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Autore: Alkimia    21/09/2009    2 recensioni
E se Christine si innamorasse di Erik fin dall'inizio? E se i direttori del teatro assoldassero qualcuno per indagare sul Fantasma dell'Opera e stanarlo? E se, per tutti, le cose si rivelassero ancora più complicate di quanto sembrano?... Non sono una grande fan della coppia Erik/Christine, ma mi sono sempre chiesta se le cose potevano andare diversamente, questa è la risposta che mi sono data.
Genere: Azione, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO QUINTO
"Il Fantasma dell'Opera è qui, nella mia mente"


Christine entrò nel camerino e chiuse la porta lentamente, assicurandosi che nessuno l'avesse vista. La stanza era buia e vuota e la ragazza pensò che fosse meglio non accendere nessuna luce, respirò profondamente riempiendosi le narici del fastidioso odore di chiuso, dell'olezzo dei troppi fiori e del borotalco, si mosse lentamente verso lo specchio e posò una mano sulla superficie di vetro sulla quale era riflessa la sua immagine che appariva sbiadita nella penombra. Attese lunghi secondi nei quali era incerta se sperare che Erik non arrivasse all'appuntamento o se pregare perché la raggiungesse.
«Cosa sto facendo?» si disse la ragazza scuotendo il capo, mentre alcuni riccioli ribelli sfuggivano alla presa del fermaglio.
Con un sospiro, decise di voltarsi e tornare indietro, rinunciare una volta e per sempre a quella follia, ma nel volgere le spalle allo specchio vide un particolare al quale non aveva ancora fatto caso: sul margine del tappeto era posata una rosa con un fiocco di lucido raso nero legato sotto la corolla scarlatta.
Restò a guardare il fiore con aria sbigottita, significava certo che lui era già lì e quindi era tardi per tornare indietro, per decidere quale fosse il male minore, anzi era stato stupido da parte sua credere di potersi sottrarre a quell'incontro, quell'uomo si trovava accanto a lei, dove era sempre stato, non l'avrebbe lasciata andare. Era come se lui fosse la sorte che le era toccata, e poiché era il suo destino, Christine non poteva fare altro che andargli incontro e abbracciarlo.
Fissò la superficie lucida dello specchio e vide la sua sagoma apparire come un'eterea ombra scura dietro il vetro,
«Siete venuto, infine» disse, senza riuscire a impedire che la sua voce tremasse.
Un piccolo ghigno divertito increspò le labbra di Erik prima che lo specchio ruotasse verso l'interno del muro permettendogli di mostrarsi a Christine,
«Sarò anche un assassino, ma non sono un codardo, e inoltre non potrei rifiutarti nulla, dovresti saperlo» disse osservandola a braccia conserte. «Ma tu perché sei qui e ti ostini a rimanere? La porta è solo un metro più in là. Non hai paura?».
I suoi occhi erano così limpidi e il loro sguardo così pungente che sembrava potessero vedere tutto, anche l'intricata matassa di emozioni e sentimenti che albergava nel cuore della ragazza e che lei sperava, con quell'incontro, di cominciare a dipanare. Sì, aveva paura, di lui e di se stessa, da quando lo aveva incontrato non sembrava più la ragazza che era sempre stata.
Christine boccheggiò incapace di trovare qualcosa da dire,
«Mi avete chiesto di comprendervi, è per questo che sono qui» mormorò, cercando di imprimere al suo sguardo una durezza che non le apparteneva e che non sembrò nemmeno credibile
«Questo sguardo non ti si addice» replicò l'uomo con aria spavalda. «Volevi vedermi per trovare conferma all'idea che hai di me? Per sincerarti che sono un mostro, così non dovrai sentirti in colpa quando mi abbandonerai? Qual'è la parte di me che vuoi comprendere veramente?... forse, tentare di capire il tuo caro visconte sarebbe un'impresa meno ardua. Vi ho visti l'altra sera sul terrazzo».
La ragazza sussultò a quell'affermazione, cominciò a temere che la collera di Erik potesse davvero riversarsi su Raoul, se gli fosse capitato qualcosa di male a causa sua non se lo sarebbe mai perdonato.
«Se ci avete spiati, allora saprete anche che ho rifiutato la sua corte»
«Potresti averlo fatto per stuzzicare ulteriormente il suo interesse, dopotutto è ricco, bello, potrebbe offrirti una gloria maggiore di quella che avresti diventando una grande soprano. Come pensi che suoni: Christine Viscontessa De Chagny?»
«Non c'è motivo di continuare questa conversazione se credete che io sia solo una poco di buono che si preoccupa di accaparrarsi un buon partito» replicò Christine con voce spenta, avrebbe voluto sbattergli in faccia la sua indignazione e la sua rabbia, ma quelle parole l'avevano ferita e il rammarico aveva frenato la sua collera anche più della paura.
«Come posso fidarmi di voi, se non vi fidate né di me né di nessun altro?!» aggiunse.
L'uomo la scrutò per un attimo con occhi sottili, non faceva parte della sua natura chiedere scusa, ma non voleva che lei andasse via, ancora una volta aveva sbagliato, aveva riversato su di lei la rabbia che provava nei confronti del mondo e verso se stesso.
Erik si schiarì la voce e cercò le parole più adatte per rabbonirla,
«Non ce l'ho con te, come potrei?» mormorò mentre la voce si ingentiliva assumendo il tono soave e carezzevole con il quale lei era abituata a sentirlo parlare. «Conosci la solitudine, bambina mia, ma il destino è stato più generoso con te di quanto lo sia stato con me, un giorno tu potrai prendere la tua strada e mi spaventa, perché ho sempre avuto bisogno di avere uno scopo per mandare avanti la mia vita miserabile, e il mio scopo ora sei tu. Sentirti cantare o anche solo osservarti da lontano mi da la possibilità di accarezzare un sogno, quello che il mondo possa assomigliarti».
Lasciò che la ragazza interpretasse quelle parole come meglio credeva, ci sarebbe stato tempo per farle scoprire il vero senso di ciò che voleva dirle. Dal canto suo Christine lo osservò stupita e scosse il capo,
«Il mondo non deve somigliare a me...» disse con un candore quasi infantile.
«Oh, invece dovrebbe perché così com'è... così com'è, a te posso dirlo, mi fa paura».
La giovane si sentì stringere il cuore in una morsa: un uomo che sopravviveva grazie al timore che riusciva a incutere le stava confessando di temere il mondo, quale triste destino era toccato a Erik?
«Cosa posso fare per voi?» gli domandò semplicemente.
«Tanto per cominciare, non compatirmi» rispose fissandola negli occhi, fece un passo avanti e le prese una mano tra se le sue, per poi baciarla con delicatezza e trattenerla per qualche secondo tra le dita. «E soprattutto ricorda, che da questo momento, in nessun caso, dovrai avere paura di me».
Christine annuì vagamente con aria ammaliata, se avesse saputo da dove proveniva la magia con cui Erik riusciva sempre a incantarla forse avrebbe tentato di sottrarsi a quel sortilegio, ma era così piacevole scoprire di aver affidato una parte della sua anima a quell'uomo, anche se lui sembrava sospeso su un baratro a picco sull'inferno.
La prese delicatamente per il braccio trascinandola verso di sé, poi fece scattare nuovamente la molla del meccanismo che muoveva lo specchio e il passaggio si chiuse alle loro spalle senza nemmeno uno scricchiolio.  Prese la fiaccola che aveva poggiato in un anello di ferro fissato nel muro,
«Vieni, andiamo» disse richiamando Christine con un cenno della mano, la ragazza si mosse verso di lui e insieme si incamminarono verso i sotterranei.
Erik camminava davanti a passo svelto, alle sue spalle sentiva il fruscio della gonna di Christine che lo seguiva. Nessuno dei due parlava, lei per l'imbarazzo, lui per lo sciocco timore che quella situazione potesse rivelarsi solo un sogno. Come nel mito di Orfeo ed Euridice, temeva che se si fosse voltato a guardarla lei sarebbe sparita.
Raggiunsero in silenzio la Dimora sul Lago, Erik aiutò Christine a scendere dalla barca che li aveva portati fino alla riva della grotta. La giovane osservò quel luogo insolito come se lo vedesse per la prima volta, lui l'aveva già portata nella sua casa, ma quella notte lei era troppo scossa da tutto quello che era successo e troppo ammaliata dal suo canto per prestare attenzione a ciò che aveva attorno. Questa volta si concesse di lanciare una lenta occhiata alla grotta per osservarne i particolari, sulla sinistra notò lo scrittoio ingombro di incarti e oggetti, le pareti coperte da fogli con schizzi di scenografie e di costumi, gli scaffali pieni di libri. Tutto disposto in un pittoresco disordine che dava idea di una brulicante e continua energia vitale che si esprimeva al meglio nell'arte più raffinata.
Erik notò lo sguardo incuriosito della ragazza e sorrise, quasi grato che lei mostrasse interesse per il suo mondo.
Sollevare il capo e guardare quell'uomo negli occhi le parve uno sforzo madornale, ma Christine si costrinse a ricambiare lo sguardo di Erik, ogni volta che succedeva aveva la sensazione che ci fosse una realtà devastante celata nell'esistenza stessa del suo maestro, una marea che avrebbe potuto travolgere anche lei se non fosse stata attenta.
«Vorrei solo che mi permetteste di conoscervi» gli disse. «Forse è sciocco, ma io credevo che foste davvero un Angelo, o quanto meno non credevo che foste... questo».
Erik chinò il capo di lato e la ragazza sentì i suoi occhi che la scrutavano dalla testa ai piedi, come se quello sguardo tormentato avesse dita o persino artigli pronti a spogliarla di ogni certezza e di ogni ragione. Lui avvertì la soddisfazione increspargli le labbra in un accenno di sorriso, ma un attimo dopo tornò serio notando la ritrosia della ragazza ad esprimersi liberamente.
«Capisco, devi ancora prendere atto della delusione» commentò l'uomo in tono inespressivo.
«Non vi sto dicendo che sono delusa» rispose lei.
«Diciamoci la verità, se fossi stato una presenza eterea sarebbe stato più facile liberarti di me»
«Non ricominciate! State fraintendendo» .
Christine sospirò quasi sconcertata da quanto quell'uomo fosse suscettibile e di quanto il suo umore potesse mutare per una parola sbagliata, non le piaceva quell'atteggiamento di difesa che lui stava adottando. Gli rivolse un timido sorriso per cercare di stemperare la tensione,
«Sto solo cercando di dirvi che non mi dispiace sapere di poter contare su di voi, anche se non avrei mai immaginato di avere un amico così singolare» concluse.
Erik le lanciò una rapida occhiata per poi spostare lo sguardo oltre la sua spalla, si rimproverò di essere stato così aggressivo con lei ma era confuso, in parte dall'emozione di poterle finalmente parlare come un uomo, in parte dal fatto che non gli capitava praticamente mai di interagire con altre persone, a parte Eloise. Non voleva rischiare di sbagliare e sprecare quella preziosa occasione rendendosi insopportabile e l'inizio non era stato dei migliori,
«Bene!» asserì ricambiando il sorriso. «Sono contento che tu abbia capito che in me hai trovato un amico leale».
Christine si sentì un po' più a suo agio e cercò un argomento di conversazione per non cadere in un silenzio che sarebbe stato certamente imbarazzante,
«Non siete preoccupato per le sorti del teatro? La signora Giudicelli non tornerà a cantare per molto tempo» disse.
«Il fatto che Carlotta ci privi della sua voce da gallina condotta al macello mi sembra una benedizione, non una preoccupazione»
«Non siate così cattivo»
«Non sono cattivo, sono realista. Non puoi negare che quella donna abbia una voce orribile».
Christine arricciò il naso, non era abituata a sentire qualcuno parlare in modo così diretto,
«È una voce sicuramente particolare, molto potente» azzardò in tono diplomatico.
«Si dice stridula» la corresse Erik pronunciando lentamente l'ultima parola, come per essere sicuro che la ragazza la comprendesse.
«E va bene, avete ragione! Ma se è diventata la primadonna del più importante teatro di Parigi ci sarà un motivo, e ora sarà difficile senza di lei».
L'uomo roteò gli occhi con finta aria di sopportazione
«Preferisco non conoscere il modo in cui Carlotta abbia ottenuto quel posto nel mio teatro, ho il timore che sia ripugnante, non voglio nemmeno sapere quale influente personaggio si sia lasciato sedurre da quella specie di rospo in cambio del suo ruolo di primadonna» commentò Erik sarcastico. «Sul fatto che sarà difficile senza di lei, devo darti torto, mia cara, noi adesso abbiamo te».
Christine scosse il capo con aria turbata,
«Ah no, non pensateci neanche!» esclamò contrariata. «Io non sono ancora pronta, e nessuno può saperlo meglio di voi che siete il mio maestro. Ho ancora molto da imparare»
«È vero, allora sarà il caso di non perdere altro tempo prezioso visto che ti ritroverai su quel palcoscenico prima di quanto pensi» concluse Erik voltandosi e avviandosi verso il suo organo.
«Io non voglio, assolutamente non posso accettare che voi mi facciate diventare la nuova primadonna a suon di minacce» protestò la ragazza.
L'uomo parve ignorare quel commento, si sedette sullo sgabello davanti alla tastiera, facendo cadere dietro di sé la coda del suo frac in modo da non sgualcirla rischiando di sedervisi sopra,
«Vieni qui, Christine» disse.
«Avete sentito cosa ho detto?» borbottò lei.
Erik sospirò alzando gli occhi al cielo e imponendosi di non perdere la pazienza,
«Mia piccola musa, non ci sarà bisogno di minacciare proprio nessuno» commentò asciutto, «Carlotta  si è ritirata da qualche parte per farsi passare il mal di gola e smaltire la vergogna e l'umiliazione, quei due stupidi dei direttori sanno che sai cantare, ti sceglieranno come sostituta senza nemmeno pensarci due volte e senza bisogno che io li solleciti»
«Non dovreste parlare in modo così sprezzante delle altre persone» protestò timidamente Christine.
«Preferirei cantare invece di parlare, se vuoi essere così gentile da avvicinarti»
«Volete darmi una lezione di canto?»
«È quello che faccio da dieci anni a questa parte, perché ti stupisci tanto?».
La ragazza sbatté le palpebre, non credeva che Erik avrebbe approfittato del loro incontro per cantare, ma poi si rese conto che quella visita era solo l'inizio di un rapporto più stretto tra lei e quell'uomo. Salì la piccola scalinata di pietra che portava al rialzo dove era sistemato l'organo e rimase in piedi accanto al suo Maestro.
«Hai una voce angelica Christine, lo sai bene, e in quanto al canto io non ho più molto da insegnarti» esordì Erik sfogliando le partiture che erano poggiate sul leggio. «Devi solo tenerti in esercizio, ma c'è un'altra capacità che dobbiamo affinare: la recitazione»
«State dicendo che sono poco espressiva?» domandò la giovane corrugando appena le sopracciglia.
«No, lo sei abbastanza, ma non basta, così come non basta una bella voce se essa non trasmette niente. Potresti eseguire un'aria della Traviata cantando alla perfezione tutte le note, ma il pubblico non piangerà se la tua voce sarà solo un bel suono privo di sentimento, se non lascerai che le persone sentano tutta l'afflizione di Violetta».
Christine annuì, aveva capito perfettamente cosa voleva dire Erik,
«E voi potreste insegnarmi?» domandò.
«Stavolta quello che posso fare io è molto poco, posso indicarti quali emozioni devi trasmettere nell'eseguire un determinato brano, ma il modo di renderle reali lo devi trovare tu» rispose lui.
«Ma la recitazione è finzione...»
«Infatti, un'emozione espressa è reale solo se la si prova veramente, ed è questo ciò che devi imparare, riuscire a trovare dentro di te l'emozione giusta in modo da poterla mostrare al pubblico mentre canti, e il modo di farlo lo puoi scoprire solo tu».
Christine sorrise accorgendosi che avrebbe potuto ascoltare quell'uomo parlare per ore e ore, la sua voce era un vero e proprio miracolo anche quando non cantava, il suo tono cambiava con sfumature diverse a seconda di ciò che provava, riuscendo a trasmettere in maniera tangibile la più angosciante freddezza o la più mite gentilezza.
«Temo che sarà difficile» mormorò la ragazza.
«Un buon motivo per cominciare da subito» la incitò Erik mostrandole una partitura del duetto tra Radames e Aida, tratto dalla scena finale della monumentale opera di Giuseppe Verdi «Conosci questo duetto?»
«Certo»
«Bene, cosa succede in questa scena?»
«Radames scopre Aida morente, e lei è afflitta, la spiazza più l'idea di abbandonare il suo amore che la paura di morire».
Erik dondolò il capo,
«Solo chi prova una grande passione può pensare che abbandonare l'uomo che si ama sia una pena tanto grande da superare anche la paura della morte» concluse. «Voglio vedere tutta la tua appassionata disperazione»
«Credo che come inizio sia troppo difficile» protestò debolmente la ragazza.
L'uomo si voltò verso di lei e la fulminò con lo sguardo, non gli piaceva essere contraddetto,
«Cosa è difficile? Mostrare l'amore?»
«È un sentimento che non conosco...»
«È ora che cominci a immaginare come potrebbe essere».
Erik non aggiunse altro, si voltò verso il suo organo, chiuse gli occhi e cominciò a suonare. Christine aveva sentito quel brano eseguito dal pianista dell'orchestra del teatro, era un musicista molto valido, ma quella musica suonata da Erik era ancora più meravigliosa, aveva un suono più fluido, liscio e perfetto come un cielo sgombro da nuvole.

Morir! sì pura e bella!
Morir per me d'amore...

degli anni tuoi nel fiore

fuggir la vita!

T'avea il cielo per l'amor creata,

ed io t'uccido per averti amata!

No, non morrai!

Troppo t'amai!

Troppo sei bella!


Erik cominciò a cantare e Christine temette persino di respirare per paura di rompere quell'incanto, la voce dell'uomo le entrava dentro sgombrandole la mente da ogni pensiero, creando nella sua anima uno spazio di oblio nel quale non poteva esistere altro che quel canto e il più languido senso di abbandono.
Senza smettere di cantare, lui le rivolse uno sguardo per assicurarsi che stesse attenta, con un cenno del capo le indicò quando attaccare, e Christine cominciò a cantare.

Vedi?... di morte l'angelo
radiante a noi s'appressa...
ne adduce eterni gaudii
sovra i suoi vanni d'or.
Già veggo il ciel dischiudersi...
ivi ogni affanno cessa...
ivi comincia l'estasi
d'un immortale amor.

La voce della fanciulla risultò amplificata nello spazio ampio della grotta, ogni nota che emetteva risuonava cristallina e perfetta. Lei scrutava il volto di Erik, era la prima volta che poteva osservare il suo maestro mentre cantava per lei, e sperava di poter scorgere nella sua espressione qualche cenno di approvazione.

«Basta così per oggi» disse Erik dopo aver riprovato quello stesso duetto diverse volte. «Direi che non ci siamo».
Christine corrugò la fronte con aria risentita,
«Ho stonato?» domandò
«Niente affatto, sei stata perfetta nel canto, mi riferisco all'espressività, manca ancora molto per poter parlare di un buon livello» rispose Erik severo.
La ragazza sospirò
«Ma sono certo che con un po' di esercizio imparerai presto» le concesse lui per risollevarle il morale. «Hai talento e le tue doti verranno fuori». Poi si alzò dallo sgabello e si fermò a osservare la ragazza.
«Se lo dite voi, mi fido» rispose lei, calcando volutamente l'ultima parola.
«A proposito di fiducia, voglio mostrarti una cosa, bambina mia» aggiunse l'uomo prendendola per mano e conducendola dinnanzi a uno degli specchi che erano poggiati sulla parete accanto allo scrittorio, la superficie riflettente era celata da un drappo di velluto che Erik non rimosse, si limitò a infilare la mano sotto la stoffa cercando con le dita il tasto che faceva scattare il meccanismo di apertura. Lo specchio ruotò su se stesso, come succedeva a quello del camerino, e rivelò un altro cunicolo di pietra più stretto di quello che conduceva ai sotterranei.
«Questa è l'unica via che mette in comunicazione la mia casa con l'esterno del teatro,» spiegò,  «conduce a una piccola uscita che da su Rue Scribe, la strada che costeggia l'Opera, è l'unica via libera da tranelli e pericoli»
«Perché me la state mostrando?» domandò Christine.
«Perché voglio che tu sappia come arrivare da me se ce ne fosse bisogno».
L'uomo guardò la fanciulla negli occhi per un attimo poi prese una lampada ad olio che era poggiata su una mensola e si addentrò nello stretto cunicolo,
«È meglio che tu mi dia la mano, il percorso è scivoloso, ci sono gradini in cui si potrebbe inciampare se non si conosce la strada» le disse in tono neutro, avvolgendo delicatamente le dita di Christine con le proprie e avvertendo un sensazione di calore e tenerezza quando lei ricambiò la stretta.
Mentre camminavano nell'angusto corridoio Erik spiegò a Christine che quel cunicolo spuntava in una ristretta ala del teatro che era stata murata durante i lavori di restauro, per questo non c'era pericolo che qualcuno lo scoprisse, nel piccolo stanzino  a cui si giungeva c'era una finestra bassa che affacciava sulla strada.
«Sai è buffo,» disse Erik rallentando in prossimità di uno scalino scivoloso, «è la finestra da cui sono entrato in teatro la prima volta, tanti anni fa»
«Siete entrato da una finestra?» domandò la ragazza perplessa.
«Oh sì, un giorno ti racconterò la mia storia, ma non ora».
Uno squittio acuto fece eco nel corridoio, Erik puntò la lampada verso il pavimento illuminando un topo che camminava nella loro direzione, Christine lanciò un gridolino e si strinse attorno al braccio dell'uomo, mentre la bestiola scappava via spaventata dal rumore e dalla luce. Erik trasalì a quel contatto inaspettato e improvviso, ebbe bisogno di prendere un grosso respiro per calmarsi e resistere all'impulso di prendere la ragazza tra le braccia e baciarla.
«È andato via» le disse per farla staccare da lui. «Non capisco perché la gente abbia paura dei topi, sono talmente tanto più piccoli di noi!»
«Sono sporchi... e sono così brutti» protestò la ragazza.
«Ah già, la gente teme la bruttezza, come se ciò che è guasto fuori debba esserlo necessariamente  anche dentro» mormorò Erik con amarezza.
«No, perdonatemi, non intendevo dire...»
«Non importa, vieni, proseguiamo».
Dopo aver camminato a lungo raggiunsero una piccola stanza con le pareti decorate da vecchi affreschi quasi del tutto irriconoscibili perché sbiaditi o deturpati dall'umidità, sulla destra c'era la finestra di cui parlava Erik, non era difficile da scavalcare e si apriva a livello della strada, i vetri erano spessi e opachi, in modo che da fuori non si riuscisse a vedere dentro.
«Basta controllare che non arrivi nessuno e sgusciare fuori» spiegò l'uomo. « È il sistema che utilizzo io per entrare e uscire dal teatro, di notte generalmente».
Christine ebbe soggezione di chiedergli dove andasse e cosa facesse, forse come molti uomini liberi frequentava delle case di appuntamento o posti del genere, e se così era lei non voleva saperlo.
«Grazie per avermela mostrata» si limitò a dire.
Lui accennò un sorriso,
«Bene, spero che tu ne faccia uso» rispose.
«È un invito?»
«Sarai sempre un ospite gradita per me» concluse lui. «Ora è meglio che tu torni, non voglio che qualcuno si insospettisca se non ti trova».

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Capitolo reinserito il 20\12\2011
   
 
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