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Autore: Hanairoh    22/09/2009    2 recensioni
Ambientato durante New Moon. Dopo il college, Bella avvia una brillante carriera musicale assieme ad alcuni nuovi amici, ognuno coi propri segreti inconfessabili. Ma non sanno che il più grande e terribile di tutti è proprio quello di Bella, più decisa che mai a nasconderlo a tutti...o quasi.
Genere: Romantico, Triste, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Per prima cosa, ringrazio nanerottola per aver commentato (felice che ti piaccia, cara ^^) e ringrazio pure le due persone che hanno inserito la storia tra i preferiti e le cinque che l'hanno messa invece tra le seguite.
Ammetto, però, di essere rimasta male nel vedere una sola recensione: faccio davvero così schifo? Sappiate che sono aperta alle critiche negative, purché siano costruttive. Ditemi, ad esempio, se ho scritto qualche bestialità (tipo che Forks è in Alaska o altro) o se ho fatto qualche orrore grammaticale. Ripeto, accetto tutte le critiche costruttive e non offensive.
Dopo questi piagnistei, passiamo al capitolo.
So che finora non si è capito molto ma le cose comincieranno a chiarirsi tra qualche capitolo. Nel frattempo gustatevi il secondo, leggermente più lungo del precedente.
 
 
 
 Kuolema Tekee Taiteilijan
 
-la morte crea l'artista-
 
 
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Fissavo Brian e Matt a bocca aperta, a metà fra lo stupito e l’indignato.
“State scherzando, spero!”.
Sbuffarono. Nello stesso istante. Altro che scambio di culle, quei due si assomigliavano più di quanto loro stessi pensassero…
“No, non scherziamo. Perché dovremmo?”, chiese Matt.
“Già, perché?”, gli fece eco l’altro.
Abbassai lo sguardo dai loro visi alla…cosa che tenevano in mano e che scuotevano come in quei giochi a premi della tv.
Si trattava di un vestito. Anzi, chiamarlo così era un insulto: era nero, con due spesse spalline di pizzo ed un corpetto strettissimo in vita; la gonna, lunga fino a terra, ricordava quei motivi e quelle forme che andavano di moda due secoli prima. Ma la cosa più orripilante era la scollatura, a barca, profondissima e pensata per esporre parecchio.
“Voi siete matti”, dissi e richiusi la porta del camerino con uno scatto secco. Li sentii ridacchiare.
“Oh beh, allora…”.
“…se la metti così, Bellina…”.
“…va’ pure sul palco nuda”.
“Ma che carini, vi completate le frasi a vicenda!”, disse la voce di Mischa dal camerino alla mia sinistra. La sentivo trafficare con vestiti ed oggetti di metallo vari.
“Quasi quasi preferisco andarci nuda sul palco. Cavolo, questo vestito è…è…insomma, è!”.
Sentii il rumore delle grucce che scorrevano sull’asta mobile. Dopo pochi istanti bussarono alla porta di nuovo.
“Per stavolta passi. Adesso apri e mettiti questo, altrimenti fregati”, ordinò la voce di Matt. Già sentivo le risatine di Robert. Non tentai nemmeno di immaginare cosa potesse essere; aprii la porta giusto lo spazio necessario per far passare il mio braccio e, a tentoni, trovai la stampella. Richiusi velocemente la porta e osservai l’abito.
Sospirai di sollievo. Niente scollature eccessive o roba simile: solo una gonna nera di pizzo ed una semplice canotta bianca ricamata.
“Vedo con piacere che non sei ancora uscita urlandoci contro”, sghignazzò Brian.
“Oggi pioverà, è accaduto il miracolo. Vi siete contenuti”.
“Cos’è, Bella?”. La voce di Mischa proveniva non più dal camerino ma dal corridoio. Doveva essere uscita. 
“Un attimo e te lo faccio vedere”.
Mi sfilai rapidamente i jeans e la camicia per sostituirli con il completo che avrei indossato sul palco. Mi guardai nello specchio verticale: okay, la gonna era un po’ larga e nella canotta ci sarebbe entrato un altro mio busto, ma nel complesso stavo bene. Mi accorsi però che mancava qualcosa.
“E le scarpe?”, chiesi.
“Guarda nella busta sotto la mensola; dovrebbero esserci un paio di stivali bianchi lucidi, sono della tua misura”.
Feci come indicato e adocchiai una busta bianca in cui, una volta aperta, trovai gli stivali. Erano di una misura più grandi, ma ormai tutto quello che avevo mi cascava addosso. Ed erano miracolosamente senza tacchi; unica pecca, impiegati un’eternità a sciogliere e riannodare tutti quei lacci.
Uscii dal camerino, soddisfatta.
Robert mi squadrò da capo a piedi mentre i gemelli fischiarono. Mischa si limitò a sorridermi.
“Finita la radiografia?”, chiesi divertita.
“Mi sa che stasera la sicurezza avrà parecchio da fare per tenere a bada quei mostri urlanti che si definiscono fans”.
“Però manca qualcosa”, mormorò Matt pensieroso. Si voltò e cominciò a squadrare uno ad uno tutti gli abiti appesi sulle stampelle.
“Nulla di troppo appariscente o stravagante”, lo ammonii. Lui mi ignorò bellamente e squadrò un paio di abiti. Mi porse un cappotto nero in eco pelle, che io liquidai con uno “Scordatelo” che lo fece immediatamente desistere.
Per dieci minuti andammo avanti così: lui proponeva capi che senza troppe cerimonie scartavo. Alla fine Mischa, stanca di perdere tempo, mi rifilò una giacca nera dal taglio elegante che probabilmente aveva fatto da pezzo superiore ad un tailleur. Ignorò completamente le mie proteste sul caldo che avrei sofferto una volta sotto le luci.
“Mettici questi, pettinati un poco e sarai perfetta”, disse porgendomi un paio di guanti di pizzo nero senza dita. Non avevo ancora avuto modo di osservarla bene, ma quando mi sedetti per permetterle di farmi i capelli la guardai nello specchio di fronte a me. Indossava un paio di pantaloni a scacchi dall’aria comoda  infilati in un paio di stivali alla caviglia con tanto di zeppa stile marines, ed una maglia strappata larga senza maniche, in modo da avere libertà nei movimenti.
Per un po’ non dicemmo nulla e l’unico rumore era lo crepitio dei meccanismi interni della piastra che Mischa adoperava sui miei capelli, cercando di trasformarli da lisci a ricci.
A rompere il silenzio fu lei.
“Nervosa?”.
Scossi la testa. Chiunque altro al mio posto sarebbe stato un tantino agitato e col cuore in gola, ma non io; in quasi quattro anni avevo imparato a convivere con la tensione fino a vincerla del tutto. Neanche stare sotto i riflettori –esposta allo sguardo di migliaia persone- mi procurava più l’imbarazzo di un tempo.
Qualcuno avrebbe detto che ero maturata, ma la verità non era propriamente quella: ero semplicemente cresciuta, diventando da imbranata adolescente a donna di successo e sicura di sé. Un bel salto, in pratica.
“Hai visto come si sono conciati i gemelli? Sembrano usciti da una clip degli anni Ottanta”. Rise.
“Giuro, quando ho visto quei pantaloni neri di pelle scampanati ho avuto l’impulso di vomitare”.
“E quella giacca e quella camicia orribili!”.
Continuammo a ridacchiare e discutere dello stramo gusto nel vestire di Brian e Matt finché non arrivò Robert per avvisarci che…
“Ragazze, è arrivato”, proclamò con aria tragica.
Cercai di non scoppiare a ridere. “Che cosa, Rob?”.
“Il Momento”.
Già. Il Momento. Valeva a dire quell’orribile quarto d’ora che passavamo nel backstage a firmare album, foto e magliette di decine di adolescenti in delirio. Un incubo, in pratica.
“Okay, arriviamo”.
Mischa staccò la spina e ripose la piastra insieme agli altri accessori di make-up. Poi mi lanciò qualcosa di nero e luccicante che presi al volo.
Mi guardò strana mordendosi il labbro inferiore. “Sei sicura, Bella?”.
Respirai profondamente. “Ti prego, Mischa, te l’ho già detto. Non me la sento ancora…anzi, non so neanche se avrò mai il coraggio di mostrarlo”.
Non osò controbattere. Forse sapeva che non le avrei dato ascolto o addirittura che mi sarei arrabbiata. Che cara ragazza, mi ritrovai a pensare affettuosamente. Mi ricordava Angela, anche lei odiava forzare le persone o metterle a disagio. C’era un’unica differenza: Mischa era cento, mille volte più pericolosa, soprattutto se il bersaglio era Brian. Mi chiedevo perché fosse sempre lui l’oggetto dell’ira di Mischa ma in realtà la risposta ce l’avevo già. Quei due erano così tonti da non capire di essere fatti l’uno per l’altra. Entrambi amanti della musica e dei fast food…e si, ugualmente matti.
Ridendo, guardai il risultato allo specchio: chissà per quale miracolo divino, era riuscita a piegare i miei capelli in ricci perfetti e lucenti. Dalle sopracciglia alle palpebre inferiori era tutto coperto dalla mascherina nera. Perfetto.
“Lo sai che ti adoro, vero?”, le chiesi innocentemente.
Ghignò. “Se stasera non finisce male noi due ci sposiamo, vero?”.
“Allora prepara l’auto per Las Vegas, tesoro, perché stasera nessuno ci fermerà!”. La voce tonante di Brian esplose e ci fece sobbalzare. Ma prima che Mischa potesse fare nulla –come uscire e strangolarlo con la cintura- Robert ci richiamò dal corridoio.
Feci per alzarmi ma Mischa mi fermò e prese qualcosa da dietro. Poggiò delicatamente le mani sul mio collo e sentii del metallo freddo sull’incavo bella gola. Mi guardai allo specchio e vidi una collana dalla montatura poco elaborata di argento e decorata da varie pietre rosse che identificai come granati. Un pendente a goccia più grosso degli altri mi sfiorava leggermente la gola. Era meraviglioso.
“Un piccolo pensierino”, disse ammiccando. La abbracciai per ringraziarla; mi accarezzò i capelli stando attenta a non rovinare la pettinatura. 
Quando uscimmo Robert era già in piedi e torceva inconsapevolmente le mani.
“Allora, ragazzi, ci siamo. È inutile che vi dica cosa fare, ormai siete grandi e lo sapete. In particolare tu, Matt”.
Lui lo guardò con finta innocenza. “Io?”.
“Si, tu. E non guardarmi così, devo ricordarti il casino che hai combinato tre mesi fa al Turner Field di Atlanta?”.
“Non tirare sempre fuori quella storia, cazzo! Non è stato nienteeeeeee!”.
“Spaccare il naso ad un tizio che neanche conosci ti sembra niente?!”.
“Mi assillava che voleva un autografo, cos’ altro dovevo fare!”.
La risposta –poco educata- di Robert fu coperta da un’ ovazione proveniente dalle nostre spalle; una massa di corpi addossati gli uni agli altri si riversò nel corridoio. Alcuni stringevano foto e cd in una mano e un pass nell’altra, neanche fossero delle reliquie sacre.
Da lì si scatenò l’inferno. E con la I maiuscola.
Passati il successivo quarto d’ora a sorridere e firmare di tutto, dai poster alle copertine dell’ultimo album. Brian e Matt cominciarono a sghignazzare quando un bambinetto mi chiese con voce tremante di dargli un bacio sulla guancia paffuta. Non so dire chi fosse più rosso, se io o le sue gote chiazzate dal sangue che affluiva e dal mio rossetto scuro.
Fu un sollievo quando gli addetti alla sicurezza spinsero via la folla impazzita per permetterci di iniziare il vero concerto.
Anche quella volta non mancò il discorso di Robert.
“Eccoci qua. Comportatevi come sempre e vedrete che li manderemo in delirio!”.
“Come se servisse”, commentai accennando alla urla che già si sentivano dalla platea.
“Bene allora, ho detto tutto. Myötäkäyminen*!”.
Kiitos**!”, rispondemmo in coro.
“Che bello, alla fine lo avete imparato”, rise lui.
Assurdo, direbbe qualcuno. Assurdo eppure vero: Robert non era inglese, e neppure americano. Era nato e cresciuto a Vaasa, sulla costa finlandese, e parlava sia la sua lingua natale che l’inglese. Spesso però ci costringeva a parlargli ed a rispondergli in finlandese, al punto che dopo tre anni e mezzo avevamo imparato qualcosa, nonostante il nostro vocabolario si limitasse a parole ed espressioni come ‘buongiorno’ o ‘grazie’. Eravamo addirittura arrivati a lanciare intere canzoni cantate esclusivamente in finlandese. Ovviamente i testi originali, scritti e composti da me in lingua inglese, venivano corretti e tradotti da Robert. Dannato geniaccio.
“Ehi, Mischa, ma dopo ci andiamo davvero a Las Vegas, vero?”.
La frase costò a Brian una bacchettata sulla testa.
 
 
*Buona fortuna
**Grazie
Dio benedica il finlandese u_u
Ancora una cosa, la collana che Mischa regala a Bella è più o meno questa; di immagini così ne posterò parecchie, dato che per me lo stile d'abbigliamento non è solo una questione di vanità ma un modo di essere e di porsi agli altri (da brava alternativa quale sono ^^). Prendete Brian e Matt: cosa vorrà mai dire quel look da Final Countdown?? x°D
 
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