la mia priorità adesso, pensavo fosse abbastanza chiaro il concetto dopo questa mattina”
Anche se credeva di non meritarselo, non significava che non desiderasse per sé stesso di poter avere altro nella vita oltre il lavoro, di concedersi dei momenti di svago, ritagliandosi del tempo per non fare … anche niente, se gli andava così. E ora gli andava tantissimo.
“Chiarissimo, è solo che non ci sono abituata. Andiamo!”

Percorrere il pontile che portava alla palafitta dava ad Emma una strana sensazione di dejà vu: non poi così strana a dire il vero, visto che si era già trovata in quella situazione. Come allora, stava scappando da Milano, da quella città dove aveva la sua carriera ma non il suo cuore, custodito gelosamente dalle acque del lago: chissà che non glielo avesse rubato proprio quel giorno che si era tuffata avventatamente. A differenza della prima volta in cui Francesco l'aveva ospitata, ora la percorrevano mano nella mano, entrambi con una strana elettricità addosso, di chi sapeva che stava accadendo qualcosa di speciale. “Benvenuta!” esclamò l'uomo, guardandola fiero. “Non è la prima volta che vengo qui” “Come mia compagna sì” La parola compagna era uscita da sé, di giustezza, senza alcun impaccio. “Ti prenderei in braccio ma ho le mani occupate” si scusò buttando uno sguardo ai bagagli di Emma. “Non ti preoccupare...è ancora presto per quello”  Emma strizzò l'occhio, sorniona, mentre lui le lasciava la porta aperta per entrare “non ti facevo così romantico”
Sembrava una fatina o una ninfa delle acque: leggiadra e sfuggente, tranne per lui; gli teneva la mano, non smettendo di guardarlo negli occhi e per farlo camminava all'indietro, divertita, concedendosi una risata solare e sincera delle sue. Era tanto che avrebbe voluto vederla così tutta per sé e Francesco si chiese persino come avesse potuto credere di poterne fare a meno: forse non la meritava una tale felicità, ma pazienza, avrebbe espiato in un'altra vita se fosse stato necessario.
“Non lo sono, di norma” confessò “sei tu che tiri fuori la parte migliore di me. Anzi, sei tu la parte migliore di me”
Emma avrebbe voluto controbattere che non era così, che c'aveva messo anche del suo perché il cambiamento non ci può essere senza volerlo, ma era talmente sopra una nuvola che l'unica cosa che fu in grado di fare, prima che gli occhi le si riempissero di lacrime di gioia, fu quasi saltargli addosso, prendendo il suo viso tra le mani e baciarlo tenendolo più stretto a sé che poteva. Alla loro gioia si unì anche Argo, il Leonberger dormiglione e flemmatico che condivideva la palafitta con il forestale. “Argo, guarda chi c'è!” esclamò Francesco, anche se il povero cagnolone non poteva sentirlo. Emma però sapeva come farsi notare dal povero cane che aveva perso l'udito a causa delle bombe in una missione con l'esercito: si inginocchiò e iniziò a battere sulle assi di legno della terrazza; il cane, attirato dalle vibrazioni, si avvicinò e lasciò che Emma lo coccolasse per bene, accarezzando il suo mantello fulvo e morbido.
“Ti va di fare colazione?” le domandò Francesco “non ti garantisco una colazione da hotel, ma qualcosa ce la possiamo inventare”. Erano passate le 11 e caffè e gallette in quota a parte, per entrambi la cena della sera prima era l'ultima cosa decente che avevano messo sotto i denti: con tutto il trambusto di quella mattina, mangiare non era esattamente tra i primi pensieri, ma ora che ci pensavano i morsi della fame si facevano sentire. “Sì...sì mi va, grazie”
Mentre attrezzava la colazione come meglio poteva, Francesco invitò Emma a mettersi comoda. Tante cose erano cambiate in palafitta, gli spazi completamente ripensati facendola sembrare più grande di quanto la ricordasse; forse erano solo i mobili e le pareti chiare, forse aveva alzato il tetto e rosicchiato qualche centimetro alla terrazza, ma ora davvero sembrava un loft a bordo lago, con un bagno con tutti i crismi, una piccola lavasciuga e cassettiere strategiche ovunque per sfruttare al massimo lo spazio. Se non l'avesse vista con i suoi occhi com'era prima, non c'avrebbe mai creduto che fosse lo stesso posto. “Mi manca ancora un tavolo, ma d'estate si può stare comodamente fuori” spiegò Francesco, indugiando sui piani per l'inverno, su come avrebbe spostato il divano in modo da averlo di fronte alla stufa anziché di fronte alla finestra, guadagnando dello spazio per un tavolino e due sedie, senza molte pretese.
Per ora, quindi, il terrazzo, con la sua bella tettoia nuova di zecca, era un'ottima opzione per i pasti, in tutta comodità e privacy; sebbene le temperature non fossero ancora totalmente gradevoli, una coperta avrebbe fatto al caso loro. Emma ci si vedeva proprio a passare lì le serate, a vedere il sole scomparire dietro i monti e l'oscurità ingoiare tutto il paesaggio, lei e Francesco se ne stavano seduti su una panca, abbracciati, magari anche avvolti da un plaid nelle serate più frizzantine.
Intanto, contribuiva alla colazione: se non ai fornelli, almeno in tavola; trovò in uno dei cassetti delle tovagliette all'americana corredate con il proprio tovagliolo che la fecero tanto sorridere, benché Francesco giurasse che fossero solo un regalo di Adriana e che non le avesse mai usate. “Ma hai anche posate e piatti coordinati?!!!” “Un regalo dei miei uomini e quelli della polizia...e poi sono semplici piatti bianchi, niente di trascendentale” “Per te che mangiavi nella gavetta in alluminio lo è” Francesco rise, sotto i baffi: gli erano mancate quelle stilettate tra di loro, i botta e risposta in cui Emma aveva sempre la meglio e lui finiva per guardarla come un cretino, estasiato e, ora lo sapeva, innamorato.
“Meno male che non garantivi una colazione da hotel! Guarda che roba!” In tavola, quando anche Francesco si accomodò, accanto a lei, c'era ogni sorta di ben di Dio: caffè, succo di mela, pane in cassetta tostato, l'immancabile speck, burro e marmellata; avesse saputo che erano le sole cose che aveva in credenza, Emma avrebbe storto il naso, probabilmente. “Domani mattina scendo in paese e prendo del pane fresco, te lo prometto” “Non c'è bisogno di mettermi all'ingrasso...” dichiarò, fiondandosi a preparare un toast con burro e marmellata: la montagna le aveva messo decisamente appetito “altrimenti Oliver si rifiuta di portarmi in groppa!” 
Risero entrambi e Francesco avvolse con il suo braccio le spalle di Emma che si addossò leggermente all'uomo così da approfittare al massimo del calore naturale che emanava, poggiando la testa sulla sua spalla. Francesco notò che la giovane era rimasta in silenzio per un po', nonostante il suo sorriso placido 
“Che c'è?” Osservava il lago, mangiucchiando il suo toast, concentratissima sul quello specchio d'acqua ancora coperto da uno strato, ormai fragilissimo, di ghiaccio “Pensavo solo che abbiamo meno di tre giorni per recuperare mesi...” “Abbiamo tutto il tempo che vogliamo”
Il che, fu costretto ad ammettere Francesco, non era propriamente vero e si dannò per averlo detto: avevano tutto il tempo che la malattia le avrebbe concesso, e pregava ardentemente che fosse più di quanto il destino avrebbe dato a lui. “Voglio dire” si corresse “ora che siamo insieme anche la distanza peserà di meno, e sarà anche più bello rivedersi” “Lo so...” Per fortuna quella sembrava una di quelle giornate talmente belle che nulla avrebbe potuto portare via da loro il buon umore né la speranza: anche Emma sembrava disposta a credere, per una volta, che le cose potevano volgere al meglio anche per lei.
Francesco prese il mento della donna tra il pollice e l'indice, mentre con l'altra mano, scesa dalle spalle fino in vita, la attirò ancora più a sé, baciandola delicatamente, brevemente, per poter guardarla negli occhi e vedere i suoi riflessi in quelli di lei, in quegli occhi color cioccolato che, quando sorridevano letteralmente insieme a tutto il resto del corpo, si ravvivano e brillavano, quasi ingigantendo le piccole pagliuzze dorate che li impreziosivano. I piccoli baci iniziali diventarono sempre più lunghi e intensi, non assomigliando per nulla a quelli che si erano scambiati all'alba in cime al monte: questa volta, la passione e la voglia di esplorarsi più fisicamente si stava insinuando tra loro come una fiamma che prende forza dall'ossigeno che brucia intorno a sé.
E l'ossigeno per il loro fuoco erano i baci e le loro mani, che frenetiche correvano lungo il corpo e iniziavano ad insinuarsi, lente ma decise, sotto i vestiti. “Forse ... è il caso che ...” sussurrò Francesco, staccando le labbra da quelle di Emma quanto bastava per poter pronunciare quella frase. “sì...non qui” Emma capì immediatamente dove volesse andare a parare. Controvoglia si alzarono dalla panca, ma al contempo frenetici continuare al chiuso quello avevano iniziato, al punto da andare a sbattere al finestrone d'ingresso, non riuscendo a guardare altro al di fuori di loro stessi. Emma riuscì, una volta all'interno, a togliere velocemente la maglia a Francesco, lasciandolo davanti a lei a petto nudo. Non aveva mai badato a certi dettagli ma non poteva far finta di ignorare quel fisico prestante e robusto come le montagne di cui era il custode. Si ritrovò a mordersi il labbro inferiore alla prospettiva che quel ben di Dio ... perché solo così riusciva a definirlo ... fosse sua prerogativa esclusiva. Francesco la tirò su e la mise a sedere sullo schienale della poltrona e da lì, più comodamente, le slacciò i jeans, facendoli cadere a terra. Risalì su per le gambe posando una scia di baci, fino alle cosce candide come una statua di Canova. Emma, con le mani tra i capelli del suo uomo, sentiva il cuore batterle forte e per un attimo ebbe paura che potesse scoppiarle: sarebbe stato il modo migliore per andarsene, non c'erano dubbi.
Non era la prima volta che si trovavano così vicini senza vestiti, si erano conosciuti così, in effetti, e quella volta in cui Emma lo aveva aiutato ad asciugarsi dopo un acquazzone che lo aveva colto all'improvviso era rimasta stampata nella testa di entrambi, ma in quel frangente compresero perché era stato così difficile ma altrettanto importante tenere a bada gli istinti più terreni quando avevano vissuto insieme: perché ora, connessi totalmente, sarebbe stato ancora più bello.

Silenzio. C'era solo silenzio attorno. Niente sciabordio dell'acqua sotto i piloni della palafitta, ancora cristallizzata dal gelo dell'inverno, niente versi di animali notturni. Solo un silenzio pacifico, accogliente. Era calata la notte sul lago e non se n'era nemmeno accorta. L'unica cosa che i sensi di Emma percepivano, in quel momento, era il profumo del suo uomo che l'avvolgeva totalmente. Lo aveva avuto tante volte al suo fianco, così pericolosamente vicino, quando avrebbero voluto ma non potevano, qualsiasi fosse la ragione, che pensava ormai di esserne immune, ma niente l'avrebbe mai potuta preparare ad essere tra le sue braccia e lui tra le sue. Una cosa sola, alla fine.
Non aveva idea se ci fosse qualcosa dopo questa vita, anche se ci voleva credere, ma quella notte appena trascorsa era la sua versione di paradiso, la palafitta la sua nuvola e Francesco la sua beatitudine.
"Ti amo" le aveva detto. Lo aveva detto quasi in un soffio, ma lo aveva sentito, ne era sicurissima. E l'aveva baciata. Aveva preso il viso dell'uomo tra le mani per accertarsi che fosse tutto vero mentre le labbra dell'uomo premevano sulle sue. Erano a 3000 metri, ma sembrava davvero di essere ancora più in alto, sull'Everest, toccando il cielo con un dito, senza alcuna paura di cadere perché per la prima volta erano insieme davvero, l'uno era lì per l'altro.
L'amava e non voleva solo provarci, voleva riuscirci. C'era stato un periodo in cui si era dovuta imporre di non credergli, che alle parole non sarebbero seguiti fatti ma i suoi occhi li aveva visti bene a questo giro: brillavano, pieni di speranza e fiducia, avidi di vita e di amore. E tutto questo per lei.
In certi casi il buon senso imporrebbe modestia, non me lo merito, ma sentiva di meritarlo, perché nella vita non aveva avuto molte cose belle e il suo futuro di certo non era particolarmente roseo … si poteva dire che un futuro non ce l'aveva, ma almeno un po' di felicità con l'uomo che amava sentiva di meritarla.
Francesco si era alzato. Girata verso la finestra percepiva il bagliore di una luce accesa e sentiva armeggiare in cucina … aprire qualche sportello, rovistare tra le posate; sebbene avessero interrotto la colazione in tarda mattinata sul più bello non aveva fame, né tanto meno sonno.
Lo sentì tornare a letto, poggiando qualcosa sul comodino, probabilmente un piatto. Lei era rimasta immobile nella posizione in cui si era svegliata, comoda, ad osservare la luce rossastra del lampione esterno che illuminava la terrazza e in parte anche la casa.
"Dormi?" le chiese, ed Emma lo sentì dapprima sfiorare la sua schiena con il naso, dalla nuca a scendere - mentre un brivido risaliva invece la sua schiena - fino a posare un bacio tra le fossette di Venere. "Nn nn" mugugnò lei. La risposta era scontata quanto la domanda, ma faceva parte del gioco, così come era parte del gioco il sua rimanere allungata sulla pancia, continuando a guardare fuori dalla finestra anziché lui. "Tutto bene?" domandò allora Francesco, allungandosi sopra di lei, cauto, delicato, scostandole i capelli per lasciare un bacio sul collo e forse sbirciare anche la sua espressione, incomprensibile dalla voce vagamente sonnacchiosa. Emma tentava di rimanere seria il più possibile, le piaceva stuzzicarlo un po' … lui l'aveva fatta così penare.
"Sto pensando …" "A cosa?" lo sentì irrigidirsi e anche la voce era tremante. Emma avrebbe potuto giurare di averlo sentito deglutire, come per mandar via un nodo dalla gola. Alla fine si girò verso di lui, che si scansò leggermente per non pesarle addosso. Francesco era intento a guardare, anzi no, a contemplare il corpo nudo della donna sotto di lui, ma non c'era imbarazzo da parte di Emma: non si era mai reputata bella, ma non aveva mai avuto problemi con il suo corpo. Quel modo di guardarla però, come se non l'avesse mai vista prima, stupore misto a commozione, come se non potesse credere di essere lì con lei, di avere le mani sul suo corpo nudo, la faceva sentire forte, potente, addirittura. "Che non avrei mai creduto di poter essere così felice"
Era serio, ma una scintilla si accese nelle iridi scure, già dilatate alla penombra della stanza. Gli piaceva quello che sentiva, gli piaceva lei. Portò una mano sul suo collo e da lì risalì fino al volto, per accarezzarla. L'altra invece era impegnata tracciare il suo profilo, lenta, provocante, determinata a reclamare la proprietà esclusiva di quella pelle bianca come il latte, di quelle curve morbide come la seta e generose il dolce della domenica. Emma era sicura di aver sentito il crepitio della legna nella stufa e di aver intravisto il bagliore rossastro delle fiamme, eppure la sua pelle si aggricciò a causa di quelle dita che scorrevano lungo il seno e le sfiorarono, pericolose, il capezzolo. Erano mani lavoratrici, tozze, ruvide anche e c'erano anche dei piccoli taglietti - forse si era fatto male maneggiando la legna, forse semplicemente non si curava troppo di idratarle e il freddo faceva il resto - ma erano grandi e calde ed erano il suo porto sicuro. Emma afferrò quella che si era soffermata sul suo viso, la girò leggermente e ne baciò il palmo. "E poi" aggiunse, accennando un sorriso malizioso, di chi stava perdendo la battaglia contro sé stessa per restare concentrata sulla conversazione "che ho trovato un regalo perfetto per la casa, visto che a quanto pare sono l'unica a non averlo fatto....queste tende sono brutte, ma proprio brutte! Possiamo cambiarle?"
Anche Francesco a quella battuta si rilassò. "Questa è anche casa tua Emma … puoi fare tutto quello che vuoi" Erano delle parole semplicissime, e forse neanche così strane, ma dette in quel momento le scaldarono il cuore. Era così che si sentiva: a casa. Solo in quel momento, si era finalmente resa conto che quei luoghi le erano mancati; non solo, avevo rischiato di perderli per sempre. E sì, probabilmente non era tanto il luogo a fare la differenza, ma la persona con cui viverli. Con Francesco accanto a lei, anche un deserto o uno squallido appartamento di città sarebbero stati accoglienti.
Con le mani sul suo viso, Emma gli si lanciò quasi addosso per baciarlo, portandosi sopra di lui. Era ancora strano essere così vicini quando fino a poche ore prima era convinti, ma non pronti, a dirsi addio. I seni schiacciati contro il petto di lui, il piacere per quell'incontro ravvicinato che lui non riusciva proprio a nascondere, erano una novità che entrambi facevano fatica a processare ma a cui nessuno dei due si sarebbe opposto. Le labbra dell'uomo si aprirono in un sorriso per quanto potevano, pressate dalle quelle di Emma che lo sentiva ridacchiare forse per la prima volta senza neanche un velo di malinconia, com'era invece consuetudine: un riso gutturale, estremamente sensuale...o forse era solo la situazione che le faceva sembrare tutto più eccitante; al di là di tutte le considerazioni che poteva fare, adorava sentirlo e vederlo così libero per la prima volta da quando lo conosceva, senza pesi, senza sensi di colpa che gli impedivano di godersi anche solo qualche istante di serenità. 
“Altro round?” propose, anche se ad essere completamente onesta con sé stessa, non c'erano round da contare, solo una lunga e perfetta giornata passata ad amarsi, come nessuno dei due non aveva mai fatto prima con nessun altro: se serviva un indizio ulteriore che tra loro c'era qualcosa di diverso, quella per lei era la prova perfetta. “Non prima di un piccolo spuntino” rispose Francesco, sornione, prendendo il piatto dal comodino: aveva preparato dei tramezzini e portato anche della birra. Un po' grossolano come spuntino, ma non erano tipi da sottilizzarsi su certi dettagli e poi avevano letteralmente perso il senso del tempo che con ogni probabilità era anche ora di cena ed era il cibo più appropriato. “Ah!Ah!Ah!” lo frenò però Emma, prendendogli il piatto dalle mani. “Che c'è?” “Non si mangia nel letto” “Non abbiamo 5 anni, penso che siamo entrambi capaci di mangiare senza sporcare” 
Ma Emma non ne volle sapere; si alzò, borbottando qualcosa a proposito del fatto che gli uomini saranno sempre bambini, non importa quanti anni abbiano. Posò il piatto sul piccolo tavolino da té vicino al divano e andò in bagno a darsi una rinfrescata, portando con sé la maglia che aveva tolto a Francesco ore prima. “E io cosa dovrei mettere? I tuoi vestiti?” domandò l'uomo, disorientato ma divertito. “Siamo a casa tua, una maglietta ce l'avrai da qualche parte” sentì Emma rispondergli dal bagno. La risposta era ovvia, ma Francesco a tutto questo non era abituato, nemmeno con Livia nei tempi migliori e più felici del loro matrimonio: un po' era colpa sua e della sua rigida educazione militare, un po' anche lei precisina e con delle barriere che forse, col senno di poi, non erano proprio normali tra marito e moglie.
“Comunque siamo anche a casa tua” precisò, quando Emma tornò in fretta a sedergli di fianco sul divano, a gambe incrociate, passandole la birra “vorrei che questo fosse chiaro. Ero serissimo prima” “Lo so” rispose Emma, sorridendogli sommessamente “e ti ringrazio. Ma non sarebbe meglio rodarci un po'?” “E perché? Se non sarai qui tutto il tempo, quando stiamo insieme dobbiamo recuperare, non credi?” “Poi ci pensiamo...” Emma non era sicura che avrebbe ottenuto dall'università il permesso di allargare il progetto come avrebbe voluto, trascorrendo più tempo in Alto Adige che altrove, era invece sicura del contrario, che avrebbero contestato il budget e limitato il suo raggio d'azione; ma in quel momento non ci voleva pensare, voleva solo godersi quelle ore che avevano prima che il treno la riportasse a Milano. Senza bisogno di ulteriori spiegazioni, Francesco comprese quell'incertezza, però era talmente positivo in quel momento che anche l'incertezza poteva trasformarsi in possibilità. “Un brindisi a noi?” propose. “E alla palafitta...è rinata dalle ceneri come una fenice” rispose Emma, scacciando presto ogni malumore e tornando a sorridere, tintinnando la sua bottiglia con quella di Francesco. “E non sai la novità...” “Quale?” “L'ho comprata...” “Cosa?” Le migliorie che aveva apportato non sarebbero mai state approvate dal Comando Provinciale, spiegò, e siccome era determinato a non lasciare quel posto, si propose direttamente come compratore: con i tempi che corrono, la sua proposta venne accettata in un battito di ciglia. Sarà stata pure una stupidaggine ma per Emma era una notizia bellissima: da che lo conosceva, aveva sempre associato Francesco al lago e a quella casetta che non era più sgangherata; sapere che questo vincolo si era consolidato la rassicurava, infondendole speranza che anche i suoi progetti sarebbero potuti diventare qualcosa di più che un buon auspicio.

Emma aveva la sensazione di essersi svegliata dopo un sonno lungo mesi, tanto profondamente aveva dormito: sarà stato il tepore del piumone, la spossatezza di tutta quell'attività fisica che non faceva da tempo, il calo della tensione dopo le forti emozioni, il profumo di Francesco che dormiva al suo fianco proprio come lo aveva immaginato tante volte...tutte ipotesi plausibilissime. Aveva sentito Francesco alzarsi prima di lei e farfugliare qualcosa al suo orecchio mentre era ancora assonnata quindi non aveva capito molto, solo qualche minuto più tardi si era accorta che era uscito, quando il letto aveva perso il suo tepore nel lato lasciato vuoto e sulla casa era calato il silenzio. Così si alzò: era sufficientemente riposata e aveva bisogno di una doccia. Dopo aver preso il necessario dal suo borsone, poggiato ai piedi del letto, notò un bigliettino sul frigo, di fianco alla porta del bagno: Non sono sicuro che tu mi abbia capito, dormigliona...sono sceso in paese a fare la spesa, il frigo è vuoto. Ti amo, Francesco. Dopo un sussulto al cuore per quel “ti amo” su carta e penna, Emma aprì l'elettrodomestico e in effetti, birra a parte, le sue scorte erano insufficienti, della marmellata, del burro e dello speck mangiati il giorno prima non erano rimasti che rimasugli; nemmeno il resto dei pensili della cucina se la passava tanto meglio, pressoché vuoti al di fuori di una confezione aperta di pane in cassetta, uno di pasta – anche questo smezzato, del cibo in scatola, caffè, zucchero e sale. Alzò gli occhi al cielo e scosse la testa: poteva aver messo un bell'abito alla palafitta, ma le vecchie abitudini erano rimaste intatte.
Mentre era in bagno, sentì dei passi percorrere il pontile e la terrazza, per poi aprire la porta a vetri dell'ingresso. “Emma?!” “Sotto la doccia!” Si aspettava – o forse sperava – di vederlo entrare da un momento all'altro, ma la giovane convenne che per Francesco probabilmente era davvero troppo, non doveva pretendere da lui che si sciogliesse tutto in una volta.
“Ne hai ancora per molto? Posso fare il caffè?” le domandò l'uomo, mentre sistemava la spesa nei ripiani: era la prima volta, da quando si era ritrasferito, che faceva una spesa decente, che anche la cassiera del supermercato, a vederlo con il carrello pieno, era rimasta di stucco. Gli piaceva cucinare e mangiare bene, ma vivendo da solo si trovava spesso a non avere appetito e a mangiare quello che capitava, senza gusto o inventiva, giusto per nutrirsi. Appena la giovane gli diede il via libera per far partire la moca si attivò per preparare la colazione. “Questa mattina abbiamo il pane fresco e persino yogurt e burro da un pastore che li porta in paese tutte le settimane dalla sua malga” disse, ma le parole gli morirono in bocca quando vide Emma uscire dal bagno; si sentì stupido a quella reazione, perché razionalmente sapeva che era lì e altrettanto razionalmente aveva passato le ultime 20 ore in un letto con lei, entrambi ben più svestiti, ma trovarsela di fronte avvolta dal un telo e un turbante in testa, la pelle ancora leggermente umida, mandò in tilt il suo sistema nervoso...e forse pure qualcos'altro.
“Buongiorno!” lo salutò Emma, posandogli un bacio leggero sulle sue labbra. Era un bacio davvero innocente, ma per Francesco era sempre terribilmente sensuale...a breve avrebbe avuto bisogno lui di una doccia, preferibilmente a due. “Buongiorno! Che buon profumo...” la lusingò, scendendo a baciarle la spalla nuda e imperlata da qualche gocciolina d'acqua che ancora scendeva dalla nuca e dai capelli raccolti nel turbante. “Per forza, io non uso prodotti scrausi come qualcun altro...” rimbeccò Emma con un tono fintamente polemico “mi sa che oltre alla lista delle cose da fare insieme devo fare una lista di cose da migliorare nella tua vita” Non che non avesse un ottimo profumo addosso, ma in doccia aveva trovato – e nemmeno quello la stupiva più di tanto – un doccia shampoo, tipico degli uomini.
“Non ce n'è più bisogno...tutto quello che mi serviva ce l'ho qui davanti a me” dichiarò, rubandole l'ennesimo bacio con quella frase ad effetto: si lamentava sempre di non riuscire ad esprimere quello che sentiva, di non essere bravo con le parole, ma Emma notava che con lei, solo con lei, era estremamente capace. Emma sentì le mani di Francesco sulla schiena e manovrare come poteva, mentre era ad occhi chiusi e con la faccia stampata sulla sua, con l'asciugamano. “Non ci provare!” lo sgridò, ridendo, staccandosi e sistemando di nuovo il telo. “Ma tanto nevischia, non possiamo fare altro oggi” “Ti ricordo che ho vissuto per 6 mesi in montagna, so benissimo che il tempo cambia in fretta”
Ed era vero. Quando si era alzata, quella mattina, era una giornata serena, con qualche nuvola ma niente che lasciasse presagire l'acquazzone misto a neve che si stava abbattendo sul lago e aveva persino fatto rifugiare Argo, che non schiodava mai dalla sua cuccia all'esterno, all'interno; era sicura, quindi che, tempo di terminare la colazione, il sole sarebbe spuntato di nuovo e avrebbero potuto passare del tempo all'aperto. “Che vuoi fare?” “Pensavo ad una passeggiata nei dintorni così poi nel pomeriggio mi rimetto a lavorare” “Nn nn...non se ne parla” “Se ne parla eccome, lunedì devo presentare la mia relazione al dipartimento e non posso tardare...anzi, devo anche prendere i biglietti per il treno” “Ti porto io, facciamo prima” Ma Emma non voleva: c'era il rischio che non le avrebbero approvato il piano di ricerca o lo avrebbero approvato solo in parte, non gli avrebbe consentito di sprecare permessi e ferie che potevano tornare loro utili in un altro momento, magari per andare a farle visita in qualche altra località di montagna che non fosse l'Alta Pusteria. Francesco accettò la sconfitta, ma solo perché di fronte al buon senso di Emma non si poteva controbattere alcunché.
Fecero colazione e come Emma aveva previsto, il sole era tornato a rispendere sul lago e sulle montagne e poterono uscire a passeggiare, percorrendo il sentiero che costeggiava il corso del Rio Braies, il fiumiciattolo che dal lago scendeva verso valle a confluire nel Rienza, l'inizio di una lunga strada che avrebbe portato quelle acque a sfociare nel Mediterraneo. Emma rimaneva sempre affascinata da quelle informazioni, piccole ma straordinarie. “Se tutti le conoscessero” disse a Francesco mentre gliele raccontava “forse vivremmo in un mondo più umile”
Mentre percorrevano il sentiero, Francesco prese la mano di Emma per aiutarla ad affrontare un tratto leggermente dissestato, senza lasciarla più: i due si guardarono, complici, consapevoli che quello che stavano vivendo, pur nella sua semplicità, aveva del miracoloso. Tutto aveva provato a mettersi contro di loro perché l'inevitabile non accadesse, e ad un certo punto si erano convinti anche loro che fosse giusto così, che non doveva accadere e pazienza. Ma alla fine, con un colpo di mano, avevano ribaltato la situazione, e permesso all'inevitabile di compiersi, finalmente.
Arrivati alle porte della valle, in una piccola frazione con poche case e l'immancabile chiesa dall'inconfondibile tetto rosso, era ora di fare dietro front per mettere qualcosa sotto i denti dopo la lunga camminata. “Ma qui non c'è quel ristorante...come si chiamava?” domandò Emma, guardandosi intorno “Dolomiten o qualcosa di simile...” In mezzo alle poche case non doveva essere difficile individuarla: certo erano tutte uguali, bianche e marroni, con il legno brunito dal tempo e dalle intemperie, i fiori piantati di nuovo alle fioriere dei balconi e le scritte murali che ne indicavano la proprietà o l'uso, ma non erano molte, avrebbe trovato in fretta quella che cercava. E infatti eccola lì, quasi riversa sul letto del fiume la Gasthof Dolomiten, la trattoria che avevano frequentato spesso (con Francesco, un paio di volte corrispondevano già al concetto di spesso) prima della sua partenza; tornarci, finalmente da coppia, sarebbe stato bello ma sicuramente strano.
“Ma è la signorina Emma?” domandò l'oste, vedendoli entrare mano nella mano. Toni era un omaccione nerboruto di mezza età ma a cui lo strabismo toglieva tutto il vigore e rendeva un po' macchietta, specialmente quando si avventurava a parlare italiano con quel suo marcato e inconfondibile accento altoatesino. Emma, vergognandosi molto, doveva sforzarsi di restare seria: era un brav'uomo, un ottimo cuoco e voleva a tutti un gran bene alla faccia di chi dice che in Alto Adige la gente è acida e inospitale. “Eh già” sospirò la giovane, facendo spallucce. “Io dicefo sempre: ma qvanto si tecitono qvesti due a mettersi insieme?! Es war so klar!”
Francesco allora si chinò leggermente verso Emma per chiederle, ironicamente, se ci fosse qualcuno in quell'angolo delle Alpi che non si fosse accorto di loro. “Tu mio caro” rispose lei, poco ironicamente “solo tu”
Era il caso di dirlo: colpito e affondato.

Dopo aver fatto il pieno di energie con i manicaretti di Toni, salutarono l'oste assicurando che non avrebbero fatto passare un altro anno prima di tornare a trovarlo. All'uscita, prima di riprendere il cammino in salita verso il lago, si fermarono a riempire le loro borracce ad una fontanella del piccolo parco giochi della frazione. In quel momento, una gocciolina di pioggia si andò a posare proprio sul viso di Emma, e poi un cristallo di neve colpì la mano di Francesco, e poi un altro e un altro ancora, finché quel gocciolio si tramutò di nuovo in un forte acquazzone misto a neve. Fortuna che avevano con sé le giacche a vento, che Francesco, previdente e apprensivo, aveva portato nonostante le rimostranze di Emma. A metà strada la neve prese a scendere più copiosa rispetto alla pioggia, rallentandoli. Lasciarono i sentieri non battuti alle loro spalle, preferendo la strada asfaltata nella speranza di poter fermare qualcuno che li portasse su in autostop, ma nessuno – ammesso che con quel tempo qualche anima pia fosse passata per quelle strade – avrebbe preso in auto due passanti bagnati come pulcini.
“In cosa consiste questa relazione?” domandò Francesco, che aveva radunato i loro vestiti bagnati per metterli in lavasciuga, una volta tornati  a casa. Emma non aveva perso tempo: messi dei panni asciutti, si sistemò in men che non si dica sul divano, concentratissima sul portatile. “È una valutazione di ciò che c'è da fare, perché, come, un bilancio preventivo, rapporto costi/benefici...” “Una noia mortale, insomma” da comandante della stazione forestale, quel genere di incombenze doveva sbrigarle anche lui, ma ne avrebbe fatto volentieri a meno. “Già” sbuffò Emma, stiracchiandosi un po' “ma indispensabile per approvare la ricerca”
Di ritorno dal bagno, Francesco si accomodò di fianco a lei, con un libro in mano, ma seppe resistere davvero poco concentrato e in silenzio. Approfittando delle gambe di Emma poggiate sulle sue, iniziò ad accarezzarle con nonchalance, fingendo di essere ancora assorto nella lettura, e poi risalì le gambe con le mani e le labbra. “Che fai?! Basta” lo esortò, quando ormai era a passato a baciarle braccia e collo, finendo inesorabilmente col distrarla. “Sto cercando di aiutarti rendendo la cosa più divertente...” “Se proprio...se proprio vuoi darmi una mano” disse, spingendo via il compagno faticosamente “aiutami a trovare un modo per poter stare qui seguendo anche i lupi che si sono dispersi dall'Alto Adige”
Sulla carta, il modo c'era: avvalersi di più ricercatori, e di tanta tecnologia; ma c'era un budget che l'università aveva stabilito e conoscendo i suoi superiori erano ben più propensi ad approvare progetti che avrebbero speso meno; era stata una fortuna che Carlo l'estate prima l'aveva messa in contatto con degli sponsor per i suoi progetti pressoché a scatola chiusa, ma secondo i suoi calcoli non sarebbero bastati. “Fammi vedere un po'” furono le ultime parole che Emma sentì rivolgersi da Francesco per le seguenti 2 ore, trascorse immerso nella lettura del progetto, per passare poi al suo computer e infine, attaccandosi al telefono che sembrava un operatore di telemarketing. “Habemus papam” dichiarò, dopo l'ennesima telefonata. “Sarebbe a dire?” “Mi sono ricordato di avere qualche conoscenza nella polizia cantonale della val Monastero dai tempi delle forze speciali e mi hanno indirizzato ai forestali e ai guardiacaccia del posto” “La Val Monastero?” “O Val Mustair, è praticamente ai confini con Livigno e Bormio” “Sì lo so questo...studio le mappe da mesi” disse Emma, guardandolo in tralice “ma non capisco come possano esserci d'aiuto” “Un lupo non sta fermo in solo posto, dovresti saperlo. È anche nel loro interesse tenerli sotto controllo...possibilmente entro i nostri confini...e per farlo ti darebbero mezzi e uomini completamente gratis. Tu e Giorgio dovreste solo andare da loro di tanto in tanto per coordinare le attività” “Non ci credo...sei serio?” chiese, faticando a contenere la sua gioia. “Serissimo...se ti approvano il progetto bisognerà solo contattare i carabinieri forestali di zona e informarli” Francesco non aveva dubbi che le avrebbero dato una mano e non solo perché c'era lui di mezzo, ma anche perché nei posti di confine, come da loro, collaborare con i colleghi d'oltre confine era una prassi consolidata. “Ma accettano così...a scatola chiusa?” “Beh no...aspettano la relazione appena l'avrai finita ma è praticamente un pro forma”
Emma si buttò al collo di Francesco che stava in piedi vicino alla finestra per coprirgli la faccia di baci ma, perdendo entrambi l'equilibrio, finirono sul letto. “Ma tu non avevi una relazione da finire?” le domandò sarcastico e gli occhi di Emma sembrarono letteralmente prendere fuoco “Va beh, una piccola pausa me la merito anche io dopo 2 ore...”
   
 
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