Confessione
indotta
Kaori spalancò con violenza la porta irrompendo nella
stanza avvolta nella penombra.
Uno sgradevole tanfo, mescolato all’odore pungente
dell’alcool e della nicotina, la travolse improvvisamente costringendola a
deformare il viso in un’espressione di disgusto.
La camera del collega era disseminata di cartacce, il
cestino dei rifiuti era traboccante, riviste porno erano sparpagliate sul
letto, sul divano, per terra.
Uno strato di polvere era steso su tutti i mobili e
dalle finestre dei vetri, opachi per la sporcizia, a mala pena filtrava la luce
del sole.
Quel puzzo insopportabile, il caotico
disordine che regnava sovrano, la gran quantità di volantini che propagandavano
cinema porno, cabaret, spogliarelli, love motel e peep show, suggerivano che lo
“Stallone di Shinjuku” aveva trascorso tutta la notte nel quartiere a luci
rosse di Kabukicho.
Due bottiglie di whisky vuote erano state abbandonate
sul pavimento insieme ad alcuni indumenti da uomo: una maglietta, una giacca,
dei jeans, un paio di pantaloni eleganti.
Quel cialtrone di Ryo, non aveva neanche la decenza di
poggiarli su una sedia.
Kaori prese a raccoglierli pazientemente da terra.
“E questo? Cos’è?” si ritrovò a mormorare la city
hunter.
Per scovare una prova inconfutabile dei suoi
trascorsi, non era stato necessario frugare le tasche dei pantaloni del
collega, era bastato sollevare una giacca. Sotto di questa infatti giaceva
abbandonato un reggiseno dalla coppa enorme, di pizzo, blu, finemente lavorato.
La sweeper analizzò con meticolosa diligenza il corpo del reato al fine di
risalire alla proprietaria dell’intimo.
Lo distese davanti agli occhi e si convinse che la
donna che lo aveva indossato apparteneva alla categoria delle maggiorate. Dalla
raffinatezza del capo dedusse che, quasi certamente, questa aveva anche buon
gusto nel vestire. Annusò il tutto, e si ricordò che quel profumo, quella
fragranza costosa, lei, l’aveva già sentita. Ormai non c’erano più dubbi, Kaori
poteva affermare di conoscere con assoluta certezza l’identità della donna che,
quella notte, aveva tenuto compagnia allo Stallone di Shinjuku.
Non restava che decidere della sorte del condannato.
Si trattenne dallo scaraventarlo giù dal letto, dallo
scorticarlo vivo sino a ridurlo un mucchietto d’ ossa.
In fondo, perché non prendersela comoda? Appartarsi da
qualche parte della casa, magari davanti ad una tazza di the, ed escogitare un
modo per fargli sputare una confessione. In fin dei conti quel casanova era capace
di rinnegare le realtà più evidenti, neanche se l’avessero scannato avrebbe
rivelato i suoi peccati, né, tanto meno, avrebbe mutato la sua natura
pervertita.
Kaori cominciava a prenderla con filosofia. Se non
poteva cambiarlo, perché non farlo pentire amaramente delle sue azioni
sotterrandogli la dignità? Magari sarebbe riuscita pure a farsi quattro risate,
perché no?
Decise così di ricorrere alle
tecniche di autocontrollo più sofisticate: inspirò ed espirò profondamente, si
convinse che tutto andava bene; che il sole splendeva e i ciliegi erano in
fiore. Sgattaiolò dunque fuori dalla stanza, la prova del
misfatto ben stretta tra le mani.
Se quella mattina avessero detto a Ryo: “Ryo! Ti
arrostiranno se non ti alzi immediatamente!”, Ryo avrebbe risposto con voce
assonnata, appena percettibile: “Arrostitemi, friggetemi, fate quel che volete,
ma non mi alzo”.
Altro che alzarsi, gli pareva di non poter neanche
aprire gli occhi, perché, se solo lo avesse fatto, un fulmine si sarebbe
schiantato sulla sua testa, facendogliela subito a pezzi. La testa gli doleva
incredibilmente e nonostante avesse gli occhi sigillati, vedeva macchie
giallognole cerchiate da lingue verdi fiammeggianti. Come se non bastasse,
aveva la nausea.
Ryo cercava di ricordare qualcosa, ma chissà perché
gli ritornava alla mente un’unica scena: quella notte, chissà dove, stava in
piedi, con una bottiglia in mano, accanto ad una ragazza che cercava di
baciare, promettendole una notte di passione. Chi fosse la giovane, che ora fosse adesso, che giorno e che
mese, Ryo lo ignorava completamente.
Il peggio era che non
riusciva a capire dove si trovasse. Si sforzò di risolvere per lo meno
quest’ultima circostanza, e a tal fine cercò di sollevare la palpebra
dell’occhio destro. Nella penombra riconobbe i mobili della sua camera. Capì
allora di essere disteso sul suo letto. A questo puntò sentì un tale colpo alla
testa, che chiuse gli occhi soffocando un lamento. Tese le orecchie e si
accorse che nell’appartamento regnava il più assoluto silenzio.
Sarebbe rimasto volentieri a
vegetare in quella camera se non si fosse sentito la bocca ardere di sete.
Abbandonata l’idea di
chiedere aiuto a Kaori, che sicuramente lo avrebbe mandato a strabenedire,
decise di alzarsi, per quanti sforzi sovraumani potesse costargli.
Ryo cercò allora di sollevare
le pesanti palpebre e mettersi in piedi.
Aveva un aspetto orribile, i
capelli ritti in varie direzioni, la faccia coperta da una barba nera e ispida
e gli occhi pesti, indossava ancora la camicia con la quale era uscito a far
baldoria, mentre doveva aver abbandonato i pantaloni da qualche parte nella
stanza, tuttavia aveva ancora addosso i boxer e i calzini.
Riuscito a separarsi dal
letto ed ad assumere una posizione più o meno eretta, sentì che i postumi della
sbornia lo gratificavano di un ulteriore sintomo: gli pareva che il pavimento
avesse assunto la consistenza di un budino gelatinoso e che sotto i suoi piedi
vibrasse e sprofondasse mollemente.
Si vestì di malavoglia e
barcollante raggiunse la cucina attirato dal brontolio della caffettiera e
dall’aroma di caffè che si diffondeva per casa.
Giunto alla soglia esitò
qualche istante prima di entrare.
Kaori, come ogni mattina,
seduta, sorseggiava la scura bevanda leggendo le notizie del giorno nel
quotidiano locale. Fin qui, niente di strano. Il problema era che non era
affatto mattina: l’orologio alla parete segnava le due e mezza passate, lui si
era appena alzato e la socia non aveva ancora emesso un fiato.
Era più di un conto che non
tornava al city hunter, già, perché nonostante fosse rincasato ad un orario
indecente, dopo un’intera notte di sollazzi, Kaori non lo aveva ancora
spiattellato da nessuna parte, non lo aveva buttato giù dal balcone avvolto in
una coperta e non gli aveva neanche strillato contro.
Era più che stupito, ma non poté credere ai suoi occhi
quando la giovane assistente, sorridendo, gli porse una tazza di caffè fumante.
Forse questa volta, si disse, con l’alcol aveva
proprio esagerato… Si ritrovava spettatore di scene improbabili, protagonista
di una vita che non aveva niente a che fare con la sua. E sì, aveva proprio le
allucinazioni! Quando mai si era vista una Kaori così premurosa, che lo
lasciasse dormire sino a tardi e gli porgesse sorridente una tazza di caffè?
Possibile che la ragazza si fosse finalmente decisa di
non immischiarsi nella sua vita privata, nelle sue scappatelle notturne, nel
suo sballato bioritmo?
Mentre rimuginava su tali comportamenti, prese posto
su una sedia, si grattò la testa e spalancò la bocca in un cavernoso sbadiglio,
afferrò la tazza e senza pensare al pericolo ustione, la svuotò con un solo
sorso.
Ryo era così rimbambito quella mattina che avrebbe
potuto bere arsenico senza rendersene conto, tuttavia di una cosa fu subito
certo: quel caffè non era disgustoso, era ripugnante.
Ecco che, allora, non aveva le allucinazioni; Kaori
non aveva affatto perso l’abitudine di punirlo, questa volta aveva solo deciso
di avvelenarlo!
Con la bocca ancora impastata da quel sapore sgradevole
dichiarò: 1) che Kaori era talmente incapace da non saper preparare neanche un
caffè decente; 2) che quel caffè sapeva di sciacquatura di piatti; 3) che era
una donna gelosa che stava cercando di intossicarlo con i suoi intrugli.
Kaori strinse il labbro inferiore sotto i denti.
Per quanto rimbecillito dalla sbronza, Ryo sapeva che
rivolgere apprezzamenti del genere alla collega, era un po’ come dare l’avvio
ad un comando di autodistruzione, così, aspettando la fine del mondo, si
rifugiò di filato sotto il tavolo, occhi sigillati, denti stretti e mani sulla
testa.
Uno, due, cinque, dieci secondi…Nulla, nessuna
esplosione di rabbia: o la sua collega aveva rallentato i tempi di reazione o,
ma ciò gli sembrava assurdo, era salvo.
Sollevò prima una palpebra. Tutto tranquillo. Sollevò
l’altra. Non accadeva ancora nulla. Anzi, no, la collega si mosse, gli venne
vicino e Ryo si sentì nuovamente perduto.
“Kaori…” balbettò.
Ma Kaori ignorò il suo lamento e procedette verso il
tavolo.
“Kaori…” farfugliò nuovamente. Vide le gambe della
giovane piegarsi sulle ginocchia. Era la fine! Poteva cominciare a
raccomandarsi a Dio…
Ma cosa?!? Era proprio un sorriso quello che scorgeva
sulle labbra di Kaori?
“Ma che diavolo stava succedendo?” si domandò lo
sweeper quando vide il sorriso della partner tramutarsi in incontenibile
risata. Che cavolo rideva? Era
impazzita? Aveva perso il senno? Cosa ci trovava di così divertente?
Stranito, il suo cervello intraprese la ricerca di uno
spiraglio di chiarezza in tutta quell’assurda faccenda.
L’illuminazione non tardò ad arrivare, a Ryo bastò un
istante perché le lampadine del suo cervello si accendessero all’unisono.
Infatti, quando improvvisamente si ritrovò costretto ad aggrottare le
sopracciglia, ad assumere uno sguardo estremamente concentrato e serio e una
copiosa quantità di sudore prese ad inzuppargli le tempie, capì che la parte
inferiore del suo intestino aveva deciso, non di sua spontanea volontà, di
mettersi in piena attività e di provocargli lancinanti fitte all’addome.
Chissà perché aveva una bruttissima sensazione.
Pensò ad una pianta, ma non ad una pianta qualunque,
ad una caratterizzata da fiori arancio, privi di petali e riuniti in lunghe
infiorescenze a pannocchia, e al suo frutto, avvolto da morbide protuberanze,
simili a spine, di colore rosso bruno. Tutte le parti della pianta, e
soprattutto i semi, erano velenose, sia per gli uomini, sia per gli animali. Il
nome scientifico di quella pianta era Ricinus communis, e dai suoi semi,
ricordò con orrore Ryo, veniva ricavato un potentissimo lassativo inodore, dal
sapore sgradevole, lo stesso che continuava a persistere nella sua bocca ormai
asciutta.
Preso atto del problema, ponderò bene ogni singola
azione, qualsiasi gesto avventato sarebbe potuto essere fatale.
Fradicio di sudore, lentissimamente, abbandonò il
proprio nascondiglio con passi da formica e, una volta in piedi, con le braccia
avvinghiate al ventre, la schiena leggermente piegata in avanti, iniziò a
correre, in modo alquanto goffo, verso ciò che in quel momento costituiva la
sua unica salvezza: il bagno.
“Disgraziata,” urlava dirigendosi verso l’agognata
meta “cosa diavolo hai messo in quel caffè?”
Kaori non ce la faceva più, ormai rideva senza ritegno
davanti a quella scena. Le sembrava di assistere in diretta alla pubblicità di
un prodotto contro gli attacchi di diarrea improvvisi, per di più, Ryo, non era
ancora arrivato davanti la porta del bagno, che già si era calato giù i
pantaloni.
Doveva sbrigarsi, si diceva lo sweeper, adesso solo
una porta lo separava dal suo obiettivo.
“Ma cosa?!?”
Abbassò la maniglia, una, due, tre volte, ma la porta
era e rimase chiusa, bloccata, sigillata.
Gli occhi dello sweeper si riempirono di terrore, non
sarebbe riuscito a trattenerla ancora per molto.
“KAORIIIIIII” urlò con le lacrime agli occhi,
disperatamente appeso alla maniglia.
“Cerchi questa?” gli domandò la donna, avanzando
tranquillamente verso di lui mostrandogli una chiave.
“Sei impazzita? Dammi quella chiave, sbrigati” tuonò.
La collega sorrise accennandogli un no con la testa.
“Dammela o non rispondo di me” la minacciò, ma lei,
niente.
“Ti prego” la supplicò in ginocchio.
“No” rispose lei.
“Ti scongiuro” la pregò con le lacrime agli occhi,
grondo di sudore.
Kaori rifletté qualche istante, poi disse “D’accordo,
se proprio la vuoi, te la darò…”
Ryo sorrise di gioia e il suo intestino anche.
“Ma ad una condizione…”
“Lo sapevo” pensò Ryo. Cosa avrebbe dovuto fare per
ottenere quella chiave, le piroette?
“Devi rispondere ad alcune domande” chiarì la sua
assistente.
“Sei una sporca ricattatrice, dammi la chiave senza
fare tante storie!”
“Bene, se non vuoi stare ai patti…” gli comunicò Kaori
allontanandosi.
Lo stomaco dello sweeper brontolò rumorosamente,
ricordando a Ryo che era quasi al limite; presto sarebbe scoppiato e non era
proprio il caso di fare storie.
“No,” la scongiurò cercando di trattenerla “risponderò
alle domande, farò quello che vuoi, tutto”. Ormai era solo un uomo disperato.
La donna si rese conto di averlo incastrato proprio
per bene. Rise soddisfatta, Ryo mugugnò.
Gli si avvicinò e cominciò l’interrogatorio:
“Dove sei stato fino alle cinque di questa mattina?”
“Al night club delle conigliette”
“E dopo?”
“Alla Pappa del Gatto”
“Poi?”
“Al locale di Erika”
“E quindi?”
“In giro per Shinjuku”
“Con chi?”
“Ma da solo…” balbettò Ryo, la memoria cominciava a
ritornargli.
“Da solo…” gli fece eco la partner, poco convinta.
“Ne sei proprio sicuro?” gli domandò e per dare uno
scossone alla memoria del collega gli mostrò la prova del misfatto: il
reggiseno che aveva trovato quella mattina nella sua stanza.
Nel vederlo Ryo deglutì nervoso. Come cavolo aveva
fatto a trovarlo?
“Ehm..” borbottò, non sapeva che scusa inventarsi.
“Dimmi Ryo,” chiese Kaori avvicinandosi, “non è che,
per caso, ti sei visto con una certa Saeko?”
Lo sweeper di colpo si ritrovò la bocca amara e un
espressione da ebete dipinta sul volto.
“Rispondimi!” urlò imperiosa la ragazza.
Ryo era al limite, teneva le braccia strette sul
ventre e la fronte corrucciata per il dolore. Doveva confessare o non avrebbe
mai avuto la chiave.
“Si, si, si, Kaori, ma adesso, dammi quella chiave”
Ma la socia non aveva nessuna intenzione di mettere
fine al terzo grado.
“Non ti avrà mica appioppato uno dei suoi incarichi?”
“Ehm…”
“R Y O” lo richiamò Kaori.
“Si, si. Mi ha promesso che questa volta avrebbe
pagato, non potevo mica rifiutare...” confessò.
“Ah, è così... Saeko ti ha promesso un pagamento e tu
hai accettato…”, Kaori era paonazza per la rabbia.
“Già, sarebbe stato da sciocchi rifiutare, ha pure
firmato un accordo scritto” aggiunse lo sweeper con il tono di chi vuole e
crede di aver la ragione dalla sua parte.
“E con cosa?”
“Con cosa?”
“Si, con cosa avrebbe deciso di pagarti la bella
Saeko?” domandò Kaori immaginando già la risposta.
“Dunque...” tentò di tergiversare Ryo.
“Con cosa?” incalzò la city hunter.
L’intestino dello sweeper rumoreggiò pericolosamente.
“Mokkori…” confessò Ryo, indotto dalle sue impellenti
necessità biologiche.
“Dunque le cose stanno così” affermò Kaori stringendo
i pugni sui fianchi.
Ancora in ginocchio, Ryo alzò lo sguardo verso la
donna; gli occhi di Kaori erano braci ardenti. La vide brandire un martello da
cento tonnellate, impugnarlo come una mazza da cricket e scagliarsi contro di
lui, pronto a colpirlo come se si fosse trattato di una palla.
In meno di qualche secondo si ritrovò sparato in aria,
scagliato a gran velocità verso una porta che si frantumò all’impatto.
Almeno il bagno l’aveva raggiunto!