Edward
Muovendomi alla mia
velocità sistemai tutti i fiori
che mi aveva portato Esme
nei rispettivi vasi.
Erano le sette e mezza del mattino,
Bella si sarebbe
svegliata fra due ore circa. E questo significava che avevo due ore per
sistemare alla perfezione tutta casa. Volevo che Bella si sentisse
serena e
rilassata.
Rosalie ed Alice avevano lungamente
insistito per
occuparsene personalmente, ma, dopo il disastro che avevano combinato
si erano
ridimensionate. Anche se nei loro pensieri c’era sempre una
traccia di gelosia
stavano lavorando sulle loro insicurezze per il bene di Bella.
Inspirai, solo per riuscire a
recepire meglio tutti
gli odori, aprendo i lustri della finestra e lasciando che la brezza
mattutina
aleggiasse nel soggiorno.
Mi diressi verso la lavanderia,
inserendo il carico di
biancheria sporca. In queste settimane trascorse, nonostante avesse
ridotto
notevolmente la dose di antidepressivi, Bella era sempre stata
piuttosto
tranquilla. Non mi sarei mai aspettato che fosse così
comprensiva, così
accondiscendente, tanto da non lamentarsi mai per essere costretta a
letto
tutto il giorno. Non aveva avuto neppure un attacco di panico. Ma
nonostante
stessimo di fatto sempre insieme, i momenti davvero
per noi erano molto pochi. Era sempre stanchissima.
Speravo che sia lei sia nostro
figlio stessero bene.
«Edward».
Scattai in piedi. Che si fosse
già svegliata?
In un attimo fui in camera. Era
stesa sul letto in
orizzontale, con una gamba piegata al petto e l’altra stesa
sotto al cuscino,
dormendo teneramente con le guance arrossate per lo sfregamento con il
cuscino.
Era proprio il mio amore, una continua e deliziosa tentazione.
Mi avvicinai, accarezzandola. Aveva
semplicemente
parlato nel sonno. Era strano che lo facesse, perché
nell’ultimo periodo, fatta
eccezione per alcuni incubi, aveva un sonno molto pesante e senza
sogni.
Probabilmente si era inconsciamente lamentata per via del freddo.
La sollevai con un braccio e la
misi nella giusta
posizione, accompagnando la testa sul cuscino e rimboccandole le
coperte. La
sua bocca piccola e rossa si apriva dolcemente e si chiudeva al ritmo
del suo
lento respiro, che faceva muovere su e giù il suo petto.
L’amavo intensamente.
Avrei voluto sentire quelle labbra morbide e piene sulle mie, fredde e
dure, in
ogni istante. Sarei rimasto così, incantato a contemplarla,
per ore, se non
fosse stato per il fatto che dovevo preparare la colazione prima che si
svegliasse e telefonare ad Alice per chiederle che cosa potessi
cucinarle in
modo che non acuisse il suo senso di nausea.
Con un sospiro mi allontanai, e
solo allora mi resi
conto della sua mano stretta possessivamente alla mia camicia. Sollevai
gli
occhi al cielo. Tentai di schiuderle le dita senza svegliarla, ma lei
si
lamentò debolmente, stingendo con più vigore la
presa. Non volevo svegliarla,
con tutta la fatica che faceva per addormentarsi. La sera precedente
avevo
dovuto fare avanti e indietro per la stanza per due ore prima che
prendesse
sonno, poiché nonostante la spossatezza che avvertiva, non
riusciva mai ad assopirsi.
Aveva bisogno di me, e non volevo che sentisse il bisogno di
chiedermelo, desideravo
esserci e basta, anche perché il mio bisogno era pari al
suo. Volevo discutere
con Carlisle delle sue nuove tesi a proposito dell’eccessiva
stanchezza e suo
problema a prender sonno, ma non ne avrei facilmente avuto
l’occasione, poiché
non volevo che Bella intuisse qualcosa o che pensasse che fossi
preoccupato.
Avvicinai la bocca alla sua mano e
le baciai le dita,
una per una, finché la presa non si allentò e
potei liberarmi dalla sua
stretta. Mugugnò qualcosa, poi si girò supina,
stendendo le braccia scompostamente
intorno alla testa e umettandosi le labbra. Una tentazione.
Tutte le sue curve vennero
evidenziate. Il seno,
cresciuto di una taglia, e il ventre, ancora piatto ad un occhio umano.
Posai
una mano, dolcemente, sul quel piccolo nido d’amore.
Sentivo un’emozione
incredibile ogni volta che
sfioravo quella piccola culla dov’era custodita la vita che
avevo creato
insieme a Bella. La vita di mio figlio.
Dovevo andare.
Lasciai un bacio veloce sul ventre
e poi sulle labbra
di mia moglie, che si incresparono in un debole sorriso.
Sentii i pensieri di Alice. Strano
che non mi avesse
prima chiamato, che fosse successo qualcosa? Tentai di sondarle la
mente, ma
non trovai nulla. Decisi di andare ad aprire.
«Alice» la
salutai pacatamente, aprendo la porta «che
ci fai qui?».
«Edward! Come sta
Bella?» chiese allegra, entrando in
casa, togliendosi la sciarpa e il cappotto e appendendoli
all’attaccapanni
all’ingresso.
Richiusi la porta alle sue spalle e
la seguii,
tentando di fermarla. «Bene, ma sta dormendo, non la
disturbare per favore. Dopo che ve ne siete andati ieri ci
ha messo due
ore per addormentarsi, è molto stanca».
Alice si avviò in cucina
e cominciò a trafficare con
ingredienti e padelle. Si stava mettendo a cucinare? «Stasera potrai parlarne con Carlisle,
l’ho visto. La terremo
occupata noi, non s’insospettirà di
nulla». E così continuò ad armeggiare a
velocità vampiresca con zucchero, uova, latte, mandorle,
forno, teglie.
«Alice» la
chiamai «fermati».
Si bloccò con una
padella in mano, lo zucchero
nell’altra e un mestolo fra i denti. «Sì?»
mi chiese mentalmente.
Vidi la mia domanda formarsi in una
sua visione. «Che cosa stai
combinando?». Poi, in
risposta, vidi una serie di immagini: Bella, il piccolo ritrovo in
famiglia con
Charlie, e la colazione speciale “anti-nausea” e
“pro-bambino” che le stava
preparando.
Infine, vidi formarsi nella sua
mente l’immagine della
lavatrice che finiva di lavare. «Tre, due, uno». Plin. «Vai a mettere la roba
nell’asciugatrice, ci penso io qui» fece
risoluta.
«Alice,
l’ultima volta che l’hai fatta tu non è
andata
tanto bene, forse sarebbe meglio se me ne occupassi io»
tentai di essere più
cortese possibile, ma la verità era che Bella aveva dovuto
mangiare quello che
le aveva preparato per non ferirla, ma poi aveva avuto tutto il giorno
un
terribile mal di pancia. Il folletto non era tagliato per la cucina.
Incrociò le braccia al
petto, stizzita. «Questa volta
non accadrà» fece sicura «Esme mi ha dato delle
lezioni!».
Sospirai, alzando gli occhi al
cielo. Mi dissi che se
mi fossi reso conto che quella cosa che stava preparando non era
commestibile
l’avrei obbligata a buttarla.
Quando tornai dalla lavanderia, la
cucina, pulita e
riordinata da me la notte stessa, era irriconoscibile: non
c’era alcuna traccia
de “l’atmosfera serena”.
Fra i fornelli trovai la piccola
figura di Alice,
coperta di zucchero, glassa e caramello, con in mano un piattino su cui
stava
poggiato un croccante alle mandorle con glassa caramellata.
Sollevai un sopracciglio,
titubante. «Alice, non sarà un
po’ troppo» cercai il termine adatto
«troppo dolce?».
Lei sbuffò,
imbronciandosi. «Le
piacerà, l’ho visto!».
Non fui così scortese da
ricordarle che le visioni che
aveva su Bella erano sempre più imperfette e veloci,
così sospirai, annusando
il piattino. Disgustoso al punto giusto; almeno sembrava commestibile,
anche se
troppo dolce. «Io dico che le verrà mal di
pancia».
«E io dico di
no!».
«Ti dico di sì
invece».
Pestò i piedi a terra.
«No-o! No, no, no!».
Sentimmo una risata allegra
riempire l’aria. Bella era
in piedi sulla porta, nel suo pigiama verde, ridendo sfacciatamente.
Non era
mai successo che si svegliasse da sola, senza che l’andassi a
chiamare.
In un attimo le fui accanto,
così come Alice.
«Tesoro, ti si
già svegliata?» le chiesi stringendola
a me, mentre lei si cancellava le lacrime che le erano scese per
l’abbondante
risata.
«Sì» sussurrò, abbassando lo
sguardo sul mio petto. Quando
faceva così capivo subito che c’era qualcosa che
non andasse, ma di cui non mi
voleva parlare. Magari le faceva ancora male il seno, o aveva qualche
altro
problema. Non volevo metterla in imbarazzo, preferivo che si aprisse
spontaneamente con me.
«Bella!»
esclamò mia sorella facendola sobbalzare.
Le lanciai
un’occhiataccia. Esme
era stata chiara, lei e Rosalie si dovevano dare una calmata.
«Ti ho preparato la
colazione» disse poi, con un tono
normale e appositamente contenuto.
Bella sobbalzò,
sgranando gli occhi, mentre il cuore
le batteva più forte nel petto. Doveva ricordare bene
l’ultima esperienza della
cucina di Alice. «Emm…
Io…» balbettò, fissandomi
implorante, completamente rossa d’imbarazzo.
Guardai mia sorella, reprimendo
l’istinto di ridere.
«Alice, potresti andare a prendere la vestaglia di Bella,
penso che senta un
po’ freddo… Oh, e già che ci sei
potresti sistemare la biancheria pulita nei
cassetti? Non ti dà fastidio, vero?».
Alice sorrise.
«Certo» fece, sollevando gli occhi al
cielo. Scomparve in un instante.
«Grazie»
esclamò Bella gettandomi le braccia al collo
e stringendomi con la sua debole forza.
Risi, staccandola da me.
«Sta attenta tesoro» la
ammonii dolcemente, mettendole una mano sulla pancia e accarezzandola
attraverso il pigiama leggero.
La sentii gemere. Sollevai lo
sguardo e vidi una
smorfia buffa sul viso di mia moglie.
«Mi…» sollevò gli occhi al
cielo,
sbuffando e arrossendo «non… non fare
così…» disse mordendosi con insistenza
il
labbro inferiore. Era… in imbarazzo?
Tolsi la mano perplesso.
«Così come?». C’era qualcosa
di strano.
Scossi il capo. «Niente,
scusa» mormorò velocemente, ma
i suoi battiti aumentarono.
Non volevo metterla a disagio e
farla agitare, così senza
replicare l’accompagnai sulla sedia del tavolo del soggiorno.
Notando le fastidiose e continue
nausee, e i problemi
causati dal fatto che Bella avesse bisogno di abbondanti dosi di
calorie,
Carlisle aveva rivisto la sua dieta integrandola con delle proteine in
compresse.
Abbassò lo sguardo,
arrossendo, e cominciando a
disegnare con un dito disegni immaginari sul tavolo.
Sospirò. Aveva uno strano
comportamento. Bofonchiò qualcosa e concluse con
«…dolce».
«Cosa?» chiesi.
Lei sobbalzò, portandosi
una mano al cuore, come se
fosse stupita di trovarmi ancora lì.
Il suo comportamento era davvero strano. Corrugai le sopracciglia.
«Stai bene?».
Sgranò gli occhi e
annuì vigorosamente. «Sì».
Chinai il capo di lato.
«Hai detto dolce?».
Le sue guance si tinsero di rosso
del sangue che
l’imporporarono. «Ho… solo…
voglia… di… qualcosa di
dolce…» concluse velocemente
con un sorriso forzato.
Mi stava mentendo. Mi stava
mentendo e non sapeva
farlo. Oltretutto lei preferiva mangiare salato, per tollerare meglio
la nausea.
Un sorriso m’increspò le labbra, mentre -
decidendo di stare al suo gioco - andavo
a prendere la colazione preparata da Alice. Per quanto mi dilaniasse
farlo le
avrei lasciato i suoi spazi, sperando che non fosse qualcosa di serio
di cui
doversi preoccupare; solo così si sarebbe aperta.
Avvertii i pensieri di mia sorella
che stava parlando
con Bella. Magari con lei si sarebbe confidata. Aspettai un
po’, il tempo di
rimettere in ordine la cucina, ma notando che neppure lei riusciva ad
ottenere
i suoi scopi, andai da mia moglie con il dolce preparato da Alice.
Non servì mangiarla.
Appena vide quella cosa super
dolciastra scattò in piedi con una mano alla bocca. Lasciai
il piatto nelle
mani di Alice e le corsi dietro tenendole la fronte.
«Edward» fece,
quando poté parlare «v-vai… vai di
là…
non… posso fare sola…»
mormorò, rossa in viso.
Perplesso, ma pur sempre
determinato a non essere
troppo invadente, tolsi la mano che le avevo messo in grembo e quella
che stava
sul suo viso, lasciandola sola. In quell’istante leggerle i
pensieri mi sarebbe
stato più che utile, ma era giusto anche che le lasciassi la
sua privacy.
«Edward!»
mi
chiamò mentalmente Alice.
Decisi di andare a vedere cosa
volesse, magari il
comportamento insolito di Bella era semplicemente legato al fatto che
avesse
bisogno di un po’ di spazio per stare sola.
«Edward,
sta
tranquillo» mi confortò mia sorella con
un bacio su una guancia «ho scritto
un biglietto con il pranzo che dovrai prepararle, per le cena ci
penserà Esme,
basta che tu informi Bella a tutto il resto penso io,
d’accordo?» fece, un po’ delusa.
«Non è colpa
tua. La bambina blocca le tue visioni» la
rincuorai.
Scrollò le spalle.
«È brutto non essere invincibili»
scherzò debolmente. Mi sorrise, carezzandomi la guancia con
affetto. «Mi
raccomando, sta tranquillo per
stasera!» fece prima di uscire di casa.
Sentii il rumore dei passi sul
parquet e di una sedia
che si spostava. Vidi Bella seduta al tavolo del soggiorno, mentre si
mordicchiava il labbro e si torturava le mani.
Cosa le passava per la testa?
Le portai la colazione, preparata
da me, a base dei
suoi crackers preferiti, ma mi sembrava che avesse pochissima voglia di
mangiare. Era taciturna, silenziosa, e mi pareva costantemente
imbarazzata. Non
volevo farle domande
che le avrebbero portato un
ulteriore imbarazzo, così rimasi anch’io in
silenzio, tentando di farla
sorridere in ogni modo.
«Vuoi vedere
Lei lanciò una piccola
occhiata al mio viso, poi si
fissò le mani, muovendole fra loro, come se fosse indecisa
se dirmi o meno qualcosa.
Infine annuì, semplicemente.
Quando feci per aiutarla ad alzarsi
si sollevò in
piedi velocemente e sgattaiolò in silenzio verso il divano.
Mi parve che non
seguisse affatto il film, continuava ad avere quel comportamento
stranissimo.
Per quanto avanzassi di volta in volta nuove ipotesi che potevano aver
dato
adito al suo comportamento, le trovavo o troppo imbarazzanti o troppo
invadenti
da porre. Cominciai a preoccuparmi un po’, ma mi ripetei che
era ancora in
assestamento per via della terapia antidepressiva e che farle notare le
sue
debolezze non l’avrebbe aiutata.
Sbadigliò, stanca,
chiudendo gli occhi e stendendo le
membra.
«Ti fa male la
schiena?» le chiesi, facendo attenzione
a conservare un tono cortese.
Sobbalzò, stralunata.
«N-no… no… va t-tutto
bene…».
Le sorrisi, seppur perplesso e
preferii rimanere in
silenzio piuttosto che farle notare che era arrossita e che stava
balbettando. Le
cose andarono via via peggiorando. Durante il pranzo era stata ancor
più
taciturna e schiva ad ogni contatto con me. Non capivo, e desideravo
con impazienza
che si aprisse e che insieme risolvessimo i suoi problemi.
Le presi una giacca più
pesante pensando volesse
andare in giardino, porgendogliela con delicatezza.
«Io»
esitò intuendo le mie intenzioni. Era arrossita e
non mi guardava negli occhi «ecco…
posso… voglio stare un po’ in camera…
ti-ti
dispiace?».
Un’altra stranezza. Negli
ultimi giorni l’aria aperta
le era particolarmente piaciuta, adorava quel cambiamento
d’ambiente.
Nonostante tutto le sorrisi con delicatezza. Ero ansioso di scoprire
cosa fosse
a turbarla, ma riempirla di domande e dimostrare la mia apprensione
sarebbe
equivalso solo ad una reazione contraria da parte sua.
«Vuoi dormire?»
le chiesi, come ogni pomeriggio, accarezzandole
la fronte.
Lei sbadigliò, e vidi le
sue palpebre tremolare
impercettibilmente verso il basso, ma nonostante questo mi disse di no.
Fui
seriamente tentato di chiederle cosa non andasse. Tuttavia, continuai
ad
auto-impormi di mantenere il silenzio. Appena scoperta la causa del suo
umore
avrei fatto ogni cosa, tutto quello che potevo per aiutarla. Non volevo
altro,
solo vederla felice e vivere serenamente con nostro figlio,
così l’accompagnai
in camera.
«Mi… mi
potresti prendere un bicchiere d’acqua per
favore?» chiese imbarazzata, rossa in viso.
Aprii automaticamente bocca per
farle una domanda, ma
cambiai rapidamente idea. Sorrisi, non tenendo conto della
preoccupazione che
imperversava in me. «Certo».
Decisi di lasciarle ancora un
po’ di tempo e andai in cucina,
lasciandole un po’ di pace e solitudine, sebbene quel
distacco mi stesse uccidendo.
Non volevo soffocarla con le mie attenzioni e non volevo che fosse
proprio
quella la causa del suo comportamento. Ma volevo assicurarmi che stesse
bene e
che il suo umore non dipendesse dalla sospensione della terapia
antidepressiva.
Ad un tratto mi arrivò
al naso il sentore di umido e
salato.
Stava
piangendo?!
Andai velocemente in
camera.
Stava girata su un fianco,
rannicchiata su se stessa,
e nonostante testasse di placarli, dei piccoli singhiozzi arrivavano
fino alle
mie orecchie.
Rimasi immobile, tentando di capire
quanto potesse
essere grave. Stava solo piangendo? Era un vero attacco di panico? Le
avrei
dovuto dare un’altra compressa o chiamare Carlisle? E se
palesandomi avessi
peggiorato le cose?
No. Non potevo. Dovevo andare da
lei.
Piano mi avvicinai al letto,
dandole il tempo di
accorgersi della mia presenza. Non appena mi vide sobbalzò,
ma i suoi occhi
arrossati non smisero di versare nuove lacrime.
«Amore» la
chiamai cautamente, sistemandole dietro
l’orecchio una ciocca di capelli. «Tutto
okay?».
Il suo labbro inferiore
tremolò, ma poi si affrettò ad
annuire silenziosamente.
Non mi sembrava che avesse un
attacco di panico, forse
era solo un cambiamento del tono dell’umore dovuto alla
gravidanza. «Ti senti
triste?» le chiesi accarezzandole una guancia per cancellare
le lacrime che le
erano scese.
«Edward»
sussurrò, stringendomi con tutta la sua forza
umana e convincendomi a sdraiarmi accanto a lei sul letto. Rimase
qualche
istante così, mentre io l’accarezzavo e tentavo di
placare il suo pianto e di
trovare un modo adatto per chiederle cosa stesse accadendo.
Infine, con ogni occhi asciutti, ma
ancora arrossati,
sollevò lo sguardo fino a incontrare i miei occhi.
«Edward… ri-rimani
con me… sono felice quando sei con me»
farfugliò con la gola secca.
Mi sentii spezzare il cuore alla
sua fragilità, ed
insieme mi sentii egoisticamente contento di sapere di poterla fare
stare
meglio.
Lei si strinse con più
forza, muovendo la punta del
suo naso sulla mia mascella. «Edward»
sospirò, baciandomi con necessità e
avidità e stringendo le mani fra i miei capelli.
«Sto… impazzendo» sospirò,
baciandomi ancora. «Mi… fai
impazzire…».
In quell’istante capii.
Bella
Mi girai su un fianco, dopo aver
chiesto a Edward di
prendermi dell’acqua.
Da quando mi ero svegliata,
sentendo le sue labbra
sulle mie, non riuscivo a pensare che a quello. Volevo mio marito, lo
desideravo profondamente, con ogni fibra del mio essere.
Non mi era mai successo da quando
ero stata rapita da
Jacob, e non sapevo come interpretare i segnali che la mia mente e il
mio corpo
mi mandavano. Lo desideravo ed insieme avevo paura di averlo, della mia
reazione quando sarei stata con lui. La cosa che mi faceva stare peggio
era che
mi toccava, accarezzava, coccolava, continuamente
e delicatamente, senza un
accenno di desiderio o attrazione maliziosa. Ma come faceva a non
rendersi
conto dell’effetto che causava?
La sua tenerezza mi faceva
desiderare di avere di più,
ma insieme la mia mente si riempiva di ricordi e di paure. Era un
pensiero
totalizzante che occupava la mia mente. Tentavo di non pensarci,
tentavo di non
agitarmi, ma più il tempo passava, più la mia
frustrazione cresceva e mi
sentivo sempre più… triste.
Ero tristissima,
esasperatamente triste e imbarazzata da quel mio desiderio che non
sapevo come
comunicarli, per paura di scoprire che non era ricambiato, o che lo
sarebbe
stato solo forzatamente dopo una mia richiesta. Ed ero arrabbiata. Con
me
stessa e con gli altri. Perché non sapevo come sarei potuta
tornare ad avere
una vita normale con mio marito, ma lo desideravo molto, e anche da un
punto di
vista sessuale.
Sbattei un pugno su lenzuolo,
rendendomi conto che lo
sguardo cominciava ad appannarsi. Ci mancava solo quello stupido
pianto! Tentai
di asciugarmi in fretta gli occhi, per paura che Edward mi vedesse in
quelle
condizioni, ma più tentavo di non piangere, più
piangevo. Piangevo. Piangevo
tanto. E non volevo farlo, perché se ne fosse accorto, si
sarebbe preoccupato e
io mi sarei imbarazzata ancora di più.
«Amore, tutto
okay?» mi disse comparendo nella mia
visuale. Nonostante avessi pensato che non doveva vedermi in quello
stato,
sentii la necessità di averlo accanto. «Sei
triste?» mi chiese ancora.
Lo strinsi fra le mie braccia e lo
trascinai con me
sul letto. Tutta l’enorme tristezza, accumulata senza un
apparente motivo in
quelle poche ore, scomparve col beneficio della sua presenza. Non
riuscivo a
capire come fosse possibile, ma averlo accanto a me era come qualcosa
di
magico, un’inspiegabile presenza che guariva le mie ferite.
E una volta eliminati i dolori non
potei far nulla per
impedire alla parte più istitutiva di me di emergere e di
cancellare ogni
inibizione. Mi aspettai di sentirmi bloccare, rimproverare, richiamare,
ma così
non fu. Cominciò a baciarmi con amore, trasporto.
C’era ancora dolcezza in quei
baci, ma anche tanta, tantissima passione, e nessun pensiero negativo
riuscì ad
avere la meglio.
Mi coccolò a lungo,
riempiendomi di baci, di
attenzioni, di ogni sorta di carezza e dolce emozione e concesse a me
di fare
lo stesso con lui, mettendosi a disposizione delle mie labbra e del mio
tocco.
Avevo bisogno di tutto quello. Volevo sentirmi amata e come di secondo
in
secondo realizzavo che stava andando tutto bene, che potevo tornare ad
amare
Edward, mi sentivo più tranquilla.
«Grazie»
sussurrai timidamente baciandogli il petto
nudo dal sotto le coperte.
«Bella, io ti
amo» mi disse sorridendomi.
Annuii. «Ti amo
anch’io» risposi, stringendolo a me. Sentii
un dito delicato e freddo sollevarmi il mento.
Incontrai il suo sguardo intenso.
«Se sei triste o se
senti che c’è qualcosa che non va, promettimi di
parlarne con me» lo vidi
temporeggiare, come se cercasse le parole giuste. Mi fece un mezzo
sorriso «Siamo
in questa cosa insieme. Non c’è niente di
sbagliato in te, d’accordo?».
Sorrisi debolmente, arrossendo e
annuendo piano. Poi
posai la testa sul suo petto, stringendo un braccio intorno alla sua
vita.
«Scusami… non volevo metterti in questa posizione,
ma… io» mi morsi un labbro,
sentendo il mio cuore battere forte nel petto «ne avevo
bisogno, avevo bisogno
di te».
Lo sentii irrigidirsi.
Mi sollevai si scatto, puntando i
miei occhi nei suoi.
«Non fraintendermi, lo so che tu ci sei sempre per me, che mi
sei sempre
accanto… io…» sospirai, guardando il
vuoto «è che… ho bisogno anche di questo. Di sentirti accanto… fisicamente. Mi capisci?».
Mi sorrise. «Certo che
sì. E mi dispiace se non
possono esserci stati momenti… del genere fra di noi.
Scusami, ma» sospirò «forse
avrei dovuto parlartene. Non sapevo se e quando avresti avuto
ancora questo desiderio, ma quando Carlisle ha detto che dovevi stare a
riposo
intendeva anche non avere rapporti. È pericoloso in questo
momento della
gravidanza così delicata, capisci? Ma sappi, e te lo dico
con sincera onestà»
aggiunse serio «che non vedo l’ora che questo
periodo finisca. E poi potremmo…»
aggiunse lievemente malizioso.
Sorrisi.
«Potremmo?».
Lui ridacchiò.
«Dormi amore. Sogna anche per me»
disse, facendomi appoggiare la testa sul suo petto.
Chiusi gli occhi, sbagliando
assonnata. «Anche tu mi fai impazzire»
sentii dire
prima di addormentarmi, stanchissima.
Tre ore dopo mi ritrovai, confusa,
in soggiorno.
Ricordavo solo che dopo aver aperto gli occhi, due paia di mani fredde
si erano
impossessate di me e mi avevano infilato i vestiti che ora indossavo.
Alice e Rosalie si muovevano avanti
e indietro per
casa, Esme, in cucina,
preparava la cena per me e per
Charlie che a quanto pareva doveva mangiare con noi. Edward
l’avevo perso di
vista, ma avrei giurato di vederlo passare accanto a me qualche istante
prima.
Suonò il campanello,
così decisi di andare ad aprire,
nonostante stessi più o meno dormendo in piedi. Il
pomeriggio con Edward aveva
seriamente minato le mie forze già carenti. Quindi fu
più che altro un istinto.
Come un cane che viene richiamato dal fischietto.
Anche perché, quando
arrivai alla porta con il mio
passo lento, questa era già stata aperta da Rosalie.
«Sorellina!»
tuonò un vocione.
Lo salutai con una mano,
sbadigliando.
Emmett non tenne conto della mia
carenza d’entusiasmo.
Dapprima fece per buttarsi su di me in un abbraccio stritolatore, poi,
all’occhiata eloquente che gli riservarono Jasper e Carlisle
si ritrasse, per
poi inginocchiarsi di fronte e me per contemplarmi la pancia.
«Oh! Guarda che
bella pancia grossa!» esclamò contento.
Sgranai gli occhi, sorpresa,
riprendendomi dal torpore.
«Pancia?! Quale pancia? Si vede? Quanto? Come?»
chiesi sollevandomi la
maglietta e tentando di osservarmi. Lo chiedevo a Edward ogni mattina e
lui
diceva sempre che non si vedeva niente.
Carlisle ridacchiò,
riponendo il cappotto
sull’attaccapanni. «Non si vede nessuna pancia,
forse si è leggermente
allargata la vita» disse dandomi un bacio affettuoso sulla
guancia e
raggiungendo gli altri in soggiorno.
«Oh» feci,
leggermente delusa, ignorando Emmett che mi
punzecchiava il ventre con un dito.
Quello fu il turno di Jasper di
ridere, mentre
scrutava le mie emozioni. «Ci sei rimasta male?».
«No» borbottai, offesa, stringendo le
labbra.
«Bellina, secondo me si
vede, guarda qui! Si vede
benissimo, ecco, ecco!» insistette Emmett indicandomi un
punto in cui secondo
lui avrei dovuto trovare un rigonfiamento.
«Dove?»
esclamò Jasper, precipitandosi in ginocchio
davanti a me accanto al fratello e posando una mano, accanto alla sua,
sulla
mia pancia.
Mi stupii del suo comportamento. Di
solito si teneva a
distanza.
«Ecco, vedi! È
una pancia tonda!» fece saccente l’orso.
«Mah. Secondo me
è a punta» ribatté contrariato
l’altro.
«Aspetta, da che lato
dormi Bella?» mi chiese Emmett.
Sobbalzai, sorpresa dalla domanda e
dai loro discorsi.
«Non lo so… credo il destro…»
borbottai tra uno sbadiglio e l’altro.
«Ah-ah!» fece
Jasper, vittorioso.
«Si, ma è
stato concepito ad Agosto!».
«Già, ma lei
aveva diciott’anni!».
«Però non
mangia legumi!».
«E nemmeno
banane!».
Ero allibita dal loro
comportamento. «Ragazzi,
scusate…» tentai di interromperli, per chiedergli
quantomeno di togliere le
loro mani dalla mia pancia.
«Sai che ci rimane una
sola domanda da farle?» fece
Emmett serio, ignorandomi.
«Fallo» rispose
l’altro, facendo spallucce.
Si voltarono contemporaneamente
verso di me. «Bella. Come
l’avete concepito?».
Sgranai gli occhi, improvvisamente
purpurea.
«Si
può?»
chiese mio padre, entrando
dalla porta ancora aperta.
Vedendo la scena che gli si presentò dinanzi,
sollevò un sopracciglio. Poi,
notando le mani di Emmett e Jasper sulla mia pancia, gli si
illuminarono gli
occhi.
Abbassai velocemente la maglietta,
tirando due
colpetti sulle mani dei ragazzi. Mio padre non doveva mettere mano
sulla mia
pancia.
Per fortuna Edward venne in mio
soccorso. «Tesoro, ti
ho trovata finalmente. Stai dormendo in piedi, vieni di là a
sederti». Poi si
voltò verso mio padre, temporeggiando volutamente con un
occhiataccia sui suoi
fratelli. «Buonasera Charlie, prego, accomodati».
Mio padre sorrise, in naturale
imbarazzo. Lasciò il
suo giaccone e si avviò in soggiorno, raggiungendo gli
altri.
Gli occhi di Edward scintillarono
di rabbia. «Voi due»
disse puntando minacciosamente un dito contro i suoi fratelli
«non provate più
a mettere in imbarazzo mia moglie e soprattutto fatemi il favore di non
renderla partecipe delle vostre assurde scommesse».
«Certo, certo»
fecero con noncuranza, superandoci per
andare in soggiorno.
«Su cosa hanno
scommesso?» chiesi, stringendomi a
Edward.
Scosse il capo, contrariato.
«Sul sesso del bambino»
disse a mezza voce prima di baciarmi.
Mi ritrassi stupita. «Non
ci ho ancora pensato
seriamente… tu cosa vorresti?».
Mi sorrise. «Io ci ho
pensato, ma… non lo so, non
m’importa. So solo che lo amo già ora»
disse baciandomi con amore.
«Allora ragazzi, avete
capito come funziona la cosa?» chiese
Alice distribuendo due bigliettini ciascuno.
«No aspetta»
fece Emmett «cioè io devo scrivere il
nome che vorrei dare al pargolo se fosse un maschietto su un
fogliettino, e se
fosse una femminuccia sull’altro. Giusto? Poi si mettono
tutti i nomi di maschi
da una parte e tutti i nomi delle femmine dall’altra e poi si
pescano i turni
di scontro?» chiese gesticolando con i bigliettini.
«Esattamente»
disse Alice frettolosamente «e poi
funziona un po’ come un concorso con le eliminatorie. Tutti
voteremo, supereremo
ogni turno, alla fine avremo un risultato vincitore per la categoria
maschi e
una per la categoria femmine e saremo tutti contenti. Bene, chiaro,
cominciamo»
concluse in fretta.
«No, no aspetta
Alice» la interruppi.
Lei sbuffò.
«Che c’è?!».
«Mi stai dicendo che noi,
cioè tutti voi»
dissi mostrando i presenti in sala,
«deciderete il nome del nostro
bambino?» chiarii indicando me e Edward, seduto sul divano
con i miei piedi
sulle gambe.
«Esattamente»
fece lei, riaprendo bocca per parlare.
«E non pensi che dovremmo
essere noi, cioè io e Edward
a decidere?» incalzai.
Si voltò scocciata verso
di me. «Senti tu, ma non
stavi dormendo?! Mi sembri un po’ troppo lucida per i miei
gusti. Edward,
portala a letto, la votazione la possiamo fare anche soli».
«Alice» la
richiamò Esme
«se
Bella vuole decidere da sola il nome di suo figlio è un suo
diritto farlo».
«Ma mamma… Ci
metterà troppo! Tanto poi potrà anche
cambiare idea, ma mi servono certezze,
per ora» fece con uno sguardo eloquente.
Che di eloquente aveva ben poco, ma
almeno avevo
capito che era una cosa che c’entrava con le sue visioni.
Beh, almeno dopo
avrei potuto cambiare idea…
«Grazie, grazie,
grazie!» esclamò saltellando.
«Ma se ancora non ti ha
detto sì» borbottò mio padre.
Alice fece un sorriso a trentadue
denti. «Ma noi siamo
amiche, e le amiche si capiscono al volo!».
Un’ora dopo contenere il
sonno era quasi impossibile.
Ma, nonostante i costanti inviti di Edward per andare a dormire, avevo
due
buoni motivi per non addormentarmi. Il primo, era il nome proposto da
Emmett
per mia figlia. “Lilla”. Il secondo, era il nome
proposto da sua moglie per mio
figlio. “Haier”.
Lottavo con tutte le mie forze per
non farli andare avanti nelle selezioni, tuttavia sembravano riscuotere
nei
vampiri un certo successo.
Ad un mio sguardo eloquente Edward
aveva ben capito
che se avesse alzato la mano per votare uno di quei nomi le avrei dato
fuoco
con un tizzone ardente.
Ad un tratto si sollevò,
baciandomi le labbra. «Vado a
prenderti una coperta» mi spiegò con un sorriso.
In effetti avevo freddo, e i
miei piedi erano congelati.
Non feci in tempo a soffrire per
l’assenza di mio
marito che Jasper mi venne accanto, sedendosi su divano al posto di
Edward.
«Come va Bella? Ti sento piuttosto tranquilla, ma anche un
po’ tesa».
«Molto stanca»
biascicai, sbadigliando e lottando per
tenere le palpebre aperte.
Lui ridacchiò.
«Sì è vero, ma a quello ci sono
abituato».
Sospirai, per poi sussurrargli
«Grazie per non aver
proposto nomi strani per mio figlio».
«Figurati» mi
rispose con un sorriso.
Spostai lo sguardo su Rosalie e
Alice che discutevano
sul voto di un nome. Emmett tentava di acquietare sua moglie mentre Esme faceva lo stesso con Alice.
Mio padre invece mi sorrideva,
imbarazzato dalla situazione.
Un attimo. Carlisle non
c’era. E Edward non era
tornato.
«Hai chiamato tua madre,
Bella?» mi chiese Charlie tentando
di sovrastare le esclamazioni di Rose a Alice.
Catturò poco la mia
attenzione. «Mmm,
sì. L’ho vista con la webcam, insieme a
Edward…».
«Oh, e… come
l’ha presa?» mi chiese ancor più in
imbarazzo.
Mi concentrai su di lui.
«Bene, è molto contenta, ci
ha dato la sua benedizione e dice che ci verrà a trovare per
Natale; scusami un
attimo» dissi alzandomi dal divano.
Non sapevo bene perché
l’avevo fatto. Dovevo andare da
loro? Stavano parlando di me? Magari volevano solo parlare un momento
come
padre e figlio, non volevo essere invasiva. Mi mossi verso il camino
acceso,
solo per non crollare per la stanchezza. Non sapevo bene cosa fare. E
se invece
stavano parlando di me? Mi stropicciai gli occhi per impedire che si
chiudessero. Poi sospirai, vagando verso la finestra. Stava piovendo.
Decisi di
ritornare al camino, verso il caldo. Mi mordicchiavo nervosamente un
labbro.
Perché non tornavano? Da quando ero diventata
così paranoica?
In quel momento spuntò
la figura sorridente di Carlisle,
seguita a breve da Edward.
«Amore» dissi
avvicinandomi a lui.
Mi accarezzò una
guancia, saettando con lo sguardo fra
me e Jasper. «Hai sonno?» mi chiese poi.
«Sì,
molto» mormorai, completamente abbandonata sul
suo petto.
Mi prese in braccio e si sedette
sulla sedia a dondolo
accanto al camino. Poi mi posò addosso la coperta,
ricoprendomi completamente,
fin sopra la testa.
«Voti tu per
me?» sussurrai mezza addormentata.
«Certo, non ti
preoccupare» mi rassicurò, sollevando
poco il plaid per baciarmi le labbra. Poi cominciò a
dondolare,
canticchiando bassa
voce la mia
ninna-nanna.
Come al solito addormentarsi
immediatamente non fu
facile.
Strofinai il volto sulla sua
camicia, in cerca di una
posizione comoda. In quel momento le mie labbra vennero casualmente in
contatto
con la pelle nuda della sua clavicola.
Cominciai a lasciare una serie di
baci. Mi piaceva da
impazzire il suo sapore sulle mie labbra. Per fortuna nessuno mi poteva
vedere.
Edward si irrigidì
brevemente, poi lo sentii
ridacchiare nervosamente, e una sua mano si posò sul mio
fianco.
Continuai la mia opera, con un
sorriso malizioso a
incresparmi le labbra, finché non sentii la
lucidità lasciare spazio al sonno.
«Femmina!»
urlò Alice ad un tratto, facendomi risvegliare.