Libri > Twilight
Segui la storia  |       
Autore: keska    23/09/2009    40 recensioni
Tranquilli è a LIETO FINE!
«Perché… anche la pioggia, sai» singhiozzai «anche la pioggia tocca il mio corpo,
e scivola via, non lascia traccia… non… non lascia nessuna traccia. L’unico a lasciare una traccia sei stato tu Edward…
sono tua, sono solo tua e lo sono sempre stata…».

Fan fiction ANTI-JACOB!
E se Jacob, ricevuto l’invito di nozze non avesse avuto la stessa reazione? Se non fosse fuggito? Come si sarebbe comportato poi Edward?
Storia ambientata dopo Eclipse. Lupacchiotte, siete state avvisate, non uccidetemi poi…
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan | Coppie: Bella/Edward
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Eclipse, Breaking Dawn
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'CULLEN'S LOVE ' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Edward’s POV

Edward

 

Muovendomi alla mia velocità sistemai tutti i fiori che mi aveva portato Esme nei rispettivi vasi.

Erano le sette e mezza del mattino, Bella si sarebbe svegliata fra due ore circa. E questo significava che avevo due ore per sistemare alla perfezione tutta casa. Volevo che Bella si sentisse serena e rilassata.

Rosalie ed Alice avevano lungamente insistito per occuparsene personalmente, ma, dopo il disastro che avevano combinato si erano ridimensionate. Anche se nei loro pensieri c’era sempre una traccia di gelosia stavano lavorando sulle loro insicurezze per il bene di Bella.

Inspirai, solo per riuscire a recepire meglio tutti gli odori, aprendo i lustri della finestra e lasciando che la brezza mattutina aleggiasse nel soggiorno.

Mi diressi verso la lavanderia, inserendo il carico di biancheria sporca. In queste settimane trascorse, nonostante avesse ridotto notevolmente la dose di antidepressivi, Bella era sempre stata piuttosto tranquilla. Non mi sarei mai aspettato che fosse così comprensiva, così accondiscendente, tanto da non lamentarsi mai per essere costretta a letto tutto il giorno. Non aveva avuto neppure un attacco di panico. Ma nonostante stessimo di fatto sempre insieme, i momenti davvero per noi erano molto pochi. Era sempre stanchissima.

Speravo che sia lei sia nostro figlio stessero bene.

«Edward».

Scattai in piedi. Che si fosse già svegliata?

In un attimo fui in camera. Era stesa sul letto in orizzontale, con una gamba piegata al petto e l’altra stesa sotto al cuscino, dormendo teneramente con le guance arrossate per lo sfregamento con il cuscino. Era proprio il mio amore, una continua e deliziosa tentazione.

Mi avvicinai, accarezzandola. Aveva semplicemente parlato nel sonno. Era strano che lo facesse, perché nell’ultimo periodo, fatta eccezione per alcuni incubi, aveva un sonno molto pesante e senza sogni. Probabilmente si era inconsciamente lamentata per via del freddo.

La sollevai con un braccio e la misi nella giusta posizione, accompagnando la testa sul cuscino e rimboccandole le coperte. La sua bocca piccola e rossa si apriva dolcemente e si chiudeva al ritmo del suo lento respiro, che faceva muovere su e giù il suo petto. L’amavo intensamente. Avrei voluto sentire quelle labbra morbide e piene sulle mie, fredde e dure, in ogni istante. Sarei rimasto così, incantato a contemplarla, per ore, se non fosse stato per il fatto che dovevo preparare la colazione prima che si svegliasse e telefonare ad Alice per chiederle che cosa potessi cucinarle in modo che non acuisse il suo senso di nausea.

Con un sospiro mi allontanai, e solo allora mi resi conto della sua mano stretta possessivamente alla mia camicia. Sollevai gli occhi al cielo. Tentai di schiuderle le dita senza svegliarla, ma lei si lamentò debolmente, stingendo con più vigore la presa. Non volevo svegliarla, con tutta la fatica che faceva per addormentarsi. La sera precedente avevo dovuto fare avanti e indietro per la stanza per due ore prima che prendesse sonno, poiché nonostante la spossatezza che avvertiva, non riusciva mai ad assopirsi. Aveva bisogno di me, e non volevo che sentisse il bisogno di chiedermelo, desideravo esserci e basta, anche perché il mio bisogno era pari al suo. Volevo discutere con Carlisle delle sue nuove tesi a proposito dell’eccessiva stanchezza e suo problema a prender sonno, ma non ne avrei facilmente avuto l’occasione, poiché non volevo che Bella intuisse qualcosa o che pensasse che fossi preoccupato.

Avvicinai la bocca alla sua mano e le baciai le dita, una per una, finché la presa non si allentò e potei liberarmi dalla sua stretta. Mugugnò qualcosa, poi si girò supina, stendendo le braccia scompostamente intorno alla testa e umettandosi le labbra. Una tentazione.

Tutte le sue curve vennero evidenziate. Il seno, cresciuto di una taglia, e il ventre, ancora piatto ad un occhio umano. Posai una mano, dolcemente, sul quel piccolo nido d’amore.

Sentivo un’emozione incredibile ogni volta che sfioravo quella piccola culla dov’era custodita la vita che avevo creato insieme a Bella. La vita di mio figlio.

Dovevo andare.

Lasciai un bacio veloce sul ventre e poi sulle labbra di mia moglie, che si incresparono in un debole sorriso.

Sentii i pensieri di Alice. Strano che non mi avesse prima chiamato, che fosse successo qualcosa? Tentai di sondarle la mente, ma non trovai nulla. Decisi di andare ad aprire.

«Alice» la salutai pacatamente, aprendo la porta «che ci fai qui?».

«Edward! Come sta Bella?» chiese allegra, entrando in casa, togliendosi la sciarpa e il cappotto e appendendoli all’attaccapanni all’ingresso.

Richiusi la porta alle sue spalle e la seguii, tentando di fermarla. «Bene, ma sta dormendo, non la disturbare per favore. Dopo che ve ne siete andati ieri ci ha messo due ore per addormentarsi, è molto stanca».

Alice si avviò in cucina e cominciò a trafficare con ingredienti e padelle. Si stava mettendo a cucinare? «Stasera potrai parlarne con Carlisle, l’ho visto. La terremo occupata noi, non s’insospettirà di nulla». E così continuò ad armeggiare a velocità vampiresca con zucchero, uova, latte, mandorle, forno, teglie.

«Alice» la chiamai «fermati».

Si bloccò con una padella in mano, lo zucchero nell’altra e un mestolo fra i denti. «Sì?» mi chiese mentalmente.

Vidi la mia domanda formarsi in una sua visione. «Che cosa stai combinando?». Poi, in risposta, vidi una serie di immagini: Bella, il piccolo ritrovo in famiglia con Charlie, e la colazione speciale “anti-nausea” e “pro-bambino” che le stava preparando.

Infine, vidi formarsi nella sua mente l’immagine della lavatrice che finiva di lavare. «Tre, due, uno». Plin. «Vai a mettere la roba nell’asciugatrice, ci penso io qui» fece risoluta.

«Alice, l’ultima volta che l’hai fatta tu non è andata tanto bene, forse sarebbe meglio se me ne occupassi io» tentai di essere più cortese possibile, ma la verità era che Bella aveva dovuto mangiare quello che le aveva preparato per non ferirla, ma poi aveva avuto tutto il giorno un terribile mal di pancia. Il folletto non era tagliato per la cucina.

Incrociò le braccia al petto, stizzita. «Questa volta non accadrà» fece sicura «Esme mi ha dato delle lezioni!».

Sospirai, alzando gli occhi al cielo. Mi dissi che se mi fossi reso conto che quella cosa che stava preparando non era commestibile l’avrei obbligata a buttarla.

Quando tornai dalla lavanderia, la cucina, pulita e riordinata da me la notte stessa, era irriconoscibile: non c’era alcuna traccia de “l’atmosfera serena”.

Fra i fornelli trovai la piccola figura di Alice, coperta di zucchero, glassa e caramello, con in mano un piattino su cui stava poggiato un croccante alle mandorle con glassa caramellata.

Sollevai un sopracciglio, titubante. «Alice, non sarà un po’ troppo» cercai il termine adatto «troppo dolce?».

Lei sbuffò, imbronciandosi. «Le piacerà, l’ho visto!».

Non fui così scortese da ricordarle che le visioni che aveva su Bella erano sempre più imperfette e veloci, così sospirai, annusando il piattino. Disgustoso al punto giusto; almeno sembrava commestibile, anche se troppo dolce. «Io dico che le verrà mal di pancia».

«E io dico di no!».

«Ti dico di sì invece».

Pestò i piedi a terra. «No-o! No, no, no!».

Sentimmo una risata allegra riempire l’aria. Bella era in piedi sulla porta, nel suo pigiama verde, ridendo sfacciatamente. Non era mai successo che si svegliasse da sola, senza che l’andassi a chiamare.

In un attimo le fui accanto, così come Alice.

«Tesoro, ti si già svegliata?» le chiesi stringendola a me, mentre lei si cancellava le lacrime che le erano scese per l’abbondante risata.

«Sì» sussurrò, abbassando lo sguardo sul mio petto. Quando faceva così capivo subito che c’era qualcosa che non andasse, ma di cui non mi voleva parlare. Magari le faceva ancora male il seno, o aveva qualche altro problema. Non volevo metterla in imbarazzo, preferivo che si aprisse spontaneamente con me.

«Bella!» esclamò mia sorella facendola sobbalzare.

Le lanciai un’occhiataccia. Esme era stata chiara, lei e Rosalie si dovevano dare una calmata.

«Ti ho preparato la colazione» disse poi, con un tono normale e appositamente contenuto.

Bella sobbalzò, sgranando gli occhi, mentre il cuore le batteva più forte nel petto. Doveva ricordare bene l’ultima esperienza della cucina di Alice. «Emm… Io…» balbettò, fissandomi implorante, completamente rossa d’imbarazzo.

Guardai mia sorella, reprimendo l’istinto di ridere. «Alice, potresti andare a prendere la vestaglia di Bella, penso che senta un po’ freddo… Oh, e già che ci sei potresti sistemare la biancheria pulita nei cassetti? Non ti dà fastidio, vero?».

Alice sorrise. «Certo» fece, sollevando gli occhi al cielo. Scomparve in un instante.

«Grazie» esclamò Bella gettandomi le braccia al collo e stringendomi con la sua debole forza.

Risi, staccandola da me. «Sta attenta tesoro» la ammonii dolcemente, mettendole una mano sulla pancia e accarezzandola attraverso il pigiama leggero.

La sentii gemere. Sollevai lo sguardo e vidi una smorfia buffa sul viso di mia moglie. «Mi…» sollevò gli occhi al cielo, sbuffando e arrossendo «non… non fare così…» disse mordendosi con insistenza il labbro inferiore. Era… in imbarazzo?

Tolsi la mano perplesso. «Così come?». C’era qualcosa di strano.

Scossi il capo. «Niente, scusa» mormorò velocemente, ma i suoi battiti aumentarono.

Non volevo metterla a disagio e farla agitare, così senza replicare l’accompagnai sulla sedia del tavolo del soggiorno.

Notando le fastidiose e continue nausee, e i problemi causati dal fatto che Bella avesse bisogno di abbondanti dosi di calorie, Carlisle aveva rivisto la sua dieta integrandola con delle proteine in compresse.

Abbassò lo sguardo, arrossendo, e cominciando a disegnare con un dito disegni immaginari sul tavolo. Sospirò. Aveva uno strano comportamento. Bofonchiò qualcosa e concluse con «…dolce».

«Cosa?» chiesi.

Lei sobbalzò, portandosi una mano al cuore, come se fosse stupita di trovarmi ancora lì.

Il suo comportamento era davvero strano. Corrugai le sopracciglia. «Stai bene?».

Sgranò gli occhi e annuì vigorosamente. «Sì».

Chinai il capo di lato. «Hai detto dolce?».

Le sue guance si tinsero di rosso del sangue che l’imporporarono. «Ho… solo… voglia… di… qualcosa di dolce…» concluse velocemente con un sorriso forzato.

Mi stava mentendo. Mi stava mentendo e non sapeva farlo. Oltretutto lei preferiva mangiare salato, per tollerare meglio la nausea. Un sorriso m’increspò le labbra, mentre - decidendo di stare al suo gioco - andavo a prendere la colazione preparata da Alice. Per quanto mi dilaniasse farlo le avrei lasciato i suoi spazi, sperando che non fosse qualcosa di serio di cui doversi preoccupare; solo così si sarebbe aperta.

Avvertii i pensieri di mia sorella che stava parlando con Bella. Magari con lei si sarebbe confidata. Aspettai un po’, il tempo di rimettere in ordine la cucina, ma notando che neppure lei riusciva ad ottenere i suoi scopi, andai da mia moglie con il dolce preparato da Alice.

Non servì mangiarla. Appena vide quella cosa super dolciastra scattò in piedi con una mano alla bocca. Lasciai il piatto nelle mani di Alice e le corsi dietro tenendole la fronte.

«Edward» fece, quando poté parlare «v-vai… vai di là… non… posso fare sola…» mormorò, rossa in viso.

Perplesso, ma pur sempre determinato a non essere troppo invadente, tolsi la mano che le avevo messo in grembo e quella che stava sul suo viso, lasciandola sola. In quell’istante leggerle i pensieri mi sarebbe stato più che utile, ma era giusto anche che le lasciassi la sua privacy.

«Edward!» mi chiamò mentalmente Alice.

Decisi di andare a vedere cosa volesse, magari il comportamento insolito di Bella era semplicemente legato al fatto che avesse bisogno di un po’ di spazio per stare sola.

«Edward, sta tranquillo» mi confortò mia sorella con un bacio su una guancia «ho scritto un biglietto con il pranzo che dovrai prepararle, per le cena ci penserà Esme, basta che tu informi Bella a tutto il resto penso io, d’accordo?» fece, un po’ delusa.

«Non è colpa tua. La bambina blocca le tue visioni» la rincuorai.

Scrollò le spalle. «È brutto non essere invincibili» scherzò debolmente. Mi sorrise, carezzandomi la guancia con affetto. «Mi raccomando, sta tranquillo per stasera!» fece prima di uscire di casa.

Sentii il rumore dei passi sul parquet e di una sedia che si spostava. Vidi Bella seduta al tavolo del soggiorno, mentre si mordicchiava il labbro e si torturava le mani.

Cosa le passava per la testa?

Le portai la colazione, preparata da me, a base dei suoi crackers preferiti, ma mi sembrava che avesse pochissima voglia di mangiare. Era taciturna, silenziosa, e mi pareva costantemente imbarazzata. Non volevo farle domande che le avrebbero portato un ulteriore imbarazzo, così rimasi anch’io in silenzio, tentando di farla sorridere in ogni modo.

«Vuoi vedere la TV?» le chiesi quando finì di mangiare.

Lei lanciò una piccola occhiata al mio viso, poi si fissò le mani, muovendole fra loro, come se fosse indecisa se dirmi o meno qualcosa. Infine annuì, semplicemente.

Quando feci per aiutarla ad alzarsi si sollevò in piedi velocemente e sgattaiolò in silenzio verso il divano. Mi parve che non seguisse affatto il film, continuava ad avere quel comportamento stranissimo. Per quanto avanzassi di volta in volta nuove ipotesi che potevano aver dato adito al suo comportamento, le trovavo o troppo imbarazzanti o troppo invadenti da porre. Cominciai a preoccuparmi un po’, ma mi ripetei che era ancora in assestamento per via della terapia antidepressiva e che farle notare le sue debolezze non l’avrebbe aiutata.

Sbadigliò, stanca, chiudendo gli occhi e stendendo le membra.

«Ti fa male la schiena?» le chiesi, facendo attenzione a conservare un tono cortese.

Sobbalzò, stralunata. «N-no… no… va t-tutto bene…».

Le sorrisi, seppur perplesso e preferii rimanere in silenzio piuttosto che farle notare che era arrossita e che stava balbettando. Le cose andarono via via peggiorando. Durante il pranzo era stata ancor più taciturna e schiva ad ogni contatto con me. Non capivo, e desideravo con impazienza che si aprisse e che insieme risolvessimo i suoi problemi.

Le presi una giacca più pesante pensando volesse andare in giardino, porgendogliela con delicatezza.

«Io» esitò intuendo le mie intenzioni. Era arrossita e non mi guardava negli occhi «ecco… posso… voglio stare un po’ in camera… ti-ti dispiace?».

Un’altra stranezza. Negli ultimi giorni l’aria aperta le era particolarmente piaciuta, adorava quel cambiamento d’ambiente. Nonostante tutto le sorrisi con delicatezza. Ero ansioso di scoprire cosa fosse a turbarla, ma riempirla di domande e dimostrare la mia apprensione sarebbe equivalso solo ad una reazione contraria da parte sua.

«Vuoi dormire?» le chiesi, come ogni pomeriggio, accarezzandole la fronte.

Lei sbadigliò, e vidi le sue palpebre tremolare impercettibilmente verso il basso, ma nonostante questo mi disse di no. Fui seriamente tentato di chiederle cosa non andasse. Tuttavia, continuai ad auto-impormi di mantenere il silenzio. Appena scoperta la causa del suo umore avrei fatto ogni cosa, tutto quello che potevo per aiutarla. Non volevo altro, solo vederla felice e vivere serenamente con nostro figlio, così l’accompagnai in camera.

«Mi… mi potresti prendere un bicchiere d’acqua per favore?» chiese imbarazzata, rossa in viso.

Aprii automaticamente bocca per farle una domanda, ma cambiai rapidamente idea. Sorrisi, non tenendo conto della preoccupazione che imperversava in me. «Certo».

Decisi di lasciarle ancora un po’ di tempo e andai in cucina, lasciandole un po’ di pace e solitudine, sebbene quel distacco mi stesse uccidendo. Non volevo soffocarla con le mie attenzioni e non volevo che fosse proprio quella la causa del suo comportamento. Ma volevo assicurarmi che stesse bene e che il suo umore non dipendesse dalla sospensione della terapia antidepressiva.

Ad un tratto mi arrivò al naso il sentore di umido e salato.

Stava piangendo?! Andai velocemente in camera.

Stava girata su un fianco, rannicchiata su se stessa, e nonostante testasse di placarli, dei piccoli singhiozzi arrivavano fino alle mie orecchie.

Rimasi immobile, tentando di capire quanto potesse essere grave. Stava solo piangendo? Era un vero attacco di panico? Le avrei dovuto dare un’altra compressa o chiamare Carlisle? E se palesandomi avessi peggiorato le cose?

No. Non potevo. Dovevo andare da lei.

Piano mi avvicinai al letto, dandole il tempo di accorgersi della mia presenza. Non appena mi vide sobbalzò, ma i suoi occhi arrossati non smisero di versare nuove lacrime.

«Amore» la chiamai cautamente, sistemandole dietro l’orecchio una ciocca di capelli. «Tutto okay?».

Il suo labbro inferiore tremolò, ma poi si affrettò ad annuire silenziosamente.

Non mi sembrava che avesse un attacco di panico, forse era solo un cambiamento del tono dell’umore dovuto alla gravidanza. «Ti senti triste?» le chiesi accarezzandole una guancia per cancellare le lacrime che le erano scese.

«Edward» sussurrò, stringendomi con tutta la sua forza umana e convincendomi a sdraiarmi accanto a lei sul letto. Rimase qualche istante così, mentre io l’accarezzavo e tentavo di placare il suo pianto e di trovare un modo adatto per chiederle cosa stesse accadendo.

Infine, con ogni occhi asciutti, ma ancora arrossati, sollevò lo sguardo fino a incontrare i miei occhi. «Edward… ri-rimani con me… sono felice quando sei con me» farfugliò con la gola secca.

Mi sentii spezzare il cuore alla sua fragilità, ed insieme mi sentii egoisticamente contento di sapere di poterla fare stare meglio.

Lei si strinse con più forza, muovendo la punta del suo naso sulla mia mascella. «Edward» sospirò, baciandomi con necessità e avidità e stringendo le mani fra i miei capelli. «Sto… impazzendo» sospirò, baciandomi ancora. «Mi… fai impazzire…».

In quell’istante capii.

 

Bella

 

Mi girai su un fianco, dopo aver chiesto a Edward di prendermi dell’acqua.

Da quando mi ero svegliata, sentendo le sue labbra sulle mie, non riuscivo a pensare che a quello. Volevo mio marito, lo desideravo profondamente, con ogni fibra del mio essere.

Non mi era mai successo da quando ero stata rapita da Jacob, e non sapevo come interpretare i segnali che la mia mente e il mio corpo mi mandavano. Lo desideravo ed insieme avevo paura di averlo, della mia reazione quando sarei stata con lui. La cosa che mi faceva stare peggio era che mi toccava, accarezzava, coccolava, continuamente e delicatamente, senza un accenno di desiderio o attrazione maliziosa. Ma come faceva a non rendersi conto dell’effetto che causava?

La sua tenerezza mi faceva desiderare di avere di più, ma insieme la mia mente si riempiva di ricordi e di paure. Era un pensiero totalizzante che occupava la mia mente. Tentavo di non pensarci, tentavo di non agitarmi, ma più il tempo passava, più la mia frustrazione cresceva e mi sentivo sempre più… triste. Ero tristissima, esasperatamente triste e imbarazzata da quel mio desiderio che non sapevo come comunicarli, per paura di scoprire che non era ricambiato, o che lo sarebbe stato solo forzatamente dopo una mia richiesta. Ed ero arrabbiata. Con me stessa e con gli altri. Perché non sapevo come sarei potuta tornare ad avere una vita normale con mio marito, ma lo desideravo molto, e anche da un punto di vista sessuale.

Sbattei un pugno su lenzuolo, rendendomi conto che lo sguardo cominciava ad appannarsi. Ci mancava solo quello stupido pianto! Tentai di asciugarmi in fretta gli occhi, per paura che Edward mi vedesse in quelle condizioni, ma più tentavo di non piangere, più piangevo. Piangevo. Piangevo tanto. E non volevo farlo, perché se ne fosse accorto, si sarebbe preoccupato e io mi sarei imbarazzata ancora di più.

«Amore, tutto okay?» mi disse comparendo nella mia visuale. Nonostante avessi pensato che non doveva vedermi in quello stato, sentii la necessità di averlo accanto. «Sei triste?» mi chiese ancora.

Lo strinsi fra le mie braccia e lo trascinai con me sul letto. Tutta l’enorme tristezza, accumulata senza un apparente motivo in quelle poche ore, scomparve col beneficio della sua presenza. Non riuscivo a capire come fosse possibile, ma averlo accanto a me era come qualcosa di magico, un’inspiegabile presenza che guariva le mie ferite.

E una volta eliminati i dolori non potei far nulla per impedire alla parte più istitutiva di me di emergere e di cancellare ogni inibizione. Mi aspettai di sentirmi bloccare, rimproverare, richiamare, ma così non fu. Cominciò a baciarmi con amore, trasporto. C’era ancora dolcezza in quei baci, ma anche tanta, tantissima passione, e nessun pensiero negativo riuscì ad avere la meglio.

Mi coccolò a lungo, riempiendomi di baci, di attenzioni, di ogni sorta di carezza e dolce emozione e concesse a me di fare lo stesso con lui, mettendosi a disposizione delle mie labbra e del mio tocco. Avevo bisogno di tutto quello. Volevo sentirmi amata e come di secondo in secondo realizzavo che stava andando tutto bene, che potevo tornare ad amare Edward, mi sentivo più tranquilla.

«Grazie» sussurrai timidamente baciandogli il petto nudo dal sotto le coperte.

«Bella, io ti amo» mi disse sorridendomi.

Annuii. «Ti amo anch’io» risposi, stringendolo a me. Sentii un dito delicato e freddo sollevarmi il mento.

Incontrai il suo sguardo intenso. «Se sei triste o se senti che c’è qualcosa che non va, promettimi di parlarne con me» lo vidi temporeggiare, come se cercasse le parole giuste. Mi fece un mezzo sorriso «Siamo in questa cosa insieme. Non c’è niente di sbagliato in te, d’accordo?».

Sorrisi debolmente, arrossendo e annuendo piano. Poi posai la testa sul suo petto, stringendo un braccio intorno alla sua vita. «Scusami… non volevo metterti in questa posizione, ma… io» mi morsi un labbro, sentendo il mio cuore battere forte nel petto «ne avevo bisogno, avevo bisogno di te».

Lo sentii irrigidirsi.

Mi sollevai si scatto, puntando i miei occhi nei suoi. «Non fraintendermi, lo so che tu ci sei sempre per me, che mi sei sempre accanto… io…» sospirai, guardando il vuoto «è che… ho bisogno anche di questo. Di sentirti accanto… fisicamente. Mi capisci?».

Mi sorrise. «Certo che sì. E mi dispiace se non possono esserci stati momenti… del genere fra di noi. Scusami, ma» sospirò «forse avrei dovuto parlartene. Non sapevo se e quando avresti avuto ancora questo desiderio, ma quando Carlisle ha detto che dovevi stare a riposo intendeva anche non avere rapporti. È pericoloso in questo momento della gravidanza così delicata, capisci? Ma sappi, e te lo dico con sincera onestà» aggiunse serio «che non vedo l’ora che questo periodo finisca. E poi potremmo…» aggiunse lievemente malizioso.

Sorrisi. «Potremmo?».

Lui ridacchiò. «Dormi amore. Sogna anche per me» disse, facendomi appoggiare la testa sul suo petto.

Chiusi gli occhi, sbagliando assonnata. «Anche tu mi fai impazzire» sentii dire prima di addormentarmi, stanchissima.

Tre ore dopo mi ritrovai, confusa, in soggiorno. Ricordavo solo che dopo aver aperto gli occhi, due paia di mani fredde si erano impossessate di me e mi avevano infilato i vestiti che ora indossavo.

Alice e Rosalie si muovevano avanti e indietro per casa, Esme, in cucina, preparava la cena per me e per Charlie che a quanto pareva doveva mangiare con noi. Edward l’avevo perso di vista, ma avrei giurato di vederlo passare accanto a me qualche istante prima.

Suonò il campanello, così decisi di andare ad aprire, nonostante stessi più o meno dormendo in piedi. Il pomeriggio con Edward aveva seriamente minato le mie forze già carenti. Quindi fu più che altro un istinto. Come un cane che viene richiamato dal fischietto.

Anche perché, quando arrivai alla porta con il mio passo lento, questa era già stata aperta da Rosalie.

«Sorellina!» tuonò un vocione.

Lo salutai con una mano, sbadigliando.

Emmett non tenne conto della mia carenza d’entusiasmo. Dapprima fece per buttarsi su di me in un abbraccio stritolatore, poi, all’occhiata eloquente che gli riservarono Jasper e Carlisle si ritrasse, per poi inginocchiarsi di fronte e me per contemplarmi la pancia. «Oh! Guarda che bella pancia grossa!» esclamò contento.

Sgranai gli occhi, sorpresa, riprendendomi dal torpore. «Pancia?! Quale pancia? Si vede? Quanto? Come?» chiesi sollevandomi la maglietta e tentando di osservarmi. Lo chiedevo a Edward ogni mattina e lui diceva sempre che non si vedeva niente.

Carlisle ridacchiò, riponendo il cappotto sull’attaccapanni. «Non si vede nessuna pancia, forse si è leggermente allargata la vita» disse dandomi un bacio affettuoso sulla guancia e raggiungendo gli altri in soggiorno.

«Oh» feci, leggermente delusa, ignorando Emmett che mi punzecchiava il ventre con un dito.

Quello fu il turno di Jasper di ridere, mentre scrutava le mie emozioni. «Ci sei rimasta male?».

«No» borbottai, offesa, stringendo le labbra.

«Bellina, secondo me si vede, guarda qui! Si vede benissimo, ecco, ecco!» insistette Emmett indicandomi un punto in cui secondo lui avrei dovuto trovare un rigonfiamento.

«Dove?» esclamò Jasper, precipitandosi in ginocchio davanti a me accanto al fratello e posando una mano, accanto alla sua, sulla mia pancia.

Mi stupii del suo comportamento. Di solito si teneva a distanza.

«Ecco, vedi! È una pancia tonda!» fece saccente l’orso.

«Mah. Secondo me è a punta» ribatté contrariato l’altro.

«Aspetta, da che lato dormi Bella?» mi chiese Emmett.

Sobbalzai, sorpresa dalla domanda e dai loro discorsi. «Non lo so… credo il destro…» borbottai tra uno sbadiglio e l’altro.

«Ah-ah!» fece Jasper, vittorioso.

«Si, ma è stato concepito ad Agosto!».

«Già, ma lei aveva diciott’anni!».

«Però non mangia legumi!».

«E nemmeno banane!».

Ero allibita dal loro comportamento. «Ragazzi, scusate…» tentai di interromperli, per chiedergli quantomeno di togliere le loro mani dalla mia pancia.

«Sai che ci rimane una sola domanda da farle?» fece Emmett serio, ignorandomi.

«Fallo» rispose l’altro, facendo spallucce.

Si voltarono contemporaneamente verso di me. «Bella. Come l’avete concepito?».

Sgranai gli occhi, improvvisamente purpurea.

«Si può?» chiese mio padre, entrando dalla porta ancora aperta. Vedendo la scena che gli si presentò dinanzi, sollevò un sopracciglio. Poi, notando le mani di Emmett e Jasper sulla mia pancia, gli si illuminarono gli occhi.

Abbassai velocemente la maglietta, tirando due colpetti sulle mani dei ragazzi. Mio padre non doveva mettere mano sulla mia pancia.

Per fortuna Edward venne in mio soccorso. «Tesoro, ti ho trovata finalmente. Stai dormendo in piedi, vieni di là a sederti». Poi si voltò verso mio padre, temporeggiando volutamente con un occhiataccia sui suoi fratelli. «Buonasera Charlie, prego, accomodati».

Mio padre sorrise, in naturale imbarazzo. Lasciò il suo giaccone e si avviò in soggiorno, raggiungendo gli altri.

Gli occhi di Edward scintillarono di rabbia. «Voi due» disse puntando minacciosamente un dito contro i suoi fratelli «non provate più a mettere in imbarazzo mia moglie e soprattutto fatemi il favore di non renderla partecipe delle vostre assurde scommesse».

«Certo, certo» fecero con noncuranza, superandoci per andare in soggiorno.

«Su cosa hanno scommesso?» chiesi, stringendomi a Edward.

Scosse il capo, contrariato. «Sul sesso del bambino» disse a mezza voce prima di baciarmi.

Mi ritrassi stupita. «Non ci ho ancora pensato seriamente… tu cosa vorresti?».

Mi sorrise. «Io ci ho pensato, ma… non lo so, non m’importa. So solo che lo amo già ora» disse baciandomi con amore.

«Allora ragazzi, avete capito come funziona la cosa?» chiese Alice distribuendo due bigliettini ciascuno.

«No aspetta» fece Emmett «cioè io devo scrivere il nome che vorrei dare al pargolo se fosse un maschietto su un fogliettino, e se fosse una femminuccia sull’altro. Giusto? Poi si mettono tutti i nomi di maschi da una parte e tutti i nomi delle femmine dall’altra e poi si pescano i turni di scontro?» chiese gesticolando con i bigliettini.

«Esattamente» disse Alice frettolosamente «e poi funziona un po’ come un concorso con le eliminatorie. Tutti voteremo, supereremo ogni turno, alla fine avremo un risultato vincitore per la categoria maschi e una per la categoria femmine e saremo tutti contenti. Bene, chiaro, cominciamo» concluse in fretta.

«No, no aspetta Alice» la interruppi.

Lei sbuffò. «Che c’è?!».

«Mi stai dicendo che noi, cioè tutti voi» dissi mostrando i presenti in sala, «deciderete il nome del nostro bambino?» chiarii indicando me e Edward, seduto sul divano con i miei piedi sulle gambe.

«Esattamente» fece lei, riaprendo bocca per parlare.

«E non pensi che dovremmo essere noi, cioè io e Edward a decidere?» incalzai.

Si voltò scocciata verso di me. «Senti tu, ma non stavi dormendo?! Mi sembri un po’ troppo lucida per i miei gusti. Edward, portala a letto, la votazione la possiamo fare anche soli».

«Alice» la richiamò Esme «se Bella vuole decidere da sola il nome di suo figlio è un suo diritto farlo».

«Ma mamma… Ci metterà troppo! Tanto poi potrà anche cambiare idea, ma mi servono certezze, per ora» fece con uno sguardo eloquente.

Che di eloquente aveva ben poco, ma almeno avevo capito che era una cosa che c’entrava con le sue visioni. Beh, almeno dopo avrei potuto cambiare idea…

«Grazie, grazie, grazie!» esclamò saltellando.

«Ma se ancora non ti ha detto sì» borbottò mio padre.

Alice fece un sorriso a trentadue denti. «Ma noi siamo amiche, e le amiche si capiscono al volo!».

Un’ora dopo contenere il sonno era quasi impossibile. Ma, nonostante i costanti inviti di Edward per andare a dormire, avevo due buoni motivi per non addormentarmi. Il primo, era il nome proposto da Emmett per mia figlia. “Lilla”. Il secondo, era il nome proposto da sua moglie per mio figlio. “Haier”. Lottavo con tutte le mie forze per non farli andare avanti nelle selezioni, tuttavia sembravano riscuotere nei vampiri un certo successo.

Ad un mio sguardo eloquente Edward aveva ben capito che se avesse alzato la mano per votare uno di quei nomi le avrei dato fuoco con un tizzone ardente.

Ad un tratto si sollevò, baciandomi le labbra. «Vado a prenderti una coperta» mi spiegò con un sorriso. In effetti avevo freddo, e i miei piedi erano congelati.

Non feci in tempo a soffrire per l’assenza di mio marito che Jasper mi venne accanto, sedendosi su divano al posto di Edward. «Come va Bella? Ti sento piuttosto tranquilla, ma anche un po’ tesa».

«Molto stanca» biascicai, sbadigliando e lottando per tenere le palpebre aperte.

Lui ridacchiò. «Sì è vero, ma a quello ci sono abituato».

Sospirai, per poi sussurrargli «Grazie per non aver proposto nomi strani per mio figlio».

«Figurati» mi rispose con un sorriso.

Spostai lo sguardo su Rosalie e Alice che discutevano sul voto di un nome. Emmett tentava di acquietare sua moglie mentre Esme faceva lo stesso con Alice. Mio padre invece mi sorrideva, imbarazzato dalla situazione.

Un attimo. Carlisle non c’era. E Edward non era tornato.

«Hai chiamato tua madre, Bella?» mi chiese Charlie tentando di sovrastare le esclamazioni di Rose a Alice.

Catturò poco la mia attenzione. «Mmm, sì. L’ho vista con la webcam, insieme a Edward…».

«Oh, e… come l’ha presa?» mi chiese ancor più in imbarazzo.

Mi concentrai su di lui. «Bene, è molto contenta, ci ha dato la sua benedizione e dice che ci verrà a trovare per Natale; scusami un attimo» dissi alzandomi dal divano.

Non sapevo bene perché l’avevo fatto. Dovevo andare da loro? Stavano parlando di me? Magari volevano solo parlare un momento come padre e figlio, non volevo essere invasiva. Mi mossi verso il camino acceso, solo per non crollare per la stanchezza. Non sapevo bene cosa fare. E se invece stavano parlando di me? Mi stropicciai gli occhi per impedire che si chiudessero. Poi sospirai, vagando verso la finestra. Stava piovendo. Decisi di ritornare al camino, verso il caldo. Mi mordicchiavo nervosamente un labbro. Perché non tornavano? Da quando ero diventata così paranoica?

In quel momento spuntò la figura sorridente di Carlisle, seguita a breve da Edward.

«Amore» dissi avvicinandomi a lui.

Mi accarezzò una guancia, saettando con lo sguardo fra me e Jasper. «Hai sonno?» mi chiese poi.

«Sì, molto» mormorai, completamente abbandonata sul suo petto.

Mi prese in braccio e si sedette sulla sedia a dondolo accanto al camino. Poi mi posò addosso la coperta, ricoprendomi completamente, fin sopra la testa.

«Voti tu per me?» sussurrai mezza addormentata.

«Certo, non ti preoccupare» mi rassicurò, sollevando poco il plaid per baciarmi le labbra. Poi cominciò a dondolare, canticchiando  bassa voce la mia ninna-nanna.

Come al solito addormentarsi immediatamente non fu facile.

Strofinai il volto sulla sua camicia, in cerca di una posizione comoda. In quel momento le mie labbra vennero casualmente in contatto con la pelle nuda della sua clavicola.

Cominciai a lasciare una serie di baci. Mi piaceva da impazzire il suo sapore sulle mie labbra. Per fortuna nessuno mi poteva vedere.

Edward si irrigidì brevemente, poi lo sentii ridacchiare nervosamente, e una sua mano si posò sul mio fianco.

Continuai la mia opera, con un sorriso malizioso a incresparmi le labbra, finché non sentii la lucidità lasciare spazio al sonno.

«Femmina!» urlò Alice ad un tratto, facendomi risvegliare.

   
 
Leggi le 40 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Twilight / Vai alla pagina dell'autore: keska